La narrativa cinese negli ultimi trent'anni, in seguito ai profondi cambiamenti e sommovimenti socio-economici intervenuti nel Paese, è caratterizzata da un fervore di novità e una ricchezza di tendenze e stili che se non sempre possono essere immediatamente apprezzati e compresi dal lettore occidentale tramite il prisma della traduzione, la rendono tuttavia oltremodo interessante e degna di approfondimento. Scopo di questo contributo è appunto guidare la curiosità e l'interesse di chi si voglia avventurare in questi lidi letterari seguendo un percorso di letture attraverso autori e testi già noti, perché tradotti nella nostra lingua, ma anche meno noti benché non meno affascinanti e significativi della vitalità culturale e del patrimonio "umano" che spesso il testo letterario riesce a restituirci.
La Cina dopo la scomparsa di Mao Zedong (1976) fu protagonista di uno spettacolare fenomeno di apertura e di un "balzo in avanti" che non riguarda solo le attività economiche ma anche quelle culturali. In quest'ambito il fenomeno fu infatti ribattezzato "febbre culturale", data l'intensità e ricchezza creativa, nonché il fervore dei dibattiti e degli scambi interculturali.
Si deve appunto a questa febbre culturale – reazione a una lunga fase di chiusura di arti e letteratura – il primo boom editoriale riguardante la narrativa cinese nel nostro Paese. In quegli anni essa rifioriva vincendo i limiti che censura e ideologia le avevano imposto giungendo, nella fase più parossistica della Rivoluzione culturale, a imporle il silenzio. La nascita di nuove scuole narrative e nuove tendenze di pensiero – contraddistinte da una vorace, quasi euforica importazione di opere e teorie straniere – e il ritorno al messaggio di democrazia e tolleranza del Movimento del Quattro Maggio (1919), unito all'allentarsi del controllo ideologico sugli scrittori, incentivarono una produzione variegata e innovativa seppur in alcuni casi ancora incline a seguire il tracciato del realismo che tanto di sé aveva impregnato la narrativa cinese del Novecento. Negli anni Ottanta del secolo scorso le forme di letteratura sotterranea, studiate da Chen Sihe tra gli altri, i diari e le poesie scambiate tra giovani intellettuali negli anni '70 affiorarono come un fiume carsico nella produzione letteraria della prima metà del decennio sospinte da nuove riflessioni teorico-filosofiche, come la teoria del soggetto del critico e filosofo Liu Zaifu, che incoraggiava lo scrittore all'introspezione personale e a una visione autonoma e soggettiva della realtà, e il ritorno all'estetica promosso dagli studi di un altro filosofo contemporaneo, Li Zehou.
Si profilò quindi una nuova narrativa che, inizialmente soprattutto grazie agli influssi della sperimentazione poetica, restituiva all'individualità dello scrittore la sua centralità e il suo diritto all'espressione di pensieri e sentimenti, tentando di emanciparsi dal logos politico e dal dominio pervasivo del linguaggio della propaganda: il Mao wenti (lo "stile Mao") che secondo la sinologa Jing Wang fu un vasto e capillare processo nel quale il Partito orchestrava un "controllo totale del discorso e della rappresentazione pubblica" (1996, 313).
Una prima produzione, per lo più racconti, si sofferma sugli abusi e le violenze interpersonali consumatisi durante la Rivoluzione culturale, tentando di recuperare il senso dell'esperienza recente: la narrativa delle "ferite", ancora legata alla temperie politica appena superata e improntata al realismo – con qualche palese accenno di romantica emotività –, presentava personaggi e vicende in cui moltissimi cinesi potevano identificarsi e sentirsi in qualche modo riscattati, ma che al contempo demarcavano con nettezza la responsabilità politica della vecchia leadership legittimando così la nuova. A questa iniziale forma di racconto di denuncia, fece seguito, grazie all'approfondimento e diversificazione delle tecniche narrative, una più matura riflessione artistica sul destino dell'individuo nella nuova società segnata dalle riforme economiche e dall'apertura all'occidente di Deng Xiaoping. Grandi scrittori della vecchia generazione, come Wang Meng (n. 1934, ministro della cultura tra il 1986 e il 1989) e Zhang Jie (n. 1937), riacquistarono la voce e la forza di rinnovare la tradizione infrangendo il tabù del modernismo, riscoperto e rilanciato da Gao Xingjian (n. 1940), successivamente premiato con il Nobel nel 2000. Grazie ai suoi primi racconti e a un saggio del 1981, monologhi interiori, flashback, libere manipolazioni del narrare e dell'immaginario costituirono un nuovo codice espressivo mentre la critica sociale di matrice realista si coniugava con una indagine psicologica affatto nuova. In molti l'esperienza riformatrice nelle campagne da zhiqing ("giovani istruiti", inviati durante la Rivoluzione culturale a lavorare in zone rurali) ispirò quella distanza critica, spazio-temporale, che li rese capaci di analizzare con sincerità il passato, fondendo un senso di nostalgia per il mondo contadino con il disagio del fare ritorno alla realtà urbana tanto agognata durante l'"esilio" politico e già profondamente mutata dalle prime riforme. Come giustamente afferma il critico Chen Xiaoming, è solo con la narrativa dei zhiqing che il realismo cinese approda veramente all'esperienzialità individuale. Ne troviamo una rappresentazione ricca di sensibilità nel racconto "Ultima fermata" (1981, trad. 1989) di Wang Anyi (n. 1954): un treno carico di ex-"giovani istruiti" riporta finalmente Chen Xin, quasi trentenne, alla natia Shanghai, dopo dieci anni di lavoro nelle lontane e polverose campagne del Xinjiang. è per lui una gioia insperata rivedere i familiari, e ritornare nella grande e moderna città della sua infanzia: solo per realizzare quella speranza egli ha sopportato e superato le difficoltà della vita in un angolo sperduto della Cina nord-occidentale. Ma ben presto scopre che "non è facile vivere a Shanghai", i problemi economici, la difficoltà nella convivenza con i fratelli e la madre, l'incertezza del futuro sentimentale oltre che lavorativo, e la solitudine nella metropoli affollata, gli ripropongono lo stesso senso di sradicamento provato un tempo nelle lontane campagne.
