Raul Calzoni - All’ombra del Muro

La narrativa tedesca dopo la riunificazione

La letteratura tedesca apparsa in traduzione italiana dai primi anni Novanta rileva in larga parte i contrassegni dell'«evento inaudito»[1]che si consumò nella notte del 9 novembre 1989. La caduta del Muro di Berlino decretò la fine della divisione della Germania in Repubblica Federale Tedesca (BRD) e Repubblica Democratica Tedesca (DDR) e assunse per la nazione il significato di un atto fondativo: una vera e propria Wende, ovvero una «svolta» in seguito alla quale la storia, anche letteraria, tedesca ed europea hanno seguito un nuovo corso.
In questo contesto, la letteratura è divenuta un luogo di condivisione e discussione delle speranze e dei timori sociali, politici e culturali degli ex cittadini dell'Est e dell'Ovest della Germania, cosicché eventi della "macro" e della "micro" storia accaduti a ridosso della caduta del Muro sono diventati materia narrativa. Ciò non significa dimenticare che, accanto ad alcuni episodi più recenti del vissuto individuale e collettivo connessi alla caduta del Muro di Berlino, anche il peso della storia della Germania nazista e divisa ha premuto sulla coscienza della nazione riunificata, divenendo argomento della letteratura tedesca più recente. Questa attenzione al passato ha dato luogo, da un lato, a una profonda riflessione sulle conseguenze della divisione e, dall'altro, a una riconsiderazione dell'impatto sulla Germania dei traumi inflitti dai tedeschi durante il III Reich e, per la prima volta in modo sistematico, anche del deutsches Leid: il «dolore tedesco», ovvero la sofferenza subìta dai civili durante il secondo conflitto mondiale.[2]
La trattazione di questi complessi tematici si rende perspicua nell'ultimo venticinquennio in opere,[3] da un lato, di celebri scrittori tedeschi perlopiù attivi già nel dopoguerra e, dall'altro, di giovani autori, fra i quali è necessario distinguere coloro i quali non profittarono della riunificazione per fuggire l'engagement intellettuale, dagli esponenti della cosiddetta Pop-Literatur, consacratisi all'escapismo e all'autocelebrazione.[4]
La questione generazionale è d'altronde centrale per comprendere le differenti angolazioni dalle quali gli autori tedeschi hanno affrontato la riunificazione. Gli scrittori nati negli anni Venti – come il Premio Nobel Günter Grass, Hans Magnus Enzensberger, Siegfried Lenz, Ernst Loest, Martin Walser e Christa Wolf – erano adolescenti durante il III Reich, vissero integralmente l'epoca della divisione della nazione e quella successiva alla svolta del 1989; le loro opere narrative forniscono, perciò, uno spaccato denso e completo del secondo Novecento tedesco e ancora oggi sono fra le più tradotte e vendute sul mercato editoriale italiano.
Gli autori nati fra gli anni Quaranta e Sessanta, come W.G. Sebald, Uwe Timm, il maggiore poeta tedesco contemporaneo Durs Grünbein e le due recenti vincitrici del Premio Nobel – l'austriaca Elfriede Jelinek e la rumena di madrelingua tedesca Herta Müller – appartengono alla "generazione dei figli". Essi non ebbero esperienza diretta del nazismo, ad eccezione di Timm che aveva cinque anni quando si concluse la Seconda guerra mondiale, ma ne hanno comunque problematizzato e tematizzato le conseguenze sulla società tedesca ed europea.
Gli esponenti più giovani della letteratura tedesca, in prevalenza nati negli anni Settanta e Ottanta, ebbero invece un'esperienza limitata della vita nella Germania Orientale e Occidentale, poiché erano perlopiù maggiorenni quando cadde il Muro di Berlino.[5] Di quest'ultima "generazione dei nipoti" è caratteristica l'attenzione ai media e alle merci, tipica di quella letteratura pop che ha trovato uno dei propri vertici in Tristesse Royale. Das popkulturelle Quintett (1999), trascrizione di una lunga conversazione fra lo svizzero Christian Kracht, autore di Faserland (1995, uno dei migliori romanzi pop in lingua tedesca, purtroppo mai tradotto in italiano), con altri importanti esponenti della scena letteraria pop contemporanea: Benjamin Stückrad-Barre, Joachim Bressing, Alexander von Schönburg e Eckhart Nickel. Essi si rinchiusero nell'Hotel Adlon di Berlino per scrivere con Tristesse Royale il manifesto di un'intera generazione, della quale questo «quintetto pop-culturale», come recita il sottotitolo dell'opera, si sentiva rappresentativo.
A quest'ultima generazione appartengono anche le autrici che, nel 1999, Volker Hage ha ricondotto dalle colonne del settimanale Der Spiegel alla corrente del Fräuleinwunder («prodigio delle signorine»), avvalendosi nella Germania riunificata di un termine utilizzato dagli americani negli anni Cinquanta per riferirsi alle donne tedesche moderne, giovani, attraenti e desiderabili.[6] La definizione di Hage lasciava intendere che buona parte del successo delle giovani autrici tedesche riconducibili al «prodigio delle signorine» fosse dovuto al loro aspetto fisico, più che a meriti letterari. Tuttavia, autorevoli critici come Marcel Reich-Ranicki e Hellmuth Karasek hanno riconosciuto un vero talento del Fräuleinwunder in Judith Hermann e nella sua raccolta di racconti Sommerhaus später (1998), apparsa in italiano con il titolo Casa estiva sempre più tardi (2001). Al «prodigio delle signorine» sono state ascritte anche le opere di Julia Franck e Inka Parei; di quest'ultima è apparsa in italiano nel 2004 Die Schattenboxerin (1999) con il titolo La ragazza che fa a pugni con l'ombra. Fra le due è però stata la Franck a riscuotere maggiore successo in Germania, dove il romanzo Mittagsfrau (2007) si aggiudicò il prestigioso Deutscher-Buch-Preis. Apparso con testo a fronte in italiano con il titolo La strega di mezzogiorno (2008), il romanzo ricostruisce il passato di una donna che nel 1945, mentre i tedeschi lasciano Stettino divenuta territorio polacco, abbandona alla stazione su una panchina il proprio figlio. Lungo l'asse della storia tedesca del dopoguerra si sviluppa anche il primo romanzo della Franck, Lagefeuer del 2003 (Il muro attorno, 2006), nel quale il sostrato autobiografico e la storia della DDR che precede la nascita dell'autrice, avvenuta a Berlino Est nel 1970, si integrano nella narrazione delle condizioni di vita dei profughi tedeschi dell'Est nei campi di accoglienza dell'ex Repubblica Federale Tedesca.
Di profughi orientali parlano anche i racconti che si sviluppano attorno a personaggi eccentrici e quasi surreali, descritti con humour e umanità da Vladimir Kaminer – l'autore di origine ebraica nato a Mosca nel 1967, che vive a Berlino dal 1990 – in Russendisko (2000), opera apparsa con lo stesso titolo in Italia nel 2004. Giunti, pressappoco come Kaminer, in Germania dalla Russia nel momento in cui cade il Muro, gli emigrati dell'est si uniscono in quest'opera agli ex cittadini della parte orientale della metropoli, muovendosi sulla scena underground della Wende «fra i quartieri di Mitte e Kreuzberg» [7]. Un altro profugo orientale, le cui vicende sono però narrate dal 1945 sino agli anni Novanta, è il protagonista del romanzo di Christoph Hein Landnahme del 2004 (trad. it. Terra di conquista, 2005). Già noto in Italia per il suo riuscito Der fremde Freund del 1982 (trad. it. L'amico estraneo, 1990), Hein ha tracciato in Terra di conquista la parabola esistenziale del profugo slesiano Bernhard Haber nella DDR, grazie a un romanzo che si compone di sette resoconti, forniti da personaggi che appartengono all'ambiente del protagonista dell'opera e mettono «in luce come grandi rivolgimenti storici sfiorino appena la vita di una piccola borghesia che cerca in ogni circostanza di spremere laddove possibile un proprio tornaconto personale». [8]
Anche Ingo Schulze ha scelto la forma breve per raccontare le conseguenze della riunificazione nelle sue Simple Storys. Ein Roman aus der ostdeutschen Provinz (1998, trad. it., Semplici Storie, 2001), grazie alle quali

lo scrittore vuole, da un lato rifarsi alla tradizione anglo-americana delle short stories, fornendone una straniata versione tedesca, anzi sassone […], e, dall'altro, adottando il plurale in "ys" anziché in "ies" l'autore intende alludere all'intero spettro semantico della parola nella sua forma tedesca [9].

