(appunti per una fiction – mai realizzata, ma benignamente ricompensata – su Sandro Pertini)
Roma, 8 luglio 1978
Nella piccola mansarda di piazza Fontana di Trevi, affacciata sui tetti di Roma, Sandro Pertini, ottantaduenne ma energico, l'eterna pipa fra i denti, si aggira in maniche di camicia fra i mille oggetti della sua amata casa preparando una piccola borsa da viaggio. Con lui c'è il Maresciallo, storico "attendente di campo", sempre sorridente e premuroso, pronto a cogliere e interpretare sul nascere i cambiamenti d'umore, le tensioni, i silenzi e le esplosioni di quell'uomo dal carattere a volte imprevedibile che è sempre stato Pertini. Il Maresciallo lo sta aiutando a preparare la valigia. Gli suggerisce oggetti da portare e altri da scartare. Comprendiamo, dal dialogo fra i due, che Pertini intende recarsi a Nizza per raggiungere l'adorata moglie, la signora Carla. Squilla il telefono. Il Maresciallo va a rispondere. Un dialogo breve, secco. Mentre Pertini indugia sulla sua collezione di pipe, il Maresciallo si precipita ad accendere il televisore. Dal piccolo schermo in bianco e nero rimbalzano le immagini della seduta a camere riunite per l'elezione del Presidente della Repubblica. Un voto dopo l'altro il presidente di turno scandisce, chiaro e forte, il nome di Sandro Pertini. Suo malgrado, Pertini è costretto a raggiungere davanti allo schermo il Maresciallo. Corre un lungo sguardo d'intesa fra i due uomini. Pertini è quasi incredulo. L'Italia sta attraversando una fase difficile, per molti versi tenebrosa. Lo Stato rischia di cedere sotto i colpi del terrorismo. L'elezione del Presidente della Repubblica procede fra veti contrapposti e feroci lotte intestine. La politica, che sente allentarsi la presa sulla gente, ha bisogno di uno scatto d'orgoglio. Pertini è l'uomo giusto: anche contro i desideri del suo Partito, quel PSI al quale Sandro ha dedicato un'intera vita. La sua limpida figura, infine, mette a tacere ogni discussione, placa ogni dissenso. E la votazione assume, a tratti, toni di autentico, sincero entusiasmo. Quando, infine, il tabellone del Parlamento segnala che la maggioranza è stata raggiunta, quando questa quindicesima, interminabile votazione finisce, scoppia, dall'emiciclo, un applauso spontaneo e condiviso dall'intera classe politica. Il Maresciallo, più commosso di Pertini, è il primo a fare gli auguri al nuovo Presidente della Repubblica. Pertini, passato il primo momento di sbandamento, si riprende. E, fedele allo stile di una vita, comunica che andrà immediatamente a scegliere la cravatta giusta: non per vanità. Ma per rispetto. Rispetto del popolo che lo ha scelto ancora una volta come suo rappresentante. Rispetto per l'istituzione che si appresta a rappresentare. Intanto, squilla nuovamente il telefono. La notizia comincia a circolare. Dal Quirinale comunicano che sta per arrivare la scorta d'onore. Pertini, che ha indossato un gessato chiaro e la cravatta giusta, con un guizzo dei suoi, prende di sorpresa il Maresciallo: andiamo, il Quirinale è a due passi. E si avvia deciso, salvo fermarsi un attimo sulla soglia, lanciare un'ultima occhiata alla casa dove vive da trent'anni, e domandarsi se avrà davvero la forza di lasciarsi alle spalle tutto questo… Ma è solo un attimo. La nuova missione, il nuovo dovere incombono. Seguito dal Maresciallo, che ha appena il tempo di indossare una giacchetta, ma non quello di avvisare chi di dovere di questa (e sarà la prima di tante) forzatura del protocollo, Pertini scende in strada.