A questo intreccio tra nuova società e nuovo individuo, tra introspezione e sperimentazione, sembrò confarsi in maniera particolare la novella o meglio il formato medio, zhongpian, che caratterizzò la produzione narrativa fino ai primi anni Novanta, quando invece si affermerà – anche in virtù di precise politiche culturali del governo e di esigenze commerciali dettate dall'editoria nazionale – il formato del romanzo. In Farfalla (titolo che rimanda al classico apologo di Zhuangzi sull'effimera e ingannevole linea che separa illusione e realtà, confondendole) di Wang Meng, Zhang Siyuan, un maturo funzionario del Partito, riabilitato dopo la Rivoluzione culturale, rievoca durante un viaggio il proprio tormentato passato, le donne della sua vita, la condanna e poi la rinascita politica. Il testo è un viaggio identitario nei ricordi, con improvvisi e suggestivi balzi prolettici ed analettici nella coscienza del protagonista alla ricerca di sé nelle alterne vicende politiche e sentimentali:
Salendo la montagna scoprì le proprie gambe, per molti anni non vi aveva mai fatto attenzione. Aiutando nei campi i contadini scoprì le proprie braccia. Trasportando l'acqua col bilanciere scoprì le proprie spalle. Portando la gerla scoprì la propria schiena e i fianchi. [...]
Tuttavia, lo ieri distrutto dall'oggi è impossibile che possa venir restituito, così com'era, dal domani. [...].Continuava ad ammonirsi che quella non era più l'età della passione e della fantasia. Eppure, la passione e la fantasia venute con la vita, non se ne vanno forse solo con essa? Se tutto questo fosse diventato vero… […] Zhang Siyuan non era cambiato. Zhang Siyuan era un montanaro. Zhang Siyuan era solo se stesso (Wang Meng, "Farfalla", 1980, passim, TdA)
Nel complesso i testi di questi autori ritrovavano il filo "smarrito" della narrativa della prima metà del Novecento, rinnovando il modello dello scrittore impegnato nella società senza ignorare le esigenze dell'individuo, e, attraverso il ricorso a strategie moderniste, contribuirono a rigenerare il racconto e la novella come forme espressive del sé. Non testimoniavano solo i drammi causati dall'ingerenza della politica nel privato, ma anche il bisogno di affermazione emotiva, di realizzazione personale; Shen Rong, ad esempio, trasponeva in narrativa l'esperienza sentimentale e professionale di un'affermata dottoressa in Mezza età (1980). Una cauta ma inedita libertà d'espressione permise loro anche un primo bilancio, tra l'amaro e il sarcastico, dei misfatti ideologici e dei vizi dell'élite politica, come in Mandarini cinesi (1983-86, trad. 1989) di Zhang Jie, o nelle gustose satire di Wang Meng, contro il burocratismo e l'occidentalismo di maniera (Dura la pappa di riso, 1989, trad. 1998)ela sua reinvenzione ironica di antiche forme idiomatiche Nuovi chengyu (1991-92, trad. 2004).
In questa fase, lo specchio del moderno Occidente suscitò, accanto a un desiderio d'emulazione, una orgogliosa riscoperta della propria identità nazionale e locale, da difendere sia dopo le campagne anti-tradizionaliste degli anni '70, sia dal deserto culturale, paventato effetto della politica filo-occidentale e modernizzatrice di Deng Xiaoping. Grazie all'intraprendenza di alcuni editori e traduttori, al loro interesse per il "rinascimento" cinese, furono introdotti in Italia una serie di autori di questo filone "neo-tradizionalista": ispirati dal realismo magico della letteratura sudamericana e da nuove istanze di nazionalismo culturale, alcuni scrittori tentarono di ridisegnarsi un'identità letteraria autonoma. Definita dai suoi stessi fautori "ricerca delle radici" – una ricerca volta a custodire la "marginalità" e a riproporre mondi antichi proiettandoli nel presente – questa narrativa è caratterizzata dalla rievocazione del passato recente e dalla rappresentazione di una società non di rado arcaica e violenta (velata allegoria di un sistema politico oppressivo e indifferente verso la volontà dell'individuo), oppure disagiata e inadatta all'esistenza, come nelle opere di Han Shaogong (n. 1953), ma anche intrisa di costumi poetici e di una visione spesso incantata e profonda della natura. Non si tratta tuttavia di una immagine bucolica dell'identità culturale cinese, quanto di una suggerita alterità che ricerca nelle campagne, nel mondo contadino – sin troppo idealizzato e distorto dalla retorica maoista – il senso e il valore di una civiltà millenaria.