Con questo romanzo, costituito da ventinove episodi intrecciati tra loro e ambientati nella provincia dell'ex DDR all'indomani della caduta del Muro, Schulze ha vinto il Premio letterario della città di Berlino, è stato annoverato nel 1998 dal New Yorker tra i «sei migliori giovani romanzieri europei» e The Observer lo ha contato fra i «ventuno autori di cui ci si ricorderà nel ventunesimo secolo». Storie semplici ha reso noto Schulze in Italia, dove nel 2001 sono stati pubblicati pure i racconti di 33 (trentatre) momenti di felicità (titolo originale: 33 Augenblicke des Glücks, 1995). Dopo sette anni dalla pubblicazione di Simple Storys, Schulze è tornato nelle librerie tedesche con un romanzo epistolare di ben 790 pagine, modellato sui propri anni scolastici: Neue Leben. Die Jugend Enrico Türmers in Briefen und Prosa. Herausgegeben, kommentiert und mit einem Nachwort versehen von Ingo Schulze (2005). Vite nuove. La giovinezza di Enrico Türmer in lettere e in prosa, curate, commentate e corredate da una prefazione di Ingo Schulze, questo il titolo italiano dell'opera apparsa nel 2007, si richiama a un'intera tradizione letteraria: il Tonio Kröger (1903) di Thomas Mann, I turbamenti dell'allievo Törleß (1906) di Robert Musil, le novelle di Stefan Zweig e il già esplicitamente richiamato dal sottotitolo del romanzo Punti di vista e considerazioni del gatto Murr con biografia frammentaria del direttore d'orchestra Johannes Kreisler su fogli di minuta casualmente inseriti (1820-1822) di E.T.A. Hoffmann. Il romanzo ricostruisce in forma epistolare la storia di uno scrittore dissidente che fallisce il compimento della propria vocazione, perché il lettore inconterrà alla fine della narrazione Enrico Türmer nei panni di un contemporaneo imprenditore. Modellato anche su Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister (1795-1796) di Goethe, Vite nuove è quindi un Bildungsroman contemporaneo, nel quale le aspirazioni artistiche dell'individuo si infrangono contro la realtà politica, sociale e culturale della Germania post-unitaria. Schulze parla costantemente delle difficoltà di adattamento dei tedeschi orientali al modello sociale occidentale, ricostrunedo la parabola esistenziale di individui comuni, le cui certezze sono crollate con il Muro di Berlino. Perciò, anche con le tredici storie di Handy. Dreizehn Geschichten in alter Manier (2007) – apparso in italiano con il titolo del secondo racconto della silloge, Bolero berlinese (2007) – l'autore offre un'opera dell'esistenzialismo puro che, richiamandosi nel sottotitolo ancora al romantico berlinese E.T.A. Hoffmann autore dei Pezzi di fantasia alla maniera di Callot, tematizza la difficoltà del semplice vivere all'inizio del secondo millennio. Ciò è chiaro già dal titolo originale dell'opera, dedicata a uno dei "totem" della vita contemporanea: Handy è l'anglicismo che in lingua tedesca designa il telefono cellulare. Anche nell'ultimo romanzo di Schulze tradotto nel 2009 in italiano, Adam e Evelyn (titolo originale Adam und Evelyn, 2008), riemergono le ombre della transizione dalla Germania socialista a quella che sta per compiere venticinque anni, grazie a una narrazione in cui la biblica e originaria storia d'amore dell'umanità incontra il tema chiave della produzione di Schulze: le stranianti ricadute del crollo della DDR sui suoi ex cittadini.
Una diretta espressione dello spaesamento ingenerato dalla riunificazione e serpeggiante fra i giovani Ossis – così a occidente si apostrofa(va)no gli ex cittadini dell'est (Ost in tedesco) – è offerta anche dal romanzo di Jana Hensel Zonenkinder (2002), pubblicato con lo stesso titolo in italiano nel 2009. Esso veicola il sentimento di smarrimento condiviso dall'autrice nata nel 1976 con la più giovane generazione di tedeschi orientali nati sul finire della DDR, travolti nel 1989 dalla caduta del "mondo di ieri" in cui crebbero e oggi figli della Germania scomparsa, come recita il sottotitolo dell'opera. Zonenkinder, che oggi è un termine di uso comune nella lingua tedesca per designare i figli della Zone – la «zona », come i tedeschi della BRD definivano genericamente la DDR –, rivela che se si volesse individuare un punto di convergenza trans-generazionale, nella produzione degli autori vissuti anche per un breve periodo nella Germania orientale, si dovrebbe ricorrere al concetto della Ostalgie. Crasi di Ost e Nostalgie, ovvero di «Est» e «nostalgia», essa trova la propria origine in Das Eigentum (La proprietà), una poesia di soli dieci versi scritta da Volker Braun nel 1990 e apparsa in italiano nel 1994 nell'antologia Nuovi poeti tedeschi curata da Anna Chiarloni:

Io sono ancora qui: il mio paese va a Ovest.
GUERRA AI TUGURI PACE AI PALAZZI.
Del resto un calcio gliel'ho dato anch'io.
Si butta via coi suoi modesti vanti.
Dopo l'inverno l'estate della brama.
E allora posso andare in malora dove sono.
E tutto il mio testo diventa oscuro
e quello che non ho mai avuto mi viene tolto.
Di quello che non ho vissuto sentirò sempre la
mancanza.
La speranza ingabbiava il cammino.
La mia proprietà ora è nelle vostre grinfie.
Quando tornerò a dire mio e a intendere ognuno? [10]


La Ostalgie traspira in modo inequivocabile dal romanzo della Hensel e rappresenta un Leitmotiv trans-generazionale presente nella produzione degli autori dell'ex Germania orientale – da Christa Wolf, attraverso Günter de Bruyn sino a Jens Sparschuh –, rivelando come

La memoria ostalgica sia necessariamente un'interpretazione e una riscrittura del proprio vissuto guidata da specifiche strategie e retoriche: proiezione di un presente abbandonato dall'utopia e schiacciato dal peso delle responsabilità politiche e ideologiche, fatamorgana nella quale cercare di riscattare il passato intraprendendone la trasfigurazione narrativa grazie agli espedienti elusivi e inventivi della memoria individuale che, se non falsificata, tuttavia sempre trasforma e ricrea attraverso le forme comunicative di cui si serve. [11]

I tetri edifici del potere della Stasi e la grigia Berlino della DDR, fatta di grandi palazzi costruiti con lastre prefabbricate, sono lo sfondo della narrativa di matrice autobiografica di Christa Wolf, ma pure della prosa di Günter de Bruyn, che affronta «la delicata riflessione sui meccanismi dell'obbedienza, osservando come i tedeschi dell'Est – lui compreso – abbiano dimostrato sin dall'inizio un generale atteggiamento di acquiescenza alle direttive emanate dall'alto» [12]. In questo contesto, si ricorda di De Bruyn Buridans Esel, romanzo apparso per la prima volta nel 1963 e in traduzione italiana con il titolo L'asino di Buridano, sebbene solo nel 1996 sulla scia del vento ostalgico che negli anni Novanta soffiava in Europa dall'ex DDR. Fondamentale per la propagazione di quest'ultimo è stato il romanzo di Jens Sparschuh Der Zimmerspringbrunner, pubblicato Oltralpe nel 1996 e apparso in traduzione italiana nel 2000 con il titolo Il venditore di fontane. Si tratta, come recita il sottotitolo dell'opera, di un Heimatroman, ovvero di un romanzo sulla patria perduta dall'autore: un'elegia in prosa dedicata alla dismessa DDR, della quale il testo restituisce colori, atmosfere e costumi, mentre ricostruisce le tappe del difficile adattamento del protagonista del romanzo, Hinrich Lobek, alle regole della società occidentale. Dopo essersi ridotto in uno stato semi-vegetale in seguito alla Wende, responsabile per milioni di ex tedeschi orientali di una cronica disoccupazione, il protagonista si dedicherà alla vendita porta a porta di fontane da appartamento per fare, infine, fortuna con un modello da lui stesso ideato: «Atlantis», una fontana dalla vaschetta che ricalca i confini della DDR e che assurgerà a feticcio ostalgico di prima grandezza. Il successo del Venditore di fontane è riconducibile, come ha rilevato Matteo Galli che ha pure tradotto il romanzo, alla capacità di Sparschuh di «saper mantenere un costante equilibrio tra l'ironica consapevolezza circa il carattere residuale di quel mondo definitivamente tramontato e l'elegiaco rammarico per quella scomparsa senza che ciò venga ad implicarne una trasfigurazione falsificante».[13]
Tono ironico ed elegiaco rappresentano i bassi continui della letteratura apparsa in Germania dalla caduta del Muro, nella quale la critica letteraria tedesca si è data il compito di individuare il cosiddetto Werk der Einheit: l'«opera dell'unità» capace di rappresentare in letteratura lo status quo della nazione riunificata e fornire una possibile via di riconciliazione del passato diviso delle due Repubbliche. I già ricordati Storie semplici e Vite nuove di Ingo Schulze sono stati candidati a questo virtuale premio della critica nel 1998 e nel 2005. Almeno dal 1995, certamente un annus mirabilis per le lettere tedesche, si cerca di individuare l'«opera dell'unità» e, sebbene questo gesto rimanga a tutt'oggi euristico, esso è stato carico di conseguenze per il mercato editoriale, anche italiano. La candidatura di una determinata opera a Werk der Einheit è difatti risultata nel suo successo di vendite, nonché nella quasi certezza della sua esportazione oltre i confini nazionali. Eppure solo due, ossia Ein weites Feld di Günter Grass e Helden Wie Wir di Thomas Brussig, dei quattro romanzi che nel 1995 si contesero la palma della vittoria furono tradotti in italiano, rispettivamente con i titoli È una lunga storia (1998) ed Eroi come noi (1999). Purtroppo il terzo candidato del 1995, il riuscito romanzo di Erich Loest intitolato Nikolaikirche (La chiesa di San Nicola), non è mai stato tradotto nella nostra lingua, benché ne sia pure stato tratto da Frank Beyer un film, apparso nello stesso anno in cui è stato pubblicato il romanzo, che immortala con un realismo quasi documentario i momenti salienti della rivoluzione pacifica che a Lipsia hanno preparato la caduta del Muro. Anche il quarto romanzo candidato nel 1995 a questo virtuale premio della critica, Nox di Thomas Hettche, non è mai apparso in traduzione italiana, benché l'autore abbia offerto con quest'opera una grande metafora della riunificazione. Sinora è stato pubblicato nella nostra lingua solamente Der Fall Arbogast (Il caso Arbogast, 2001) di Hettche, un giallo documentario al quale nel 2005 è stato attribuito il Premio Ginzane Cavour per la narrativa straniera; si tratta di un viaggio nella repressione della sessualità incentrato su un omicidio passionale avvenuto nel 1953, del quale si ricostruiscono le dinamiche per raccontare le udienze e la successiva revisione di un processo con un solo imputato: Hans Arbogast.
Nel 1996 fu indicata come «opera dell'unità» Johannisnacht di Uwe Timm, apparsa nella nostra lingua con il titolo La notte di San Giovanni nel 2007, ovvero due anni dopo la pubblicazione di Rosso (titolo originale Rot, 2001), romanzo che rappresenta il secondo capitolo di una «trilogia berlinese» portata a compimento dall'autore con la pubblicazione di Halbschatten (2008), la cui traduzione italiana, Penombra, è apparsa nel 2011. Nel 2007 è stata, inoltre, pubblicata in italiano la novella che ha reso Timm maggiormente noto nel nostro Paese: La scoperta della Currywurst, un intenso affresco della Germania dell'immediato dopoguerra, evocato attraverso il modello proustiano della «madeleine», ma prontamente sostituita dallo scrittore con la tedeschissima salsiccia nella sua variante speziata al curry. La novella, che risale al 1993 e dalla quale è stato tratto un omonimo film arrivato nelle sale cinematografiche tedesche nel settembre del 2009, viene qui ricordata anche per sottolineare la capacità degli autori appartenenti alla "generazione dei figli" di affrontare tematiche riconducibili al passato della divisione con l'intento di promuovere l'integrazione fra i tedeschi orientali e occidentali nella Germania riunificata. In questo senso, La scoperta della Currywurst è un'«opera dell'unità», perché nella metafora culinaria che dà il titolo al romanzo convergono tradizione tedesca e apertura all'esotico, così come ne La notte di San Giovanni, l'elemento di base della cucina tedesca, la patata, diventa oggetto delle ricerche di uno scrittore che, per comporre un saggio sul tubero, si sposta all'indomani della riunificazione da Monaco a una Berlino nel marasma, dove incontra diversi personaggi comici.
Berlino è il fondale narrativo dinanzi al quale si muovono anche Theo Wuttke, soprannominato Fonty, e l'agente segreto Hoftaller, «l'ombra perenne» del primo, in È una lunga storia di Grass. Sin dall'incipit del romanzo, che descrive una passeggiata dei due svoltasi il 17 dicembre 1989 verso la Porta di Brandeburgo, si comprende che i personaggi non solo incarnano posizioni diverse nei confronti della storia e della cultura tedesca, ma che Fonty e Hoftaller sono anche allegorie dei due Stati tedeschi appena riunitisi:

una domenica che mobilitava grandi e piccini, entrarono anch'essi in campo, risoluti, all'angolo della Otto-Grotewohl con la Leipzigerstraße: alto e magro accanto a basso e largo. Il profilo dei cappelli di feltro scuro e dei cappotti di misto lana grigio si fondeva in un insieme dalle dimensioni via via crescenti. L'entità che si avvicinava accoppiata sembrava essere inarrestabile. [14]

Ovest ed Est si fronteggiano in questo Wenderoman, mentre le loro allegorie passeggiano per una Berlino che ancora porta le ferite della divisione, ma che è già tutta tesa a farle cicatrizzare rapidamente attraverso una rimozione del passato che, in primis, passa per la ridenominazione di piazze, strade e istituzioni dell'ex DDR. Va peraltro ricordato che, in questo romanzo, Wuttke e Hoftaller non rappresentano solamente i due Stati tedeschi, ma sono anche allegorie del rapporto che gli intellettuali dell'Est hanno avuto con il potere e con le sue forme di controllo e repressione. Wuttke nel romanzo non è a caso modellato su Theodor Fontane, il maggiore esponente del realismo borghese tedesco, fra l'altro impegnato dopo la fondazione del II Reich (1871) nel dibattito estetico attorno alla forma del cosiddetto «romanzo dell'unità» [15].
Il romanzo di Grass fu oggetto di una feroce polemica per il suo contenuto politico, tutto volto a denunciare il fallimento della riunificazione, e venne stroncato dal massimo critico tedesco, ovvero Marcel Reich-Ranicki, che già nell'agosto del 1995 apparve sulla copertina del settimanale Der Spiegel immortalato nell'atto di stracciare il libro. Il «Papa della letteratura», come il recentemente scomparso Reich-Ranicki era chiamato in Germania, è stato protagonista di diverse plateali stroncature come quella riservata a Grass. Fra gli scrittori che non hanno certo raccolto il suo favore, si deve ricordare qui Martin Walser, il cui Ein springender Brunnen del 1998 è stato oggetto di una pesante critica da parte delle comunità ebraica, in particolare da coloro che, come Reich-Ranicki e Ignatz Bubis, vissero in prima persona la persecuzione nazista. Indicato dai sostenitori di Walser come possibile «opera dell'unità», Una fontana zampillante non parla direttamente di quest'ultima, che invece è posta a pretesto per la rimemorazione del dodicennio nero attraverso la narrazione dell'infanzia trascorsa nel villaggio di Wasserburg da Johann, alter ego di Walser che lì nacque nel 1927. L'opera è stata pubblicata in Italia solo nel 2008, dieci anni dopo la controversia innescatasi a ridosso del discorso di ringraziamento tenuto da Walser nel 1998, in occasione del conferimento del Premio della Pace dell'Associazione dei librai tedeschi. All'origine della polemica si colloca la critica rivolta a Walser da Bubis a proposito della legittimità, difesa dallo scrittore durante il discorso di ringraziamento, di un'operazione letteraria come Una fontana zampillante che, dominata da un'estetizzazione naif del nazismo, è scevra da esplicite accuse al sistema hitleriano. Il limite evidenziato da Buber consiste, in altre parole, nell'eccessiva libertà di un narratore che, mentre racconta un'infanzia sotto il nazismo, non tiene in minima considerazione gli esiti della politica hitleriana e il presente della nazione in cui vive; da quest'ultimo, Walser si è però volutamente svincolato, per essere maggiormente aderente ai fatti e riferire gli eventi per come obiettivamente sono accaduti, liberando il passato da qualsiasi costrizione ideologica riconducibile al presente della Germania. Che queste motivazioni non abbiano mai convinto la comunità ebraica tedesca, è testimoniato anche dal fatto che nel 2002 Reich-Ranicki, la cui toccante autobiografia Mein Leben (La mia vita) del 1999 è stata tradotta in italiano nel 2003, non abbia esitato a stroncare Tod eines Kritikers di Walser – apparso nel 2004 in traduzione italiana con il titolo Morte di un critico –, a pochi giorni dalla sua pubblicazione in Germania. È qui opportuno sottolineare che pure Christa Wolf a ridosso della pubblicazione di Was bleibt (1990; trad. it. Che cosa resta, 1991) è stata oggetto degli strali di Reich-Ranicki, che nel 1987 la definì dalle colonne della Frankfurter Allgemeine Zeitung una «scrittrice di stato della DDR». [16] Da questo giudizio, con evidenti forzature, sarebbero derivate le accuse mosse alla Wolf da Ulrich Greiner e Frank Schirrmacher ancor prima che Che cosa resta arrivasse nelle librerie tedesche. Dalle pagine di Die Zeit e ancora della Frankfurter Allgemeine Zeitung, i due lanciarono l'accusa alla Wolf di essersi voluta guadagnare con la storia della donna perseguitata dalla Stasi, di cui riferisce il racconto, una «patente di vittima del regime socialista» [17]. L'autrice, a loro detta, avrebbe in realtà intrattenuto con quest'ultimo un rapporto intimo e familiare, sviluppatosi lungo l'intera esistenza della DDR. Se quindi prima del 1989 la decisione della Wolf di rimanere nella Repubblica Democratica Tedesca era stata considerata alla stregua di un merito, dopo la riunificazione quella scelta fu messa in discussione al punto tale che la scrittrice decise di allontanarsi dalla Germania. Diaristico e, quindi, di matrice autobiografica, «se pur intessuto di elementi d'invenzione e del brusio onirico caratteristico del romanzo del Novecento» [18], è l'ultimo romanzo della Wolf, Stadt der Engel oder the Overcoat of Dr. Freud's (La città degli angeli, 2010), in cui l'autrice narra dei novi mesi che trascorse in California fra il 1992 e il 1993, all'indomani dell'attacco che i media tedeschi le riservarono. Ospite del Getty Center for the History of Art and the Humanities di Los Angeles, la scrittrice era allora già molto nota negli Stati Uniti e durante il soggiorno oltreoceano appuntò nei propri taccuini lo scorrere della vita californiana e si dedicò alla ricerca del materiale per Medea. Stimmen, il romanzo di voci – come recita il sottotitolo dell'opera – apparso in Germania e in traduzione italiana nel 1996, in cui la DDR e la Colchide si sovrappongono in un'immagine che invita a ripensare (n)ostalgicamente all'utopia socialista, definitivamente naufragata in un Paese riunificato ormai retto dal dio denaro. Le annotazioni, accumulatesi lungo i nove mesi statunitensi, furono riprese dalla Wolf nel 2007 e confluirono in La città degli angeli, anch'esso strutturato come un dialogo fra voci. Nello specifico, l'autrice rifugge dal monologismo dell'autobiografia intrecciando, secondo una prassi sfruttata anche nelle opere precedenti, alla propria voce narrante un "tu": quella «L. che non avrei mai conosciuto e che mi era tanto vicina» [19], come si legge nel romanzo, una comunista emigrata negli USA, della quale l'autrice intende scoprire chi realmente fosse. Il romanzo è giocato sul dialogo fra l'io della Wolf e il tu di Lily, che è però pure il tu del lettore, al quale l'autrice si rivolge mentre, partendo dalle lettere della donna ereditate dalla Wolf, ne ricostruisce il vissuto, affrontando grazie alla sua vicenda nella storia del Novecento il tema inedito delle persecuzioni staliniane. Lo sguardo rivolto al passato grazie al fascio di lettere di Lily, che «bruciava l'anima» [20] della Wolf, è con ciò bifocale, poiché oltre alla nuova tematica – rimossa dalla scrittura nella DDR – delle persecuzioni, l'autrice affronta la questione dell'antifascismo. La focalizzazione sulla vita di Lily fornisce, inoltre, alla scrittrice la possibilità di condurre una riflessione sulla propria identità politica, che avviene malgrado, anzi attraverso, il contrappunto fra la società tedesca orientale, in cui la Wolf aveva vissuto sino a tre anni prima, e quella statunitense, dominata dal consumismo più avanzato, dalle tensioni e dalle smaccate diversità fra gruppi etnici. Inoltre, l'espediente delle lettere di Lily custodite nella valigia rende possibile alla Wolf ripercorrere «l'esperienza dell'esilio» [21] di quegli autori che, durante il dodicennio nero, si rifugiarono in California: il lettore incontra lungo la narrazione Alfred Döblin, Bertolt Brecht, Lion Feuchtwanger, Franz Werfel e i fratelli Mann, ma pure autori ebrei ormai dimenticati che riemergono dal silenzio e si fanno testimoni della persecuzione nazista. L'ultimo romanzo della Wolf è, così, un dialogo con la seconda generazione delle vittime di Auschwitz e, attraverso la loro letteratura, con chi dovette emigrare in America per sfuggire al regime hitleriano. L'autrice conduce questo dialogo attraverso le molte voci ebraiche coinvolte nella narrazione e, in particolare, grazie a Peter Gutman, che nel romanzo raccoglie la professione di fede comunista della Wolf. Gutman, il filosofo formatosi a Francoforte, diventa il confidente dell'autodifesa della Wolf, grazie al quale l'autrice si scava nel profondo, rovesciando il proprio e personalissimo «mantello del dott. Freud». Si spiega così il sottotitolo del romanzo, in cui l'incontro con la seconda generazione delle vittime della Shoah si unisce alla riaffermazione di fede della Wolf nella possibile realizzazione dell'utopia del socialismo, la cui effettiva attuazione è stata il vero sogno rincorso dall'autrice da Der geteilte Himmel (1963, trad. it. Il cielo diviso, 1983) alla Città degli angeli.
