Mezzena, Orlandi, Pizzini, Rodler - Un asino e un sogno nei salotti di Oveno

Scritti politici e scherzi nella miscellanea dell'Archivio Alberti Poja

 

«Va all’inferno, anno infame! che ci promettesti libertà, e indipendenza, ed altro non facesti che ribadire le nostre catene»; «Il cielo si precipiti, anno scellerato, che promettesti rompere le catene, che ci tenevano avvinti alla Germania ed al Tirolo per condurci in grembo di madre Italia, ed ora vecchio rimbambito ci abbandoni in uno stato peggiore di prima (Il charivari di Oveno, 1848)».[1]

Con queste affermazioni rabbiose e deluse alcuni trentini salutano il 1848 in un giornale satirico trovato manoscritto nell’Archivio Diocesano di Trento. Siamo in un piccolo paese della provincia dell’Impero austro-ungarico (Oveno è il nome antico di Sopramonte, una frazione del Comune di Trento) e il sentimento antiaustriaco non sorprende. Ma vale la pena riflettere sul tono appassionato delle parole del giornale. Il charivari (detto in italiano scampanata, in tedesco Katzenmusik, lett. musica da gatti) è in origine una manifestazione popolare e folclorica in cui alcuni giovani esprimono con urla e suoni improvvisati e disturbanti la disapprovazione nei confronti di matrimoni «male assortiti» (ad esempio per la differenza di età degli sposi) o di adulteri. Nella Francia degli anni Trenta del XIX secolo questo bizzarro carnevale in difesa di norme sociali condivise diviene un giornale satirico, «Le Charivari», che critica l’ordine politico e i governanti.[2] Intorno agli anni Cinquanta, a ridosso dei moti rivoluzionari, il «Charivari di Oveno» riprende dunque toni e temi dell’originale francese (probabilmente attraverso una versione viennese), mostrando la cultura europea dei redattori.

 

 

1. Un asino di Giulia Orlandi

 

Il fervore culturale dei trentini di Oveno/Sopramonte si riconosce spesso nelle pagine del «Charivari», magari anche in forma di parodia. Così, ad esempio, una sestina del poeta bernesco e liberale Antonio Guadagnoli dedicata all’asino (a sinistra)[3] diventa la caricatura dei filo-italiani, perseguitati (a destra: «sferza» e «bastone» alludono a questo) nella ricerca di libertà:

 

 [ Figura 1 - vedi allegato]

 

Nulla di strano nella figura animale, presenza tipica del linguaggio allusivo del genere satirico cui appartiene il «Charivari». Il componimento di Guadagnoli rivisto e corretto si legge nella pubblicazione dell’8 Novembre del 1848, particolarmente importante perché si tratta del primo numero della «continuazione del Charivari di Vienna», firmata dal responsabile, un Dr. Perroni, probabile nome di fantasia. L’intenzione anti-austriaca appare subito: il «Charivari» ha luce otto giorni dopo che nella capitale è stato riportato l’ordine. Che cosa è accaduto? Nel 1848 l’Impero Austriaco deve fare fronte a disordini del centro e della periferia, di Vienna e dell’Italia. A Vienna infatti molti studenti e insegnanti chiedono una costituzione democratica, generando una serie di rivolte, sedate con l’esercito. Accompagnato da 40.000 uomini, l’ufficiale Alfred von Windisch-Graetz libera la capitale dai rivoltosi, mentre il feldmaresciallo Josef Radetzky combatte in Italia, riaffermando il potere imperiale in tutto il Lombardo-Veneto. Ecco dunque i personaggi del primo numero: da una parte i militari impegnati a riportare «quiete» e «ordine legale» (termini ricorrenti, in una sorta di ritornello) e dall’altra parte l’asino, felice per la propria libertà. Conviene a questo punto leggere il foglio satirico, preziosissimo documento inedito di un anno memorabile della storia d’Europa.

 

Charivari di Oveno (*[4])

quale continuazione del

Charivari di Vienna

8 novembre 1848                                                                                  

nro 1

Dr. Perroni compilatore responsabile

Otto giorni dopo quel giorno, che in Vienna si ristabilì la quiete e l’ordine legale

 

Consumatum est!

Oggi non abbiamo proprio voglia di ridere.

