Se Aristotele (EN IV 127a 20ss.) definisce l’ἀλαζών «chi fa mostra di glorie che non ha» – un vizio, questo, opposto all’εἰρώνεια, la «dissimilazione» – Teofrasto (Char. 23) sottolinea, fra le millanterie di tale carattere, quella di pretendere una ricchezza assolutamente inesistente. Tali elementi sono ripresi nel lessico di Fozio (α 889) – compreso il confronto con l’εἴρων – dove si aggiunge una spiegazione etimologica del termine: l’ἀλαζών sarebbe colui che, dedito a peregrinazioni e vagabondaggi, vive non in virtù delle sue occupazioni, ma proprio grazie al suo girovagare. Sebbene Bonfante (1936) ritenga ἀλαζών un derivato dal nome della popolazione degli Ἀλαζῶνες (cfr. Hdt. IV 17,1; cfr. Corcella 1993, 243 s.), è la connessione con il verbo ἀλάομαι («errare») che viene considerata etimologicamente significativa dall’erudizione antica: essa è infatti ripresa fra gli altri da Esichio (α 2731), dalla Synagogè (B α 833: ὁ ἀλώμενος) e dalla Suda (α 1057). Tale spiegazione etimologica, del resto, è accettata anche da MacDowell (1990, 289 s.). Per quanto riguarda il senso del termine, i lessici spiegano ἀλαζών con πλάνος «imbroglione», ὑπερήφανος «arrogante» e ψευστής «bugiardo»: l’ἀλαζών sarebbe in sostanza un individuo dedito all’ἀπάτη «inganno» e al κόμπος «millanteria» [cfr. Phot. α 890: ἀλαζὼν καὶ κομπός· ψεύστης καὶ κομπαστής. οὕτως Κρατῖνος (fr. 375 K.-A.)]. Come sottolinea la Suda (α 1057), del resto, gli ἀλαζόνες sono propriamente i bugiardi che parlano di ciò che non sanno, mentre Fozio (α 981 s.v. ἀλαζονεύεσθαι) sottolinea che l’ἀλαζών è – oltre a uno ψεύστης – un φέναξ, un «impostore», un «ciarlatano».
Se questi erano gli elementi caratterizzanti l’ἀλαζών, l’ἀλαζονεία fu senz’altro attributo di alcune maschere comiche: fra quelle dei νεανίσκοι, i «giovani», Polluce (IV 147) individua quella del soldato fanfarone (il miles gloriosus latino), contraddistinto da una pelle scura e da capelli neri e mossi. La figura del miles gloriosus, in Aristofane, è probabilmente rintracciabile nel personaggio di Lamaco negli Acarnesi, sebbene egli non sia qui designato come ἀλαζών. Lamaco, ad ogni modo, è definito indirettamente un «fanfarone» al v. 589: Diceopoli, infatti, si chiede alla vista delle penne che ne adornano l’elmo, da quale uccello esse provengano, postulando che tale volatile sia un κομπολάκυθος. Gli scoli vetera e Tricliniana spiegano κομπολάκυθος con ματαιόκομπος («vanitoso») e κομπώδης («millantatore»), termini che richiamano da vicino una delle caratteristiche dell’ἀλαζών, ossia il κόμπος, ovvero la «millanteria».
Per gli scoli agli Acarnesi, l’ἀλαζονεία contraddistingue tanto chi si pavoneggia quanto chi si comporta da furfante. Un esempio sono gli ambasciatori-imbroglioni del v. 63, che Diceopoli ha in odio per i loro «pavoni» (τοῖς ταὧσι) e i loro ἀλαζονεύματα: costoro sono ἀλαζόνες per lo scolio Triclinianum 63c, anche perché riccamente agghindati. Lo stesso dicasi per l’ἀλαζών Teodoro, «adulatore di Cleone»: lo schol. Tr. 135 chiarisce infatti che costui entra in scena tutto agghindato. L’ἀλαζών, comunque, spicca per gli effetti che suscita nei suoi ascoltatori: Diceopoli (v. 373), prima di parlare ai carbonai, teme che essi si compiacciano degli elogi che di loro e della città può fare un ἀνὴρ ἀλαζών: lo scolio vetus al passo spiega che tale «uomo millantatore» non è altro che un rappresentate dei retori. Del resto, gli Ateniesi sono proni a inorgoglirsi, quando di essi sono fatti gli elogi, un orgoglio che li porta a mettersi «sulla punta dei sederini» (v. 638 ἐπ’ ἄκρων τῶν πυγιδίων): lo scolio Triclinianum638c spiega, a tal proposito, che gli ἀλαζόνες sono soliti camminare sulla punta delle dita (propriamente «delle unghie», ἐπ’ ἄκρων ὀνύχων), sicché «chi ascolta le proprie lodi solleva dai seggi il sedere». Al v. 1173, infine, il Coro se la prende con un certo Antimaco, augurandosi che, con l’intento di prendere una pietra da terra, raccolga invece dello sterco: lanciatolo come un proiettile, il Coro spera che esso cada in testa a Cratino. Lo scolio vetus 1173a, chiarendo che tale Cratino non è il poeta ma un altro personaggio, definisce quest’ultimo un ἀλαζών: a questo appellativo, poi, aggiunge due caratteristiche che si ritrovano altrove associate all’ἀλαζών, ossia l’essere θρασύς («audace») e μέθυσος («ubriacone»). Un carattere «audace», infatti, è associato all’ἀλαζών anche in scholl. an.rec. Ar. Nu. 445a., 890b, 915a, 1321b, 1349ab, mentre dell’ebrezza si parla nella voce della Suda (α 1057) poc’anzi evocata.
