Alberto Sebastiani - Il fumetto in Italia tra pop culture e letteratura

Partendo da Calvino

È noto il passaggio di “Visibilità” delle Lezioni americane (1987) di Italo Calvino, in cui lo scrittore ligure ricorda il suo amore, da bambino, per le storie illustrate del “Corriere dei Piccoli”. Ricorda che, ancora analfabeta, sapeva leggere le immagini di quei fumetti e costruire storie, su disegni di autori stranieri e italiani, come Pat Sullivan, Frederick Burr Opper, Attilio Mussino, Antonio Rubino e Sergio Tofano, in arte Sto, il padre del Signor Bonaventura, tra i principali nomi della rivista a cui deve tanto il fumetto italiano.

L’amore di Calvino per le storie disegnate, però, non si esaurisce con la maturità. Anzi. L’eclettismo dello scrittore, la sua curiosità e ricerca stilistica lo portano anche a far interagire questo primo amore e quello della sua vita, la narrativa letteraria. Così, in Ti con zero (1967), appare ad esempio il racconto L’origine degli uccelli (Calvino 1995, 236-247), in cui il celebre personaggio Qfwfq ricorda la prima apparizione degli uccelli, il suo innamoramento per la loro regina, e lo sconvolgimento dei paradigmi culturali che comporta l’apparizione di quei “mostri” (Bazzocchi 2005, 59-79). Il tutto, narrato mettendo in parallelo, o intersecando, il racconto in prosa e la descrizione o l’indicazione delle tavole, delle vignette e delle soluzioni grafiche che, in un fumetto, avrebbero potuto raccontare la stessa storia. Forse addirittura meglio, insinua Calvino.

Il testo viene dunque pubblicato nel 1967, ma sarebbe stato scritto a partire dal 1964 (Calvino 1995, 1349). Una data non da poco, per la storia del fumetto in Italia. Quell’anno, infatti, esce Apocalittici e integrati di Umberto Eco, ovvero il primo studio scientifico, la prima riflessione articolata che appare nel Paese sul fumetto, i suoi personaggi e il suo linguaggio, all’interno di un discorso più generale sulla cultura di massa.

 

Dopoguerra, anni di crociate

Prima degli anni ’60, il clima culturale era molto diverso. È risaputo quanto le nuvolette abbiano avuto vita dura dalla loro nascita. Ovunque. Un episodio emblematico resta la crociata statunitense degli anni ’50 contro il fumetto (Nyberg 1998), in quanto pericolo per i minori, sia morale che culturale e formativo. Si indica come origine, o meglio come momento sintetizzante della situazione, l’uscita del libro dello psichiatra Frederic Wertham del 1954, Seduction of the Innocent.

All’attacco, l’industria del fumetto reagisce sulla difensiva, con un codice di autoregolamentazione (il Comics Code, adottato dal 26 ottobre 1954 ) che negli anni Zero Will Eisner, in un dialogo con Frank Miller, ricorda come una soluzione «per mettere al riparo gli editori dalla valanga di polemiche che avrebbe fatto saltare tutta l’editoria a fumetti» (Eisner e Miller 2005, 103).

Di fatto, tra gli anni ’40 e ’50, negli Usa i fumetti subiscono una vera e propria aggressione. E situazioni analoghe si hanno anche in Europa. In Italia non mancano crociate volte a individuare nei fumetti responsabilità della cosiddetta decadenza dei costumi delle nuove generazioni.

Siamo negli anni ’50, quelli dell’avvento dei “giovani”, per la prima volta non più embrioni di adulti ma categoria sociale con una propria identità, usi e costumi, abbigliamento, passioni, modi di aggregazione (Dogliani 2003; Sorcinelli e Varni 2004). Per l’opinione pubblica più conservatrice, sono tutti “teddy boys”, criminali, capelloni, degenerati da contrastare. Tra chi urla all’apocalisse, i fumetti sono considerati tra i responsabili dell’imbarbarimento, accusati di raccontare storielle insulse in un linguaggio povero e diseducativo. Sono pubblicati studi e inchieste sulla cosiddetta “gioventù bruciata” con interventi di intellettuali, sociologi, psichiatri, scrittori, poeti che li mettono all’indice (Sebastiani 2009, 108-115). E queste voci sono poi, in effetti, largamente condivise. È una sorta di sentire comune, e così le scuole bandiscono e contrastano le pericolose nuvolette, che per altro sono poste all’indice tanto dalla stampa cattolica quanto da quella comunista, anche da insigni rappresentanti della classe politica progressista, per quanto riviste come “Il Vittorioso” e “Il Pioniere” incarnassero a fumetti le posizioni rispettivamente di Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano nell’indicare ai giovani cattolici e comunisti dove stessero il bene e il male (Barbieri 2010, 18).