Anche Monika Maron collaborò con i servizi segreti orientali, in cambio di facili visti per l'Occidente, tra il 1976 e il 1978. Prima di essere travolta nel 1995 dallo scandalo, l'autrice era già nota in Italia grazie ai romanzi Via alla quiete, 6 (1994; titolo originale Stille Zeile Sechs, 1991), che rappresenta una resa dei conti con la "generazione dei padri" fondatori della DDR, [22] e Animal triste (1997, apparso in Germania con lo stesso titolo nel 1996). Nel 1999 fu pubblicato il romanzo Pawels Briefe. Eine Familiengeschichte (Lettere di Pawel. Una storia famigliare, 1999), derivato da alcune lettere e fotografie del nonno polacco di origine ebraica della scrittrice, mai tradotto in italiano, seppure rappresenti un importante momento di confronto dell'autrice con il destino della sua famiglia durante la barbarie nazista. Sfruttando il filo rosso della memoria individuale come espediente per raccontare la storia della Germania, la Maron ha posto al centro delle sue otto prose redatte fra il 1986 e il 2003 di Geburtsort Berlin (trad. it. La mia Berlino, 2005) la metamorfica metropoli tedesca, coinvolgendola in un'elegiaca e ostalgica commemorazione del passato, avvalendosi anche di alcune fotografie scattate dal figlio Jonas. [23]
Un altro autore, solo recentemente tradotto in italiano, si è avvalso della sinergia fra fatto e finzione per raccontare la storia della Germania attraverso la saga della propria famiglia. Stroncato come Walser da Reich-Ranicki per motivi prevalentemente stilistici, dietro ai quali però si cela anche una critica alla scelta di avere rappresentato in modo ironico e naif il passato nazista della Germania, questo scrittore è Walter Kempowski, di cui in italiano sono apparsi due capitoli della Deutsche Chronik (La cronaca tedesca, 1999): nel 2007, Tadellöser & Wolff. Ein bürgerlicher Roman (Tadellöser & Wolff. Un romanzo borghese, 1971) e, nel 2010, il volume d'inchiesta Haben Sie davon bewußt? Deutsche Antoworten (Lei lo sapeva? I tedeschi rispondono) del 1979. Dominata da una prospettiva ironica, attraverso la quale viene ricostruito il passato tedesco dalla fine dell'Ottocento sino agli anni Ottanta del Novecento, la Cronaca tedesca di Kempowski trova in Tadellöser & Wolff una rappresentazione pseudo-documentaria del regime hitleriano e della Seconda guerra mondiale, vissuta dall'alter ego dello scrittore come un'avventura e, al contempo, come il momento estremo dell'esistenza della borghesia tedesca. [24]
Tanto Walser con Morte di un critico, quanto Kempowski con la sua saga famigliare hanno posto a modello della loro produzione l'opera di Thomas Mann, del quale in Italia è iniziata nel 2007 una meritoria nuova edizione dell'opera omnia. Curata per I Meridiani di Mondadori da Luca Crescenzi, acuto interprete dell'opera dello scrittore di Lubecca attorno alla quale è capace di aprire innovative vie di ricerca, [25] essa è sinora costituita da due volumi: il primo, Romanzi, è stato pubblicato nel 2008 e contiene I Buddenbrook e Altezza reale, mentre il secondo, apparso nel 2010, è interamente dedicato La montagna magica. La produzione dell'autore di Lubecca è stata un punto di riferimento, a volte controverso, per gli scrittori del secondo Novecento e I Buddenbrook hanno rappresentato un modello per diversi romanzi famigliari apparsi nell'ultimo venticinquennio. [26]
Questo è il caso di Ein unsichtbares Land (Una terra invisibile, 2003), la riuscita opera di Stephan Wackwitz, purtroppo non tradotta in italiano, benché fornisca una «prova testuale del topos riguardante la scarsa conoscenza ed il disinteresse nei confronti del problema dell'Europa dell'Est nella generazione cresciuta all'ombra della guerra fredda» [27]. I Buddenbrook sono stati anche addotti a modello del romanzo candidato nel 2008 a «opera dell'unità»: Der Turm di Uwe Tellkamp, apparso in Italia con il titolo La torre. La storia di una moderna Atlantide (2010) e definito «un romanzo superlativo» da Thomas Brussig, autore, oltre che del già ricordato Eroi come noi, anche dell'ostalgicamente fondamentale romanzo Am kürzeren Ende der Sonnenallee (1999), apparso in traduzione italiana con il titolo In fondo al viale del sole (2001). La torre è certamente uno dei frutti più maturi della narrativa tedesca contemporanea, perché Tellkamp è riuscito ad agglutinare nel suo romanzo tradizione e innovazione. A poco più di un secolo dalla pubblicazione dei Buddenbrook di Mann, ma apparentemente a secoli di distanza da un'epoca che non aveva ancora conosciuto gli orrori e le conseguenze di due guerre mondiali, il romanzo narra il progressivo declino negli anni Ottanta di una famiglia a Dresda, ovvero nel cuore di una DDR che è paragonata nell'opera a una moderna Atlantide inghiottita dai flutti della riunificazione. La famiglia vive nel quartiere residenziale di Dresda che dà il titolo al romanzo: una scelta di Tellkamp che rimanda alla metafora della turris eburnea, nella quale gli Hoffmann conducono, sotto l'onnipresente controllo della Stasi, un'esistenza destinata a essere presto travolta dalla caduta del Muro. Scandita dalla routine e dal culto dell'arte, l'esistenza di questa famiglia è tipica di migliaia di tedeschi orientali del cui modus vivendi non ci sarebbe pressoché memoria senza La Torre.
Come nel 2008 La torre, così nel 2011 In Zeiten des abnehmenden Lichts: Roman einer Familie (trad. it In tempi di luce declinante. Romanzo di una famiglia, 2013) di Eugen Ruge ha contribuito a rivivificare nella Germania riunificata l'immagine e il ricordo dell'ex Repubblica democratica tedesca. Anche questo romanzo, divenuto presto un bestseller, ripercorre attraverso il fortunato genere del romanzo famigliare il secondo Novecento tedesco dall'interno dell'ex Germania orientale, mostrandone aspetti inediti e raccontando il progressivo declino del progetto utopico del socialismo reale. Se comune è il clima stagnante nel quale si trovano a vivere le due famiglie borghesi attorno alle cui vicende si svolgono i due romanzi, differente è tuttavia la percezione che nelle loro opere narrative Tellkamp e Ruge veicolano della DDR. Nel caso del primo, a prevalere è il sentimento della (n)ostalgia, mentre dal romanzo di Ruge non traspare tanto un afflato ostalgico, quanto piuttosto la volontà di guardare con maggiore distacco alla Germania dell'Est e al progetto politico che la sorresse attraverso quattro generazioni della famiglia Powileit-Umnitzer.
Tellkamp ha, inoltre, contribuito con un racconto intitolato Dinamo all'opera candidata a Werk der Einheit nel 2009: l'antologia Die Nacht in der die Mauer fiel – Schriftsteller erzählen vom 9. November 1989, curata da Renatus Deckert e apparsa in Italia nello stesso anno della sua pubblicazione in Germania con il titolo La notte in cui cade il muro. Racconti sulla notte del 9 novembre 1989. Si tratta di un'opera polifonica della riunificazione, dalla quale emerge con precisione una percezione della caduta del Muro vissuta «da alcuni come un brivido, da altri come un vortice», [28]secondo quanto Durs Grünbein scrive nel suo racconto dell'antologia La strada per Bornholm, il cui protagonista pare avere una sola preoccupazione: «era la storia che lo occupava in quel tardo autunno. Come molti dei suoi connazionali, non riusciva a pensare ad altro». [29]