Povera famiglia gattesca! Poco fa sì potente

le tue sinfonie scendevano qual balsamo al

cuore del debole oppresso, erano scoppio di

folgore pel potete oppressore.

Ora perseguitata, e dispersa sulla superficie

della terra, come il popolo d’Israello dopo

la distruzione di Gierosalima, presenti

 

il lagrimevole aspetto della caducità delle umane

grandezze!

Noi però miseri rampolli di quella grande fami-

glia siamo fermamente risolti di continuare

nella magnanima impresa, che la trionfante

forza brutale vorrebbe pure annientare, e

perciò invitiamo tutti i cuori generosi ad as-

sisterci nei nostri sforzi abbonandosi al nostro giornale.

Esso sortirà secondo la luna del compilato-

re e dei collaboratori, ed il contenuto sarà

variato, e brillante prendendo a norma e di-

rezione la pura verità.

Il prezzo d’associazione per ogni quartale

è un pezzo da 5 lire italiane battuto in

Milano lì 6 agosto anno corrente.

Articoli communicati verranno inseriti, e

convenientemente onorati in eguale moneta.

 

Vita, e gloriose gesta di un certo Imperatore

costituzionale

Nacque, e vegetò senza produrre né fiori

                                                  né frutta.

----            ----           ----             ----            ----         ----

Quiete ed ordine legale.

L’asin così, scusate il paragone,

se avvien che in maggio la cavezza snoda

senza sentir la sferza, od il bastone,

con tesi orecchi, e con arcata coda

corre saltando per l’erboso piano

Libero dalla fama, e dal villano.

Se chiedete a Windischgrätz, od a Radetzki in

quale stato trovisi quell’asino, ei vi risponderan-

no ch’ei trovasi nell’orribile stato di anarchia.

Ma se volgete la stessa domanda a quell’asino,

esso più filosofo vi risponderà, che gode il felice

stato di libertà!

Se vedeste un povero asino sciancato, e magro

gemere sotto fama enorme cacciato a stento

dalle sferzate del barbaro padrone, e diman-

daste a quelle due antichità del medioevo

in quale stato trovisi quella povera bestia, ei vi diranno,

che gode l’impareggiabile stato della quiete, e dell’ordine legale.

Ma chiedetelo all’asino, e l’asino più filosofo vi risponderà,

ch’ei geme nell’abbominevole stato della tirannide, e dell’oppressione.

 

 

 

Promontori della società trentina oveniana!

(disegni dei nasi)

1001/999

Avviso

I luttuosi avvenimenti, che di questi dì funestarono la Capitale, obbligano il sottosegnato, ad avvertire chi ne avesse interesse, che l’eccelso uffizzio della Sgnanfo-Compagnia, posto nella necessità di pensare ai pubblici bisogni, non può per ora occuparsi di particolari negoziazioni.

Perciò i dispacci arrivati resteranno senza evasione, sinoché ristabilito l’ordine legale incomincierà la sua regolare procedura.

 

 

Oveno, 8/11. 48                                     

P.G.D. Caposganfo

L. Seg[retari]o[5]

 

 

 

                                                                                                                                                                         

Le parti del giornale sono dunque quattro:

1. Una presentazione che informa su circostanze e tono del giornale. Il discorso inizia con un’affermazione decisa: non è il tempo per ridere, ma per dire «la verità», magari in modo «variato, e brillante» e con l’aiuto dei «cuori generosi» degli abbonati. I responsabili si definiscono, con un’altra similitudine zoomorfica, una «famiglia gattesca», un tempo potente, capace di aiutare il debole e inquietare l’oppressore; ora invece «perseguitata, e dispersa» come il popolo di Israele.

2. La voce del giornale, nella seconda parte, presenta una sorta di epigrafe dedicata a Ferdinando I, un imperatore inutile («senza produrre né fiori né frutta»), e la favola dell’asino «filosofo» e dei militari, «due antichità del medioevo», che giudicano come «orribile stato di anarchia» la ricerca di libertà e come «impareggiabile stato della quiete, e dell’ordine legale» la condizione svantaggiata dei sottomessi; da parte sua, però, l’asino parla invece di «tirannide», «oppressione» e rivolta verso la libertà.

3. Una terza, modernissima parte, usa il disegno per firmare in modo caricaturale il giornale: una serie di nasi identifica «i promotori della società trentina oveniana», con una sensibilità fisiognomica particolare. Il naso, infatti, segnala mascolinità, coraggio e impeto, soprattutto quando è ben marcato.