Voce assolutamente fuori dal coro è Elio Vittorini. Nel suo “Politecnico”, ancora negli anni ’40, dà spazio alle nuvolette, e non considerandole mero intrattenimento né un pericolo (Stancanelli 2008). Pubblica strip di Popeye (considerato «al fianco dei personaggi del racconto di tutti i tempi: e come un personaggio di Dickens, non come un personaggio di De Amicis») di Elzie Crisler Segar (nn. 31-32, luglio-agosto 1946) e di Barnaby di Crockett Johnson (nn. 37, 38, 39 del 1947), addirittura un intervento di Walt Disney (La mia officina, n. 20, 9 febbraio 1946) e articoli che sostengono la qualità del fumetto in Italia e negli Usa, nonché le sue potenzialità narrative (Il mondo a quadretti, n. 2, 6 ottobre 1945). Dichiarazioni destinate «a cadere nel dimenticatoio per venti anni esatti, sino alla nascita di “Linus”, che sarebbe ripartito esattamente dallo stesso punto» (Barbieri 2010, 17).

 

Anni Sessanta, anni di fermento

Gli anni ’60 sono anni di liberazione culturale, anche per il fumetto. Un anno dopo l’uscita di Apocalittici e integrati, nel 1965 esce “Linus”, rivista che tratterà le storie a nuvolette come una rivista letteraria tratta il romanzo, e proprio nel primo numero pubblica una conversazione divenuta poi celebre tra Oreste del Buono, scrittore, storico critico e operatore culturale del fumetto, lo stesso Eco ed Elio Vittorini, che paragona Charles M. Schulz (il padre dei Peanuts) e J. D. Salinger.

L’anno successivo, il 1966, nasce il festival del fumetto di Lucca, oggi noto come Lucca Comics & Games, mentre in Francia esce il numero 8 di “Communication”, L’analyse structurale du recit (in Italia: L’analisi del racconto, Milano, Bompiani, 1969), con saggi poi raccolti in volume di Roland Barthes, Gerard Genette, Tzetan Todorov, A. J. Greimas, e – ancora una volta – Eco, il quale scrive un intervento sulle strutture narrative di Ian Fleming: il padre di James Bond. La cosiddetta paraletteratura è ormai sdoganata, e sempre in Francia nel settembre 1967 si tiene il celebre convegno Entretiens sur la paralittérature (Arnaud et al. 1967), con saggi dedicati al romanzo popolare, al feuilleton, al fotoromanzo, e al fumetto, linguaggio che in quegli anni e nei successivi conquista sempre più spazio, anche nei repertori a cui la letteratura attinge per paralleli, similitudini, metafore. Un linguaggio, una forma di narrazione, un luogo di interazione tra immagine e parola scritta che è ormai parte stimolante dell’immaginario. E al quale proprio negli stessi anni, alla Facoltà di Magistero a Roma, Romano Calisi istituisce un Archivio Nazionale del Fumetto, che organizza incontri, conferenze, giornate di studio dedicati alle nuvolette.

Sono gli stessi anni in cui si rinnova addirittura il “Corriere dei Piccoli”, che abbandona definitivamente (Brunoro 2008) le didascalie per i balloons, e in cui appaiono i fumetti erotici, albi che conquistano una larga fascia di pubblico, adulta, come anche e soprattutto i nuovi protagonisti negativi (Cattivissimi 2004) di storie intrise di temi tabù e moralmente disdicevoli (sesso e criminalità): i fumetti caratterizzati dal fattore “k”, come Diabolik delle sorelle Giussani (Scaringi 2002), o Kriminal e Satanik di Magnus.

