La torre di Babele nel nostro immaginario è sinonimo di confusione, di una molteplicità di lingue, che limitano, se non addirittura impediscono, la comunicazione tra le persone. Ora questo caos viene disciplinato e ridotto a una forma organizzata grazie a un denominatore comune che coagula testi distanti nel tempo, nello spazio e nel codice linguistico con il quale vengono veicolati. Il denominatore comune è la scrittura femminile che, affrontando tematiche varie, dimostra la vitalità di una produzione che per troppo tempo è rimasta per lo più sconosciuta ed emarginata dalla preponderanza della scrittura maschile, che ha informato di sé generi letterari e forme poetiche. Così a distanza di circa mille anni, tanti ce ne sono voluti, si sta (ri)scoprendo un mondo culturale e letterario femminile, solo minimamente conosciuto fino ad ora, e lo (ri)scopriamo grazie a un’antologia davvero insolita dal titolo Scrittrici del Medioevo, realizzata da Elisabetta Bartoli, Donatella Manzoli e Natascia Tonelli ed edito da Carocci (2023). Anche solo scorrendo l’indice ci troviamo davanti a un’ampia serie di testi, molti dei quali inediti, organizzati in 6 sezioni – L’educazione (sezione 1), Il sé e il mondo (sezione 2), La maternità (sezione 3), L’amore (sezione 4), Il corpo e il sesso (sezione 5), La mistica e il sacro (sezione 6) , – alle quali si aggiunge un’introduzione, che dà conto delle ricerche e delle scelte delle curatrici, e corredate da Cenni biografici delle autrici antologizzate, il che aiuta a collocare nel tempo e nello spazio i testi, in modo da farci rendere conto della vastità del territorio interessato dalle scritture femminili, nonché il loro susseguirsi e dipanarsi nel tempo. Un’ampia e circostanziata bibliografia suggerisce studi e ricerche rimaste fino ad ora sconosciute o conosciute solamente da un pubblico ristretto di addetti ai lavori. È invece di straordinaria importanza potersi muovere tra questi testi redatti in una pluralità di lingue, che dall’italiano, dal provenzale, dall’antico tedesco si estendono all’ebraico, all’arabo, al latino e coprono un arco di tempo che da prima dell’anno Mille e dai secoli dell’era volgare arrivano fino al XV secolo.
La mancata presenza di opere scritte da donne nell’area intorno al Mediterraneo, come del resto in altre zone del mondo, è stata causata dal fatto che l’alfabetizzazione e l’istruzione erano riservate ai maschi, il cui posto in società era inconfutabile, mentre alle donne erano riservati i lavori muliebri e i compiti familiari, per i quali non era necessaria l’istruzione. Del resto già nel tempo antico la donna greca dominava nella parte interna della casa, nell’oikos, dove, attorniata dalle ancelle, filava, tesseva e custodiva il fuoco familiare. E in epoche successive non veniva speso molto per le fanciulle; bastava che fossero ben vestite perché, una volta sposate, avrebbero fatto parte di un’altra famiglia e il denaro speso per loro, perfino quello per la loro alimentazione, sarebbe stato infruttuoso per la famiglia di origine. Solo le fanciulle destinate alla vita del chiostro venivano istruite perché potessero almeno leggere i testi sacri e di preghiera e, se di famiglia elevata, gestire i loro conventi, in particolare se diventavano badesse.
L’antologia ideata e realizzata da tre studiose della mediolatinità, Elisabetta Bartoli e Donatella Manzoli, e di letteratura medievale, Natascia Tonelli, fa scoprire una realtà tutta affatto diversa. È vero che non sono molte le donne che erano alfabetizzate, almeno nelle classi medio-alte, ma sono sicuramente molte di più di quante possiamo immaginare e sono state autrici di molti testi, dove viene messa in luce la complessità e la varietà dell’universo femminile; per di più hanno usato idiomi diversi, siano essi il latino, la lingua scritta ufficiale nei secoli del basso e dell’alto Medioevo, ma anche le lingue volgari che si stanno affermando come lingue culturali, dal catalano antico, al provenzale, all’italiano financo al greco bizantino, l’arabo, l’ebraico. Nell’antologia sono raccolti 52 testi che servono da esempio per una vasta gamma di testi che sono stati censiti e che piano piano vengono trovati e tradotti. Le ideatrici dell’antologia hanno anche dato vita a un’associazione che hanno chiamato emblematicamente «MedioEva», il cui orizzonte è l’ampliamento della ricerca delle scritture femminili in età medievale, l’organizzazione di incontri e convegni per l’approfondimento e la disseminazione delle ricerche in questo ambito.