Pertini è una figura popolare, nella piccola comunità di commercianti e artigiani che, costantemente minacciata dalle invasioni di turisti, costituisce l'anima popolare del Rione Trevi. Sotto il suo portone, c'è già una sparuta rappresentanza di quel popolo al quale il Presidente ha sempre amato unirsi: un rubicondo oste, un segaligno tappezziere, un muratore in tuta. Vogliono stringere la mano a Sandro, congratularsi con lui, che saluta e ricambia, volentieri, nonostante le premure del Maresciallo, che vorrebbe affrettare i tempi, limitare i danni del prevedibile assalto della folla. Intanto, dalle case, dalle botteghe, dalle strade vicine, arriva altra gente. Tutti a Roma sanno che Sandro abita a Fontana di Trevi. Tutti vogliono vedere, partecipare. Sandro si incammina, e già una piccola folla si mette al suo seguito. Non mancano, naturalmente, i giornalisti, alcuni con registratore e microfono al seguito. La scena viene notata dai turisti che affollano la Piazza. Si chiedono chi sia quel signore, perché ci sia tutta questa agitazione. L'oste, che ha avuto la fortuna di stringere per primo la mano a Sandro, mastica qualche parola di inglese. E' lui a informare alcuni americani che quel signore lì è "the new president, president of Italy!". Quello? Ma è un vecchietto, commentano i turisti. Imparerete a conoscerlo, proclama orgoglioso l'oste. Gli americani sorridono e si stringono nelle spalle: questi italiani! Che teatranti! Seguiamo il Presidente nella sua ascesa al Colle. La folla s'ingrossa, e si dispone spontaneamente ai due lati della via. Pertini appare piccolo, accanto al Maresciallo e a quattro nerboruti agenti che in fretta e furia sono comparsi per proteggerlo. Ma non c'è niente da proteggere: il Presidente sorride, la gente applaude. E' storia: è andata davvero così!
Sulla piazza del Quirinale c'è un cordone di polizia che arresta la folla a debita distanza dall'ingresso d'onore. I corazzieri sono schierati, e al profilarsi della figura di Pertini, ora attorniato dalle guardie del corpo e sempre seguito come un'ombra dal fedele Maresciallo, scattano nel saluto di rito. Una ridda di emozioni si affaccia sul volto di Pertini. La folla, sullo sfondo, grida il suo nome. Sandro! Sandro! Sandro!
Doveva cominciare così, con questa scena a metà fra ricostruzione storica e pura invenzione, la "fiction" che Mediaset aveva intenzione di realizzare su Sandro Pertini. La produttrice doveva essere Edvige Fenech, una signora il cui charme e la cui intelligenza sono quanto meno pari alla leggendaria bellezza. Ci eravamo ritrovati, con Graziano Diana e Mario Almerighi, presidente della Fondazione Pertini e amico di lunga data della signora Carla, la vedova del Presidente, intorno a un'idea che ci aveva immediatamente affascinati, decisamente sedotti. Il clima era, a dir poco, di entusiasmo: quell'entusiasmo contagioso, ricco di speranze e di promesse che prende sempre gli scrittori davanti alla prospettiva di cimentarsi con una grande figura, e con una storia imponente. Il sogno segreto di una televisione "diversa", "avanzata", popolare ma non becera, realistica e allo stesso mitica, ci contagiava, ci metteva le ali ai piedi. La prima scena, per esempio. Io, che al tempo lavoravo come giovane aspirante cronista a "Radio Blu", io c'ero, mescolato alla folla, a Fontana di Trevi, e la passeggiata trionfale di Sandro Pertini sino al Quirinale la ricordo come fosse ieri. In quella Roma plumbea del '78, lui ci dava una speranza. E ci si era messa anche Carla Voltolina, coi suoi ricordi "epici" dei momenti dell'investituta. Che, naturalmente, non era andata davvero così: Pertini sapeva sin dalla sera prima che sarebbe stato eletto, e la prima pagina del Messaggero dell'8 luglio (messa in vendita prima della votazione finale) lo conferma. Ma non si poteva, non si doveva fare uno sgarbo a donna Carla. Già arrivarci era stato difficile, e vincere la sua diffidenza di vecchia partigiana un autentico azzardo. Merito di Mario: quando Carla ci aveva detto che aveva giurato a Sandro che non si sarebbe mai girato un film sulla sua vita, lui aveva ribattuto: ma questo non è un film, questo è uno "sceneggiato". Anziana, la signora Carla, e malandata (di lì a poco sarebbe mancata, dopo essersi sobbarcata un viaggio a Torino per la consegna della sua "mitica" 500 color rosa, in pieno inverno), ma niente affatto rimbecillita. Un suo sguardo penetrante, furbissimo, ci fece capire che aveva perfettamente compreso l'inganno: chiamiamolo "sceneggiato" e facciamolo. E fu il via libera.