 

La curiosità e la ricerca degli autori letterari

Calvino scrive L’origine degli uccelli in questo contesto. In un momento in cui gli studi strutturalistici e semiotici stanno offrendo un nuovo sguardo critico, un nuovo modo di analizzare i testi, non solo letterari. Il racconto di Calvino, pur nella diversità dei linguaggi, e nella diversità delle possibilità narrative, si rivolge al fumetto come altra via per la narrazione scritta, non necessariamente in successione e sequenza, ma in configurazione e simultaneità (per sintetizzare con le espressioni che proprio nel 1964 Marshall McLuhan usava in Understanding media (trad. it. 1967) per descrivere i testi dell’era elettrica).

Il fumetto, come il cinema o altri linguaggi in cui interagiscono elementi non solo verbali, testi sincretici, è una strada percorribile per la narrazione. In fondo, Calvino non è l’unico autore letterario italiano, per quanto estremamente poliedrico (Perrella 1999, Serra 2006), che si interessi a questo medium. Non va dimenticato che il fumetto di fantascienza nasce nel nostro Paese grazie a Cesare Zavattini. Infatti, molti anni prima, nel 1936, l’autore di Luzzara scrive il soggetto di Saturno contro la terra, con il personaggio Rebo, il despota di Saturno, poi sceneggiato da Federico Pedrocchi e disegnato da Giovanni Scolar.

 

Il caso Buzzati

Arriva il 1968, l’inizio ufficiale della contestazione che già da alcuni anni attraversa il Paese. Anche in Italia, come all’estero, emerge l’uso del fumetto tra i linguaggi della protesta (Vergari 2008). Ironico, sbeffeggiante, medium considerato di secondo piano, povero, e quindi spazio libero per la ricerca e la denuncia politica e sociale.

Nel 1969, quello dell’autunno caldo, due anni dopo l’uscita del racconto di Calvino, a scandalizzare il mondo letterario con un fumetto è però un autore milanese che nulla ha a che vedere con la contestazione giovanile, studentesca, operaia. È Dino Buzzati, altro autore appassionato del territorio fantastico, che dà alle stampe un libro davvero insolito per il panorama nostrano: Poema a fumetti (1969). E solo un anno prima, nel 1968, sempre Buzzati aveva addirittura scritto una Prefazione a Vita e dollari di Paperon de’ Paperoni, parlando delle storie di Paperino come di «una delle più grandi invenzioni narrative dei tempi moderni», con personaggi come Paperino e Paperone capaci di competere con quelli di Molière, Goldoni, Balzac e Dickens, in quanto non caricature o macchiette, ma «creature ogni giorno e in ogni avventura un po’ diverse da se stesse; hanno insomma la variabilità, l’imprevedibilità, la mutevolezza tipiche degli esseri umani» (Buzzati 1968, 5).

Parole che si avvicinano a quelle di Eco in Apocalittici e integrati, e di Vittorini nella conversazione su “Linus”, ma che non possono essere definite condivise. Per quanto fossero gli anni ’60, per quanto diversi letterati cominciassero a interessarsi ai comics, sul fumetto gravavano ancora molte perplessità. Eppure, a ripercorrere la storia letteraria italiana, compaiono diversi nomi eccellenti, da quel periodo in poi, attenti a questo medium (Allegri e Gallo 2008).

 

L’attenzione di letterati, intellettuali, artisti

Nell’ultimo quarto del Novecento, al valore e all’importanza del fumetto non mancano riconoscimenti, e non solo da parte di scrittori. Infatti, non da oggi, l’arte, il cinema, la televisione, la radio e altri media attingono copiosamente all’immaginario, alle situazioni narrative, alle rappresentazioni di luoghi, figure e dinamiche, nonché alle storie e alle fraseologie del fumetto. Il fumettista stesso è diventato una figura molto popolare, tanto nella realtà quanto come personaggio in opere letterarie, filmiche e altro ancora (Castelli 2010). Ed è diventato anche un collaboratore prezioso per autori che si muovono in altri ambiti artistici. È noto il ruolo che ha avuto il fumettista francese Moebius nella creazione delle scenografie del film Blade Runner di Ridley Scott (1982). Per l’Italia, si pensi a Federico Fellini, che usò parole di grande stima per i comics, e al suo rapporto ad esempio con Milo Manara, che disegnò su sceneggiatura del regista Viaggio a Tulum (1986) e tradusse a fumetti quella di Il viaggio di G. Mastorna (1992).