Nei primi anni Novanta il pubblico italiano conobbe la "trilogia dei re" di Acheng (n. 1949): Il re degli scacchi, Il re dei bambini e Il re degli alberi (1984-1985); una serie di opere ambientate negli anni della Rivoluzione culturale, scritte con uno stile terso e di classica semplicità. L'autore passa in rassegna i valori della cultura tradizionale nella vicenda del campione di scacchi-filosofo e amante del cibo, Wang Yisheng, l'importanza dell'educazione e l'innocente sete di sapere dei bambini ai tempi dell'indottrinamento e dell'attacco contro i maestri, e, infine, la difesa dell'ambiente nel nome di una perduta armonia con la natura, valore che resta ultima speranza di civiltà. Nel testo conclusivo della trilogia, il grande albero abbattuto per volere del Partito è simbolo stesso della Cultura e delle Radici:
"Tagliate – disse il segretario – , dopo tutto l'albero va tagliato, gli studenti hanno ragione, se non si distrugge non si edifica. Tagliate." (Acheng, Il re degli alberi, 1990, 66)
Abbattuto il grande albero, anche il boscaiolo fortissimo, detto il Grumo, che aveva strenuamente e invano difeso la foresta, muore e viene sepolto nel cuore della montagna, dove la morte, come sempre accade nel ciclo della natura, sembra nonostante tutto esser fonte di nuova vita:
Guardando nella fossa ci accorgemmo che ne spuntava fuori un groviglio di corti rami. Pensammo che probabilmente le enormi radici dell'albero abbattuto, non avendo più dove mandare la loro linfa, avevano messo nuovi germogli dopo essere state irrigate dalla pioggia [...]. (Acheng, Il re degli alberi, 1990, 78, 19)
Se l'analisi di Acheng si concentra sui danni causati dalla repressione politica e sulle risorse ancora attingibili dalla tradizione e dal pensiero antico, le "radici" descritte da altri autori, come Han Shaogong, presentano tratti di maggiore squilibrio tra l'ideale primato della cultura intesa anche come sintesi tra uomo e natura e un senso di spaesamento critico rispetto ai valori tradizionali, originato, per esempio, nella novella Pa pa pa (1985, trad. 1992), da ataviche tare culturali. Di sapore più etnografico sono il repertorio linguistico-narrativo de Il dizionario di Maqiao (1996), del medesimo autore, e l'ironico romanzo di Lu Wenfu (1928-2005) Vita e passione di un gastronomo cinese (1983, trad. 1991); o ancora, la poetica galleria di piccoli personaggi di provincia allestita da Feng Jicai (n. 1942), ispirata alla narrativa aneddotica tradizionale, come la "La spilungona e il suo marito tappo" (1982) e la "Raccoglitrice di carta" (1991), tradotti nei primi anni Novanta. Il lettore italiano può percepire la tridimensionalità di questi tipi umani così intensamente legati a distanti tradizioni e vicissitudini locali grazie alla sottile tessitura psicologico-culturale dei mondi narrativi di riferimento, cogliendone il particolare fascino proprio nell'alterità in fondo riconoscibile dei diversi ritratti.
Complementare al fenomeno della "ricerca delle radici", con cui condivide il medesimo spazio temporale e culturale e il ricorso a strategie moderniste del racconto, è la narrativa d'avanguardia che ha conosciuto una buona diffusione nel nostro Paese. Facendo seguito alla massiccia introduzione di teorie e modelli letterari occidentali e sull'onda di una audace sperimentazione linguistica, un gruppo di giovani autori quasi tutti provenienti dal sud della Cina fabbricano una realtà parallela di mondi narrativi (im)possibili con personaggi alienati e spesso simbolici: lacerando le convenzioni già allentate del realismo tradizionale presentano storie assurde e violente, narratori intrusivi e provocatori o del tutto afasici, metafore oscure, con una esplosione linguistico-narrativa che propone suggestioni prossime a Kafka e Joyce o al nouveau-roman. Dislocazioni cronotopiche, manipolazioni e distorsioni percettive e prospettiche costituiscono la novità dei racconti di Ma Yuan (n. 1953), Can Xue (n. 1953), Yu Hua (n. 1960) e Ge Fei (n. 1964), per citare gli autori tradotti in Italia. Contrariamente alla sensazione esotica ispirata dai racconti delle "radici", per questi testi, che suscitarono nel lettore cinese un profondo straniamento, si sostituisce nel lettore occidentale un senso di familiarità seppure mista alla lieve sorpresa nel ritrovare qui il linguaggio metanarrativo del fantastico e del combinatorio d'ispirazione calviniana.
Legato alle sperimentazioni dell'avanguardia è il cosiddetto "nuovo romanzo storico", che propone, in una liberatoria contestazione della storiografia ufficiale, una storia fatta di frammenti senza logica, individuale e non collettiva. Suggerendo al lettore l'esistenza di prospettive diverse e financo contraddittorie, gli scrittori rievocano il passato recente puntando non tanto alla rappresentazione della Storia quanto alla rivalutazione dell'esperienza individuale che smarrisce sovente i confini tra reale e immaginario: la trama assume contorni metafisici e psicanalitici, come nella novella La barca scomparsa (1987) e nel romanzo Il nemico (1991, trad. 2002) di Ge Fei, creatore di ingegnose architetture narrative: a perdersi nei suoi labirinti letterari sono i personaggi, ma anche il lettore, dis-orientato nel corso del racconto da falsi indizi e suggestioni oniriche. Il romanzo rilegge in chiave freudiana il cliché narrativo del grande clan in decadenza, colpito da misteriosi e irrisolti omicidi: un vecchio patriarca scosso da senili e oscuri desideri sembra la chiave di tutti i misteri, che tuttavia l'autore lascia ambiguamente sfumare in una dissezione dell'animo umano e dei suoi moti più nascosti, incastonando schemi modernisti in una vocazione narrativa più propriamente cinese.
