Loredana Chines - Ricordo di Francisco Rico (Paco)

 

Ora che so che non troverò più nella posta una sua mail scritta a tarda notte mentre fuma una “Nobel” e non sentirò più la sua voce profonda nei messaggi laconici lasciati sulla segreteria telefonica o affidati a un Whatsapp - (spesso un semplice e imperioso “chiamami!”) – la penna esita davanti all’onda emotiva dei ricordi e fatica a ripercorrere oltre vent’anni di una meravigliosa frequentazione umana e intellettuale, in cui - per uno di quei fortunatissimi capricci del destino- ho avuto il privilegio di conoscere l’inarrivabile magistero dello studioso,  la straordinaria generosità  del maestro, l’affettività intensa e autentica dell’amico. Del resto non è semplice tratteggiare la figura di Francisco Rico, del critico, del filologo, dell’uomo e del personaggio sospeso fra realtà storica e finzione letteraria, preceduto da un’aneddotica quasi mitica di gesti e parole, che ben conoscono i colleghi, gli allievi, gli amici, che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di frequentarlo. I tratti dell’uomo non si possono scindere da quelli dello studioso e la sua vita non può prescindere dalla sua traiettoria letteraria, entrambe animate dalla medesima passione, dal medesimo senso della sfida intellettuale, da un’irriducibile vocazione al dubbio e alla complessità che nell’Ateneo bolognese lo ha fatto dialogare con grandi maestri come Ezio Raimondi e Umberto Eco. Allievo di José Manuel Blecua e Martín de Riquer, Rico si è ben presto accostato al magistero filologico di Guido Martellotti, Giuseppe Billanovich e Gianfranco Contini, che insieme alle voci di Vittorio Rossi, Remigio Sabbadini e Pierre de Nolhac, hanno rappresentato una stagione di irrepetibile fecondità per studi petrarcheschi e di filologia medievale e umanistica.

La figura di Francisco Rico, come ha detto lo scrittore spagnolo Javier Cercas, è difficilmente collocabile, è un’altra cosa rispetto ad altri pur esimi studiosi, per il suo essere al tempo stesso “eccentrico” e “centrale”, per il suo saper aprire di continuo nuovi orizzonti nel panorama della cultura e della conoscenza spesso dalla particolare specola, come il Petrarca di Valchiusa, della «solitudo iocundissima» della sua periferica dimora di Sant Cugat. Il senso della sfida intellettuale, dunque, e la vocazione al dubbio e alla complessità sono il motore della ricerca e della prospettiva critica di Rico, sempre sorretto, come è stato detto (J. Cercas), dal felice binomio di «rigore e audacia».

Fu quel senso di sfida a muovere le prime ricerche di Rico sul Petrarca latino- a cui lo aveva avviato il  suo maestro Martín de Riquer- dopo l’uscita della seconda edizione della monografia Francesco Petrarca  di Umberto Bosco (1961). Bosco si avvedeva, con qualche rassegnazione, di come nella produzione del Petrarca (tanto volgare quanto latina) fosse impossibile scorgere una linea evolutiva, tracciare con chiarezza uno sviluppo cronologico, per i giochi di specchi, di false tracce, di simulazioni che il Petrarca mette costantemente in atto nella volontà precisa di lasciare un ritratto esemplare di sé. È questo il motore che anima il serratissimo lavoro filologico e critico che approda al volume sul Secretum e sulla vita e l’opera del Petrarca, del 1974, cambiando la prospettiva degli studi petracheschi.

Tratteggiando, poi, sempre quadri di ampio respiro della civiltà dell’umanesimo e del Rinascimento italiano ed europeo, Rico riesce a far dialogare armonicamente due prospettive critiche a lungo in contrapposizione dialettica tra di loro, vale a dire quello sincronica e filologica di Kristeller e Billanovich con quello diacronica e filosofica di Eugenio Garin, in una scrittura saggistica dove lo spirito filologico e critico si coniuga con l’anima della creazione romanzesca: si pensi solo al titolo stesso del suo celeberrimo volume Il sogno dell’umanesimo, in cui la prosa di Rico, come è stato detto (J. Cercas),  ha «la durezza, la trasparenza e l’esattezza del cristallo».

