Ecciclema nell’erudizione

L’uso della macchina scenica dell’ecciclema in Aristofane è segnalata dagli scoli in quattro occasioni: per l’ingresso in scena di Euripide negli Acarnesi (schol. vet. Tr. Ar. Arch. 408), per quello di Socrate nelle Nuvole (schol. vet. Ar. Nu. 184b) e quello di Agatone nelle Donne alle Tesmoforie (schol. Ar. Th. 96), oltre che per il cambio di scena al v. 277 di questa stessa commedia. Nel caso di Euripide negli Acarnesi e di Agatone nelle Donne alle Tesmoforie, il commediografo usa esplicitamente il verbo ἐκκυκλέω (su cui si veda Phot. ε 417 = Hsch. ε 1465 = Syn. ε 204 = Suda ε 699), mentre per le Nuvole così come per il v. 277 delle Donne alle Tesmoforie è lo scoliasta ad aver supposto – forse senza necessità – l’utilizzo di questa macchina (cf. Russo 1984, 92: si consideri che l’edificio scenico poteva essere di volta in volta identificato diversamente a seconda dei bisogni della rappresentazione). Tale macchinario, come sottolineano Fozio (ε 418), Psello (Trag. 3,21) e lo scolio bT Il. XVII 476s. (IV 526 Erbse), consentiva di mostrare quanto avveniva dietro alla scena: l’ecciclema – come spiega lo schol. vet. Tr. Ar. Ach. 408 (≈ Suda ε 132) – era un congegno di legno, dotato di ruote che, roteando, mostrava le azioni che si svolgevano all’interno dell’edificio scenico, permettendo così agli spettatori di vederle (cfr. anche Eust. Il. 976,15). Assai simile è la spiegazione offerta da Polluce (IV 128 s.) nella sezione in cui tratta delle macchine teatrali e ripresa dagli scoli a Clemente Alessandrino (11,14): l’ecciclema sarebbe una piattaforma lignea su cui è posto un seggio, la quale consente di mostrare in scena le azioni nascoste agli spettatori; il relativo verbo, come abbiamo visto, è ἐκκυκλέω. Il dispositivo su cui l’ecciclema è introdotto in scena, invece, si chiama εἰσκύκλημα, presumibilmente una sorta di meccanismo su cui l’ecciclema ruota (cf. LSJ 495).

Secondo Esichio (β 563), tale congegno poteva essere chiamato anche βῆμα, che propriamente indica la «piattaforma», segnatamente quella su cui i retori parlavano – ad esempio – sull Pnice d’Atene in occasione delle assemblee. Come nota lo stesso Polluce (= Hsch ε 4014 = Phot. ε 1294), una macchina scenica simile all’ecciclema doveva essere l’essostra.

Di un certo interesse sono gli schol. vet. 18b e 22a alle Nuvole, dove figura il termine παρεγκύκλημα (cf. Porta): esso è poco attestato in greco, con ben 4 occorrenze su 7 che figurano negli scoli alle Nuvole (18b, 22a, 132b e 218b): col valore di nota scenica [generalmente, si trova παρεπιγραφή; cfr. Nünlist (2009, 357 n. 78, 362-364)], esso è usato anche nello scolio 346b all’Aiace di Sofocle, che spiega l’invito di Tecmessa al Coro a guardare dentro la tenda dell’eroe come un παρεγκύκλημα. Lo schol. 346a, che recita ἐνταῦθα ἐκκύκλημά τι γίνεται, ἵνα φανῇ ἐν μέσοις ὁ Αἴας τοῖς ποιμνίοις («qui vi è un ekkyklema affinché Aiace appaia in mezzo ai capi di bestiame»), sembra evocare la macchina teatrale dell’ἐκκύκλημα (cfr. Poll. IV 128), sebbene Medda (1997, 37 n. 39) intenda questo termine come «rivelazione» e supponga l’assenza in questo contesto di questo tipo di μηχανή (cfr. Di Benedetto- Medda 2002, 103); in schol. Luc. 55,13,43 e in Hld. VII 7,4, invece, il termine sembra indicare «inserto», «interludio», «intermezzo». Rutherford (1905, 110 s.) ritiene che la degenerazione del termine παρεγκύκλημα, che negli scoli viene a coincidere con παρεπιγραφή, sia forse dovuta al fatto che gli scoli non capivano cosa fosse l’ἐκκύκλημα e che, dunque, non sapevano nulla riguardo a questa macchina scenica.

Stefano Caciagli © 2016