Maestro nell'arte del romanzo, Ge Fei ha proseguito la sua ricerca di genere coniugando la tradizione romanzesca occidentale con le tradizioni storico-narrative del xiaoshuo (narrativa) cinese in una recente trilogia imperniata sul Novecento e sul tema della rivoluzione che riporta al centro della narrativa quel "desire for plot" teorizzato da Peter Brooks: la storia del rapimento e del bildung di una giovanetta, nella Cina misteriosa delle utopie rivoluzionarie di primo Novecento (Bella come un fiore di pesco, 2004); il tragico amore tra un funzionario e la sua segretaria nell'era maoista (Monti e fiumi scivolano nel sonno, 2007); e infine una più realistica e concreta cronaca del destino degli intellettuali post 1989 (Fine primavera nel Jiangnan, 2011). Le tre narrazioni sono collegate da un nesso generazionale tra i rispettivi protagonisti in una sorta di continuità psicologica ed esistenziale, come a voler sintetizzare un unico destino nazionale e culturale intriso di utopie e relativi fallimenti.
In Mogli e concubine (1989, trad. 1992) Su Tong (n. 1963) – voce dell'avanguardia particolarmente incline alla narrazione di saghe familiari in stile faulkneriano (come nei romanzi Riso, 1991, e Quand'ero imperatore, 1992, trad. 2004) – presenta la fatale parabola di una studentessa moderna che ai primi del Novecento soccombe, non senza aver tentato orgogliosamente di resistervi, alla struttura patriarcale e misogina del clan nello spazio claustrofobico e quasi surreale della residenza di un ricco nobile che la prende in moglie giovanissima. La giovane Songlian si inserisce così in una ragnatela di legami fossilizzati dalla gerarchia confuciana, ove le mogli precedenti sono in acerrima competizione ricorrendo a ogni bassezza pur di ottenere i favori del coniuge-padrone. Vittima del decrepito rigore del clan si fa carnefice della sua domestica, e, ossessionata dal rimorso, finisce per impazzire dopo che la seconda moglie, colpevole di adulterio, è stata gettata in un pozzo per punizione.
L'avanguardia cinese applica tecniche narrative e categorie che vanno dall'ironia, alla schizofrenia del soggetto/oggetto narrante/narrato, alla parodia dei princìpi della verosimiglianza, a evidenti proiezioni distopiche della realtà, decostruendone i modi di rappresentazione al punto che i critici sono tuttora divisi nella definizione di queste opere tra modernismo e postmodernismo. Essa condivide comunque con alcuni autori della "ricerca delle radici" una visione disarmonica del reale costantemente sottoposto a un esercizio di radicale scetticismo.
Sul piano più prettamente tematico, il desiderio è il motore del destino individuale e del suo spesso tragico esito, in romanzi noti al pubblico italiano grazie alle numerose traduzioni e soprattutto agli adattamenti cinematografici di grandi registi come Zhang Yimou e Chen Kaige. Le strategie narrative dell'avanguardia si realizzano spesso nell'utilizzo di narratori "inaffidabili" (Wayne Booth), personaggi ingenui o straniati la cui ricostruzione del passato famigliare, come nel celebre Sorgo rosso (1986), avviene per immagini, libere associazioni, finzioni della memoria frammiste ad autentici ricordi:
... una voce desolata giunge dal cuore della terra sconfinata. è una voce familiare e al contempo sconosciuta, sembra quella chiara e forte del nonno, quella della nonna, della seconda nonna, e della terza nonna. Gli spettri della mia famiglia mi indicano la strada per uscire da questo labirinto... (Mo Yan, Sorgo rosso, 1994, 451)
Da tali racconti "crudeli" e visionari, notevoli per la violenza delle percezioni sensoriali e la manipolazione antirazionalistica della Storia e del linguaggio, quasi privato della sua funzione comunicativa, la narrativa cinese tornò tra la fine e il principio degli anni Novanta – fase segnata dalla fallita esperienza di protesta del giugno 1989 – a uno stile più convenzionale e disilluso, definito "neorealismo". Un linguaggio atto a rappresentare storie di più anonima quotidianità, di agglomerati urbani in rapida crescita e l'aspirazione a soddisfare – abbandonate le precedenti utopie – bisogni prettamente materiali e personali. Chi Li (n. 1957) esplora "gli affanni della vita" parafrasando il titolo di una sua nota novella del 1987, con personaggi trascinati nel quotidiano flusso vitale della grande città, fatto di inutili sogni e amari risvegli. Altri esponenti interessanti del neorealismo sono Fang Fang (n. 1955), efficace narratrice del lato noir della vita quotidiana, Liu Zhenyun (n. 1958) e Liu Heng (1954) che ambienta le sue storie in una campagna dagli istinti ferini.
