(VIA D'AZEGLIO, RAVENNA)
Il complesso residenziale definito da Federico Zeri “Domus dei Tappeti di Pietra” si trova nel settore nord-occidentale di Ravenna. Il sito emerse nel maggio 1993 durante una fortunata esperienza di archeologia urbana, in occasione di alcuni lavori edilizi presso l’isolato tra le vie Barbiani, D’Azeglio, Cattaneo e Cavour, nelle immediate vicinanze della chiesa di Santa Eufemia.
L’intervento dell’allora Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna, e in particolare della dott.ssa Maria Grazia Maioli, permise di riportare alla luce la ricca stratigrafia di un isolato residenziale, che abbraccia la storia di Ravenna dall’età tardo-repubblicana a quella alto-medievale.
Le operazioni di scavo durarono circa un anno e portarono alla luce ampie pavimentazioni musive, che furono asportate, sottoposte a restauro e in parte, quelle relative alla fase tardoantica e bizantina, ricollocate nell’attuale allestimento, gestito dalla fondazione Ravennantica. L’inaugurazione si svolse nell’ottobre 2002 e prevede da allora l’accesso attraverso la chiesa barocca di Santa Eufemia.
La storia insediativa dell’area è particolarmente complessa: le due case, separate da un asse viario, vissero infatti vicende evolutive indipendenti.
Nella prima fase, databile dal I sec. a.C., la domus sud era ad atrio, con l’ingresso fiancheggiato da due stanze (le c.d. fauces) con banchine in muratura per i visitatori. Dall’ingresso si accedeva al vestibulum e poi nell’atrium, dotato di impluvium e fiancheggiato dalle stanze da letto e di soggiorno.
Doveva trattarsi certamente di una residenza di alto livello, visto il consistente impegno che caratterizzava l’apparato ornamentale, soprattutto mosaici, che sono fra i più antichi noti a Ravenna. Nel vestibolo erano presenti stesure in bianco e nero con motivi geometrici e a labirinto.
Il riquadro pavimentale più rappresentativo di questa fase è il pannello collocato tra il vestibolo e l’impluvio, perfettamente in asse con l’ingresso: si tratta dell’esito di uno scontro fra due pugili, uno vittorioso e l’altro sconfitto; grazie alla presenza di un’iscrizione mutila è stato possibile riconoscervi la rara raffigurazione della mitica vittoria di Polluce su Amicus, re di una popolazione dell’Asia Minore.
Della casa nord, dati consistenti sono emersi soprattutto dalla prima metà del II sec. d.C. La domus si apriva sulla strada con un unico ampio vano d’ingresso, caratterizzato da un riquadro musivo geometrico in bianco e nero. L’atrio, che doveva presentare dimensioni maggiori rispetto a quello della domus sud, era rivestito da un ricco tappeto musivo in bianco e nero, con riquadri decorati a motivi geometrici. Lo spazio d’ingresso risultava fiancheggiato da vani aperti sull’atrio, con eleganti mosaici. Sul versante occidentale dell’atrio era un ampio ambiente, con pareti e pavimenti riccamente decorati, forse un vano di rappresentanza.
Tra la seconda metà del II e gli inizi del IV secolo la domus Nord fu distrutta da un incendio e venne parzialmente ricostruita, mentre quella Sud subì alcune modifiche strutturali e risistemazioni. Gli ingressi originari di entrambe le case furono chiusi, contestualmente a un più ampio rifacimento della strada, dei marciapiedi e delle fognature.
La domus Nord venne ricostruita con l’aggiunta di un impianto termale privato, composto di spogliatoio e due vasche per l’acqua fredda e calda. Successivamente, queste terme private furono in parte smantellate e lo spazio antistante una delle due fu decorato con un’altra scena pastorale: un giovane tra due cipressi e due pavoni, colto nell’atto di accarezzare il muso di una delle sue pecore. I due riquadri decorati mostrano certamente il medesimo modello iconografico, documentato tra la metà del III e gli inizi del IV secolo in contesti residenziali e funerari, sia cristiani che pagani. Il gesto del pastore, invece, è più raro e trova confronto a Ravenna nei successivi mosaici parietali del Mausoleo di Galla Placidia e di S. Vitale.
L’isolato fu interessato da ulteriori interventi tra la fine del V e il VI secolo. La casa sud, nella quale sono nettamente riconoscibili due fasi costruttive, aveva vani disposti attorno ad un’ampia corte con fontana ottagonale.
Nella zona nord della domus era presente un’aula di rappresentanza, probabilmente il triclinio. La parte occidentale della sala, conservata solo parzialmente, presentava tappeti musivi a carattere geometrico e vegetale, il settore orientale invece un rivestimento musivo con elementi geometrici di cornice a un pannello centrale dove erano rappresentati con i propri attributi tradizionali i quattro Geni delle Stagioni danzanti in cerchio, accompagnati da un suonatore di siringa. Il tema è tipico delle sale da banchetto delle case romane e tardoantiche, simboleggiando la circolarità del tempo che fugge.
A nord dell’abitazione, la strada era ancora un elemento divisorio tra i due isolati. La domus settentrionale acquistò in questa fase una funzione religiosa, collegata con la nuova chiesa di S. Eufemia, oggi nota nella versione barocca di Gianfrancesco Buonamici. Secondo una tradizione leggendaria l’edificio sacro sarebbe legato all’attività pastorale del protovescovo ravennate Apollinare, giunto a Ravenna poco prima della metà del I sec. d.C.: qui il santo avrebbe guarito la moglie del tribuno della città. Dalle descrizioni disponibili, si trattava di una basilica a tre navate, con 12 colonne, come la cattedrale ariana. Nel 1686, sotto le lastre di copertura dell’altare, fu rinvenuto un reliquiario in marmo contenente una cassetta lignea, all’interno della quale erano conservate le reliquie di Sant’Eufemia e di Sant’Agata. La diffusione del culto di Eufemia si accrebbe dopo il concilio tenutosi nel 451 a Calcedonia, città natale della Santa, martirizzata durante le persecuzioni di Diocleziano.
L’edificio di culto, noto come ad Arietem (in relazione probabilmente con il fiume Teguriense, poi Montone, che scorreva nelle vicinanze) è il quarto presente a Ravenna con la stessa intitolazione, oltre a S. Eufemia “fuori Porta Aurea”, “fuori Porta San Lorenzo” e ad mare, presso Classe. A conferma della ampia diffusione del culto, sono anche le rappresentazioni musive in Sant’Apollinare Nuovo e nella Cappella arcivescovile.
Tra la fine del VI e il VII secolo l’intera area fu occupata infine da una necropoli, sorta presso la chiesa, come accadeva di frequente tra Tarda Antichità ed Alto Medioevo. Le tipologie attestate di sepoltura sono a fossa terragna o a cassa di laterizi con copertura un doppio spiovente formata da tegole; i pochi corredi rinvenuti comprendevano oggetti personali, legati alla vita quotidiana dei defunti.
Lo sviluppo delle domus nei secoli
Il deposito archeologico attraverso una sezione di scavo
Vano 18, il mosaico del "buon Pastore"
Domus dei cerchi e meandri, vano 22
Vano 29, opus sectile a grandi riquadri
Vano 10, mosaico
Vano 10, mosaico, dettaglio
Vano 2, mosaico
Sepolture altomedievali