4. Nella quarta e ultima parte, i nasi vengono allusi dalla onomatopeica Sgnanfo-Compagnia (sgnanfo in dialetto veneto significa chi parla con voce nasale) che si accommiata dai lettori, avvisando che non c’è spazio per «particolari negoziazioni», ma solo per i «pubblici bisogni».

Così, nella forma zoomorfica dei gatti e degli asini, il «Charivari di Oveno» suggerisce le emozioni dei redattori: la frustrazione della compagnia gattesca diventa l’aggressività della satira di una compagnia di nasuti che, nella figura dell’asino filosofo, dà voce al desiderio di cambiamento.

 

2. Un sogno di Miriam Mezzena

Ma non è l’unica sorpresa del fascicolo conservato nel fondo archivistico della «Famiglia Alberti-Poia”, conservato presso l’Archivio diocesano di Trento. Altri sono infatti i testi satirici presenti che meritano nuova attenzione: tra essi un numero di «Il Malintenzionato», datato 31 agosto 1850 e firmato, ancora una volta, Dr. Perrone, che racconta un sogno o meglio il suo contenuto manifesto e manifestamente politico.

Sullo sfondo si riconoscono gli ideali dei moti di Vienna, gli stessi allusi dal «Charivari» appena letto, tragicamente conclusi nel novembre dell’anno successivo. Di quel disastro il sogno ricorda alcuni eroi, già «decorati con ‘polvere e piombo’», ossia ammazzati, ma riportati in vita con «un anacronismo perdonabile ad un uomo che dorme»:

- Wenzel Messenhauser, ufficiale dell’Impero austroungarico e scrittore di origine boema, morto per fucilazione il 16 novembre 1848;

- Alfred Julius Becher, musicista e uomo politico tedesco, morto per fucilazione nel novembre del 1848;

- Robert Blum, politico di spicco nel movimento liberale e nazionalista cattolico tedesco, giustiziato il 9 novembre 1848;

- Hermann Jellineck, giornalista, scrittore e rivoluzionario, giustiziato per impiccagione il 23 novembre 1848.[6]

Sono figure di un mondo in fermento in cui circolano una crescente necessità di indipendenza dalle monarchie rinate dopo il congresso di Vienna, un forte nazionalismo e la speranza di maggiore giustizia politica e sociale. Sogni più che progetti, almeno a leggere le parole del compilatore anonimo di un altro testo del fascicolo, I sette dolori della libertà austriaca: «L’idea del voto libero universale non trovi in Austria preparato il terreno: il popolo non era istruito, le società patriottiche non ancora organizzate, la stampa libera nelle provincie sordomuta; ignote le politiche opinioni degli italiani da eleggersi».[7]  Che tristezza! In aggiunta, una crisi economica, agricola con ripercussioni sul settore industriale, contribuisce a fomentare le tensioni.

Intanto, nel 1848, le varie nazionalità dell'Impero austriaco inseguono l’indipendenza dallo stato sovranazionale messo in piedi dagli Asburgo. Le sommosse costringono l’imperatore Ferdinando I d’Austria a rispondere con l’esercito, che a sua volta viene affrontato con le famose barricate. A più riprese, l’imperatore tenta di mettere fine alle rivolte e ci riesce definitivamente nel 1849 grazie all’intervento della milizia russa. Che bilancio fare? Che, da solo, il popolo non ce la fa; ci vuole un governo deciso a «dar forma» all’ideale di «libertà»:

«Non scrivo per ispirito di parte; non è satira, ma è filosofia della storia. Incomincio. Nel marzo del ’48 i popoli gridavano: “Viva la libertà!” e la libertà avea vita. I tempi correano grossi grossi; quasi in tutte le capitali d’Europa la sovranità era discesa dalla regia, e compiacevasi di passeggiare in piazza, i sassi dei lastricati erano in moto perpetuo, talchè sembrava, che il regno minerale appartener volesse alla classe dei semoventi. In mezzo a tali auspici sortiva dalle mani del popolo viennese anche la libertà austriaca… bella innocente, immacolata, ma ideale. Il popolo avea eseguito egreggiamente la sua parte; il principio avea trionfato; ora toccava il governo a farne la pratica applicazione; a dar forma a questo ideale; insomma la libertà era ignuda, e conveniva vestirla. La sventurata figliola veniva posta a quest’uopo nelle mani degli antichi amici, e colleghi di Metternico; ella pareva la casta Susanna in mezzo ai vecchioni».[8]

