Roberto Marrone, Alice Troia, Francesca Amadei - A lezione di disincanto: conversazioni con gli autori di Supplenti

Nel 2021 viene pubblicato per i tipi di Pendragon Supplenti, un romanzo scritto a sei mani da Francesco Brusco, Martina Mengoni e Valentina Nappini.

Nato dalla scrittura collettiva di tre insegnanti e incluso nella collana “I chiodi” curata da Matteo Marchesini, questo libro, ironico e pungente, difficilmente ammette di essere definito in maniera univoca. Anzi, è possibile classificarlo sotto diversi generi letterari: è un romanzo comico-grottesco, in cui il mondo scolastico diventa oggetto di uno sguardo caricaturale e al tempo stesso disilluso; è una tragicommedia con sfumature epiche, al cui interno sono i supplenti stessi a diventare eroi ed eroine, assumendo però tratti al limite del donchisciottesco; infine è un romanzo di situazione, che prevede come tematica principale il precariato e le storture che questo provoca nella scuola.

La narrazione abbraccia un arco temporale corrispondente a un intero anno scolastico e si apre con le convocazioni di settembre per il conferimento degli incarichi annuali o delle supplenze brevi su base provinciale. È in questa circostanza che il lettore conosce per la prima volta Carla, Gianna e Nicola, i protagonisti del libro, nonché alter ego degli autori. Dal capitolo successivo si scoprirà che i tre docenti di terza fascia insegneranno nello stesso istituto, il surreale Liceo artistico DiCaprio, ma con incarichi differenti: Carla ha ottenuto la misteriosa cattedra di potenziamento; Gianna si occuperà delle controverse lezioni del corso serale e invece Nicola sarà insegnante di sostegno. Questi tre personaggi sono presentati in modo estremamente umano, fluido e dinamico all’interno del macrocosmo scolastico e soprattutto del microcosmo del precariato: da un lato l’iniziale e adrenalinico entusiasmo di Carla viene presto sostituito dalla totale disillusione nei confronti del suo incarico, che risulta ininfluente nella classe; dall’altro lato Nicola si dimostra progressivamente più zelante in virtù dell’anno scolastico che sta volgendo al termine; Gianna invece oscilla tra lo sconforto generale per le lezioni serali, scandite da registri di classe dati alle fiamme e disavventure con la fauna urbana, e la curiosità nei confronti di uno studente dai tratti magnetici e per questo soprannominato Don Draper. I tre protagonisti, inoltre, si trovano ad affrontare le incessanti peripezie scolastiche affiancati da una serie di personaggi caricaturali quasi di stampo lukácsiano. Precari come l’esuberante Chantal Ballina e Giorgio Lopez, che incappa misteriosamente nel ruolo di impacciato supplente di italiano, oppure docenti come la plenipotenziaria vicepreside Vannucci, il borioso Orlando De Carolis e Scipio Sartini, professore di storia nonché infervorato evocatore del ventennio fascista, sono soltanto alcune delle figure secondarie che si incontrano nel romanzo. I docenti, però, non sono gli unici personaggi a orbitare nell’istituto DiCaprio. Infatti, nel libro sono rappresentati in modo vivace e parodico anche alcuni studenti. In particolare, tra questi risaltano Matteo Magnocci, ultimo componente di una rispettabile dinastia di bulli, e Giulia Sardoni, caratterizzata da un disturbo dell’attenzione così complesso da aver suscitato l’interesse delle più illustri università americane. Non solo. Il personale ATA, le cui peculiarità significative sono la pigrizia lampante e l’alterigia borbonica, indubbiamente riveste un ruolo comico nelle interazioni con i tre protagonisti. Al contempo, l’ambiente scolastico è totalmente immerso in un’atmosfera di fatiscenza novecentesca: sui muri della palestra e degli spogliatoi abbondano le scritte risalenti agli anni della Prima Repubblica; nei vecchi armadietti usurati dal tempo si trovano copie, ancora prezzate in lire, del Manifesto del partito comunista e bottigliette di aranciata ormai fuori commercio; dalla cassetta di pronto soccorso affiorano garze scadute da decenni, cerotti ammuffiti e disinfettanti gelatinosi.

