Se si intende «esodo» con l’accezione più ampia di scena finale – seguendo così la formulazione di Aristotele e applicandola alla commedia – è giocoforza identificalo con il κῶμος, ossia la processione festiva che contraddistingue buona parte delle commedie aristofanee (cf. Cornford 1914 = 2007, 131- 153): Pütz (2003, 165-176) vi distingue κῶμοι di vittoria (Ach. 1197-1234, Ra. 1524-1533, Pl. 1191 ss.) e κῶμοι matrimoniali (Av. 1706-1765 e Pax 1329-1359), mentre la Lisistrata (vv. 1241-1321) presenterebbe caratteri di entrambi i tipi di κῶμοι. Le processioni che caratterizzano gli «esodi» trovano forse ragione nei rituali che Aristotele pone all’origine della commedia (Po. 1449a9, cf. Pütz 2003, 156 e Adrados 1975). Del resto, la connessione etimologica fra commedia e κῶμος è significativa: Aristotele (Po. 1448a35 ss.), infatti, nega il legame fra κωμῳδία con κώμη, come vorrebbero i Dori, e propende per un nesso con κωμάζειν, «andare in processione per una festa, fare un κῶμος».
Se il κῶμος pare non solo una parte essenziale delle scene finali delle commedie aristofanee ma anche un elemento sostanziale per la genesi della commedia, può sorprendere che di esso non si faccia parola nei prolegomena alla commedia. Sorprende altresì che tale termine sia raramente attestato negli scholia ad Aristofane e, quando ciò avviene, il suo significato appare banalizzato: del resto, κῶμος è attestato nelle sue commedie appena 4 volte, di cui solo il v. 1176 delle Donne alle Tesmoforie e il v. 1040 del Pluto fanno riferimento alla scena finale della pièce. Se gli scoli alle Donne alle Tesmoforie non dicono nulla della battuta dell’arciere che recita τί τὸ βόμβο τοῦτο; κῶμό τις ἀνεγεῖρί μοι («che cos’è questo rimbombo? Un komos mi ha svegliato»), assai scarne sono le notazioni al v. 1040 del Pluto, in cui la Vecchia nota l’arrivo di un ragazzo che ἔοικε δ’ ἐπὶ κῶμον βαδίζειν («pare marciare verso un komos»): lo scolio recentius 1040a glossa semplicemente con ἐπὶ μέθην («verso l’ebrezza»), mentre il 1040b parla di βλακία («mollezza») e πότον («bevuta», cf. schol. vet. 1048 che evoca il κῶμος quando parla di un μεθύων, di uno «che è ubriaco»). Tzetzes ad locum non è più profondo, dato che glossa κῶμος con συμπόσιον, «simposio», facendo presumibilmente riferimento alla processione che spesso caratterizzava la fine di un convivio greco.
La connessione fra il κῶμος e il simposio è esplicita nei lessici. In Suda κ 2266 si associa il κῶμος a unμεθυστικὸς αὐλός («zampogna da ubriachi») che stimola alla mollezza e rende il simposio uno spettacolo indecente; lo stesso lemma evoca poi la dimensione erotica del κῶμος. Esso è associato dalla tradizione erudita (Phot. κ 1312, Syn. κ 540, Suda κ 2272) a canti e a danze che vengono eseguiti in preda all’ebrezza (cf. anche Suda κ 2265). Il κῶμος – forse sulla scorta della tradizione evocata da Aristotele nella Poetica (cf. supra) – è invece connesso a κώμη («villaggio») da Polluce (IX 11), che, analizzando la famiglia lessicale del termine in questione, lo mette in relazione con l’àmbito comico: i Cori, in un primo tempo, si sarebbero disposti per villaggi, κῶμαι, donde sarebbe derivato il nome di κῶμος, donde deriva il verbo κωμάζειν («fare un komos») e il sostantivo κωμαστής.
Stefano Caciagli © 2016