Il regista amava il tratto dei fumettisti, e commissionò manifesti per i suoi film allo stesso Manara (Intervista, 1987) e La voce della luna, 1990 e ad Andrea Pazienza (La città delle donne, 1980).

E Fellini non è certo l’unico: altri artisti e intellettuali hanno collaborato con fumettisti. Un cantante e scrittore come Francesco Guccini, ad esempio, ha creato con l’amico Bonvi (come ricorda in Amico Bonvi, quasi una nostalgia), il padre di Sturmtruppen, la storia a fumetti Storie dello spazio profondo, apparsa sulla rivista “Psycho” nel 1969, poi in volume per Caracas (Roma, 1972), Mondadori (Milano, 1979), Granata Press (Bologna, 1991), e ora Rizzoli-Lizard (Milano, 2010).

Con un altro amico, Roberto Raviola in arte Magnus , autore capace di muoversi con estrema versatilità tra stili e generi (Hamelin 2007), Guccini ha collaborato alla sceneggiatura dell’episodio Poche ore all’alba (1975) di “Lo sconosciuto” (poi riedito nel 1985 in “L’isola trovata”, da Granata Press nel 1991 e da Einaudi nel 1998).

Un giornalista come Enzo Biagi, inoltre, a partire dagli anni ’70 ha iniziato a pubblicare per la Mondadori una Storia d’Italia a fumettidi grande successo, poi una Storia del mondo, con la collaborazione di matite come Milo Manara, Marco Rostagno, Carlo Ambrosini , Aldo Capitanio, Alarico Gattia, Paolo Ongaro, Paolo Piffarerio, Sergio Toppi, Dino Battaglia, Hugo Pratt.

Dagli anni ’80 a oggi, poi, non si contano quasi i riconoscimenti anche artistici del fumetto. Ed è consistente il numero di autori letterari che si sono a vario titolo cimentati col medium. La coppia Carlo Fruttero e Franco Lucentini, ad esempio, già negli anni ’70 dirige “Il mago”, tra le principali riviste del decennio, ovvero i laboratori di autori, centri di creatività permanente, di incontro tra scuole, gruppi e poetiche sempre più sperimentali: Linus, Alterlinus, Alter e Alter Alter, Il male, Cannibale…

Il progetto bolognese Valvoline Motorcomics vede autori attenti all’interazione tra i media come Daniele Brolli, Igort, Lorenzo Mattotti, Marcello Jori , Giorgio Carpinteri, Jerry Kramsky, l’americano Charles Burns . Negli anni ’80 danno vita alla rivista “Dolce vita”, con collaborazioni di Aldo Busi, Tonino Guerra, Pier Vittorio Tondelli, Sandro Veronesi (Barbieri 1990, Boschi 1997, Boschi 2007, 131-140, 195-196). Ovvero nomi di primo piano della “vecchia” e della nuova scena letteraria italiana.

Da quel momento gli scrittori che incontrano il fumetto si moltiplicano. Tra i nomi contemporanei, vale la pena citare Sandrone Dazieri, che da tempo compie incursioni nel mondo delle nuvolette, e Tiziano Sclavi, creatore del bonelliano Dylan Dog, da sempre attivo tra letteratura (di genere) e fumetto. Identico discorso per Leonardo Gori e per Andrea Carlo Cappi, o per Luigi Bernardi , che per altro si muove come autore, editor ed editore. Per non parlare di Gianfranco Manfredi musicista, sceneggiatore, autore e saggista.

Molti scrittori cominciano a creare storie originali e sceneggiature per racconti e romanzi a fumetti, o si fanno aiutare per trasporre in questo altro linguaggio storie già pubblicate in volume o su riviste: Claudio Piersanti, Massimo Carlotto , Valerio Evangelisti, Carlo Lucarelli e.

Con questi ultimi nomi si sono attraversati gli anni Novanta e sono giunti gli anni Zero, un ulteriore momento di rivoluzione per il fumetto, con nuove riviste, un’editoria espansa, con realtà indipendenti sorte anche grazie all’avvento del web 2.0, il che vuol dire spazi e dinamiche nuove, con siti, blog, repertori, riviste, distribuzioni indipendenti (Leggeri 2009), dunque notevoli possibilità, ma anche ripensamenti del medium. Scott McCloud (2001) all’alba del XXI secolo si è subito interrogato sull’influenza che la rivoluzione tecnologica in atto avrebbe avuto sul fumetto, e su come esso potrebbe positivamente interagire con essa. E intanto è esploso il fenomeno “graphic novel”.