Il problema, con la vita di uno come Pertini, non è quello dei "vuoti" che sovente affliggono gli sceneggiatori. Semmai, era vero esattamente il contrario: ne aveva fatte tante, e tante ne aveva viste, da poterci ricavare una saga in tredici puntate. Praticamente, la Storia del Novecento italiano vista attraverso gli occhi di un combattente esemplare.
Dopo la scena dell'investitura, dal "Sandro Sandro" contemporaneo era prevista la partenza di un lunghissimo flashback che attraversava i momenti salienti della vita di Sandro.
l'assalto con mitragliatrice alle trincee nemiche nel '17, durante la battaglia della Bainsizza;
il ritorno a Stella, il primo amore con Matì, figura misteriosa i cui contorni riuscimmo a scovare fra le pieghe di epistolari stampati in epoche successive;
la militanza socialista;
il pestaggio da parte dei Fascisti;
la rottura col fratello Pippo, fascista convinto;
l'avventurosa fuga di Filippo Turati in Francia, che Pertini organizza e conduce in porto;
l'esilio in Francia, quando Sandro lavora come pittore edile e comparsa nel cinema;
il rientro in Italia con il progetto di un attentato a Mussolini;
l'arresto, la condanna, il carcere;
la morte di Pippo, l'amato fratello;
la tubercolosi, la domanda di grazia della madre respinta con sdegno dal figlio;
il duro regime repressivo;
il prolungamento della condanna deciso personalmente da Mussolini e l'invio al confino di Ventotene;
una breve licenza con scorta per visitare la madre;
la caduta del Fascismo;
l'allontanamento da Ventotene, la ripresa della lotta armata partigiana a Roma;
l'eroica difesa di Porta San Paolo mentre il re e i suoi ministri vilmente fuggono, abbandonando il Paese alla rappresaglia tedesca;
l'arresto, con Nenni e Saragat;
l'avventurosa fuga da Regina Coeli;
la liberazione, coincidente con la morte di un altro fratello, Eugenio, diventato antifascista per seguire l'esempio di Sandro...
Storia, storia italiana, storia emozionante di una vita e di una lotta senza quartiere... Le linee narrative così "lanciate", trovano il loro logico sviluppo nella seconda parte:
il "committment", nel "dopo-Moro", di combattere il terrorismo; -
Pertini che s'indigna per la bomba di Bologna ed è il primo a capire che si tratta di un attentato, e non di una bombola di gas, riconoscendo l'odore dell'esplosivo;
il trionfo alle "Cortes" Spagnole, dove il vecchio leone partigiano scopre un inatteso feeling con il giovane re Juan Carlos;
la vittoria ai mondiali di calcio dell'82, con la famosa partita a scopone sull'aereo...