Sul versante stilistico e linguistico, nonostante la fluidità poliedrica del libro, il sistema testuale si rivela estremamente coerente e concreto in ogni sua parte. L’evidente intento ironico e umoristico si traduce in una sintassi dinamica, dal ritmo incalzante e ricca di dialoghi. La prosa infatti rifiuta le strutture ipotattiche, preferendo la paratassi e le costruzioni lineari, che procedono per aggiunte sovrabbondanti di elementi. Il lessico rispecchia l’uso quotidiano della lingua e parallelamente è mescolato con i tecnicismi tipici della burocrazia scolastica. L’intreccio di Supplenti conferma la sua plasticità anche nell’uso del dialetto, che conferisce alla narrazione un alto tasso di realismo. La componente dialettale emerge sia nei tre protagonisti (Gianna ha origini aretine, Carla è pisana e Nicola è campano), sia nel personale ATA (Sergio, il tecnico di laboratorio, ha l’accento brindisino). Inoltre, il comico plurilinguismo che caratterizza la narrazione non si limita al contesto italiano, ma fornisce alcuni esempi della lingua robotica ed enigmatica di Fjodora, di manifeste origini slave, oppure della parlata spagnola del professor Lopez. Accanto a dialettismi e regionalismi, sono poi facilmente individuabili termini specifici del gergo giovanile e coniazioni neologistiche come “sbrunettare”.

Infine, il libro sia intriso di riferimenti alla cultura pop, alla musica e al cinema degli ultimi decenni. Da Mad Men a Fantozzi, dal surrealismo di Nanni Moretti e Woody Allen alla cinica ironia di Mattia Torre, lo sceneggiatore di Boris, o ancora dalle canzoni dei Beatles e dei Genesis alle serie televisive di Netflix: sono questi alcuni dei rimandi che affollano le pagine del romanzo e che contribuiscono a conferire una patina di vibrante modernità all’atmosfera statica della scuola. In questo senso sono emblematici i titoli dei capitoli di Supplenti, poiché danno al lettore la cifra della bravura degli autori, capaci di combinare e condensare in poche ma efficaci parole citazioni culturali, ironia tagliante e stilemi scolastici. Studenti e studentesse del Laboratorio di scrittura creativa dell’Università di Bologna hanno incontrato i tre autori alla fine del 2021, in uno degli incontri del Laboratorio. Ne è nata questa intervista.

 

D:        Attira molta attenzione un libro che porta la firma di tre nomi, per questo siamo curiosi di sapere com’è stato lavorare a un romanzo a sei mani. Qual è stata la genesi del libro e come vi siete divisi il lavoro di scrittura?

Mengoni:       È la prima volta che ci troviamo di fronte a un pubblico che abbia già letto e analizzato il nostro libro, per questo siamo sia contenti che intimoriti. Già da diversi anni, da quando ci siamo conosciuti nel 2016, avevamo un’idea per il libro. Abbiamo cominciato a scrivere questo romanzo per gioco, tra una battuta e un’altra, e l’idea originale era quella di dar forma a un soggetto per una sceneggiatura, non a un romanzo. Inizialmente non ci siamo divisi i capitoli, ma abbiamo steso insieme una trama generale con dei temi, dei personaggi e una cronologia. Ognuno poteva intervenire su ciò che gli altri due avevano scritto. Una volta divenuto oggetto di interesse editoriale, abbiamo cominciato a prendere più seriamente la scrittura del romanzo. Il processo poi è passato da una prima stesura molto divertente a un lavoro di bozze più difficile e laborioso. Il problema principale è stato quello di rendere omogenee le nostre scritture, per amalgamarle in uno stile coeso.