I Cavalieri sono, per certi versi, la rappresentazione di un agone fra due ἀλαζόνες: così è definito Paflagone al v. 269, con lo scolio vetus 269a che spiega – in modo consono a quanto riferito dai lessici – che tale è chi vanta e pensa cose più grandi della propria dignità (ἀλαζὼν ὁ μείζονα τῆς ἑαυτοῦ ἀξίας κομπάζων καὶ φρονῶν). Del resto, il Salsicciaio non è da meno, quando ruba un piatto di lepri a Paflagone per darlo al Demo, attribuendo tale idea astuta ad Atena (v. 1203): come nota la scolio vetus 1203a, il Salsicciaio agisce per vanteria (πρὸς τὴν ἀλαζονείαν) come i demagoghi, poiché essi sono soliti dire di aver agito su suggerimento di Atena.
Nelle Nuvole, invece, sono principalmente i φροντισταί, i «pensatori» alla Socrate, a essere additati come ἀλαζόνες. Fidippide, del resto, taccia di ἀλαζονεία questi πονηροί («uomini da poco» o «volgari», ma anche – significativamente per un nobile come Fidippide – «plebei»), i quali sono contraddistinti dal colorito pallido e dal girare scalzi: lo scolio vetus 102c commenta che gli ἀλαζόνες sono propriamente dei bugiardi, degli imbroglioni (τοὺς ἀλαζόνας· ἰδίως τοὺς ψεύστας ἐκάλουν). Tali sono – continua lo scolio – a buon diritto i filosofi, poiché dicono di parlare di ciò che non conoscono (formulazione che riecheggia probabilmente l’Apologia platonica). Lo schol. Tr. 102c, invece, aggiunge che essi sono definiti ἀλαζόνες per i loro costumi fieri. Del resto, se la corifea attribuisce a Socrate il fatto di βρενθύειν («pavoneggiarsi») e di παραβάλλειν («voltare, girare») gli occhi, lo scolio Triclinianum 362c chiarisce che è proprio degli ἀλαζόνες non fissare lo sguardo sempre sullo stesso oggetto. Se ai vv. 890 e 915 il Discorso Migliore dà al Peggiore del θρασύς (cf. supra), fatto che associa quest’ultimo a un ἀλαζών (cfr. gli scholia recentiora ad ll.), sarà proprio Fidippide a essere definito «ardito» dal Coro (v. 1349): accompagnatosi a quelli che Fidippide stesso aveva tacciato di ἀλαζονεία, costui è ormai dedito all’ἀλαζονεύεσθαι (cfr. scholl. an.rec. 1349ab). Del resto, lo scolio recentius 1321b, commentando la richiesta di aiuto invocata da Strepsiade picchiato dal figlio, chiarisce che il protagonista sta qui velatamente criticando Socrate perché insegna ai giovani non la saggezza e la mitezza, ma l’arditezza e l’ἀλαζονεία, sicché essi picchiano i loro stessi padri. Il senso del temine ἀλαζών, nelle Nuvole, sembra allora oscillare dalla millanteria all’altezzosità (cfr. schol. vet. 223cα), dalla ribalderia all’arroganza ardita (ossia il mezzo con cui Strepsiade spera invano di sfuggire ai creditori, cfr. scholl. vet. 449f e an.rec. 449dαb). Dati questi presupposti, l’ἀλαζών corrisponde spesso al cialtrone, senso che può assumere il termine – riferito ai φροντισταί – al v. 1492, quando Strepsiade è in procinto di incendiare il Pensatoio: lo scolio an.rec. 1492b chiarisce che tali ἀλαζόνες sono ὑπερήφανοι («arroganti») e κενόδοξοι («vanagloriosi»). In questo contesto, allora, non sorprende che la moglie di Strepsiade, trofia della propria nobile stirpe, sia definita dallo scolio vetus48a a sua volta ἀλαζών.