Purtroppo la «filosofia della storia» proposta dall’anonimo autore di I sette dolori della libertà austriaca conosce bene il fallimento dei moti del ’48. E, allora, a metà del secolo, anche le parole devono rispettare l’ordine costituito. Perciò nei testi della busta “Scherzi” gli autori mantengono un profilo basso, mascherano scherzosamente il proprio pensiero, ben consapevoli della forte censura dell’epoca. Questo è il significato politico del sogno del cosiddetto Dr Perroni: uno strumento incolpevole, non soggetto alla volontà e dunque alla censura. Dovranno passare circa altri settant’anni e una guerra mondiale prima di vedere realizzata la libertà del Trentino dallo straniero. Intanto, l’ilarità e la condivisione con la stretta cerchia dei conoscenti permettono di sognare...

 

 

Oveno li 31 agosto 1850

Il Malintenzionato

Giornale Politico-Satirico

Anno I                                                                                                                                                                             

 N.4

Un Sogno

Iersera stavo leggendo le considerazioni del Dottore Esterle sulle finanze austriache, ma l’argomento era tanto tragico, che per non aver da piangere andai a letto; presi sonno, ed appena addormentato sognai:

Ero a Vienna e dai sobborghi entrava in città per la porta di Carinzia in un magnifico cocchio tirato da quattro superbi cavalli. Le campane suonavano a festa, il cannone rimbombava tratto tratto dai bastioni; era un giorno di popolare esultanza, in cui si cantava un solenne “Requiem” alla memoria d’un ministero retrogrado testè caduto, e si festeggiava l’installazione di un ministero democratico, a cui era chiamato io pure a far parte.

In mezzo ad un’onda di popolo festoso, fra avanzi di barricate (solito specifico per ottenere liberali concessioni) giunsi a Corte dove m’attendevano i miei colleghi radunati a consiglio. Erano i Signori Messenhauser, Jellineck, Becker e Roberto Blum, che, per un anacronismo perdonabile ad uomo che dorme, non erano stati ancor decorati con “polvere e piombo”.

Blum presidente, mi notificò, che a me era stato riservato il portafoglio delle finanze. Chi tardi arriva male allogia, dissi tra me; ma accettai, perché il mio amor patrio non conosce limiti. Si propose quindi di nominare un ministro della pubblica istruzione, ma si lasciò tosto cadere la proposta come poco urgente, avendo io fatto osservare che un tale ministro non era per ora necessario essendo chiuse quasi tutte le università.

Blum passò in seguito a svolgere un suo bellissimo progetto per conciliare fra loro in modo stabile Tedeschi, Slavi, Magiari e Italiani, mostrando chiaro, come due, e due fanno quattro, che conveniva conceder loro l’indipendenza, e piantare le basi d’una grande confederazione europea simile all’americana del norte. La proposta venne accettata all’unanimità.

Finalmente venni io pure eccitato a presentare un piano di riforma finanziaria, ma trovandomi imbrogliato, chiesi una proroga pel giorno seguente, e mi recai lesto lesto all’uffizio delle finanze per raccogliere i materiali all’uopo occorrenti. 

Misericordia che orrori!! Rendite diminuite; spese accresciute; un deficit di 140 millioni sul bilancio 1849, e un altro in prospettiva di 100 milioni sul bilancio 1850; mancanza d’oro, carestia d’argento, penuria di rame, abbondanza di sola carta. Tali erano i bocconi, che dovea digerire il povero ministro delle finanze.

Ma coraggio! Concentrate tutte le mie forze intellettuali, posi mano alla grand’opra e combinai un progetto di radicale riforma finanziaria, che si può riassumere in queste poche parole: diminuire le spese, accrescere le entrate, pagare l’intero debito pubblico senza aumentare le imposte. Ecco i mezzi per porre in esecuzione questo bellissimo progetto:

I.Essendo i popoli indipendenti e confederati non occorrono più sicari per tenerli in freno, e perciò si congedano i due terzi dell’esercito.