Nappini:         Potendo aggiungere qualcosa, direi che non solo il lavoro di bozze ha omologato le nostre scritture, ma noi stessi adesso non riconosciamo più ciò che personalmente abbiamo scritto. Addirittura, ci sono dei passaggi in cui ci ritroviamo a chiederci chi abbia scritto cosa. Siamo intervenuti così tanto l’uno sull’altro che davvero siamo diventati un tutt’uno!

Brusco:           Dopo i primi quattro capitoli abbiamo capito che dovevamo dare una struttura più salda alla narrazione a causa dei numerosi personaggi che erano già apparsi. Come in un coro, abbiamo costruito uno spartito quanto più possibile coerente per poter dare valore e rilevanza a tutte le storie primarie e secondarie del libro.

Nappini:         La musica ci ha accompagnato molto nel processo di scrittura. Riferimenti a canzoni infatti sono sparsi ed evidenti per tutto il libro. Abbiamo persino creato una playlist chiamata “Supplenti” con tutte le citazioni musicali a cui si fa riferimento nel romanzo.

 

D:        Il libro si articola in 12 capitoli, con una divisione cronologica che segue l’andamento dell’anno scolastico. Già i titoli di questi sono straordinari. Per citarne alcuni: Incontri ravvicinati di terza fascia, Spesso il male di vivere ho in contratto, Il collegio, Ai limiti della docenza, L’Orlando Borioso… Una serie di riferimenti al cinema, al burocratese, a una cultura molto vasta (eventi pop, serie televisive) mai gratuita o spocchiosa, ma amalgamata in una prosa coerente. Chi si è occupato dei titoli e dei nomi dei personaggi?

Nappini:         Francesco per sua stessa dichiarazione, durante la correzione di bozze, si è definito “un uomo all’80%”, anche se il contributo creativo maggiore, soprattutto dei titoli, è stato proprio suo. Abbiamo sempre ragionato come gruppo, cercando l’approvazione degli altri due durante l’invenzione di nomi e peripezie, fatto assolutamente non scontato in una scrittura collettiva. Fare un passo in tre è completamente diverso dal farlo da soli. La correzione di bozze è stata un vero e proprio “bagno di sangue” per noi perché, una volta che ci siamo resi conto del fatto che questo libro sarebbe stato presto rilasciato al mondo, abbiamo iniziato a proporre con più serietà nuovi aggiustamenti e soluzioni stilistiche diverse, anche per le minuzie o dettagli insignificanti. Io e Francesca, in particolare, abbiamo lavorato analiticamente su ogni parola, ogni aggettivo, ogni punto.

Mengoni:       All’inizio c’era una certa ridondanza aggettivale, che forse risulta ancora evidente a lavoro compiuto. Il lavoro per la selezione degli aggettivi da mantenere è stato lungo e scrupoloso, nonostante molti siano ancora presenti nel libro. Un altro aspetto che abbiamo scoperto essere molto difficile da descrivere è quello della strutturazione dei dialoghi e dei movimenti tra i dialoghi, fondamentali per la scorrevolezza globale del romanzo. Ritornando sui titoli, sì, Francesco è stato il nostro titolista e a questo proposito c’è un aneddoto che mi piacerebbe raccontare. Nella storia, quando il concorso ordinario viene annullato, vengono citati dei titoli di quotidiano, tutti inventati da Francesco. Uno di questi titoli però è stato riutilizzato prima della pubblicazione del libro, ma dopo averlo inventato, da un quotidiano reale, Il Manifesto. Il concorso di novembre 2020, a cui io e Valentina eravamo peraltro iscritte, è stato veramente annullato. Potremmo parlare di profezia autoavverante? Poi voglio aggiungere che le citazioni, specie quelle musicali e sulla cultura pop degli anni Ottanta, sono frutto dell’ingegno dei miei colleghi. Spesso, infatti, quando mi capita di parlare del libro da sola, temo di non riuscire a rispondere in modo esauriente alle domande dei lettori sulle citazioni presenti.

Nappini:         A Martina purtroppo mancano dei fondamentali della cultura pop, come La storia infinita o Rocky, per citarne alcuni.