Che si addentri negli intricati probemi filologici del Chisciotte, del Lazarillo,  della Celestina e della novella picaresca o nelle questioni interpretative del Petrarca e dell’umanesimo, la forza della prospettiva critica di Rico è nel suo rifiuto di un metodo costituito “a priori”, ma che sa calarsi nella storia unica e irripetibile di ogni singola opera e di ogni singolo testo e di ogni sua, anche minima, peculiarità materiale; un metodo, per così dire, che non si configura mai come sistema se non dinamico, in cui il rigore della filologia si abbevera sempre alla fonte della teoria letteraria e del contesto.

È proprio, del resto, del metodo asistematico di Rico questo aprirsi della filologia alle ragioni del contesto, alla forza dell’interpretazione, al ruolo del lettore  e del valore aggiunto che questi conferisce all’opera.  Le edizioni curate da Rico (ha fondato e diretto il “Centro para la Edición de los Clásicos Españoles”) e i numerosissimi contributi critici sul Chisciotte, sul Lazarillo de Tormes, sulla Celestina, sulla novella picaresca e  sull’umanesimo italiano ed europeo, sono stati pubblicati e tradotti in tutto il mondo. Come editore di classici Rico ha saputo mettere in primo piano, accanto ai diritti del testo e a quelli dell’autore, quelli del lettore (ormai classica è diventata, ad esempio, la sua provocatoria proposta di lectio fertilior, nei casi di indecidibilità tra due lezioni adiafore: la lectio fertilior è la lezione che comporta una maggior implicazione del lettore).

Ma chi ha conosciuto Rico editore sa anche dell’attenzione quasi ossessiva e della cura quasi maniacale che egli ha dedicato al particolare più minuto del libro (dal formato, alla carta, al carattere, ecc.), come fa chi non disdegna di ricorrere, da lettore, all’e-book, ma si assume, da editore, la profonda responsabilità etica e intellettuale di un’operazione estetica e culturale. Persino la veste grafica e la punteggiatura da lui scelte per il capostipite di tutti i romanzi moderni contribuiscono in maniera significativa a restituirci la semplicità della scrittura di Cervantes, il suo procedere in un flusso continuo, in una lingua che pare assecondare la veloce disponibilità di un narrare affidato alla voce.

D’altra parte, Rico è stato anche il filologo e il critico che da quasi quattro decenni ha saputo rileggere creativamente la letteratura del passato per intervenire sul presente. Come è stato detto, Rico è  «un caso raro di studioso al quale l’erudizione non ha affievolito il gusto letterario, di un critico che sa che la buona critica serve alla creazione e non si serve di quella, uno specialista del medioevo e del Siglo de Oro con la passione per la letteratura contemporanea». Sono, queste ultime, parole del Premio Nobel per la Letteratura  Mario Vargas Llosa, che ha tracciato,  in un articolo comparso su “Il Pais” nell’aprile del 1996,  un ritratto suggestivo dello studioso: «con puntualità astrale - dice Vargas Llosa - mi arriva fra le mani un saggio sul Lazarillo, o su Quijote, o sull’umanesimo o su Petrarca del mio caro amico Francisco Rico. E me lo immagino, allora, magro e instancabile, nella sua casetta di Sant Cugat del Vallès, tra montagne di libri,  con gli occhi affaticati nella lettura di libri antichi, intento a scarabocchiare carte con la sua grafia a tela di ragno».