 

Graphic novel?

In Italia è ormai diffuso un prestito non adattato, dall’inglese: graphic novel. È usato per indicare i “romanzi a fumetti”, e lo si incontra in quotidiani, riviste specializzate, periodici generalisti nelle rubriche di recensioni. Oltre a blog come “Cuoredichina” di Marco Lupoi,“Cartoonist globale” di Luca Boschi, o “flusso di coscienza” di Tito Faraci (tutti su “Nòva”, sito del “Il sole 24ore” dedicato alla ricerca, all’innovazione e alla creatività). Denomina un fenomeno letterario, o artistico, con un pubblico in aumento, al quale si interessano anche medie e grandi case editrici letterarie, come Feltrinelli, Guanda, Rizzoli, Marsilio, Einaudi, e al quale Vittorio Spinazzola ha dedicato spazio in Tirature ’08 (Milano, Il Saggiatore, 2007), l’annuale volume sullo stato dell’editoria italiana e del suo pubblico, con interventi, tra gli altri, dello stesso Spinazzola, Paolo Interdonato, Luca Raffaelli.

È convenzione datare l’introduzione del termine al 1978, con il sottotitolo al volume di Will Eisner: A contract with God. A Graphic novel. Ma Eisner non è il padre del graphic novel (Plazzi 2009). Spesso, per dimostrare come il “romanzo a fumetti” esistesse già, si citano i lavori di Hugo Pratt (che di sé disse: «Sono un autore di “letteratura disegnata” (…), uno scrittore che sostituisce le descrizione, l’espressioni dei volti, delle pose, dell’ambientazione, con dei disegni. Il mio disegno cerca di essere una scrittura. Disegno la mia scrittura e scrivo i miei disegni», Petitfaux 1992, 166), come Una ballata del mare salato, del 1967, in volume dal 1972, oltre al già citato Poema a fumetti di Dino Buzzati, del 1969. Ci sono poi discussioni sull’identità dei testi denominati graphic novel, anche per le difficoltà nella definizione e nell’uso del termine, come afferma Eddie Campbell nel suo Manifesto del 2005 (leggibile in italiano sul blog “Fumettologicamente” di Matteo Stefanelli). C’è chi afferma sia la nuova forma del romanzo, o una forma di romanzo, chi lo ritiene un genere letterario, chi una tipologia testuale. Chi ritiene sia una novità letteraria, chi sostiene non sia nulla di nuovo nel panorama dei fumetti, che, in quanto testi narrativi, da sempre tendono al romanzo. Partecipano al dibattito autori e critici di tutto il mondo occidentale, dagli Stati Uniti (Eisner 2006, Eisner Miller 2005, 35-45) all’Italia (Fofi 2007, Lupoi 2008 , Rossi e Toninelli 2007). Proprio per il nostro Paese, per altro, tra le molte discussioni, ce n’è anche una morfologica: la o il “graphic-novel”? Vorrebbe il maschile, ma nell’uso sta vincendo il femminile (Toninelli 2007).

Di certo, il fenomeno graphic novel sta incuriosendo, appassionando, vincendo culturalmente (già con la sua accettazione nelle discussioni critiche, accademiche e pubblicistiche) ed economicamente. Se la stampa ne parla, le librerie dedicano sempre più spazio al fumetto, dopo un iniziale dubbio sulla collocazione dei nuovi romanzi a fumetti (Interdonato 2007, 171-172), i festival e le fiere letterarie come il Salone del Libro di Torino aprono agli autori di graphic novel, gli scrittori compongono sceneggiature per disegnatori, mentre i siti in rete finalizzati allo studio e alla promozione del fumetto si moltiplicano.

 

La maturità del medium

Il fumetto, da ormai parecchi anni, è un medium maturo, capace di confrontarsi con argomenti storici, politici, sociali ed esistenziali, saggiando stili, muovendosi con disinvoltura tra i generi (Jenkins 2006).

In questa sede, però, non interessa entrare in dettaglio nelle polemiche sollevate da sostenitori e detrattori del fumetto, o del romanzo a fumetti, magari denominato graphic novel. Né si vuole attuare una ricostruzione storica del suo successo.