II.Si conchiude un contratto di pensione vitalizia con tutti i frati (eccettuati i mendicanti) e si incamerano a pro’ dello stato i beni de’ conventi. Per aprire però ai religiosi vasto campo di esercitarsi all’astinenza, e guarirne molti dalla gotta, la pensione per ciascuno non deve oltrepassare la somma di lire austriache 500.

III.Siccome gl’interessi del debito dello stato assorbono più della terza parte delle entrate, così per non pagare più interessi, si paga l’intero capitale con …… moneta simbolica, di cui ogni anno se ne estrae a sorte la ventesima parte, che si cambia in moneta sonante, cosicché in venti anni s’ arriva ad estinguere l’intero debito con quell’importo, col quale altrimenti non s’avrebbe pagato, che l’interesse. Calcolai, che la certezza del pagamento, e la speranza di presto ottenerlo, se favoriti dalla fortuna nelle prime estrazioni, contribuirebbe a mantenere la moneta simbolica almeno sul 50 per cento; il qual valore però andrebbe sempre aumentando in proporzione che più s’avvicinasse l’epoca dell’ultima estrazione. In fin dei conti poi sarà sempre meglio, pensavo tra me, acquistare 50 fiorini certi, che 100 incerti, o (per dir una verità più solenne) nulla; giacché se si continua a contrarre nuovi prestiti per supplire al deficit annuo, s’arriverà finalmente al punto fatale in cui non si potranno più pagare né interessi, né capitali.

Con questo progetto di riforma in tasca montai in cocchio per recarmi dai miei colleghi, ma appena sortito in istrada le acclamazioni popolari mi assordavano, tal chè il susurro mi svegliò …… era il mio Faustino che tossiva tanto da soffocarsi.

Pubblico questo mio sogno per mostrare a confusione de’ miei avversari politici, che osano chiamarmi ribelle, ch’io penso al benessere dello stato anche quando dormo, e lo pubblico senza timore d’inciampare in qualche processo, perché, letti, e riletti i paragrafi provvisori contro l’abuso della stampa, non trovai nessuna disposizione provisoria contro i sogni.

 

 [ Figura 2 - vedi allegato]

 

Il vostro giovine cavalleresco Monarca

 

Il 31 ottobre del 1850 questo sogno permette di manifestare un pensiero politico libero dalla censura imposta alla stampa, sotto severo controllo dopo i recenti moti europei.[9]  Ed è un sogno di vittoria, anche economica.

Il tema principale è infatti il problema finanziario che opprime la quotidianità e impegna pure la creatività onirica. Anzitutto il protagonista, che viene da sud, cioè dalla Carinzia, entra in una Vienna festante sopra un cocchio trainato da quattro cavalli «superbi». È un giorno di trionfo per la democrazia che abbandona «un ministero retrogrado», ricordato dal canto solenne del Requiem - composizione in memoria dei morti. Il racconto pone dunque da subito l’antitesi tra passato e futuro, morte e vita, reazionario e democratico; e il sognatore agisce da protagonista del cambiamento politico. Anche l’immagine dei quattro cavalli che guidano il cocchio è fortemente simbolica perché essi potrebbero essere identificati in Messenhausen, Jellineck, Becker e Blum, cioè negli eroi dei moti di Vienna del 1848, modello a cui l’autore vuole aspirare. Egli stesso, dopo averli nominati, sottolinea l’incongruenza del sogno con la realtà: i quattro personaggi al momento del sogno erano già giustiziati («decorati con polvere e piombo»), ma l’autore sottintende che essi vivono grazie a ideali tanto forti da sconfiggere la morte.

Il numero quattro sembra avere una grande importanza: quattro sono i cavalli, quattro i modelli da seguire e quattro i popoli da liberare (Tedeschi, Slavi, Magiari e Italiani) e da «conciliare fra loro in modo stabile […] mostrando chiaro, come due, e due fanno quattro».

Ben presto, tra le quattro guide rivoluzionarie, emerge la figura politica di Robert Blum, liberale e nazionalista cattolico tedesco, che presiede quella che sembra essere un’assemblea costituente, pronta a concedere l’indipendenza ai popoli dell’Impero e a immaginare una «grande confederazione europea» sul modello statunitense.