La grande accelerazione economica e la crescente sfiducia nella possibilità di assumere un ruolo autonomo e propositivo da parte dell'intellettuale, stretto sempre più tra declino dell'ideologia e ascesa del mercato, hanno generato una narrativa individualistica e irta di contraddizioni. Tra i grandi protagonisti degli anni Novanta, non devono sfuggire al pubblico italiano le figura antitetiche – per temperamento e stile – e complementari di Wang Shuo (n. 1958) e Wang Xiaobo (1952-1997). Il primo, reduce da una gioventù ribelle e poco convenzionale, cominciò a scrivere alla metà degli anni Ottanta distinguendosi subito per l'anticonformismo, la satira pungente, la preferenza per temi scabrosi e un linguaggio informale e inventivo, un pastiche di dialetto pechinese, gergo giovanile e parodia del Mao wenti. La sua "letteratura dei teppisti" ribalta i rapporti di forza tra gente comune e intellettuale, mettendo quest'ultimo alla berlina, criticando l'ipocrisia e la pretesa autorità morale della cosiddetta letteratura "pura", e rivendicando invece il valore e la funzione di una narrativa popolare, antipedagogica, commerciale e volta al mero intrattenimento. I suoi personaggi scapestrati e moralmente ambigui rifiutano modelli di comportamento convenzionali, oscillando tra illegalità e una sorta di romantico ribellismo. In Metà acqua e metà fuoco (1986, trad. 1999) Wang Shuo racconta l'inquieta esistenza di Zhang Ming che si mantiene grazie a piccole truffe e al controllo di un giro di ricatti e prostituzione in un grande albergo pechinese. Egli s'invaghisce di un'ingenua studentessa, che per amor suo entra nel giro e giunge infine al suicidio, lasciando in lui una ridda di rimpianti e sensi di colpa. Tra le pieghe di un consumato cinismo, il narratore in prima persona rivela tutta la fragilità e inadeguatezza di una generazione delusa o indifferente alla politica, attratta invece dalle lusinghe di benessere economico che la nuova società denghiana elargisce. L'altro romanzo edito in Italia, Scherzando col fuoco (1989, trad. 1998), è un ambizioso giallo con soluzione finale di carattere metanarrativo, costruito su un viaggio a ritroso nel tempo, lungo il quale il protagonista, alla ricerca di una donna, ricostruisce invece i tasselli della propria identità. Ancor più intenso è La ferocia animale (1991) ricostruzione struggente della violenta "educazione sentimentale" di alcuni ragazzini durante la Rivoluzione culturale.
Una forma di resistenza diversa, sebbene sempre giocata sull'ironia, è proposta dai romanzi di Wang Xiaobo (1952-97) che guarda alla Cina della Rivoluzione culturale e a quella delle Riforme con sguardo disincantato e critico, richiamandosi ai valori del raziocinio e della libertà intellettuale e sessuale dell'individuo, opponendosi sia al controllo ideologico del regime sia alla mercificazione del neocapitalismo cinese. Nella struggente trilogia L'età dell'oro il suo alter-ego, Wang'er, è un antieroe carico di umorismo, ma anche d'un vitalismo dagli accenti romantici:
All'epoca, scrissi anche che avrei fatto ogni cosa in modo sincero, volevo ragionare come Cartesio, combattere i mulini a vento come Don Chisciotte. Portare a termine ogni cosa con estrema sincerità, che si trattasse di comporre poesie o di fare l'amore. [...] – facevo questo per nessun motivo, soltanto per l'esistenza in sé. (Wang Xiaobo, L'età dell'oro, 1997, 67, TdA)
Erede riconosciuto di queste due figure "alternative" della narrativa cinese è lo scrittore-medico Feng Tang (n. 1971), scanzonato autore di folgoranti narrazioni sulla formazione sessuale e spirituale della sua generazione, come A diciott'anni datemi una ragazza (2005), scritto "per registrare il mio primo incontro con la violenza e il sesso, prima che li dimentichi del tutto" (Feng Tang, 2010, 1, TdA).
Sin dagli anni Novanta, ma soprattutto nell'ultimo decennio, un ruolo importante ha giocato l'ascesa di uno stile di vita privato e fondato, come sostiene Chen Sihe, sull'anonimità. Evitando sia la grande narrazione epocale – che ha invece dominato il romanzo storico e neo-storico o che ha trovato albergo nell'epopea etnografica di romanzi più commerciali, come il Totem del lupo (2003) o come la recente riscrittura del mito tibetano del re Gesar a cura dello scrittore sinotibetano Alai (2009) – sia l'audacia linguistica degli anni Ottanta, gli scrittori delle ultime generazioni si sono ritagliati spazi di creazione personali, individualistici, abbandonando definitivamente il ruolo pedagogico di coscienza politica tradizionalmente assegnato tanto al letterato dell'età antica quanto all'intellettuale novecentesco e puntando piuttosto a una narrativa schiettamente popolare.
Le più recenti traduzioni ci suggeriscono l'immagine di una società cinese neo-borghese, vista attraverso gli occhi spregiudicati di narratori cosiddetti di "ultima" o "nuova generazione": figli della depauperazione culturale e della rivincita economica sul maoismo, insistono sulla discontinuità o rottura, duanlie – dal nome di un celebre questionario che li definisce nel 1998. La privatezza dello scrivere si orienta a un'arte urbana del sopravvivere tra amori facili e miti puramente materiali. Epigoni sia del disincanto scanzonato di Wang Shuo che del cinico arrendersi al quotidiano del neorealismo, assumono una posizione di frattura rispetto alla narrativa e alla cultura del N0vecento. Rifiutando modelli sia occidentali sia tradizionali, le narrazioni di Han Dong (n. 1961), Zhu Wen (n. 1967) e Qiu Huadong (n. 1969) si contrappongono all'ottimistico sistema di valori permeanti la Repubblica Popolare, prima con l'utopia comunista ora con la radiosa visione di un'ordinata ed efficiente modernità, dipingendo invece una realtà caotica e senza valori, fatta di disgregazione famigliare e di contraddizioni sociali, come nella spregiudicata storia d'amore de L'ostacolo (1995) di Han Dong. L'individuo resta unica realtà percepibile e senziente: attraverso questa prospettiva del tutto soggettiva ed egocentrica i rapporti con gli altri diventano piccoli inferni quotidiani come nei racconti di La mia passione per i dollari di Zhu Wen (1995, trad. 2009) o nel romanzo Se non è amore vero allora è spazzatura (1998, trad. 2011).