Brusco:           Aggiungerei anche molte, forse troppe, puntate de I Simpsons

 

D:        Riguardo dalle citazioni, partendo dall’affinità che i lettori e voi stessi avete tracciato in più interviste con la serie televisiva Boris, ci ha stupito come in entrambi i casi si riproponga il tema della subalternità. Ogni personaggio, così nella serie come nel libro, cerca di prevaricare e di comandare su quelli che si trovano gerarchicamente più in basso: il docente di ruolo sul supplente, il supplente sul nuovo e più giovane arrivato, quest’ultimo sul bidello, e così via. Dunque, è come se loro stessi si dimenticassero di essere subalterni in un sistema su più larga scala. I nostri supplenti, una volta diventati – come spero – professori ordinari, si dimenticheranno di essere stati tanto sfruttati? Faranno vivere le angherie che loro stessi hanno vissuto, come una sorta di gavetta, ai nuovi arrivati oppure saranno più clementi ed empatici?

Brusco:           Secondo me, a parte il fatto che molti di noi (tra personaggi e supplenti reali) rimarranno supplenti fino alla morte, è rintracciabile non solo nella scuola narrata, ma anche nella scuola reale, una lotta alla subalternità in un ascensore sociale che non smette mai di proseguire verso il basso. Noi non siamo ancora arrivati al punto per potercene dimenticare, ma potrebbe accadere che un giorno, quando avremo accanto a noi un “subordinabile”, saremo tentati di seguire la stessa scia del capo-comparsa di Boris.

Nappini:         La chiave di volta, il punto in cui si collegano Supplenti e Boris, è proprio nell’ispirazione di quell’ascensore sociale di cui parla Francesco e che si ritrova anche nel mondo di Fantozzi, a cui noi ci siamo ispirati molto nella stesura di questo romanzo. Mi sento di aggiungere che la speranza è quella di mantenere la promessa di “non essere mai così”, di non far subire al prossimo supplente il trattamento che noi abbiamo ricevuto in passato. Poi, inevitabilmente, come i protagonisti del libro, ci si ritrova a essere invischiati nel meccanismo più ampio del sistema scolastico. Nicola, ad esempio, comincia a somigliare sempre più a quel “fancazzista Bruni”, mentre Gianna, con tutti i suoi incarichi, diventa quasi una bacchettona. Loro stessi, inoltre, si ritroveranno autori e non vittime del sistema che avete citato.

Mengoni:       Il problema nonché la peculiarità della scuola è che non c’è una gerarchia verso l’alto: si ambisce a diventare docenti di ruolo e, una volta raggiunto l’obiettivo tanto ambito, c’è una sorta di rilassamento. Non bisogna però dimenticare che ci sono tante piccole gerarchie prima di quella tappa: i supplenti, i supplenti “più supplenti” di altri, gli insegnanti di sostegno, gli insegnanti di sostegno supplenti… Ovviamente, essendo la scuola una macchina burocratica pubblica e su larga scala, che dovrebbe concorrere all’istruzione e all’educazione, ci sono delle differenze con le gerarchie di Boris.

 

D:        I personaggi, sia i protagonisti che quelli secondari, sono nati dalla vostra fantasia o hanno un referente diretto nella realtà e che avete conosciuto?

Nappini:         Si può dire che molti personaggi di Supplenti sono ispirati alla realtà, anche se spesso si tratta di una fusione di una moltitudine di tratti nella stessa tipologia umana presentata nel libro. Noi non abbiamo mai conosciuto una sola Chantal Ballina, ne abbiamo conosciute tre o quattro, e il personaggio le raccoglie tutte quante. Ci sono invece personaggi più definiti e legati a un personaggio reale. Ci sono infine personaggi di invenzione, totalmente immaginati o creati per antitesi a persone reali, come Sergio, il tecnico di laboratorio. Lui non ha riferimenti reali, ma nasce come figura completamente antitetica rispetto a un altro tecnico di laboratorio tutt’altro che accogliente e che ho avuto la sfortuna di conoscere. Gli stessi protagonisti che ricalcano, almeno in parte, le nostre personalità non sono mai noi stessi fino in fondo. È stato infatti un lavoro gratificante, ma al tempo stesso difficoltoso, specchiarsi in questi personaggi, perché alla fine sono stati loro a plasmarsi pian piano e a raccogliere le caratteristiche di tutti e tre. Ad esempio, ci sono degli eventi accaduti a Carla, alter ego di Martina, che nella vita reale sono successi a me, e per Gianna vale il viceversa.