Innegabile l’attrattiva esercitata da Eloisa, donna e scrittrice peraltro conosciuta, che dalla sezione L’amore ci parla attraverso due delle lettere inviate ad Abelardo, suo maestro, suo amante, suo amore eterno. Nell’introduzione ai due passi scelti leggiamo: «Sul piano strutturale, cronotopico, c’è il passaggio continuo e traumatico tra il tempo dell’amore felice e quello della disperazione: al primo corrisponde lo spazio arioso, aperto e vitale fuori dal convento – le canzoni di Abelardo, la fama che circola –, al secondo corrisponde lo spazio angusto e claustrale del monastero» (Bartoli), mentre in nota si rimanda ai saggi di Dronke, di von Moos, di Hellemans. A sottolineare l’attenzione alle scelte e la volontà di accompagnare il lettore con l’ausilio di chi questi testi li ha indagati a fondo.
Prima di quello di Eloisa leggiamo i testi dell’araba Ḥamda bint Ziyād, dove, lei donna, si serve di un tema proprio della scrittura maschile: la lode della bellezza della donna amata. Teresa Garulo, che ha tradotto questi testi, in nota commenta: «Spesso le poesie femminili esprimono il dolore per l’assenza della persona amata o la passione che essa ispira: considerate scandalose e relegate nella poesia libertina, per questo sono state tacitate ed escluse dal canone, modellato sui testi scritti da uomini». Da cui si ricava che la censura del femminile era presente anche in culture diverse da quella occidentale. Se nel mondo greco antico l’opera di Saffo era stato un unicum nel cantare l’amore per le giovinette che vivevano nel suo thiasos, con Ḥamda bint Ziyād assistiamo alla descrizione della bellezza di una delle sue compagne, della quale loda i capelli neri come la notte e il volto bianco e splendente come la luna: «ha gli occhi languidi che mi tolgono il sonno, / e quando scioglie i suoi capelli sul volto / è uguale alla luna nella tenebra della notte, / penseresti che all’aurora / sia morto un amico / e di tristezza si sia vestita a lutto.» (vv. 8-13).
Sorprendente può apparire la sezione 5 dedicata a Il corpo e il sesso, due temi anch’essi sotto la lente della censura, oltre che quella contemporanea alle scrittrici, anche quella dei secoli successivi. Qui troviamo nomi noti: Rosvita di Gandersheim con Abraham, Trotula con Le malattie, le cure, la cosmesi, e Ildegarda di Bingen con Le cause e le cure, alle quali si aggiunge Wallāda bint al-Mustakfī con Tre poesie. I testi drammatici di Rosvita svelano un teatro che ha come modello quello terenziano, ma nel quale la scrittrice intende celebrare «la lodevole castità delle vergini consacrate a Dio» servendosi dello stesso genere letterario, che era servito a Terenzio a rappresentare i «turpi peccati di donne lascive». Il testo originale, seguito come tutti gli altri dalla traduzione, permette di capire quanto fosse importante per Rosvita difendere la decisa adesione femminile a un comportamento basato sulle virtù morali cristiane, sulla fede e sulla castità, perché fosse un modello da seguire. I testi di Wallāda bint al-Mustakfi hanno invece la forma e il contenuto di un violento attacco contro la brutalità degli uomini, in particolare di quelli omosessuali, e affrontano un genere presente tra il XIII e il XVII in Siria e in Egitto, aprendo così il sipario su una cultura, ancora una volta diversa da quella occidentale. Una poesia mostra la violenza dell’attacco anche nel linguaggio (che sperimentiamo dalla traduzione di Garulo, che fa notare «la blasfema allusione al Corano»): «Ibn Zaydūn ha l’occhio del culo / che si innamora delle verghe che i calzoni custodiscono; / se avesse visto dei cazzi in qualche palmizio, / li avrebbe spremuti fino allo sfinimento.» Non potremmo trovare niente di più audace, anche nell’uso della lingua, e sprezzante nella letteratura europea di quei secoli, e anche in quelli successivi.