Complementari e opposte alla misoginia e al materialismo professati dai personaggi di questi autori sono le esplorazioni autoreferenziali della sensibilità femminile di scrittrici come Chen Ran (n. 1962), Lin Bai (n. 1958) e, su un piano più commerciale, Weihui (n. 1973, (autrice dello "scandaloso" Shanghai baby) e Mian Mian (n. 1970). Il soggettivismo esasperato, il linguaggio che alterna autobiografia e invenzione, ermetico lirismo e nuda esposizione di percezioni e pensieri intimi anche scabrosi, costituiscono la trama di un continuo sconfinamento tra privato e pubblico, tra uso del corpo e analisi interiore. Liberatesi dai condizionamenti sociali e di genere, le loro eroine sembrano però cadere nella schiavitù del desiderio, motivo ricorrente e paradigma della nuova società cinese. Nel suo romanzo-confessione La guerra di una persona sola (1994), intercalato dalla presenza di Duomi, un personaggio "specchio" che si alterna all'io narrante, Lin Bai esordisce: "Ho iniziato presto a osservarmi e carezzarmi, incredibilmente presto. All'asilo, a cinque o sei anni. [...] Era un desiderio ricorrente." (1, TdA). La sessualità precocemente intuita si rivela nel corso dell'opera identità soverchiante, ma l'assoluta pervasività del soggetto e del suo mondo percettivo non consente di stornare la sensazione costante di separazione dell'io dalla realtà.
A fronte di tali fenomeni di "rottura", autori già affermatisi durante la "febbre culturale" riverberano gli effetti dell'accelerazione socioeconomica del Paese in una sorta di dilatazione dei modi del narrare: significativo è il cambiamento avvenuto nella scrittura di Yu Hua, romanziere piuttosto noto al pubblico italiano, che dalle sperimentazioni di una metarealtà allucinata e brutale (nella raccolta Torture, 1987-89), passa al neorealismo ironico e più bonario di Vivere! (1992, trad. 1997) e Cronache di un venditore di sangue (1995, trad. 1999), approdando infine alla narrazione post-moderna e spesso articolata nei toni del grottesco e della farsa del suo ultimo romanzo in due volumi Brothers e Arricchirsi è glorioso (2005-06, trad. nel 2008 e 2009). La saga tragica di due fratelli tesa tra la Rivoluzione culturale e il presente è il pretesto per raffigurare la Cina di oggi, còlta a danzare sull'orlo di un baratro carnevalesco tra violenze politiche non ancora dimenticate e spregiudicate speculazioni affaristiche. Mo Yan, dopo Sorgo rosso, ha proseguito la sua ricerca quasi antropologica ambientata in un universo rurale percorso da antiche e nuove corruzioni. Ne Il paese dell'alcol (1993) l'uso smodato del cibo e del sesso sono simboli d'una umanità mostruosa e decadente, e il cannibalismo contro i bambini ne è spaventosa metafora (una rielaborazione della grande allegoria di Lu Xun e una chiara allusione alla strage degli studenti dell'89): l'autore, secondo il sinologo Gang Yue, precipita il topos del viaggio nelle profonde campagne cinesi in un abisso ove la parola "popolo" è svuotata ormai d'ogni significato.
Il tema del desiderio – che ha animato e poi disilluso i "giovani istruiti" e alimentato quindi le violente invenzioni linguistiche dell'avanguardia – ben rappresenta il passaggio da repressione a sfrenatezza nella Cina odierna, rispecchiando una società convulsamente preda di bisogni auto-rigenerantisi e inesorabilmente discriminanti, data l'impossibilità di soddisfarli da parte di ampi strati della popolazione. Questa contraddizione è ben còlta da uno dei più interessanti romanzieri contemporanei, Yan Lianke (n. 1958), che pone al centro della sua narrazione la campagna, stretta nella dialettica tra "rivoluzione" e "sopravvivenza", quasi una specie di realtà parallela in cui sussistono tradizioni profonde e consuetudini culturali che le riforme di mezzo secolo sono riuscite a rimuovere solo superficialmente. Yan offre una sua lettura personale della Cina (soprattutto rurale), di oggi e di ieri: dalla diffusione dell'Aids nei villaggi, ove contadini indigenti praticano la vendita del sangue per sopravvivere (Il sogno del villaggio dei Ding, 2006, trad. 2011), alla caricatura della disciplina di Partito trasformata in osservanza dei piaceri del sesso (Servire il popolo, 2005, trad. 2006), fino all'ultima denuncia delle tragiche conseguenze nelle campagne della débacle politico-economica del "Grande balzo in avanti" (I quattro libri, Taiwan, 2011). Nel romanzo forse più rilevante, La gioia di vivere (2004) Yan offre una rappresentazione ironica e dolente del mondo contadino, ex mito del maoismo e protagonista, suo malgrado, di una impossibile rincorsa al successo economico che consacra invece la città come nuovo fulcro del socialismo di mercato. Padroneggiando un vasto repertorio linguistico con una ricchezza e duttilità paragonabile forse solo a quella di Mo Yan, lo scrittore ricorre sovente, descrivendo la realtà, alla categoria dell'assurdo; in un suo recente saggio-intervista, ne ha dato una chiave interpretativa rievocando due grandi autori del passato:
Lu Xun vedeva nella sua terra natale solo odio e sofferenza; Shen Congwen dell'Hunan occidentale [sua terra di origine] vedeva solo la bellezza infinita; io, ecco, vedo che nella vita non c'è quasi più spazio per la bellezza mentre l'assurdo invade ogni luogo, esso non ti appare davanti agli occhi, ma piuttosto aggredisce i tuoi occhi e la tua anima penetrandoli. (Yan Lianke, La mia realtà il mio "ismo", 2011, 23, TdA)
Questa terra dominata da drammi e paradossi per essere rappresentata richiede una narrazione "totale", capace di cogliere del reale anche gli aspetti che lo trasfigurano continuamente, tecnica ch'egli stesso definisce "mito-realismo" (shenshizhuyi).