Proprio Blum affida al sognatore il compito di proporre un piano per le finanze; egli accetta per «amor patrio», non certo per scelta («chi tardi arriva male alloggia»). Infatti, si trova impreparato sull’argomento (anche se, prima di addormentarsi, stava leggendo le «considerazioni» finanziarie di un certo Dr. Esterle, giudicate tragiche) e decide di colmare la lacuna andando all’ufficio delle finanze. Qui l’«orrore» della situazione viene confermato: mancano beni e ricchezze, abbonda solo la carta, strumento poco utile in situazioni di censura.

Alla luce dei fatti e di un pensiero razionale, in cui si riconosce lo stile illuminista, il Dr. Perroni (così si firma l’autore del sogno “Dottore Perroni inventò”) si propone tre obiettivi: diminuire le uscite, aumentare le entrate e pagare il debito pubblico per intero. Per realizzare il suo piano, Perroni intende procedere in tre direzioni: 1. limitare le spese militari; 2. confiscare i beni ecclesiastici (riducendo al minimo pure i vitalizi per i religiosi che, d’altronde, dovrebbero seguire la disciplina dell’astinenza...); 3. utilizzare una valuta simbolica per estinguere il debito grazie a un’ingegnosa e avanguardistica proposta così commentata dal sognatore: «sarà sempre meglio, pensavo tra me, acquistare 50 fiorini certi, che 100 incerti».

Con questo sogno nel sogno, l’autore ritorna sul cocchio dell’inizio, secondo uno schema narrativo circolare; ma lungo le strade cittadine viene svegliato dal frastuono della popolazione ancora in festa; o meglio, nella realtà, dalla tosse rumorosa di Faustino (un figlio, probabilmente). Forse questo nome allude al Faust di Goethe[10], personaggio che vende l’anima a Mefistofele in cambio di beni materiali e piacere. L’autore potrebbe, così, voler suggerire il pericolo del ruolo che gli è stato affidato: nel momento in cui si pensa al bene di una società, di un governo, di un popolo, c’è sempre il rischio di “vendere l’anima”, cioè di essere corrotti da abusi di potere e realizzazioni egoistiche. E Faust sarebbe il simbolo di questa ambivalenza poiché, nel momento in cui muore, la sua anima sale verso l’alto per il costante impegno che ha pur sempre dedicato alla società. Analogamente, il Dr. Perroni sottolinea nella conclusione che, nonostante sia indicato come ribelle per le sue idee politiche, egli pensa «al benessere dello Stato» anche quando riposa e sogna.

Forse, nella conclusione dell’articolo, si può trarre anche qualche spunto per interpretare i possibili significati del titolo del giornale «politico-satirico»: «malintenzionato» è chi stigmatizza come ribellione l’impegno per il bene dello Stato; e, ancora, chi rinuncia a lavorare per il cambiamento, magari con il pretesto della censura. E infine: malintenzionato sarebbe anche chi criticasse lo spazio vuoto di un «dipinto a fresco», sarcasticamente attribuito a Raffaello, che dovrebbe rappresentare le vittorie riportare da Sua Maestà Apostolica, cioè da Ferdinando I d’Austria. Si può forse prendersela con sogni e altre immagini inesistenti?

 

3. Un bilancio provvisorio di Lucia Rodler

La lettura critica compiuta da Miriam Mezzena e Giulia Orlandi in occasione di un percorso di tirocinio del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive dell’Università di Trento merita di essere valorizzato per una serie di ragioni:

a. Giulia e Miriam hanno fatto esperienza di quella convergenza tra le discipline di cui ha parlato ottimamente Remo Ceserani una decina di anni fa; e proprio in un settore, quello delle scienze cognitive, che il critico letterario vedeva ancora piuttosto chiuso alle intersezioni con la letteratura.[11] L’attenzione che Giulia ha posto alla deformazione e Miriam al sogno mostrano una sensibilità verso temi e questioni che interessano anche o forse soprattutto indagini non letterarie;

b. Giulia e Miriam hanno letto testi inediti, depositati in buste di archivi ancora in parte inesplorati. E l’entusiasmo con cui Giulia e Miriam hanno esplorato l’Archivio diocesano di Trento, con la guida di professionisti competenti, suggerisce il fatto che “avere memoria” significa ricercare, leggere, studiare per integrare l’”essere memoria” individuale e privato con una dimensione pubblica, storica e sociale;