Il mondo femminile nel tempo è sempre stato caratterizzato dalla maternità, tema della sezione 3, che va da Erchenefreda (sec. VII), madre del vescovo di Cahors, Desiderio, a Alessandra Macinghi Strozzi, che nel XV secolo scrive ai figli. Le lettere di Erchenefreda rappresentano «una tra le rarissime testimonianze di epistolografia femminile nella Gallia del VII secolo» (Manzoli) e contengono esortazioni morali dalle quali traspare un forte e amorevole sentimento materno, che si preoccupa della vita del figlio come fa qualsiasi madre. Tuttavia i testi mostrano anche che la sua scrittura segue le regole canoniche della retorica unita a delicati artifici stilistici, a dimostrazione delle conoscenze culturali e delle capacità di scrittura di questa donna. Il Liber manualis di Dhouda, un vero vademecum ricco di insegnamenti per il figlio Guglielmo, è certamente un testo più conosciuto, come lo è il Libro sulle malattie delle donne di Trotula, la quale, seguendo i principi e gli insegnamenti della scuola medica salernitana, affronta scientificamente i problemi ginecologi di cui possono soffrire le donne, dalla sterilità, alle difficoltà del parto, al prolasso, alle infezioni in cui possono incorrere. Trotula affronta i vari argomenti con un linguaggio tecnico e con il necessario distacco medico. Invece Doña Tolosana de la Caballería verso la fine del XIV secolo scrive un lamento per la morte prematura del figlio, inserendosi con la sua lirica nella tradizione della preghiera femminile, che si rivolge a Dio. Il testo in lingua ebraica è presentato per la prima volta in traduzione italiana in questa antologia, grazie a Erica Baricci: «Figlio mio, prima che il Signore ti generasse, con tutto il mio cuore t’ho cercato, / con preghiere e suppliche al Dio potente t’ho domandato. / Ma ora sceglierei la morte, io, nel giorno in cui ti ho partorito». Da parte sua anche Alessandra Macinghi Strozzi (XV sec.) scrive lettere accorate ai figli, lontani da Firenze per la loro attività di mercanti. Si apre così uno spaccato sulla vita familiare e sugli affetti nell’epoca finale dell’età medievale e agli albori della nuova realtà rinascimentale. Le preoccupazioni maggiori di Alessandra sono per il figlio più piccolo, Matteo, destinato anch’esso a una morte prematura. Chiede accoratamente al figlio più grande Filippo di non far mancare le carezze e le attenzioni materne al fratello, divisa, come fa notare Natascia Tonelli, tra «il suo amore per il figlio più piccolo e l’amore misto al rispetto della volontà maschile nei confronti del maggiore», pur nell’orizzonte dell’arricchimento familiare che lei stessa sosteneva e sollecitava, come si addiceva a una famiglia di mercanti del tempo.
Andiamo ai primi due capitoli dell’antologia, dedicati il primo a L’educazione e il secondo a Il sé e il mondo, che presentano anch’essi testi che testimoniano la scrittura femminile in arabo, in latino, in provenzale. Se Ugheburga è una monaca, nata nel Sussex e vissuta in un monastero tedesco, che rappresenta con la sua Vita Willibaldi l’unica testimonianza di scrittura biografica di un uomo nel VII secolo, nella fattispecie del fratello Willibald, monaco anch’esso, le due figlie di Carlo Magno, Gisla e Rotrude, scrivono ad Alcuino per chiedergli l’invio del suo commento al Vangelo di Giovanni. Tale richiesta dimostra quanto le due donne, divenute monache, fossero colte e si servissero di una scrittura ben elaborata, ricca di citazioni bibliche e di espedienti retorici. Questa lettera e quelle di Eloisa al maestro Abelardo ribadiscono un elemento non sempre messo in luce fino a ora, cioè che le donne, in particolare quelle che venivano educate nei monasteri e che appartenevano a famiglie importanti, ricevevano un’educazione pari, o quasi, a quella degli uomini; è stato il passare del tempo che ha messo in ombra il loro essere scrittrici, la loro cultura e la vasta articolazione delle loro conoscenze, che questa antologia rivendica e mette invece in evidenza.