È però necessario chiarire che i graphic novel sono in primo luogo fumetti, ovvero una narrazione sequenziale (Eisner 1997, Bonomi 2005), o meglio una giustapposizione di immagini e altre figure in una deliberata sequenza allo scopo di comunicare informazioni (McLoud 1996), fondata sull’interazione e sull’arricchimento reciproco degli elementi iconici e verbali (Barbieri 1991).

Considerando poi i graphic novel testi a fumetti non seriali, ci si trova in presenza con evidenza, pur con ovvie distinzioni qualitative a seconda dei casi, di storie originali organizzate in testi complessi e di ampio respiro. Narrazioni in grado di affrontare qualsiasi argomento, con personaggi dalla psicologia non schematica, da costruirsi nel testo, non data aprioristicamente. Si tratta di testi caratterizzati dall’elaborazione di un racconto non vincolato da esigenze storiche della testata, con la massima libertà stilistica per l’autore, senza indicazioni compositive editoriali sui personaggi, sullo svolgimento dell’intreccio, sulla lingua e le espressioni da usare (Scarpa 2006, Badino 2007, Vergari e Marchese 2010). Sia che l’autore sia unico, sia che l’opera nasca dalla collaborazione tra uno o più sceneggiatori e uno o più disegnatori. Un’interazione che, nei fatti, è il definitivo superamento della querelle degli anni ’70, tra disegnatori e sceneggiatori, sulla libertà dei primi rispetto ai vincoli dei secondi (come scriveva Moebius nel 1975, nel manifesto della rivista “Métal Hurlant”). Oggi, nei migliori dei casi possibili, si tratta di una ricerca comune volta all’elaborazione di una narrazione complessa e non schematica.

Aspetti già in parte individuati da Filippo La Porta, negli anni Novanta, riflettendo sul volume L’uomo alla finestra (Feltrinelli, 1992), di Lilia Ambrosi e Lorenzo Mattotti. La Porta ha riconosciuto al «cosiddetto graphic novel» di poter «toccare le vette più alte dell’arte e della moralità» (La Porta 1999, 114), e di essere un mezzo espressivo congeniale al nostro tempo, la cui cifra peculiare è la contaminazione, già connaturata all’interazione strutturale tra disegno e parola, e della capacità di accogliere, rielaborandole, suggestioni provenienti tanto dalla cosiddetta cultura alta quanto (e soprattutto) dalla pop-culture.

 

Oltre la dicotomia fumetto d’autore /fumetto popolare

Si è così arrivati a una delle questioni più dibattute, forse inutilmente, nella recente storia del fumetto. La dicotomia tra fumetto d’autore e popolare, nata a partire dagli anni ’70, con il boom delle riviste e l’aurora di una nuova ricerca del fumetto (Barbieri 1995), con l’avvento della rivoluzione francese di Métal Hurlant (Dionnet, Boschi, Martinelli, 2004), di Moebius e del gruppo Les Humanoïdes Associés (poi casa editrice). Una visione del fumetto maturo, capace di sperimentazioni artistiche e narrative, dagli orizzonti ampi, aperta alla contaminazione tra le arti e tra i media, che esploderà soprattutto negli anni ’80.

In sostanza, la dicotomia contrappone fumetto di ricerca e d’intrattenimento, ponendo questo in una posizione di secondo piano, dal punto di vista della qualità. Il primo è quello sperimentale (nella costruzione della storia, nel disegno), in cui è individuabile una particolare poetica e ricerca stilistica dell’autore o degli autori. Il secondo sarebbe quello seriale, con personaggi dati, schematici e prevedibili, storie ripetitive, senza ricerche grafiche degne di nota, impersonali, prive di una poetica individuabile dell’autore (nella storia, nei temi trattati, negli argomenti, nel tratto, nel ritmo della narrazione), ma riconducibile a uno stile proprio della testata in cui la storia appare. Una dicotomia che però, di fatto, non risponde alla realtà. È una falsa distinzione. Infatti, non è detto che il fumetto popolare debba per forza avere personaggi schematici e storie stereotipate e prevedibili. Né che il fumetto d’autore debba per natura esserne privo. Il fumetto popolare non deve essere per forza la versione a fumetti di un romanzetto d’appendice consolatorio, o ospitare un superuomo di massa (Eco 1964, 1976, 1979). Se è vero che storie singole, o a puntate, o seriali, possono essere pensate e composte diversamente, orchestrate con un’intenzione diversa e magari destinate a differenti fruizioni, tutto questo non può essere ricondotto necessariamente a un discorso di qualità e complessità dell’opera.