La dilatazione dello spazio narrativo privilegia il romanzo, consacrato sia dalla politica (Jiang Zemin nel 1994) che dal mercato come forma di maggior respiro nazionale, e si manifesta tanto nella densa produzione di opere di stampo tradizionale, quanto nel proliferare di forme più innovative (legate alla rete e alla narrativa di genere: il giallo e il fantasy per adolescenti). Nel primo caso non si può non citare il capolavoro della scrittrice Wang Anyi, Canzone dell'eterno rimpianto (1995, trad. 2011), che rivalutando il mito della vecchia Shanghai pre-comunista, ne racconta la storia attraverso la figura di una fascinosa e sfortunata demi-bourgeoise, Wang Qiyao, epitome della città e di un'intera generazione. Caratterizzato dalla meticolosa ambientazione urbana e d'interni e da un senso di "nostalgia borghese" (che non a caso fa accostare Wang Anyi a Zhang Ailing, grande scrittrice novecentesca "vestale" della "vecchia" Shanghai), il romanzo raggiunge un mirabile equilibrio tra raffinatezza e densità linguistica da un lato, e una trama struggente nella sua semplice parabola umana dall'altro.
Altre epifanie narrative in questi primi anni del nuovo millennio testimoniano una varietà di modi espressivi, spesso legati ai media, la tendenza all'assottigliarsi della sperimentazione linguistica, e, soprattutto, alla decostruzione della figura dello scrittore. Trasformato in eroe adolescente dal successo dei balinghou (gli scrittori nati dopo gli anni Ottanta) e in particolare dalla star Han Han – pilota e blogger di culto, autore del romanzo autobiografico Le Tre porte (2000, trad. 2011), un graffiante affresco del sistema scolastico cinese –, lo scrittore è parcellizzato e reso virtuale da una narrazione dispersa nei mille rivoli della rete. Contraddistinta da una bulimica vivacità che sembra non avere uguali al mondo, la narrativa on-line promuove una creatività dal basso, frammentaria e per questo più libera; il romanzo è plasmato dalle nuove forme di diffusione e ricezione, i telefoni cellulari o i popolarissimi weibo (microblog). In questo contesto L'amore nell'era dei micro-blog di Wen Huajian è il primo romanzo-microblog a ottenere la consacrazione della pubblicazione cartacea. L'evento sottolinea il paradosso di questa narrativa che nasce dall'anonimità dell'editoria in rete, ma aspira alla notorietà dell'editoria convenzionale, atomizza la scrittura in una molteplicità autoriale, per poi ricondurla alla figura protagonista ed egocentrica dello scrittore.
L'onnipresenza e l'assoluta contemporaneità (suishi suidi) della rete, la narrazione "in tempo reale", ben si presta a rappresentare questa Cina bidimensionale, soggiogata dal presente e proiettata nel futuro e quasi insofferente, invece, del suo lungo, complesso passato. Arduo valutare gli esiti di un'arte così acrobaticamente sospesa nell'immediatezza, eppure, forse, l'incrocio tra tecnologia e decentramento della scrittura può fornire nuovi specchi del contemporaneo e nuove narrazioni.
Nonostante la tendenza mimetica degli autori più giovani a riprodurre la lingua nella sua istantaneità, la sperimentazione formale degli anni Ottanta sembra ritrovare voci interessanti in Dongxi (n. 1966), Bi Feiyu (n. 1964) e Li Er (n. 1966), esponenti della "nuova generazione" che utilizzano strategie più sofisticate nel raccontare il destino di personaggi quotidiani, estranei ai grandi eventi della storia ma protagonisti di un'intensa e più vera "esistenzialità": è il caso di Le tre sorelle,trilogia dedicata a donne d'origine contadina (Bi Feiyu, 2001-02); del romanzo La ciliegia sul melograno (2004) in cui sempre una donna, sindaco di un paesino, sfida corruzione e resistenze locali nella difficile gestione della politica nazionale del figlio unico, o dei filosofici racconti di Poetica pomeridiana (2004), entrambi di Li Er. Tra i recenti grandi esiti narrativi, anche il romanzo Le rane (2009, trad. 2012), che ha portato Mo Yan al Premio Nobel per la letteratura nel 2012 – opera di grande virtuosismo tra l'affresco sociale e il pastiche letterario – è dedicato alla politica demografica cinese e alla miscela di realismo visionario e hybris umana che ne ha permesso la realizzazione.
