Nicola Bonazzi
Due parole di introduzione
In gabbia è il titolo del soggetto per un possibile serial televisivo, realizzato da Luigi Bernardi, Onofrio Catacchio, Patrick Fogli e il sottoscritto nel 2007: la storia di alcune persone imprigionate per ragioni a loro ignote in una struttura labirintica da cui non riescono a evadere. Il soggetto, che inizialmente trovò l’interesse di alcuni produttori, non è mai stato sviluppato in sceneggiatura per essere girata. Riletto oggi non si può non affermare che questo soggetto avesse dei tratti di assoluta novità per il panorama italiano, dal momento che tentava di smarcarsi dall’innocua docilità della maggior parte dei prodotti italiani per richiamarsi piuttosto a modelli statunitensi (ma avendo poi in quegli anni alle spalle un unico modello davvero inedito, in quanto a concezione e gestione della suspense, cioè il clamoroso Lost di Abrams, Lindelof e Lieber). Nuova era anche la composizione del gruppo di lavoro, che andava a coniugare codici visuali (Catacchio), narrativi (Bernardi e Fogli) e drammaturgici (Bonazzi). Tolto dal cassetto dopo molti anni, il soggetto ci è parso un buon modo non sono per fornire un esempio di collaborazione artistica su un dispositivo per eccellenza “pop”, ma anche per onorare la memoria di Luigi Bernardi, figura eclettica di scrittore/editore/sceneggiatore/giornalista, di cui l’Università di Bologna possiede un imponente fondo librario (https://site.unibo.it/fondo-luigi-bernardi/it)
Onofrio Catacchio
Evadere dalla Gabbia
Ci vedevamo nelle giornate centrali della settimana per non trovare il posto troppo affollato. Patrick passava da Luigi, poi veniva a prendere me e a bordo del suo maggiolone viola si dirigeva verso Tato e Vino, una trattoria periferica che avevo scovato e dove ci attovagliavamo per fare progetti.
Non ricordo a chi è venuta l’idea ma so solo che l’incipit lo decidemmo durante una di quelle cene che somigliavano a safari gastronomici. L’idea era di uscire dalle nostre scarpe e lanciarci avventurosamente nella scrittura di una serie TV. A noi, grazie a Patrick, si aggiunse presto Nicola. La squadra era pronta.
Dopo quella sera la ragnatela delle mail divenne fittissima, bisognava creare personaggi, associare a ciascun episodio un pezzo musicale che lo caratterizzasse e sbrigare tutte quelle faccende che di solito riguardano la trama, le spinte emotive, le molle che scattano a un certo punto nelle storie. Insomma un lavoro di cuore, cervello e trigliceridi.
Sempre a tavola, ma stavolta a pranzo e in un noto ristorante bolognese incontrammo Pier Luigi Celli, avido lettore dei romanzi di Fogli che, venuto a conoscenza del nostro progetto volle incontrarci per parlarne. Celli aveva appena smesso di dirigere la Rai, voleva e poteva darci una mano a realizzare In Gabbia indirizzandoci a chi era in cerca di prodotti come il nostro. Un produttore appunto.
Il produttore era Bibi Ballandi che ci accolse a Roma in compagnia del suo scrittore di fiducia, che aveva dato un’occhiata al nostro lavoro e suggeriva che, fosse stato per lui, forse non era il caso di metterla in piedi, quella Gabbia. La fiducia quando la si ottiene si tende di solito a conservarla. La sua presenza ci aveva già fatto mangiare la foglia. Mentre argomentava passai tutto il tempo a osservare ipnotizzato il voluminoso e prezioso orologio da polso dell’affabile Bibi.
Alla fine, grazie a Stefano Incerti, entrammo in contatto con Magnolia. Questa volta per noi trattò l’agente di Patrick, la sua mediazione ci fruttò un po’di denaro e di un voluminoso contratto cartaceo.
So che fino a qualche tempo fa In Gabbia, rielaborato e con un altro titolo, campeggiava sul sito di Magnolia.
Forse, se all’epoca ci fossero state Sky o Netflix la Gabbia avrebbe avuto qualche chance in più.
Non so se la mia ricostruzione collimi con i ricordi di Patrick e Nicola - Bernardi in fatto di memoria sarebbe stato molto più affidabile di noi -. Probabilmente le versioni saranno diverse, ma la realtà si nutre di racconti più spesso di quanto non accada e i racconti, si sa, ti aiutano a evadere. A evadere dalla Gabbia.
Patrick Fogli
Insieme nella Gabbia
Molti anni fa, ma non troppi, ci venne in mente un'idea.
Parlo al plurale non per una forma arcaica, ma nemmeno troppo, di presunzione, ma soltanto perché quell'idea non ha avuto un padre solo.
Va bene, ricomincio, altrimenti non si capisce nulla.
Potrà sembrare strano, ma è esistito un tempo in cui le serie televisive non erano quelle di oggi, non ci andavano nemmeno vicino. Erano gli anni in cui Lost stava rivoluzionando il modo di raccontare una storia in televisione, Netflix e Prime erano solo due parole esotiche senza significato e il massimo che si poteva produrre alle nostre latitudini era una strada romantica verso l'agiografia, magari spruzzata da un cadavere.
In quell'epoca ci venne in mente una serie televisiva e lo dico prima che lo pensiate, eravamo dei bei fessi a pensare che potesse andare bene, ma, da bravi fessi, sicuri che potesse accadere.
La Gabbia – che riscriverei ancora oggi, subito, adesso – nasce a cavallo fra pub e osterie, con giri di mail e di idee, storie che facevano nascere storie che facevano nascere storie.
Di quei mesi ricordo l'espressione di Luigi Bernardi quando gli raccontai l'embrione, la solita sfinge con la solita sigaretta e la punta di un sorriso, accennato, quasi una promessa, che chi lo ha conosciuto riconosce di certo come ottimo segnale. Della partita erano anche Onofrio Catacchio, compagno di scorribande cazzare per crescentine e osterie, uno che le storie le disegna alla grande, oltre che raccontarle e Nicola Bonazzi, che per me è come un fratello, e che per le sue, di storie, si è inventato con altri ardimentosi un palcoscenico come il Teatro dell'Argine.
La compagnia – e la Gabbia con lei – finisce dritta con una prima stesura a casa di Bibi Ballandi e non perché qualcuno di noi volesse Ballare con le stelle o ascoltare uno dei tanti silenzi di Adriano Celentano. Raccontammo la faccenda in una mattinata romana che ricordo ancora come uno dei momenti più grotteschi della mia vita e finimmo cassati in silenzio da uno scrittore che collaborava con Ballandi e che, da allora, fatico non solo a leggere, ma pure ad ascoltare.
No, non sono permaloso, è più la sensazione di sconforto che ti prende quando provi a spiegarti, ti impegni, ma capisci subito che è inutile.
Prima o poi dovrò infilarlo in un romanzo.
Bologna, 20 dicembre 2020