Mengoni:       La Vannucci invece esiste per davvero! La cosa più interessante è che molti colleghi, che di fatto non hanno conosciuto il referente reale del personaggio, hanno riscontrato una forte somiglianza con altre “Loredane Vannucci” sparse per le scuole dove lavorano. Si tratta di tipi umani abbastanza diffusi nell’ambiente scolastico. Modellare questo personaggio è stato particolarmente divertente perché, soprattutto io e Francesco, abbiamo ricevuto numerose angherie da parte della persona da cui abbiamo preso ispirazione per la nostra vicepreside.

Nappini:         Bisogna anche ricordare il caso in cui alcune persone, che non sono state usate come fonte di ispirazione per Supplenti, si riconoscono nei personaggi del libro o associano questi ultimi a dei loro colleghi! Di “Orlando Borioso” non ce n’è solo uno, ma ce ne sono tanti, nonostante nessuno si voglia mai riconoscere in questo personaggio!

 

D:        E di denunce ne avete ricevute per questa cosa…?

Nappini:         No, fortunatamente! Non ancora almeno. Anche se ho avuto molta paura per il personaggio di Scipio Sartini. Nella prima stesura era stato descritto in modo molto accurato e realistico. Dopo alcune consulenze legali, abbiamo deciso di togliere in toto le descrizioni fisiche che lo riguardavano per renderlo meno riconoscibile, per non dover cancellare il personaggio.

Brusco:           Chiudendo il discorso sui personaggi, ci sono altre due figure da citare. La prima è Elvis, che nella realtà è un nostro carissimo amico e che fino a mezz’ora prima dell’invio in stampa compariva col suo vero soprannome insieme a una sua descrizione molto accurata. Ne era consapevole e ne era anche divertito, visto che si trattava quasi di un omaggio alla sua figura. Però, dopo aver letto le pagine dedicate a lui, ci ha chiesto di cambiare tantissime delle sue caratteristiche, in primis la sua provenienza. Lui è calabrese e ci siamo dovuti spostare fino alla Basilicata per mantenere un dialetto simile. Poi, da stempiato gli è stato aggiunto un ciuffo, da cui deriva il soprannome Elvis. In più, non volendo, abbiamo descritto delle perversioni che realmente erano praticate nel suo gruppo di dottorandi. La seconda figura di cui voglio parlare è quella del professor Bruni. Ci siamo allontanati dal suo nome originale, ma non troppo, perché per noi era importante poter mantenere il neologismo “sbrunettare”, parola che noi tutt’oggi usiamo nella nostra quotidianità. C’è da dire che, in una pagina, un nostro lettore ci ha fatto rendere conto che abbiamo lasciato il nome originale: Brunetti.

D:        Ci è piaciuto molto che all’interno del romanzo i processi parodici e caricaturali vengano usati sui personaggi direttamente dalla voce narrante, mentre altre volte sono i personaggi stessi a ricorrere ad essi. Si tratta di un processo interessante che rende omogeneo il romanzo, poiché la voce del narratore è molto simile alla voce dei protagonisti ed è come se ridessero insieme. Ad esempio, a pagina 181, troviamo scritto: “Povera Gianna, si era distratta troppo stavolta”. Ancora, a pagina 97: “Ma per fortuna sua e di tutti noi non lo fece”. In questi casi specifici, chi è il narratore?