E' il Pertini, insomma, che, diventato Presidente, ha il dovere di restituire agli italiani la fiducia che stanno perdendo nella democrazia e nello Stato. Mario ci racconta un episodio che lo coinvolge personalmente, e che finisce nella sceneggiatura. Risale al '76. Almerighi è un giovane pretore d'assalto (si chiamavano così, allora, quelli che poi sarebbero stati definiti giudici ragazzini e individui geneticamente alterati) quando s'imbatte in uno scandalo che lambisce, anzi, investe il PSI. Chiede udienza a Pertini, che lo riceve. Nelle lavanderie della Camera dei Deputati, dove, coperti dal rumore dei macchinari, possono parlare senza timore di essere intercettati da uno dei tanti "servizi" in servizio permanente effettivo. E quando apprende che il suo partito è coinvolto nello scandalo, Pertini ha una sola parola per il giovane giudice: vada avanti, senza pietà per nessuno. Emergono episodi che illustrano a meraviglia il carattere dell'uomo. Pertini che manda al diavolo un imprenditore che vorrebbe corromperlo. Che s'infuria con un commesso reo di aver passato troppa cera su un pavimento, con caduta presidenziale, e subito dopo si pente del suo scatto d'ira, si chiama l'omino nello studio presidenziale e gli offre un tè. Che licenzia su due piedi un giovane collaboratore del quale si fidava ciecamente quando scopre che è affiliato alla loggia massonica P2 (noi, alla Fenech: Edvige, tocchiamo un nervo scoperto, la P2 ce la taglieranno... lei, impavida: è successo, no? E' storicamente accertato? E allora si tiene. Bella lezione per dei "coraggiosi" scrittori, n'est-ce pas?). Sino al finale, che riprende uno dei discorsi più commoventi di Pertini: un brindisi con Carla sul lungomare di Nizza, un inno al lavoro fatto, il rammarico perché sta scendendo una notte che non vedrà più albe...
Quando consegniamo la prima versione, siamo orgogliosi, felici, esaltati. E l'esaltazione cresce quando una editor Mediaset ci telefona, quasi in lacrime: mi avete commossa, sono estasiata, è molto più di una fiction, è un grande film...
Poi... poi tutto precipita.
C'è poca famiglia, c'è poco sentimento. C'è troppa "storia".
I fascisti... è necessario che siano così tanto presenti?
La fuga di Turati, vabbé, avventurosa, ma chi se lo ricorda, 'sto Turati?
Scaldare, ragazzi, scaldare, così è tutto freddo, sembra una lezione di liceo...
"Editor". Parola magica, e maledetta. La "nostra" editor allarga le braccia. La questione è in altre mani, ci fa capire. Lei nulla può. E forse si pente del giudizio frettolosamente entusiastico che ha appena "sparato".
Stendiamo due, tre, quattro, cinque, sei, sette, sino a undici versioni alternative. Limiamo, tagliamo, modifichiamo la cornice (ora è un bambino che si aggira sperduto nei lussureggianti ambienti del Quirinale, incontra un vecchio nonno saggio e si fa raccontare la storia d'Italia). Via la guerra, troppo lontana nel tempo. Dentro molte Brigate Rosse, anche se anche all'ultimo degli editor appare evidente che un Presidente della Repubblica di 82 anni non se ne andava in giro con mitra e elmetto a fare appostamenti contro i perfidi terroristi comunisti.
Nessuna versione ha lo splendore, la forza della prima. A Graziano viene in mente una notiziola captata in un manuale di scrittura americano (ah, la leggerezza adamantina degli americani!): SCRITTORE UCCIDE REGISTA- AVEVA RILETTO LA PRIMA STESURA.
E' tutto vano. Il progetto sfuma. C'è troppa storia, ancora e sempre, e troppo poco vecchio nonno ecumenico e rassicurante.
Verrò a sapere, infine (non è per reticenza che non rivelo la fonte, è che non me lo ricordo: ne ho parlato sino alla nausea, in questi anni, del nostro Pertini naufragato, e con chicchessia) che il problema è squisitamente Mediaset.
E' un problema di default di memoria, Giancarlo. Mediaset ha allevato un pubblico che non accetta, non capisce racconti che non siano in qualche modo strettamente legati all'attualità, o a cose vecchie, al più, di pochissimi anni. Non se lo ricordano Pertini, e figuriamoci poi la Bainsizza, Turati, il confino... mettila così: è triste, ma non è colpa di nessuno".