Come in tutte le commedie dell’epoca di Cleone, anche nelle Vespe gli ἀλαζόνες fanno mostra di loro. Al v. 74, ad esempio, il servo evoca Aminia, che aveva fama di effemminato (cfr. Mastromarco 1983, 456 n. 19): lo scolio vetus 74b ci informa che questo personaggio era considerato nei Serifi di Cratino come un κόλαξ «adulatore», cfr. fr. 227 K.-A.), un ἀλαζών e un συκοφάντης (cfr. la voce sicofante e, inoltre, schol. vet. Ar. Nu. 691). Lo stesso dicasi di Prossenide oppure del figlio di Sello (su questa espressione, probabilmente proverbiale, cfr. Mastromarco 1983, 475 n. 64, e infra a proposito dello schol. vet. Ar. Av. 823) citati al v. 325, nei quali – in alternativa al fumo – Filocleone vorrebbe essere trasformato: lo scolio vetus 325a spiega che il primo era un ἀλαζών, evocato anche negli Uccelli (v. 1126). L’associazione fra Prossenide e il Figlio di Sello con il fumo è poi spiegata dallo scolio in virtù del fatto che questi ἀλαζόνες dicono appunto fumo. Al fumo è anche associato Eschine al v. 459: per far fuggire i giudici-vespe, infatti, Schifacleone invita il servo ad affumicarle, aggiungendo al fuoco Eschine (cfr. Mastromarco 1983, 484 n. 80) figlio di Sellartio. Come chiarisce lo scolio vetus 459a, il fumo è evocato a causa dell’ἀλαζονεία di Eschine. Sellartio, in questo caso, è un gioco duplice: da una parte evoca il già citato Sello, dall’altro richiama il bagliore, σέλας, da cui il fumo scaturisce (cfr. schol. vet. 459b). Al v. 721, infine, il fatto di «parlare con enfasi», στομφάζειν, che caratterizza i demagoghi, è ricondotto dallo scolio vetus 721b all’ἀλαζονεία.
Se nelle Vespe l’ἀλαζονεία è riferita ai politicanti, nella Pace tale carattere è proprio dei Beoti, che non fanno sforzi per liberare Pace e si danno delle arie: secondo lo scolio vetus 465, l’accusa di gonfiarsi [οἷ’ ὀγκύλλεσθ’(ε)] implica il fatto che i Beoti siano ἀλαζόνες, sia perché essi, amanti della guerra, non vogliano tirare Pace fuori dalla grotta, sia perché essi non furono firmatari della pace (presumibilmente di Nicia). Di un certo interesse è la scena dei vv. 1043 ss., che ha un puntuale parallelo negli Uccelli ai vv. 959 ss.: qui Trigeo, intento a sacrificare una pecora, è interrotto da un interprete di oracoli, che ha l’aria di essere un ἀλαζών (v. 1045). Se questi sembra tale già dal suo aspetto (cfr. schol. vet. 1045), egli è visibilmente unο ψεύστης, un «imbroglione» (cfr. schol. vet. 1120b).
Negli Uccelli ritornano figure che, come si è appena accennato, erano presenti in commedie precedenti. Oltre all’oracolista (definito indirettamente un ἄνθρωπος ἀλαζών al v. 983), si ritrovano Eschine (cfr. supra) e Teogene (cfr. Ar. V. 1184, definito dallo schol. vet. 1184 μεγαλοφυής, «nobile», e ἀλαζών; vd. Mastromarco 1983, 534 n. 186): di Eschine avevamo appreso che «dicesse fumo», mentre in questo caso lo scolio vetus 823 aggiunge che non fosse ricco, ma che pretendesse di esserlo. Lo scolio, inoltre, richiama il fatto che Eschine fosse figlio di Sello (cf. Ar. V. 459, ove egli era figlio di Sellartio): se per metafora è possibile chiamare le persone simili a Eschine, cioè gli ἀλαζόνες, come «figli di Sello» (donde il valore proverbiale prima ricordato), è rilevante che il verbo ἀλαζονεύεσθαι abbia come suo sinonimo σελλίζειν. Lo scolio vetus 1016c, che commenta l’invito fatto a Metone di andarsene (nella città degli uccelli, infatti, gli stranieri non sono ben accetti) offre un interessante sinonimo per ἀλαζόνες, ossia τερατολόγοι, «che raccontano cose fantastiche», una caratteristica che è congruente con le abilità retoriche degli ἀλαζόνες-politicanti. Se l’ispettore del v. 1028 è un imbroglione alla stregua degli ambasciatori degli Acarnesi, perché millanta un rapporto col generale persiano Farnace [schol. vet. 1028 Στρατηγὸς Περσῶν ὁ (Φαρνάκης) Φαρναβάζου. ἀλαζονικῶς οὖν σκήπτεται κοινωνίαν ἔχειν μετ’ ἐκείνου], lo scolio vetus 1297-1299 informa che Midia (un giocatore di azzardo incallito, cfr. Totaro 2006, 257 n. 280) era definito da Frinico nell’Efialte (fr. 4 K.-A.) πτωχαλαζών, «mendico millantatore».