Mengoni:       Questa domanda ci permette di parlare del nostro deus ex machina, ovvero la nostra correttrice di bozze. Quando ha letto il libro per la prima volta, ha subito notato la presenza di una voce narrante esterna, simile a quella di una serie televisiva. Lei ci ha suggerito di rendere quegli stessi contenuti o più dialogici o narrativi. Le voci, infatti, si sovrappongono con la stessa chiave parodica grazie all’operazione narrativa che abbiamo compiuto. Anche se all’inizio sembrava scoraggiante, ci siamo resi conto che il libro ne ha risentito in positivo da questo processo, che ha ridotto il grado di macchinosità della sintassi. Succedeva spesso che usassimo il narratore esterno nei primi capitoli, in cui venivano introdotti temi come le convocazioni e i vari personaggi. Nella versione definitiva invece le convocazioni sono spiegate dalle protagoniste in forma di dialogo. Nella seconda parte di Supplenti questo succedeva meno perché il romanzo aveva preso una piega narrativa per cui la storia “camminava da sola” attraverso i suoi eventi.

Nappini:         Occorre aggiungere che attuare questo lavoro ci ha permesso non soltanto di fare in modo che i personaggi diventassero narratori, ma anche di sviluppare più dialoghi. In Supplenti produrre dei dialoghi non è stato per nulla semplice per noi che siamo molto più verbosi e narrativi. Molto spesso abbiamo sfruttato il meccanismo che avete rilevato per creare dei dialoghi che prima non immaginavamo di poter introdurre.

Mengoni:       Le parti in cui si trovano ancora tracce residue della voce narrante, come le parentesi o gli appelli al lettore, sono state oggetto di discussione in fase di redazione. Per noi era importante mantenere alcuni input di questo tipo perché crediamo che si confacciano al tono del libro.

Brusco:           Martina mi guarda come se dovessi aggiungere qualcosa… C’è anche una questione di ritmo della scrittura che noi tre interpretiamo in un modo, mentre invece viene letto con un’altra sensibilità da parte di chi legge il libro ed è incaricato di intervenire. Abbiamo accettato un buon 70% delle correzioni, forse anche di più, ma su alcune ci siamo imposti difendendo la nostra percezione di musicalità del libro.

Nappini:         Bisogna comunque dire che, nonostante la correzione delle bozze sia stata un lavoro estenuante, nei fatti è stata molto utile. Abbiamo capito, forse banalmente, che un libro non è mai di una sola persona. Anzi, la presenza dei correttori di bozze è essenziale quasi quanto quella dello scrittore. È una parte del lavoro che ho apprezzato molto. Il fatto che qualcuno legga così attentamente quello che hai scritto non è scontato, anche se in alcuni momenti è molto scoraggiante.

 

D:        Durante la lettura del romanzo, vediamo i tre supplenti perdere progressivamente le illusioni che si erano creati riguardo l’ambiente scolastico. Carla, Gianna e Nicola vedono i meccanismi del microcosmo scolastico come qualcosa che dovrebbe funzionare ma che, in realtà, crea solamente continui cortocircuiti. Quali strategie usano i vostri alter ego per affrontare l’anno scolastico e questo disincanto che sembra soltanto aggravarsi?

Mengoni:       I nostri supplenti hanno lo sguardo disilluso perché sono insegnanti navigati, i meccanismi della scuola li conoscono già da tempo. Ci è stato anche fatto notare che il nostro punto di vista non è quello di semplici insegnanti precari. Gianna, Carla e Nicola sono supplenti che lavorano sul sostegno, sul potenziamento e sul serale. Sono tre punti di vista molto particolari e molto disincantati. L’unico personaggio spensierato che troviamo è Giorgio Lopez. Attraverso di lui si vede chiaramente una classica situazione della scuola: quando un neo-insegnante viene convocato per il primo incarico, non c’è nessuno che gli spieghi che cosa veramente dovrà affrontare. All’inizio ci si aspetta il meglio ma, in realtà, è necessario qualcuno che ti prepari al peggio. I nostri tre protagonisti prendono subito per mano Giorgio e tentano, riuscendoci, di disilluderlo subito. Questo processo vale anche per il lettore che, avanzando nella lettura, addentrandosi in profondità nella foresta scolastica, sente aumentare a sua volta il disincanto verso questo mondo.