Innanzi tutto, la poetica di un autore (o degli autori, quando sceneggiatore e disegnatore sono due persone diverse) è leggibile in qualsiasi contesto, nello stile verbale e grafico. In secondo luogo, molti disegnatori di altissimo livello si sono cimentati sia con opere singole, proprie, romanzi a fumetti, sia con fumetti seriali, da Diabolik ai personaggi dell’editore popolare per eccellenza, in Italia:Bonelli. Tra gli autori dell’editore milanese, per limitarci a pochi esempi, basti ricordare nomi di generazioni diverse come Magnus, Guido Buzzelli, Lucio Filippucci, Paolo Ongaro, Giovanni Romanini, Sergio Ponchione, Sergio Toppi, Paolo Bacilieri, Giuseppe Palumbo, Stefano Vietti, Carlo Ambrosini, Giorgio Cavazzano, Stefano Casini, Onofrio Catacchio, Giuseppe Camuncoli (per un elenco completo, con note biobibliografiche relative, si rimanda al sito Bonelli alla pagina di ricerca dedicata).

Forse, aprioristicamente, in un caso disegnano bene e nell’altro male? Sembra improbabile.

Infine, non è detto nemmeno che le differenze esistano necessariamente dal punto di vista narrativo, nella storia e nella costruzione dei personaggi. Tantomeno dal punto di vista grafico. Basti pensare alla qualità dei disegni di Sergio Toppi, o Gianni De Luca, autori di storie anche su riviste popolari come il “Corriere dei piccoli” o “il Giornalino”, e oggi considerati internazionalmente tra i principali esponenti del fumetto italiano (Hamelin 2008, 2009).

 

Una conclusione temporanea

In sostanza, la distinzione tra produzione colta e popolare non risiede necessariamente nel contrasto tra produzione di alta e bassa qualità. Sintetizza con una sentenza significativa Daniele Barbieri: «vi sono buoni fumetti che vivono nel circuito popolare e nel circuito autoriale si trovano a volte fumetti da dimenticare senza rimpianti» (Barbieri 2009, 122). Il dibattito, seppur più ideologico che sostanziale, ha però almeno contribuito, se si vuole, alla crescita del mondo del fumetto: a una maggiore coscienza delle potenzialità e della forza del medium, del linguaggio. Come si diceva, infatti, il fumetto è diventato adulto: attraverso l’esperienza, la ricerca, ma anche con un confronto con la critica, con il dibattito interno, gli studi e le analisi.

Ora, dunque, non può più uscire dall’arena dei dibattiti. Adulto consapevole, tra romanzo o graphic novel, superata la discussione tra elitario e popolare, arriva oggi a far riflettere la critica (e molti autori) sulla sua letterarietà. Un passaggio d’altronde inevitabile, forse. Specie in un momento in cui il concetto stesso di letteratura viene discusso diffusamente, anche in ambito non accademico, con uno sguardo aperto a questioni di critica, editoria, mercato e nuovi media. Si pensi a quello tuttora in corso che ha coinvolto scrittori, lettori, critici e i classici “addetti ai lavori”, nato sul blog “Lipperatura” di Loredana Lipperini, e di cui Carmilla on line, nel numero pubblicato il 5 luglio 2010, ha tentato un primo riepilogo e organizzato una raccolta degli interventi in versione stampabile, scaricabile in pdf, poi aggiornata. Riflessioni che esplodono anche grazie (o per colpa) all’avvento di varie tipologie di testi, più o meno legati alla tradizione, o riconducibili a particolari tradizioni, e per lo più digitali. Testi che hanno fatto accendere i riflettori sulle cosiddette nuove narrazioni, multimediali ma non solo, e rispetto alla cui letterarietà studiosi come George Landow hanno posto domande a partire dagli anni ’90 (Landow 1993, 1998).

D’altronde, augurando alle nuove forme di narrazione il miglior futuro possibile, non va dimenticato che per Calvino, nella lezione americana sull’Esattezza, la letteratura «è la Terra Promessa in cui il linguaggio diventa quello che veramente dovrebbe essere» (Calvino 1996, 678).

 

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