Buffone nell’erudizione

L’erudizione antica ha associato il termine βωμολόχος principalmente a quattro ambiti di significato: la (vana) loquacità (φλύαρος, λάλος, πολύλογος), la meschinità (πανοῦργος, κακοῦργος, εὐτελής), l’inganno (συκοφάντης, ἀπατῶν) e l’empietà (ἀσεβής, ἱερόσυλος).

Gli scholia vetera ad Aristofane glossano il termine con «malvagio» e «irriverente» (Nu. 910b β, 969a), evidenziando l’aspetto adulatorio (κολακεία, cfr. Poll. VI 122) dell’elocuzione del bomolochos. L’aspetto buffonesco connesso a questo termine emerge forse al v. 748 della Pace. Il Coro, all’interno della parabasi, loda Aristofane, denigrando quei poeti che, per sortire effetti comici, fanno uso della trivialità volgare: essi, in sostanza, adoperano βωμολοχεύματ’(α), termine derivato dal verbo βωμολοχεύω, «fare buffonate», e che lo scolio vetus ad locum spiega appunto come βωμολόχα σκώμματα, «scherzi triviali, da bomolochos». Alcuni scoli vetera (Nu. 910b β, 969b, Ra. 358), infine, spiegano il significato etimologico del termine e dei derivati, che, in origine, avrebbero indicato chi «tendeva agguati» intorno agli altari (βωμός + λοχᾶν) e cercava di prendere qualcosa.

Questo valore è illustrato estesamente dal Lessico di Arpocrazione (β 27), che forse utilizza fonti comuni al commento di Simmaco, da cui gli scoli derivano: la parola in questione denotava propriamente, oltre ai μάντεις («indovini») e agli αὐληταί («suonatori di aulo») che partecipavano alle θυσίαι («sacrifici»), chi sedeva sotto gli altari nel corso dei sacrifici e chiedeva l’elemosina tramite l’adulazione (μετὰ κολακείας). Per illustrare tale significato, il lessico cita il fr. 150 K.-A. della Tirannide di Ferecrate: le personae loquentes del frammento in questione, forse da identificare con alcune divinità [cfr. Storey (2011, II 493)], affermano che Zeus ha costruito un grande sfiatatoio per il fumo, affinché esse non siano chiamate bomolochoi, in virtù del fatto che tendono insidie nei pressi degli altari. Che tale etimologia sia accettabile o che questa sia – com’è plausibile – una ‘invenzione’ di Ferecrate [cfr. Lauriola (2010, 37 s.)], a cui forse erroneamente le fonti di Arpocrazione hanno dato credito, il fr. 150 K.-A. della Tirannide potrebbe rappresentare il locus classicus alla base degli interpretamenta di bomolochos sia negli scoli che nei lessici: qui, in effetti, figura di sovente il verbo λοχάω e l’espressione περὶ τοὺς βωμούς (cfr. Hsch. β 1389 ~ Syn. β 121 ~ Phot. β 321 etc.). Secondo il Lessico di Arpocrazione, inoltre, bomolochos sarebbe poi metaforicamente andato a designare quegli individui che tentano di ottenere un guadagno tramite lo scherno e il motteggio: sarebbe un esempio di questo uso il fr. 166 K.-A. dal Gerytades di Aristofane.

Per definire la reale etimologia di bomolochos, è forse di un certo interesse la notizia secondo cui, in greco, erano detti bomolochoi anche gli uccelli che insidiavano le vittime dei sacrifici (cfr. e.g. Et.Gud. β 293,15); tale indicazione, del resto, può essere messa in rapporto con il fatto che nella Historia animalium (617b) di Aristotele una varietà di κορακίας, ossia di «gracchio», è chiamata appunto bomolochos: come nota Kidd (2012, 249), non è difficile immaginare come il nome di un uccello sia stato adottato per indicare chi dice cose prive di senso, come può mostrare il caso della τρυγών (ossia «tortora»), che è simbolo di chi è troppo ciarliero.

Gli scholia recentiora, infine, sottolineano in particolare l’aspetto ciarliero e ingannatore del bomolochos, aspetto che non pare emergere in modo così evidente dagli scholia vetera: esso sembra essere stato desunto direttamente dai passi commentati (cfr. ad esempio schol. rec. Tz. Ar. Ra. 358a).

Stefano Caciagli © 2016