Il perno ideologico del volume e della ricerca svolta si può considerare Christine de Pizan e la sua Società delle donne, scritto in francese; Christine non ha certo bisogno di presentazione, in quanto è conosciuta come colei che difende il ruolo delle donne e il loro diritto all’istruzione in quell’inizio di XV secolo, quando la capacità di usare le parole è diventata fondamentale per gestire una città, anche una città ideale, che tanta attenzione riscosse da quel momento in poi sia in pittura che in letteratura e che rappresentò un’utopia. Puntuale l’introduzione di Patrizia Caraffi al passo di Christine de Pizan, dove si legge: «Dal dialogo con ognuna delle dame ha origine la scrittura, che si dichiara innovativa e sapiente costruzione architettonica, rifondazione del pensiero e immenso archivio della memoria delle donne fondatrici del mondo e della civiltà, costruzione di una genealogia femminile in cui tutte le donne possano riconoscersi e rispecchiarsi». Come il testo della de Pizan, l’antologia di Bartoli, Manzoli e Tonelli costituisce la fondazione di un nuovo modo per guardare e studiare la scrittura femminile e riflettere sulla vastità di un fenomeno ancora tutto da indagare e di cui questa antologia è un apripista vero e proprio. Ecco una domanda che una dama rivolge a Christine: «Dama, se le donne sono in grado di imparare e di ragionare quanto gli uomini, perché non imparano di più?». Questa la risposta: «…il mondo non ha bisogno che le donne si occupino degli affari degli uomini. Devono solo svolgere i compiti ordinari loro destinati. […] . La causa è la mancata istruzione […] Ti racconterò di donne di profondo sapere e grandi capacità intellettuali, a proposito di ciò che ti esponevo, che l’intelligenza delle donne è pari a quella degli uomini». Che le donne sono meno intelligenti degli uomini, che la loro istruzione non è fondamentale per i compiti che devono svolgere in famiglia e nella società, che la loro è un’inferiorità naturale, teoria di matrice aristotelica, sono affermazioni e convincimenti che saranno duri a morire, se si pensa che ancora in pieno Settecento si discute nell’Accademia dei Ricovrati di Padova dell’inferiorità intellettuale e culturale delle donne, alle quali si riservano ruoli e comportamenti, per così dire, di rappresentanza. Degna erede di Christine è la spagnola Teresa de Cartagena, contro la quale pesano non solo il suo essere donna, ma anche le sue origini ebraiche. La sua era, come si dice oggi, un’identità liquida, in quanto appartiene alla terza generazione dei convertiti e, aspetto da non sottovalutare, per lei, diventata sorda, la parola scritta era una fonte di vita e di comunicazione con il mondo, l’unico strumento in suo possesso.
Seguendo l’uso del tempo che rivalutava l’uso di questa lingua, Isotta Nogarola si serve del latino per scrivere a Guarino Veronese e affrontare temi importanti. Chiude la rassegna delle donne che si sono occupate dell’educazione familiare di nuovo Alessandra Macinghi Strozzi, che sollecita in italiano i figli all’igiene personale, ai comportamenti interpersonali, alla cura degli interessi familiari, cioè tutto quell’insieme di insegnamenti che una madre scrupolosa e attenta deve trasmettere ai figli.
La sezione 2 presenta ancora dei testi in arabo, come quello di Ā’iša bint Aḥmad al-Qurṭubiyya, che si definisce una leonessa, di Muhǧa bint at-Tayyānī al-Qurṭubiyya, che ha dato alla luce un figlio pur non avendo marito, misconoscendo così le regole sociali del suo mondo, di Wallāda bint al-Mustakfī e di altre scrittrici arabe. Considerando che il titolo della sezione è Il sé e il mondo, vediamo che nel testo greco di Anna Comnena, Alessiade, il personaggio principale è Maria d’Alania, abile in campo politico alla corte di Bisanzio; proprio perché destinata a sposare Costantino Ducas, era stata educata alla cultura classica e, elemento ancora più importante, alla scienza politica. Anna Comnena la descrive sia fisicamente sia culturalmente e tra l’altro ne sottolinea la sessualità e la passione erotica. In greco scrive anche Teodora Sinadena, che affronta un typika, l’insieme delle norme per la fondazione di un monastero e di diritto monastico, a dimostrazione della pluralità degli ambiti e degli interessi praticati dalle donne.