In virtù del suo indiscusso magistero scientifico,  della sua costante  partecipazione ai dibattiti culturali e civili di respiro europeo, e del suo singolare carisma umano, Rico è stato infatti un personaggio e come tale appare nei romanzi di Javier Marias (che Rico chiamava “il giovane Marias”, per distinguerlo dal padre, il filosofo spagnolo Julían Marias a cui lo aveva legato una profonda amicizia)  e di altri scrittori spagnoli. Javier Cercas, che è stato suo allievo all’università di Barcellona, ricorda come gli studenti guardassero Rico con «panico e devozione» creando intorno alla sua figura di “Pico della Mirandola spagnolo” una ricca e proverbiale aneddotica, letteralmente sopraffatti dalla fascinazione con cui sapeva squadernare l’intera cultura occidentale esaminando un solo verso del Libro de Buen Amor.

Con la fondazione, nel 2004, della rivista “Ecdotica, come « luogo di incontro di autori, testi e lettori» e con altre iniziative - come l’elegante collana “Arezzo e Certaldo” pubblicata da Antenore - spesso decise fra un gin tonic e una cena nei ristoranti bolognesi,  Rico ha consacrato, con generosità e amicizia veramente straordinarie, il suo sodalizio con Bologna, vivificando un’antica e fertile consuetudine culturale della nostra città e del nostro Ateneo con gli studiosi spagnoli. Aveva avuto nella sua carriera innumerevoli riconoscimenti accademici, premi e onoreficenze, ma teneva in particolar modo alla laurea honoris causa che l’Alma Mater Studiorum gli conferì nel 2016, mostrando sul volto e nella voce, in quell’occasione, la sua emozione, la stessa che lasciava trapelare di rado, solo quando parlava degli affetti più cari.   

Grazie alle pagine della rivista “Ecdotica” e alle voci che vi si sono intrecciate e susseguite la filologia italiana dialoga con la bibliografia testuale di scuola anglosassone, affrontando questioni di cruciale importanza: dalla bibliografia testuale al diritto d’autore, dal commento ai testi alle Digital Humanities, aprendo orizzonti sempre nuovi, e coniugando, nel metodo, l’irriducibile individualità di ogni dato e problema testuale con la necessità di una visione pluriprospettica.

Ora che questo breve ricordo di Rico, Paco, per gli amici, deve di necessità volgere alla conclusione, mi si affollano davanti agli occhi della memoria i tanti scenari dei luoghi e le situazioni della vita in cui siamo stati insieme: nel 2001 in viaggio da Madrid a Salamanca, con tappa ad Avila per gustare lo “jamon serrano” tra le mura medievali della splendida città, le visite a Zamora e nei paesaggi del Lazarillo  e della Celestina, in compagnia di Fernando ed Eduardo, i suoi amici di una vita, le serate in compagnia di allievi nelle osterie di Salamanca, in cui Rico si univa al canto di un fado  intonato  da un vecchio maliconico, le discussioni su Ecdotica e sul nostro Petrarca nel suo studio di Sant Cugat o nel ristorante Victoria di Bologna, non memorabile, ma l’unico con saletta per fumatori. Sono lì a ricordarmelo, ogni giorno, su una mensola della mia casa, una foto che ci vede insieme nella meravigliosa biblioteca di Pedro Cátedra a Salamanca e una rosa di un mazzo che Rico mi mandò nel luglio del 2007 per la nascita di mio figlio Lorenzo.

Molto altro ancora si potrebbe dire dello studioso, dell’uomo, dell’amico, della figura di questo eccentrico e centrale hidalgo della critica spagnola che sembra talvolta confondere i propri contorni con quelli del personaggio del romanzo che il suo sguardo penetrante di filologo e di lettore ha saputo restituirci a tutto tondo.

Non sappiamo se la fama del Professor Rico, come vuole una battuta di Javier Marias, nel romanzo Nera schiena del tempo, sarà destinata a durare più per il suo essere personaggio romanzesco che per la sua impareggiabile lezione di critico e di filologo; ma, in fondo, è un falso problema, inscindibili come sono stati nell’amico e maestro Paco Rico, biografia e bibliografia, Vida u obra.