La condanna a percepire la realtà in modo frammentario e il tentativo di ricostruire un quadro complessivo della storia [30] sostanziano anche Das erste Jahr. Berliner Aufzeichnungen (2001, trad. it. Il primo anno. Appunti berlinesi, 2004) di Grünbein, che oscillando fra poesia e prosa celebra il primo anno di vita della figlia dell'autore e si pone in dialogo con alcuni esponenti della cultura umanistica e scientifica occidentale, come Seneca, Baudelaire, Darwin e Cézanne. Grünbein intreccia pubblico e privato in questa sua opera: due sfere dell'esistenza del poeta che diventano fonte e stimolo per condurre riflessioni sulla vita e sulla morte, ma anche sulla Germania e sulla Berlino della riunificazione. Ne emerge una riflessione sul presente della nazione nei confronti del quale Grünbein manifesta uno scetticismo quasi positivista, mirato a sbugiardare la «penosa euforia messa in mostra nel 1989 dalle masse esultanti davanti alle telecamere» [31].
Come rileva anche Grünbein in queste sue opere in prosa, la riunificazione ha reso possibile una nuova presa di coscienza del peso della storia sul futuro della nazione, la quale ha ingenerato la volontà di ricordare e porre a tema della scrittura gli episodi più tragici risalenti al dodicennio nero, ossia l'estremo periodo storico condiviso dai tedeschi prima della forzata divisione. Anche per questo motivo, con uno scarto rispetto alla letteratura precedente al 1990, la messa a tema della Seconda guerra mondiale nella sua prismatica complessità è avvenuta dopo la caduta del Muro da una duplice e spesso coesistente prospettiva: da un lato, una tendenza che ha problematizzato la responsabilità individuale e la "questione della colpa" dei tedeschi per la persecuzione della popolazione ebraica, dall'altro, il filone che ha ascritto i civili tedeschi, o comunque chi non prese attivamente parte alle operazioni militari e di sterminio ordinate da Hitler, fra le vittime del conflitto e lato sensu del nazismo stesso.
Nella tensione fra memoria delle vittime e dei carnefici, dei vincitori e dei vinti si svolgono le vicende di opere letterarie recepite con favore anche in Italia. Si pensi a Flughunde (Pipistrelli, 1995, apparso in italiano nel 1997) di Marcel Beyer, in cui l'ingegnere del suono Hermann Karnau, il quale lavora alle dipendenze di Joseph Goebbels, quindi della propaganda nazista, riesce a rifugiarsi nel Bunker di Hitler durante gli ultimi giorni del III Reich. Qui, il protagonista, frutto in toto della fantasia di Beyer, registra la voce sempre più flebile e malferma del Führer e diventa confidente di Helga, figlia minore di Goebbels. Il rapporto fra media e nazismo è, a maggior ragione, il filo conduttore del romanzo Gerron di Charles Lewinsky, apparso nel 2011 e in traduzione italiana nel 2014 con il titolo Un regalo del Führer. Lo scrittore zurighese incrocia in quest'opera la storia di Kurt Gerron alla realizzazione del falso film documentario propagandistico Hitler regala una città agli ebrei, che il regista e attore di origine ebraica fu costretto a girare a Theresienstadt, ghetto dove fu internato prima di essere trasferito e assassinato dai nazisti ad Auschwitz nel 1944. Dalla narrazione emerge tutta la tensione che si ingenera da una rievocazione del passato dominata, da un lato, dalla falsificazione nazista del reale e, dall'altro, dalla volontà del protagonista di difendere strenuamente la propria identità e la "vera" memoria del passato.
A più di settant'anni dalla morte, la figura stessa di Hitler continua a esercitare un certo fascino sulle lettere tedesche, come testimoniano il romanzo di Lewinsky e Er ist wieder da (2012; trad. it. Lui è tornato, 2013) di Timur Vermes, in cui domina un'ironia amara sul futuro della Germania. In quest'ultimo romanzo, dopo un sonno durato sessantasei anni, il Führer si ridesta in una Berlino che gli è al contempo estranea e familiare e nella quale si muove cogliendo le contraddizioni della contemporaneità tedesca e le sue continuità con il passato. Nell'opera, che Oltralpe ha venduto seicento mila copie e in Italia è stato il libro più venduto all'ultima Fiera del libro di Torino, la Germania attuale appare a Hitler come un luogo nel quale poter occupare nuovamente la posizione del Führer, risvegliando nei tedeschi una mai del tutto assopita inclinazione al nazionalsocialismo. Strabiliato dalla presenza massiccia dei turchi in quella che crede essere ancor la capitale del III Reich, esilarante nel momento in cui scambia le cuffiette degli ipod degli studenti con tappi per preservare le orecchie dallo scoppio di granate, oppure quando si trova dinanzi alla televisione e a un pc o deve utilizzare uno smartphone per la prima volta, il Führer susciterà nel lettore sentimenti contrastanti lungo tutto il romanzo.
Sulla scia della trasposizione letteraria delle memorie del dodicennio nero, questa volta riconducibili alla biografia del loro autore, si muove anche Am Beispiel meines Bruders (2003, trad. it. Come mio fratello, 2007) di Uwe Timm, che si colloca ancora nel solco della fiorente tradizione del romanzo famigliare, poiché l'autore racconta la breve vita di suo fratello attraverso i diari e le lettere che il ragazzo spediva dal fronte orientale, dove trovò la morte nell'ottobre del 1943. La ricostruzione della biografia del fratello soldato fornisce la possibilità all'autore di ricordare le abitudini della famiglia Timm durante la Seconda guerra mondiale e di mettere in luce l'atteggiamento dei suoi membri nei confronti del conflitto e dell'Olocausto.
Confrontandosi con eventi negletti del passato nazista tedesco, opere del calibro di Come mio fratello hanno dato eco anche nel nostro Paese al dolore subìto dai tedeschi durante il regime hitleriano. In questo contesto, a Grass è andato il merito di avere squarciato il velo di silenzio che, per quasi cinquant'anni, aveva avvolto una delle pagine più tragiche del passato tedesco. Con la novella Im Krebsgang (2004; trad. it. Il passo del gambero, 2005), lo scrittore ha ricostruito la storia di tre generazioni di tedeschi dal 1945 agli anni Duemila e, al contempo, ripercorso il dramma dell'affondamento del Wilhelm Gustloff: il transatlantico salpato da Frische Nehrung il 30 gennaio 1945 che, carico di civili trasportati a ovest nell'ambito dell'«Operazione Annibale», fu silurato da un sottomarino russo e si inabissò nel gelido mare del Nord, dove trovarono la morte i suoi quasi diecimila passeggeri. Grass è l'autore che, negli ultimi cinquant'anni, l'editoria italiana ha innalzato di volta in volta a rappresentante della letteratura tedesca impegnata [32]; la fama dell'autore non pare infatti avere subìto arresti neppure quando nell'estate del 2006, pochi giorni prima della pubblicazione dell'autobiografia Beim Häuten der Zwiebel (Sbucciando la cipolla, 2007), ha dichiarato di essersi volontariamente arruolato nelle famigerate Waffen-SS di stanza a Dresda.
Come Grass, anche W.G. Sebald è stato capace di riscattare dall'oblio pagine della storia apparentemente dimenticate dalla letteratura tedesca nel dopoguerra. Lo scrittore e germanista bavarese ha, infatti, denunciato il silenzio in cui la scrittura ha relegato la distruzione della Germania sotto i bombardamenti anglo-americani durante il secondo conflitto mondiale. Le sue tesi sulla tabuizzazione del trauma della guerra aerea nella letteratura del dopoguerra, esposte in Luftkrieg und Literatur (1999; tradotto in italiano come Storia naturale della distruzione nel 2004), hanno sollevato il primo dibattito sull'argomento in Germania, dove la critica si è divisa fra detrattori ed estimatori del pensiero dello studioso. Si spiega anche alla luce di questa considerazione il fatto che lo scrittore sia più apprezzato in Italia, in Francia e nei paesi anglofoni, che nella natia Germania, che lo stesso Sebald lasciò volontariamente negli anni Settanta per trasferirsi in Inghilterra. [33] Anche questo abbandono ha influito sulla controversa ricezione tedesca della poetica della memoria sebaldiana, fondata sull'interpolazione di fotografie al ductus narrativo [34]. Il successo della scrittura sebaldiana si deve in larga misura al fatto che, pur riconoscendo l'unicità della Shoah nella storia dell'uomo, l'autore ci insegna con la sua opera a non cristallizzarne il ricordo in vuoti riti e pratiche della memoria [35], ma invita il lettore a inscriverla in quella «storia naturale della sofferenza» [36] che scandisce il percorso dell'umanità sulla terra. Nessun revisionismo emerge, perciò, dalle opere di Sebald, quanto piuttosto la volontà di affermare la necessità di una memoria viva della Shoah