Compiuta Donzella con due sonetti chiude la sezione. In modo che potremmo definire moderno, rivendica contro il padre il suo rifiuto a un matrimonio, che veniva deciso senza tenere conto della sua volontà e dei suoi sentimenti. L’unica alternativa a questa imposizione, che la apparenta a tante donne del suo tempo e non solo, è la decisione di entrare in convento, a rivendicare un’autonoma volontà decisionale: «Ca lo mio padre m’ha messa ’n er[r]ore, / e tenemi sovente in forte doglia: / donar mi vole a mia forza segnore, / ed io di ciò non ho disio né voglia, / e ’n gran tormento vivo a tutte l’ore;» (vv. 9-13).
Conclude l’antologia la sezione 6, La mistica e il sacro, che propone un ventaglio di scritture che vanno dalla Vita di Radegonda di Baudonivia, dove leggiamo due visioni mistiche avute da Radegonda, regina merovingia e santa, in una vera e propria agiografia che, pur prendendo le mosse da Venanzio Fortunato assume forme autonome, alle Laudi di Lucrezia Tornabuoni, scritte alla fine del Quattrocento e che, come afferma Ilaria Tufano, si inseriscono nel «mondo delle confraternite e dei monasteri», ma risentono anche della «cultura affabulativa e canterina, popolare e interclassista, di cui fu esponente tra gli altri Luigi Pulci». Non è poi da sottovalutare che il figlio Lorenzo de’ Medici fu influenzato dall’attività letteraria della madre che per le sue scritture a sfondo religioso si servì del volgare fiorentino. Il greco è usato invece da Cassia di Costantinopoli per i suoi inni religiosi, dove descrive la penitenza e la redenzione in un orizzonte religioso e liturgico.
Ecco che con Hadewijch e il suo A lungo hanno taciuto gli uccelli incontriamo un altro idioma, la variante brabantina del medio-nederlandese. Qui vediamo come l’educazione basata in parte sul romanzo cortese sia la base della sua colta scrittura. Da parte sua Mechthild von Magdeburg usa il tedesco antico per difendere la sua autonomia decisionale e, come scrive Maria Rita Digilio, «la possibilità di istituire una comunicazione interpersonale su temi teologici e spirituali, ivi compresa la disponibilità dei dotti ad ascoltare il messaggio di una illetterata». Con Margherita d’Oingt si ritorna all’uso del latino, che le serve per riflettere sul genere umano degradato dal peccato ma anche, dall’altro lato, sulla bontà divina e sull’amore di Cristo per gli uomini, nonostante le loro miserie spirituali. In questa carrellata a sfondo religioso non poteva mancare Paola bat Avraham, uno dei rarissimi casi di scrittura ebraica alla fine del XIII a Roma. Paola era una copista, caso pressoché unico perché questo lavoro era generalmente svolto dagli uomini che, presi i voti, anche quelli minori, vivevano negli scriptoria dei monasteri. Altro particolare interessante è che la sua testimonianza la troviamo nei colophon che ci schiudono le porte della sua autobiografia, come ad esempio il momento in cui ebbe inizio la sua attività di copista grazie a Menahem ben Biniamin, suo parente e committente del suo primo manoscritto. Grande è la sua gratitudine manifestata per questa scelta, che non era poi così scontata come si potrebbe pensare.
Merecina de Girona e Isabel de Villena chiudono l’antologia. La prima scrive in ebraico un canto liturgico, la seconda scrive in catalano medievale verso la fine del Quattrocento La vita di Cristo, che, oltre a essere scritta da una donna, è pubblicata da una donna, anzi da due, è dedicata a una donna, la regina Isabella di Castiglia, e indirizzata a due donne, consorelle delle badesse che hanno pubblicato la sua opera. Il testo è caratterizzato dal realismo, in particolare quando parla della donna che lavora alla filatura e alla tessitura e che si dedica ai lavori domestici, quasi facendo una fotografia dei ruoli ancora attribuiti alle donne.
Non resta che immergerci nella lettura e sperimentare di volta in volta scritture, lingue, realtà, nelle quali sono presenti i più vari contenuti, sentimenti e situazioni, espressi in una varietà di lingue che può stupire ma che ci introducono in un mondo femminile per molti aspetti ancora sconosciuto.
25 ottobre 2023