Nappini:         Gianna, tra i tre, è quella con il percorso meno disilluso. Nicola rimane sempre sulla stessa nota, che era già bassa in partenza. Carla, invece, è quella che ha l’entusiasmo iniziale, si aspetta grandi cose dall’anno scolastico, per poi rimanerne puntualmente delusa. Questa differenza tra i protagonisti faceva parte della nostra visione iniziale del libro e abbiamo sempre avuto l’intenzione di inserire in loro (oltre che noi stessi) tre punti di vista con archi narrativi diversi.

 

D:        Alla fine del libro, veniamo a sapere che i protagonisti ricevono una proposta per scrivere la sceneggiatura di una serie televisiva basata sulle loro disavventure scolastiche. Ipotizzando che possa veramente presentarsi questa opportunità, Carla, Gianna e Nicola sceglierebbero di tornare a scuola o se ne allontanerebbero? Vi chiediamo questo perché al lettore sembra sempre che se ne vogliano distaccare ma, alla fine, tornano puntualmente sui loro passi.

Nappini:         Ci hanno fatto notare diverse volte che in questo libro la scuola viene presentata come una sorta di polo di attrazione per i nostri personaggi. Carla la vedrei indecisa sul da farsi. Per quanto riguarda Nicola, non ho dubbi che sceglierebbe di buttarsi a capofitto nella serie televisiva.

Mengoni:       Io penso che Gianna orbiterà sempre intorno al cosmo scolastico. C’è una sensazione impagabile che scaturisce dalla scuola. La dimensione sociale che troviamo in questo ambiente è unica nel suo genere e difficilmente la si può trovare o ricreare in altri luoghi.

 

D:        Secondo voi, quali sono le prospettive della scuola dopo gli anni della pandemia? Avete riscontrato cambiamenti in positivo derivanti dalla DAD?

Mengoni:       Nel nostro romanzo volutamente non abbiamo parlato del Covid-19. Dal mio punto di vista è stata un’esperienza molto negativa per il mondo scolastico. Ho visto solo tanta sofferenza proprio perché è venuta meno quella dimensione sociale a cui accennavo prima, che è il punto di forza da cui la scuola trae la sua vitalità.

Nappini:         Volendo considerare la questione da un profilo prettamente narrativo, la DAD offre poco materiale testuale se non la classica “gag” che si estingue in un minuto. Non solo, cancella anche l’immediatezza nelle relazioni e la convivialità all’interno della classe e del corpo docenti. Abbiamo deciso di darne un accenno solo in conclusione di libro, senza però indagare in modo più approfondito questo tema.

Brusco:           Non abbiamo voluto approfondire la questione anche perché cronologicamente la scrittura di Supplenti risulta precedente alla pandemia. Dunque, sarebbe stato alquanto difficile riuscire a inquadrare questo aspetto all’interno dell’architettura di un testo che, in origine, non era stato pensato per essere calato nella dimensione pandemica.

 

D:        Da aspiranti insegnanti, parlando con altri colleghi che aspirano alla stessa occupazione, ci siamo resi conto che, nonostante il vostro libro ci sia piaciuto molto, ci ha anche lasciati con una sensazione di grande incertezza verso il nostro futuro. Ci siamo chiesti quindi se, in questo caos scolastico, ci sia spazio per un po’ di speranza.

Mengoni:       Devo ammettere che a noi piace l’idea che non ci sia una luce in fondo al tunnel. Mi spiego meglio. Tutte le volte che si parla di scuola in film o serie tv, si vuole sempre trovare un fine edificante. Non è vero che la scuola è un mondo pulito, in cui tutto è perfetto e nel quale si riescono a risolvere le criticità. Quella che secondo noi è la luce in fondo al tunnel è proprio la vena comica, l’ironia che si sente in sottofondo. Da parte nostra non sarebbe stato giusto dipingere un mondo in cui noi non crediamo.