La Lisistrata non presenta veri e propri ἀλαζόνες, sebbene lo scolio al v. 887 assimili – in modo non differente dalla moglie di Strepsiade – l’atteggiamento sdegnoso (βρενθύεσθαι) di Mirrina nei confronti di Cinesia a quello dell’ἀλαζών: ella si mosta delicata in modo altezzoso (ἀλαζονικῶς θρύπτεται), con il verbo βρενθύεσθαι («essere altezzoso») che è metafora tratta dall’«unguento prezioso» (ἡ δὲ μεταφορὰ ἀπὸ τοῦ βρενθίου μύρου).
Negli scoli alle Rane l’ἀλαζονεία è assimilata all’alterigia e alla frode. Lo scolio vetus al v. 21 glossa τρυφή, di cui Dioniso accusa il servo Xantia che porta sì il carico in spalla ma sul cavallo, con ἀλαζονεία, mentre lo scolio vetus 280a spiega ἠλαζονεύετο, riferito a Eracle che aveva preannunciato a Dioniso la presenza di fiere tremende nell’aldilà, con ἐψεύδετο («mentì»). Tale commento antico ricorda, poi, un passo della Perikeiromene di Menandro (v. 268), in cui Moschione accusa Davo di dirgli false notizie, lui che è un «ἀλαζών e odioso agli dei». Lo scolio recentius 280a, del resto, spiega ἠλαζονεύετο con i consueti corrispettivi, ossia ἐκόμπαζεν («parlò con alterigia», ὑπερηφανεύετο («fu altero»), ἐπαίρετο («si esaltò»). Lo scolio recentius 703b, infine, glossa ὀγκωσόμεθα (gonfiare), detto dal Coro nella parabasi, con ἀλαζονευθῶμεν: l’immagine è assimilabile a quella riferita ai Beoti nella Pace (cfr. supra).
Se l’ἀλαζονεία è evocata dagli scoli alle Ecclesiazuse solo per il v. 405, dove il commentatore spiega che i medici spartani sono soliti citare i nomi delle piante appunto per ἀλαζονεία, qualche elemento in più compare per il Pluto. Se lo scolio recentius 180a dice che Timoteo, uomo politico figlio di Conone, era divenuto molto ricco e divenne ἀλαζονευθείς (cfr. schol. Tz. 180a), Penia attribuisce a Pluto la caratteristica di ὑβρίζειν, di «comportarsi prepotentemente», verbo che Tzetzes (564b) glossa con ἀλαζονεύεσθαι e ὑπερηφανεύεσθαι. L’assimilazione fra l’ὑβριστής e l’ἀλαζών, del resto, si ritrova anche nello scolio recentius 1074a. Un’ultima menzione merita lo scolio vetus 1146a, che concerne l’espressione μὴ μνησικακήσῃς («non serbare rancore»): vi si spiega che Trasibulo, volendo abbattere il regime dei Trenta, si impossessò della fortezza di File e lì, con degli alleati, abbatté il regime. Poiché parlava in modo vanaglorioso di tale impresa, si sentì dire dagli avversari μὴ μνησικακήσῃς. Tale battuta divenne poi proverbiale (Chantry ad locum, però, taccia di mera fabula questo racconto, cfr. anche schol. rec. 1146bβ).
Da una analisi degli scoli ad Aristofane e della tradizione erudita in genere, dunque, emerge come l’ἀλαζονεία caratterizzasse molte figure, dai politici o politicanti agli oracolisti, dai pesatori alla Socrate ai medici, dalle popolazioni come i Beoti alle donne. Certo, l’ἀλαζών fu – come testimonia anche Polluce – una maschera solo per un determinato tipo umano, quello del giovane miles gloriosus, ma tale accezione è plausibile che fosse operante solo dopo Aristofane: se essa è già in nuce nel Lamaco degli Acarnesi, questo personaggio non è significativamente definito ἀλαζών né da Aristofane stesso né dai relativi scoli. Gli ἀλαζόνες aristofanei, in conclusione, oscillano fra la millanteria e la ribalderia, gonfi di una sapienza o di una condizione economica che in realtà spesso non hanno, bravi oratori e adulatori, ma in sostanza dei furfanti e dei cialtroni: sono queste caratteristiche che avvicinano l’ἀλαζών ai sicofanti, ai κόλακες e ai βωμολόχοι.
Stefano Caciagli © 2016