Non si può ritenere rappresentativa questa rapida panoramica della narrativa cinese dell'ultimo trentennio, senza accennare ai grandi scrittori di origine cinese che hanno messo in discussione il concetto di sinicità, eludendone i confini geografici e linguistici: scritto in cinese ma ultimato in Francia e pubblicato a Taiwan è il grande romanzo-mondo La montagna dell'anima (1990, trad. 2002) di Gao Xingjian, per il quale la definizione di scrittore in esilio risulta senz'altro angusta: il viaggio dell'autore nel sud ovest del Paese è il canovaccio per una sintesi di tradizioni e folclore di una Cina più periferica ma profonda, che s'innesta, grazie all'originale struttura del romanzo, in una rappresentazione dialogica e metanarrativa dell'io dello scrittore, messo a confronto con se stesso e con il suo più antagonistico e complementare alter ego, la donna. Così pure interessanti sono le narrazioni dislocate in lingue e terre diverse, l'inglese per Ha Jin (n. 1956, L'attesa, pubblicato nel2000 negli Stati Uniti), il francese per Dai Sijie (n. 1954, Balzac e la piccola sarta cinese, uscito in Francia nel 2000) o il giapponese per la scrittrice Yang Yi (n. 1964, Un mattino oltre il tempo, 2008), testi che proprio in virtù di questa diaspora linguistica e distanza fisica raccontano la Cina filtrandone e mediandone l'alterità, addolcendo, quasi, quelle asperità culturali che la produzione narrativa del continente sembra invariabilmente presentare e che comunque ne rappresentano una irrinunciabile specificità. Non va sottovalutato e meriterebbe maggior attenzione anche il fattore ideologico che, suscitando nel lettore (ed editore) occidentale una sorta di pruderie politica, tende purtroppo a condizionare la selezione e ricezione dei testi di scrittori di notevole spessore, come lo stesso Gao Xingjian o Ma Jian (n. 1958), riducendo l'interesse culturale e il pregio artistico delle loro narrazioni alla lettura un po' superficiale e monotematica di "letteratura dissidente": si pensi al sarcasmo disperato di Spaghetti cinesi o al percorso di ricordi traumatici in una ri-lettura del Classico dei monti e dei mari nel corpo semi-cosciente del protagonista di Pechino in coma, sopravvissuto ai fatti di Tian'an men – entrambe opere di Ma Jian (trad. 2006 e 2009) –, e ai tesi confronti di genere tra il protagonista e l'amante in Il libro di un uomo solo (1999, trad. 2003) di Gao Xingjian, che integrano la sua condizione di rifugiato politico nella dimensione di esperienza umana universalmente intellegibile nella sua drammaticità.
In conclusione, se la narrativa intesa come genere tradizionale sembra assediata in Cina, come del resto in altri contesti geoculturali, dall'ansia della contemporaneità e dal rifiuto di qualsiasi principio estetico e di precostituite convenzioni letterarie, nondimeno, la paziente ricerca narratologica ed etica di grandi scrittori come Ge Fei o Yan Lianke, la creatività anarchica della rete e l'ironico dinamismo di moderni cantastorie come Bi Feiyu e Li Er suggeriscono invece che la "narratività", intesa come capacità di raccontare storie e di raccontare l'uomo, sia tuttora, come negli ultimi decenni, ancora viva e stimolante.
Bibliografia
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Opere narrative:
Sono qui elencati solo i titoli delle opere citate nel testo, per una bibliografia completa delle traduzioni in lingua italiana fino al 2006 si consiglia: Battaglini M., Brezzi A., Lombardi R. (a cura di), Cara Cina… gli scrittori raccontano, Roma, Ed. Colombo, 2006.
I titoli delle opere sono seguiti dall'anno e dati di pubblicazione in lingua originale o, se esistente, dalla traduzione italiana.
Acheng, Il re dei bambini [1984], trad. dal cinese di Maria Rita Masci, Roma-Napoli, Theoria, 1989.
——, Il re degli alberi [1984], trad. dal cinese di Maria Rita Masci, Roma-Napoli, Theoria, 1990.
——,Il re dei bambini [1985], trad. dal cinese di Maria Rita Masci, Roma-Napoli, Theoria, 1991.
Chi Li, "Fannao rensheng" (Vita di affanni), Shanghai wenxue, 8, 1987, pp. 4-22.
Feng jicai, "La spilungona e il suo marito tappo" [1982], trad. dal cinese di Federico Madaro, in S. Stafutti, Il profumo delle peonie, Torino, Ananke, 1997.
—— "La raccoglitrice di carta" [1991], trad. dal cinese di Giorgio Trentin, Pavia, Liber
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Feng tang, Shibasui gei wo yige guniang (A diciott'anni datemi una ragazza) [2004], Beijing, Beifang lianhe chuban chuanmei, 2010.
Gao Xingjian, La montagna dell'anima [1991], trad. dal cinese di Mirella Fratamico, Milano, Rizzoli, 2002.
—— Il libro di un uomo solo [1999], trad. dal cinese di Sandra Lavagnino, Milano, Rizzoli, 2003.
Ge Fei, "Mi zhou" (La barca scomparsa)i, Beijing, Zuojia chubanshe, 1989.
——, Il nemico [1991], trad. dal cinese di Nicoletta Pesaro, Vicenza, Neri Pozza, 2002.
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Ha Jin, L'attesa [2000], trad. dall'inglese di Monica Morzenti, Vicenza, Neri Pozza, 2000.
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Yu Hua, Vivere! [1992], trad. dal cinese di Nicoletta Pesaro [Donzelli 1997], Milano, Feltrinelli, 2009.
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——, Brothers [2005], trad. dal cinese di Silvia Pozzi, Milano, Feltrinelli, 2008
——, Arricchirsi è glorioso [2006], trad. dal cinese di Silvia Pozzi, Milano, Feltrinelli, 2009.
Zhang Jie, Mandarini cinesi [1983-86], trad. dal cinese di Giuseppa Tamburello, Milano Feltrinelli, 1989.
Zhu Wen, Dollari la mia passione [1995], trad. dal cinese di Maria Gottardo e Monica Morzenti, Milano, Metropoli d'Asia, 2010.
——, Se non è amore vero allora è spazzatura [1998], trad. dal cinese di Paolo Magagnin, Milano, Metropoli d'Asia, 2011.
Pubblicato il 20/04/2014