 

D:        Questa domanda riguarda invece la serie televisiva sui nostri tre protagonisti. Se questa serie venisse davvero prodotta, quali attori vorreste che interpretassero i vostri ruoli?

Nappini:         Ci siamo soffermati molto sulla questione del cast. Nel libro abbiamo spesso inserito nomi di attori che, a livello immaginario e ipotetico, ritenevamo adatti a interpretare alcuni personaggi, ma non quelli per i tre protagonisti. Carla, Gianna e Nicola nascono da fatti reali e concreti. Abbiamo passato lunghi pomeriggi a immaginare chi avrebbe potuto interpetrare i nostri alter ego in una possibile serie televisiva e non siamo ancora giunti a una scelta definitiva. Probabilmente, questa nostra riflessione sul casting andrà avanti fino a quando, in un futuro remoto, ci chiederanno di scrivere davvero una sceneggiatura nella quale poi non avremo voce in capitolo per la selezione degli attori.

 

D:        Una delle cose interessanti di Supplenti è che al suo interno ci sono sezioni estremamente letterarie. Vengono descritte situazioni che, per come sono presentate, perderebbero tanta della loro verve comica se trasposte sullo schermo. Siete d’accordo?

Nappini:         Trovo che questa affermazione sia molto veritiera, soprattutto per quanto riguarda le parti sul PEI (Piano Educativo Individualizzato), che nel racconto diventa un’ossessione quasi ridicola, una specie di epopea epica della cattedra di sostegno. A pensarci bene, queste parti hanno un andamento e un aspetto letterario che mi portano a riflettere sul fatto che, forse, Supplenti non abbia bisogno di un corrispettivo televisivo.

 

D:        Leggendo il libro ci siamo divertiti e sorpresi nel notare come, al suo interno, ci sia una grande varietà di dialetti e lingue, tra cui alcune inventate come il cosiddetto “burocratese scolastico”. Come avete lavorato su questo aspetto?

Brusco:           Probabilmente ha influito il fatto che ognuno di noi ha origini diverse. L’aretino, per esempio, è il dialetto di Gianna; il pisano caratterizza invece Carla e altri personaggi. Nicola è uno dei tanti migranti presenti nel libro, i quali si devono spostare periodicamente per inseguire le cattedre a cui vengono assegnati. Io, per esperienza personale, ho curato tutti i dialetti da Roma fino all’Italia meridionale. Un caso particolare è quello di Elvis, per il quale abbiamo avuto l’aiuto linguistico di un amico lucano e lo stesso vale per il brindisino di Sergio.

Nappini:         In aretino ci sono in realtà solamente due parole, che non abbiamo tradotto volutamente. Inizialmente avevamo inserito più termini dialettali, a volte quasi incomprensibili, ai quali avevamo collegato delle note a piè di pagine con spiegazioni parodiche. Tra le tante correzioni, si è poi deciso di eliminarle per non appesantire la narrazione.

 

Martina Mengoni (Pontedera, 1985) insegna, scrive e studia dividendosi tra Berna e la Valdera. Ha pubblicato vari saggi, tra cui Primo Levi e i tedeschi (Einaudi, 2017) e I sommersi e i salvati di Primo Levi. Storia di un libro (Quodlibet, 2021).

Valentina Nappini (Arezzo, 1988) è docente precaria di storia e filosofia in provincia di Pisa.

Francesco Brusco (Modena, 1978) è docente di storia dell’arte e di sostegno, musicista e studioso di popular music. Ha pubblicato Estetica di Sgt. Pepper (Arcana, 2017), Revolution (Arcana, 2018), Faber nella bottega di De André (Arcana, 2019) e Guccini. Frammenti di un discorso musicale (Mimesis, 2020). Scrive di musica per “il manifesto” e per riviste specializzate.

 

L’intervista, a cura di Roberto Marrone, Alice Troia e Francesca Amadei, è nata nel 2021 all’interno del Laboratorio di scrittura creativa del corso di Laurea Magistrale di Italianistica, tenuto da Andrea Severi

 

28 settembre 2022