dopo l'89, e cioè quando crollato il Muro di Berlino e conclusasi la contrapposizione tra blocco orientale e occidentale, i tedeschi hanno incominciato veramente a lavorare in modo sistematico intorno alla Vergangenheitsbewältingug e a discutere sul ruolo e sull'atteggiamento delle tre generazioni direttamente coinvolte (nonni, genitori e nipoti) nei confronti dei silenzi sul passato dal '45 alla riunificazione della Germania. Questa fatto ha prodotto il particolare genere letterario del Familienroman e del Generationenroman [37].

Promuovere la persistenza della memoria e la Vergangenheitsbewältingug, il «superamento del passato» attraverso una sua dolorosa elaborazione, è lo scopo che ha perseguito anche l'austriaca Ruth Klüger, testimone diretta della persecuzione e della vita nei campi di concentramento di cui scrive nell'autobiografia weiter leben. Eine Jugend (1992), tradotta in italiano nel 1995 con il titolo Vivere ancora. Storia di una giovinezza. Nel 1995 è apparsa anche l'opera che può essere considerata la pietra dello scandalo della scrittura autobiografica relativa alla Shoah: Bruchstücke. Aus einer Kindheit 1939–1948 (trad. it. Frantumi. Un'infanzia 1939-1948, 1996) di Binjamin Wilkomirski, un musicista svizzero che si è inventato un passato da deportato nei campi di concentramento, pur non essendo neppure di origine ebraica. Il romanzo è stato accolto con entusiasmo dalla critica, come attesta il conseguimento di diversi premi negli USA, in Francia e in Inghilterra. Nel 1998 Daniel Ganzfried ha però sbugiardato Wilkomorski sul settimanale Die Woche, dimostrando che l'autore aveva scritto sotto pseudonimo (il suo vero nome era Bruno Dössekker, nato Bruno Grosjean) e aveva una conoscenza dei campi di concentramento paragonabile a quella di «un turista». [38]
Anche per la letteratura in lingua tedesca sulla Shoah, il 1995 è stato quindi un anno fondamentale. Sei anni dopo la riunificazione è, infatti, apparso pure il fortunato Der Vorleser di Bernhard Schlink. Pubblicato nel 1996 in Italia con il titolo A voce alta, questo romanzo figura fra le migliori opere narrative contemporanee sulla questione della colpa tedesca per i crimini commessi dai nazisti contro la popolazione ebraica. Divenuto presto un best seller e tradotto in ventisette lingue, il romanzo ha vinto in Italia il Premio Ginzane Cavour nella sezione narrativa straniera nel 2007 e deve la sua notorietà presso il grande pubblico anche alla sua versione cinematografica: The Reader – A voce alta (2008). Collocandosi nell'interstizio fra letteratura documentaria e finzionale sulla Shoah, Schlink racconta nel romanzo la storia dell'ex Kapò nazista Hanna, con la quale nel 1958 il giovane Michael, inconsapevole del passato della donna e del fatto che questa sia analfabeta, inizia una relazione sentimentale, durante la quale legge «a voce alta» le opere dei classici tedeschi. Dopo avere fatto improvvisamente perdere le proprie tracce, Hanna è incontrata nel 1966 da Michael, che sta studiando per diventare avvocato, alla sbarra degli Auschwitz-Prozesse di Francoforte, durante i quali alla donna viene comminato l'ergastolo per avere firmato un atto che condannava a morte trecento ebrei. Hanna potrebbe alleggerire le proprie responsabilità, dichiarando di essere analfabeta, ma mantiene il segreto, decidendo di impiccarsi nella sua cella a pochi giorni dalla scarcerazione, che teme più della morte, dopo avere imparato negli anni di reclusione a leggere le opere di Primo Levi e Jean Améry. La tesi di Schlink correla con ciò analfabetismo, ignoranza e appartenenza al nazismo, consegnando alla cultura un ruolo fondamentale per prevenire rigurgiti nazisti nella Germania riunificata. Ciò benché, nella chiusa del romanzo e nelle ultime scene del film, il fatto che Hanna sostenga di avere imparato dal passato solo a leggere, debba indurre lo «spettatore - e il lettore del romanzo di Schlink – a porsi ulteriori domande: nello specifico sulla differenza fra sapere e capire, fra realismo e fantasia» [39].
Anche nell'opera di Herta Müller, il peso dell'appartenenza del proprio padre al nazismo è vissuto come una colpa, ma al contempo tematizzato con il simile intento di Schlink di denunciare la situazione di impasse della scrittura contemporanea nei confronti della rappresentazione dei traumi storici, conseguente all'estinzione della memoria dei testimoni diretti della Shoah. L'autrice, nata nel 1953 in Romania nella regione di lingua tedesca del Banato, fuggì a Berlino nel 1987 dal regime di Ceauşescu ed è divenuta nota in Italia nel 2009, quando vinse il Premio Nobel. La sua produzione narrativa è sinora apparsa in Italia presso differenti case editrici, prima che Feltrinelli ne acquisisse i diritti e nel 2010 iniziasse la pubblicazione sistematica dell'opera della Müller. [40] L'estesa produzione della Müller insiste sui motivi della malattia, del freddo e della morte. [41] Lo sguardo dell'autrice si rivolge spesso alle condizioni di vita nella Romania di Ceauşescu, delle quali le sue opere narrano, eppure è la lingua tedesca a rappresentare non solo il medium, ma soprattutto il fine della prosa della Müller. In questo senso, l'introduzione all'edizione italiana di In der Falle (1996, trad. it. In trappola, 2010), enuclea con efficacia il significato profondo della narrativa dell'autrice. Qui si rileva, infatti, che per la Müller, la quale nel secondo «prosometro» di In trappola dialoga con alcune opere della Ruth Klüger autrice di Vivere ancora, la letteratura è

face a l'extrème, per parafrasare il titolo di Todorov, è cioè una necessità estrema sia per chi scrive sia per chi legge. In questo senso le opere di Theodor Kramer, di Ruth Klüger e di Inge Müller non sono solo testimonianze delle vite che le hanno scritte ma diventano in questo libro segnavia, aiuto, sostegno in un cammino di libertà, nella lotta contro l'oppressione del proprio paese, contro l'angoscia della propria storia: essere oppressi ma figli di oppressori, vittime ma figli di carnefici, appartenere allo stesso paese e alla stessa lingua di Celan ma sapere che il proprio padre era tra i suoi persecutori, fuggire dal proprio paese per andare proprio in Germania, origine e cuore di un conflitto che, almeno nel cuore, è costantemente presente. [42]

La tradizione rumena si unisce a quella ebraica anche nella scrittura di Elfriede Jelinek, l'autrice austriaca che ha conseguito il premio Nobel nel 2004 e la cui opera narrativa è caratterizzata da una spinta alla sperimentazione linguistica che, già propria della Wiener Gruppe, si fonda sul conio di neologismi e su un uso personale della sintassi e dell'ortografia, nonché sulle tecniche del montaggio e del pastiche. Figlia di madre rumena e padre tedesco ceco-ebreo, del quale diversi familiari caddero vittima della persecuzione nazista, la Jelinek è divenuta anche in Italia un "caso", prima della vittoria del Nobel, in seguito alla pubblicazione del suo più noto romanzo: Die Klavierspielerin del 1983, tradotto con il titolo La pianista nel 2002, sulla scia del successo di pubblico dell'omonimo film tratto nel 2001 dal romanzo. La pubblicazione della Pianista e il conseguimento del Premio Nobel contribuirono all'interesse del pubblico italiano per l'opera di un'autrice che, dagli anni Settanta, ha denunciato, allineandosi alla poetica di Ingeborg Bachmann, la sopravvivenza del «fascismo quotidiano» nella società austriaca, [43] come attestano alcuni suoi romanzi tradotti nella nostra lingua: Die Liebhaberinnen (1975), pubblicato con il titolo Le amanti nel 1992, Lust (1989), apparso come La voglia nel 2004, e Gier (2000), intitolato in italiano Voracità (2005). Queste opere hanno contribuito all'affermarsi del movimento femminista austriaco, soprattutto negli anni Settanta e Ottanta, mentre una lettura unilaterale dell'opera della scrittrice ha erroneamente indotto a individuare in essa la tendenza a promuovere l'«emancipazione di un supposto erotismo al femminile», mentre in realtà, «Elfriede Jelinek ha poco a che fare con un simile trend (in parte fabbricato dai media)». [44]
Muove dagli anni Settanta e affronta questioni di genere anche il romanzo gay, documentario, camp, sociale e persino "ostalgico" di Matthias Frings intitolato Der letzte Kommunist: Das traumhafte Leben des Ronald M. Schernikau (2009, trad. it. L'ultimo comunista, 2012). Accolta alla Fiera del Libro di Lipsia del 2009 come una rivelazione, questa biografia romanzata si apre con l'approdo nella Berlino dei tardi anni Settanta di Helmut – allora Frings non aveva ancora rinunciato al primo nome di battesimo con il quale oggi si firma – e restituisce al tempo stesso il vissuto dell'autore fino ai primi anni Novanta e la vita del collega e amico Ronald Schernikau, scomparso a causa dell'AIDS nel 1991. Le biografie di Frings e Schernikau, ricostruite con precisione, parlano delle due Repubbliche tedesche senza rinunciare a descrivere le sensazioni, le riflessioni e le emozioni che questi contesti sociopolitici e culturali suscitarono nei due amici. In effetti, L'ultimo comunista offre due spaccati riuscitissimi del clima delle due Germanie nel periodo che precede e segue la caduta del Muro, mentre le emozioni e i sentimenti di Frings e di Schernikau sono costantemente amplificati da una Berlino nella quale i due autori si muovono fra l'impegno politico-letterario e l'affermazione della propria identità di genere. Berlino è, in altri termini, lo sfondo ideale sul quale Ronald può mostrare il proprio volto bifronte, esibendo la propria omosessualità ed entrando prima, a metà degli anni '70, nel partito comunista tedesco di Lehre e, poi, nel partito socialista unificato di Berlino ovest. Intanto Schernikau cova un gesto clamoroso: quando cade il Muro, mentre i tedeschi orientali si affrettano a raggiungere l'ovest, segue il percorso inverso e, dopo avere ottenuto l'ultimo passaporto emesso dalla DDR, si trasferisce nella parte Est della città, dove morirà di lì a poco.
Ancora a Berlino, incontriamo un altro artista gay nel protagonista del romanzo di Alain Claude Sulzer intitolato Aus den Fugen (2012; trad. it. Concerto, 2013): il pianista Marek Olsberg. Fedele al titolo che ha dato al suo romanzo, l'autore costruisce la narrazione attraverso il principio dialogico della fuga musicale, nella quale le "voci" si inseguono e si alternano nel raccontare le vicende che precedono e seguono una memorabile esibizione del pianista alla Filarmonica di Berlino. Le storie degli uditori o presunti tali del concerto non hanno in diversi casi nulla a che vedere con il pianista, eppure il protagonista di Concerto rimane Marek Olsberg, che da anni ha consacrato la propria esistenza alla musica, ma è pronto a compiere un gesto eclatante per iniziare una nuova vita. In chiusura della prima parte del romanzo, il concertista, giunto a metà del programma, si ferma a poche battute dalla fine della Hammerklavier di Beethoven, chiude il coperchio del pianoforte e abbandona il palco, dopo avere pronunciato un laconico «È tutto!». Atto di ribellione verso un sistema che lo costringe a vivere un'esistenza di rigore per garantire performance di altissimo livello, oppure espressione dell'amara constatazione che l'arte non può nulla ed è inutile nella società contemporanea? Il gesto di Olsberg, che si darà alla fuga dopo avere interrotto l'esibizione, afferma entrambe le cose con la malinconica rassegnazione di chi, come il pianista, ha dato tutta la vita per un ideale, ma si rende infine conto di non potere difendere tout court l'arte nella società contemporanea, concentrata sul soddisfacimento istantaneo dei desideri e sui minima della vita quotidiana.
Lo scetticismo che spesso trascende nel pessimismo nei confronti della funzione etica, estetica e pedagogica dell'arte e della letteratura al giorno d'oggi, emerge anche dalle opere narrative che, dalla riunificazione, si sono confrontate con la scienza. [45] È questo il caso, per ricordare due esempi particolarmente significativi, di Der Zahlenteufel. Ein Kopfkissenbuch für alle, die Angst vor der Mathematik haben (1997, trad. it. Il mago dei numeri. Un libro da leggere prima di addormentarsi, dedicato a chi ha paura della matematica, 2005) e Die Elixiere der Wissenschaft. Seitenblicke in Poesie und Prosa (2002, trad. it. Gli elisir della scienza. Sguardi traversali in poesia e in prosa, 2004) di Hans Magnus Enzensberger. Porre l'accento sugli Sguardi trasversali fra letteratura e scienza, come recita il sottotitolo dell'ultima opera ricordata, aiuta a fornire la prospettiva dalla quale Enzensberger ha osservato il percorso del sapere umanistico e scientifico nella società occidentale, avvenuto anche attraverso la riedizione del monumentale progetto Kosmos, Entwurf einer physischen Weltbeschreibung (Cosmo, progetto di una descrizione fisica del mondo, 1845-1862) di Alexander von Humboldt. Nel metodo scientifico di questo scrittore, botanico, esploratore e biologo illuminista è possibile ravvedere una chiave di lettura della prassi letteraria di Enzensberger, perché «anche se naturalmente i dettagli sono sempre stupefacenti, egli guarda sempre all'insieme; […] non perdere di vista l'insieme: in questo Humboldt può essere d'aiuto» [46]. Humboldt e il suo metodo non sono a caso protagonisti, accanto al matematico Carl Friedrich Gauß, di un'opera narrativa di particolare rilievo, ovvero il romanzo di Daniel Kehlmann Die Vermessung der Welt (2005, trad. it. La misura del mondo, 2006), in cui

a differenza di varie opere di autori come Hans Magnus Enzensberger o Durs Grünbein, dove la figura dello scienziato, seppur ammantata di letterarietà, mantiene un suo individuale profilo per l'appunto scientifico, […] si assiste a una sublime trasposizione di quella 'pluricodificazione' (Mehrfachkodierung) che è alla base della poetica postmodernista: le figure di Humboldt e Gauß si configurano come ideale punto d'incontro fra due scienze, ossia la scienza della natura e la scienza della letteratura, apparentemente lontanissime fra loro ma in realtà unite nella loro ineludibile narratività [47].

A fronte di questa tendenza, certamente fruttuosa per la lirica e la narrativa tedesca contemporanee [48], i due maggiori complessi attorno ai quali si sono articolate le «cronache letterarie della riunificazione» [49] rimangono tuttavia, da un lato, il crollo del Muro di Berlino e le sue conseguenze e, dall'altro, il confronto con la seconda guerra mondiale, la Shoah e il dolore inflitto e subìto dalla Germania durante il III Reich.

Bibliografia della letteratura primaria

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Chiarloni A. (a cura di), Nuovi poeti tedeschi, trad. it. di A. Chiarloni, Einaudi, Torino, 1994.
De Bruyn G., L'asino di Buridano, trad. it. di P. Severi, Costa & Nolan, Genova 1992.
Deckert R. (a cura di), La notte in cui cade il muro. Racconti sulla notte del 9 novembre 1989, trad. it. di V. Freschi, Scritturapura, Asti 2009.
Enzensberger H. M., Gli elisir della scienza. Sguardi traversali in poesia e in prosa, trad. it. di V. Alliata, Einaudi, Torino 2004.
Enzensberger H. M., Il mago dei numeri. Un libro da leggere prima di addormentarsi, dedicato a chi ha paura della matematica, trad. it. di E. Ganni, Einaudi, Torino 2005.
Franck J., Il muro intorno, trad. it. di R. Bergamaschi, Le Lettere, Firenze 2006.
Franck J., La strega di mezzogiorno, trad. it. di M. Galli, Le Lettere, Firenze 2008.
Frings M., L'ultimo comunista, trad. it. di Chiara Marmugi, Voland, Roma 2012.
Grass G., Il passo del gambero, trad. it. di C. Groff, Einaudi, Torino 2004.
Grass, G. Sbucciando la cipolla, trad. it. di C. Groff, Einaudi, Torino, 2007.
Grünbein D., Il primo anno: appunti berlinesi, trad. it. di F. Stelzer, Einaudi, Torino 2004.
Hein C., Terra di conquista, trad. it. di M. A. Massimello, e/o, Roma 2005.
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Pubblicato il 20/04/2014

 

Note:


[1] W. Lepenies, Folgen einer unerhörten Begebenheit. Die Deutschen nach der Vereinigung, Siedler-Corso, Berlin 1992.

[2] S. Sbarra, Deutsches Leid, in "Il Portolano", 45-46, 2006, p. 7. Sulla letteratura tedesca relativa al "dolore tedesco", cfr. S. Feuchert, Flucht und Vertreibung in der deutschen Literatur, Peter Lang, Frankfurt am Main-Bern-New York-Paris 2001.

[3] Per un'attenta disamina dei complessi tematici attorno ai quali si è sviluppata la letteratura tedesca dal 1989, cfr. M. Braun, Die deutsche Gegenwartsliteratur, Böhlau, Köln-Weimar-Wien 2010, p. 28 e seg.

[4] E. Agazzi, Escapismo e autocelebrazione. La scrittura dei giovani autori dopo la Wende, in "Studi Germanici", 1, 1999, pp. 137-152. A tale proposito, cfr. anche F. Cambi, Oltre il Muro e le sue ombre nella letteratura della riunificazione, in E. Fiandra (a cura di), C'era una volta il Muro: a vent'anni dalla "svolta" tedesca, Artemide, Roma 2011, pp. 233-242.

[5] Per una disamina della questione generazionale e delle sue ricadute sulla letteratura tedesca successiva alla riunificazione, cfr. E. Agazzi, La memoria ritrovata. Tre generazioni di scrittori tedeschi e la coscienza inquieta di fine Novecento, Bruno Mondadori, Milano 2003.

[6] V. Hage, Ganz schön abgedreht, in "Der Spiegel", 12, 1999, pp. 244-246.

[7] L. Peters, Zwischen Berlin-Mitte und Kreuzberg. Szenarien der Identitätsverhandlung in literarischen Texten der Postmigration nach 1989 (Carmen-Francesca Banciu, Yadé Kara und Wladimir Kaminer), in "Zeitschrift für Germanistik", 3, 2011, pp. 501-521. Cfr., per una panoramica sulla ricezione di Berlino nella letteratura degli autori immigrati in Germania a ridosso della caduta del Muro, cfr. Ead, Stadttext und Selbstbild. Berliner Autoren der Postmigration nach 1989, Winter, Heidelberg 2012. Sulla rappresentazione della metropoli di Kaminer, cfr. L. Perrone Capano, Russendisko. La Berlino dei migranti, in F. Fiorentino, G. Sampaolo (a cura di), Atlante della letteratura tedesca, Quodlibet, Macerata 2009, pp. 586-592.

[8] J. Fetscher, Christoph Hein. Landnahme, in "L'Indice dei libri del mese", 23, 2006, 12, p. 38.

[9] M. Galli, 1989-2009: Cronache di Atlantide, in M. Sisto (a cura di), L'invenzione del futuro. Breve storia della DDR, Scheiwiller, Milano 2009, pp. 272-273.

[10] V. Braun, La proprietà, in Id., Sponda occidentale, trad. it. e cura di A. Chiarloni, G. Luzzi, Donzelli, Roma 2009, p. 93.

[11] E. Banchelli, Memoria delle cose, memoria dei luoghi: considerazioni sul fenomeno dell'Ostalgie, in Ead. (a cura di), Taste the East. Linguaggi e forme dell'Ostalgie, Sestante, Bergamo University Press, Bergamo 2006, p. 10.

[12] D. Nelva, Identità e memoria. Lo spazio autobiografico nel periodo della riunificazione tedesca. Stefan Heym, Günter de Bruyn, Heiner Müller, Günter Kunert, prefazione di L. Forte, Mimesis, Milano 2009, pp. 98-99.

[13] M. Galli, Utopia e idillio: "Ostalgie", in "Il Portolano", cit., p. 3.

[14] G. Grass, È una lunga storia, trad. it. di C. Groff, Einaudi, Torino 1997, p. 8.

[15] Fra il 1878 e il 1879, Fontane e Paul Heyse (1830-1914) dibatterono in forma epistolare le caratteristiche che lo Zeitroman («romanzo dell'attualità») avrebbe dovuto avere. L'attenzione di Fontane, in quella circostanza, si concentrò sulla differenza fra Einheitsroman («romanzo dell'unità») e Vielheitsroman («romanzo della molteplicità); cfr. P. Heyse, T. Fontane, Einheitsroman und Vielheitsroman, in H. Steinecke (a cura di), Romanpoetik in Deutschland. Von Hegel bis Fontane, Tübingen 1984, pp. 202-204.

[16] M. Reich-Ranicki, Macht Verfolgung kreativ? Polemische Anmerkungen aus aktuellem Anlaß: Christa Wolf und Thomas Brasch, in "Frankfurter Allgemeine Zeitung", l2.11.1987, cit. da Id., Ohne Rabatt. Über Literatur aus der DDR, DTV, München 1993, p. 114.

[17] La formula si trova in U. Greiner, Mangel an Feingefühl, in "Die Zeit", 01.06.1990, p. 63; cfr. anche F. Schirrmacher, "Dem Druck des härteren, strengeren Lebens standhalten". Auch eine Studie über den autoritären Charakter, in "Frankfurter Allgemeine Zeitung", 02.06.1990, pp. 5-6.

[18] A. Chiarloni, Christa Wolf. La città degli angeli. L'articolo è disponibile all'url: http://www.germanistica.net/2011/12/09/christa-wolf-la-citta-degli-angeli-2/. Il testo è ospitato dal sito, curato da Michele Sisto, germanistica.net – pagine di letteratura tedesca e comparata che, sin dalla sua apertura, è divenuto un imprescindibile luogo discussione in rete sulla letteratura tedesca contemporanea grazie all'apporto fornito alle sue attività da noti germanisti italiani e stranieri.

[19] C. Wolf, La città degli angeli ovvero The Overcoat of Dr. Freud, trad. it. di A. Raja, e/o, Roma 2011, p. 201.

[20] Ivi, p. 20.

[21] Cfr. A. M. Carpi, G. Dolei, L. Perrone Capano (a cura di), L'esperienza dell'esilio nel Novecento tedesco, Artemide, Roma 2009.

[22] Sulla letteratura autobiografica legata al conflitto "padre-figlio" nella letteratura tedesca contemporanea, cfr. D. Borowicz, Vater-Spuren-Suche: Auseinandersetzung mit der Vätergeneration in deutschsprachigen autobiographischen Texten von 1975 bis 2006, Göttingen 2013.

[23] Cfr. F. Cambi, L'identità berlinese nell'opera di Monika Maron, in A. Chiarloni (a cura di), Oltre il muro. Berlino e i linguaggi della riunificazione, Franco Angeli, Milano 2009, pp. 151-156.

[24] Sulla Cronaca tedesca e sulla strategia ironica di ricostruzione del passato proposta da Kempowski, Cfr. R. Calzoni, Walter Kempowski, W. G. Sebald e i tabù della memoria collettiva tedesca, Campanotto, Pasian di Prato (UD) 2005, pp. 109-136.

[25] Cfr., oltre alle articolate introduzioni e alle note sui testi apparse nei due Meridiani citati, L. Crescenzi, Melancolia occidentale. «La montagna magica» di Thomas Mann, Carocci, Roma 2011 e Id., Kreisleriana. La lunga vita dell'ecfrasi musicale romantica da E.T.A. Hoffmann a Thomas Mann, in R. Calzoni, M. Sirtori (a cura di), Ecfrasi musicali. Parola e suono nel Romanticismo europeo, Sestante, Bergamo 2013, pp. 99-110.

[26] Cfr. S. Costagli, M. Galli (hrsg.), Deutsche Familienromane. Literarische Genealogien und internationaler Kontext, Wilhelm Fink, München 2010.

[27] S. Costagli, Spazio presente. Riscritture dell'Europa dell'Est nella letteratura tedesca contemporanea, Le Lettere, Firenze 2008, p. 204.

[28] D. Grünbein, La strada per Bornholm, in R. Deckert (a cura di), La notte in cui cade il muro. Racconti sulla notte del 9 novembre 1989, trad. it. di R. Carelli, C. D'Alessandro, V. Freschi, F. Furbatto, Scritturapura, Asti 2009, p. 23.

[29] Ibid.

[30] Cfr. D. Vecchiato, «Tu, solo, con la storia alle spalle». Durs Grünbein e la DDR: un bilancio critico, in "Studia theodisca", 18, 2011, pp. 55-86.

[31] D. Grünbein, Il primo anno. Appunti berlinesi, trad. it. di F. Stelzer, Einaudi, Torino 2004, p. 67.

[32] Cfr. G. Schiavoni, Günter Grass. Un tedesco contro l'oblio, Carocci, Roma 2011, e il capitolo dedicato a Grass in R. Calzoni, La letteratura tedesca del secondo dopoguerra. L'età delle macerie e della ricostruzione (1945-1961), Carocci, Roma 2013, pp. 93-116.

[33] Cfr. R. Calzoni, Nemo profeta in patria. La fortuna di W. G. Sebald in Inghilterra e negli Stati Uniti, in "Cultura tedesca", 29/2005, pp. 164-179.

[34] Le opere narrativedi W.G. Sebald tradotte in italiano sono rispettivamente: Schwindel. Gefühle (1990; trad. it. Vertigini, 2003), Die Ausgewanderten. Vier lange Erzählungen (1992; trad. it. Gli emigrati. Quattro racconti lunghi, 2000), Die Ringe des Saturn. Eine englische Wallfahrt (1995; trad. it. Gli anelli di saturno. Un pellegrinaggio in Inghilterra, 1998) e Austerlitz (2001; trad. it. 2002).

[35] A tale proposito, cfr. V. Pisanty, Abusi di memoria. Negare, banalizzare, sacralizzare la Shoah, Bruno Mondadori, Milano 2012.

[36] A. Vigliani, Storia naturale della sofferenza: tracce di pessimismo cosmico nell'opera di W.G. Sebald, in "Nuova Corrente", 146, 2010, pp. 291-322.

[37] E. Agazzi, W.G. Sebald: in difesa dell'uomo, Le Lettere, Firenze 2012, p. 148. Sul Familienroman e il Generationenroman dopo la riunificazione, cfr. F. Cambi, A. Fambrini (hrsg.), Zehn Jahre nachher. Poetische Identität und Geschichte in der deutschen Literatur nach der Vereinigung, Università di Trento. Dipartimento di scienze filologiche e storiche, Trento 2002; Id. (hrsg.), Gedächtnis und Identität. Die deutsche Literatur nach der Vereinigung, Königshauser & Neumann, Würzburg 2008.

[38] S. Mächler, Der Fall Wilkomirski. Über die Wahrheit einer Biografie, Pendo Verlag, Zürich 2000, p 143.

[39] M. Braun, Wem gehört die Geschichte? Erinnerungskultur in Literatur und Film, Konrad-Adenauer-Stiftung, St. Augustin-Berlin 2010, p. 23.

[40] Dell'autrice, sono apparse a oggi nella nostra lingua Niederungen (1992, Bassure) nel 1987 e nel 2010, Reisende auf einem Bein (1982, In viaggio su una gamba sola) nel 1992, Herztier (1994, Il paese delle prugne verdi) nel 2008, Der fremde Blick (1999, Lo sguardo estraneo) nel 2009, In der Falle (1996, In trappola), Atemschaukel (2009, L'altalena del respiro) e Cristina und ihre Attrappe oder Was (nicht) in den Akten der Securitate steht (2009, Cristina e il suo doppio) nel 2010, Der König verneigt sich und tötet (2003, Il re s'inchina e si uccide) e Heute wär ich mir lieber nicht begegnet (1997, Oggi avrei preferito non incontrarmi) nel 2011, il racconto Die rote Blume und der Stock (2003, Il fiore rosso e il bastone) e i saggi di Immer derselbe Schnee und immer derselbe Onkel (2011, La paura non può dormire. Riflessioni sulla violenza del secolo scorso) nel 2012.

[41] Cfr. P. Bozzi, Der fremde Blick. Zum Werk Herta Müllers, Königshausen & Neumann, Würzburg 2005, in particolare il cap. I.2.

[42] F. Venier, «E niente letteratura», in H. Müller, In trappola, trad. it. e introduzione di F. Venier con la collaborazione di H. Grote, Palermo 2010, p. 11.

[43] R. Calabrese, Dai margini dell'ebraismo. La scrittura 'patrilineare' di Elfriede Jelinek, in R. Svandrlik (a cura di), Elfriede Jelinek. Una prosa altra, un altro teatro, Firenze University Press, Firenze 2008, p. 23.

[44] L. Reitani, Il controcanto di Elfriede, in "L'Unità", 08/10/2004, p. 22.

[45] Non si può sottacere il rapporto fondamentale fra scienza e letteratura che nutre la lirica di Durs Grünbein, ma che non viene qui approfondito perchè il focus di questo contributo vuole essere sulla narrativa tedesca successiva alla Riunificazione. Sulla poesia di Grünbein e la scienza si rimanda a A. Cappellotto, Sotto la scrittura agisce il nervo». La poesia cerebrale di Durs Grünbein, in M. Salgaro (a cura di), Verso una neuroestetica della letteratura, Aracne, Roma 2009, pp. 107-136.

[46] Id., Der Mann geht stets aufs Ganze, in "Der Spiegel", 38, 2004, pp. 178-179.

[47] A. Goggio, Scienza e letteratura in Die Vermessung der Welt di Daniel Kehlmann, in M. Castellari (a cura di), Formula e metafora Figure di scienziati nelle letterature e culture contemporanee, Milano 2014, p. 277.

[48] Cfr. R. Calzoni, M. Salgaro, R. Calzoni, M. Salgaro (a cura di), »Ein in der Phantasie durchgeführtes Experiment«. Literatur und Wissenschaft nach Neunzehnhundert, Vandenhoeck & Ruprecht unipress, Göttingen 2010,

[49] A. Chiarloni, Germania 1989. Cronache letterarie della riunificazione tedesca, Franco Angeli, Milano 1998.