c. Giulia e Miriam hanno così incontrato la scrittura umoristica dell’Ottocento,[12] con l’interazione tra testo e immagine e tra verso e prosa; il linguaggio allusivo e plurilinguistico; i punti di vista straniati e i finali aperti; la mescolanza tra serio e faceto, tra componente storico-politica e componente scherzosa; l’invito a lettori/trici alla cooperazione testuale; insomma una serie di strategie testuali che mostrano la competenza letteraria dei redattori dei giornali satirici trentini;

d. Giulia e Miriam hanno infine sollecitato nuove ricerche sulla cultura politica di una delle periferie più inquiete dell’Impero austro-ungarico: quali e quanti salotti benestanti e colti parlano di politica e, nella amarezza del post 1848, evadono dalla realtà per sorridere insieme dentro a un mondo di finzione? Quali e quanti stili di scrittura sono impiegati per parlare di attualità? Quali e quanti di questi documenti sono rimasti manoscritti negli archivi? Quali sono le fonti ispiratrici dei giornali trentini? Queste sono alcune questioni di storia della cultura che i documenti di archivio permettono di sollevare, anche grazie alla curiosità di giovani ricercatori/trici dagli interessi trans-disciplinari.

 

4. Il fondo archivistico di provenienza di Katia Pizzini

La documentazione presa in esame da Giulia e Miriam è stata tratta da un fondo documentario familiare depositato presso l’Archivio Diocesano Tridentino. Si tratta dell’archivio di famiglia dei conti Alberti-Poja, casato trentino che diede anche un principe vescovo alla diocesi locale. Stirpe originaria del piccolo paese di Poia, nelle Giudicarie, si trasferì a Trento nella metà del XVI secolo con Alberto, “doctor utriusque iuris”. Quest’ultimo vide premiati i suoi sforzi di ascesa sociale nel 1558, anno in cui ottenne il diploma di nobiltà dall’imperatore Ferdinando I. Da quel momento in poi furono molti gli esponenti del casato che ricoprirono ruoli importanti in città: notai, consoli, cancellieri vescovili, priori, rappresentanti imperiali, nonché un principe vescovo. Personaggi autorevoli, dunque, che hanno esercitato un influsso profondo sulla politica del loro tempo e che hanno lasciato dietro di sé un’impronta della loro presenza e attività.

Il complesso documentario, di notevoli dimensioni, copre un arco cronologico che si estende dal XIII al XX secolo ed è costituito da varie tipologie: pergamene, epistolari, urbari, carteggi amministrativi etc. L’archivio, ora acquisito tra i fondi dell’Archivio diocesano, non è ancora stato oggetto di un vero progetto di riordino e inventariazione, se si esclude l’organizzazione data dall’ultimo discendente, Aldo Alberti Poja, nei primi decenni del Novecento. Sicuramente poter disporre di strumenti di corredo puntuali permetterebbe di valorizzare al meglio il materiale archivistico, ciononostante, alcune singole unità sono state nel tempo oggetto di consultazione, per lo studio di alcune singole personalità appartenenti alla famiglia, in primis il principe vescovo Francesco (1610-1689).

Considerato il percorso di studio di Giulia e Miriam è stata scelta per loro una busta miscellanea di carteggio che, sebbene non presenti indizi che aiutino ad accertare il nome del produttore, conteneva un fascicolo di documenti, catalogati appunto come “Scritti politici e scherzi”, che già ad un primo sguardo lasciavano intuire vari livelli di approfondimento. Carte riunire in una busta, identificata soltanto da un numero progressivo e senza titolo, mescolate ad altre di argomento molto diverso, che essendo in apparenza senza reale valore storico, forse sono state quasi conservate per sbaglio. Testimonianze di un divertimento erudito che spesso trovano custodia soltanto all’interno degli archivi di famiglia, un tempo relegati in piano secondario, oggi invece considerati veri scrigni di memorie personali e biografiche dalle mille sfaccettature. Riamane aperta la ricerca dell’autore (o degli autori) di tali scritti, ma questi inediti evidenziano, ancora una volta, la forte partecipazione, anche emotiva, agli eventi contemporanei che la nobiltà trentina di metà Ottocento condivideva nei propri salotti, anche in forma ludica e satirica.

 

[ Figura 3 - vedi allegato]

 

Pubblicato il 24/12/2021

 


[1] Il Charivari di Oveno, in Archivio Diocesano Tridentino, fondo famiglia Alberti Poja, busta III., fasc. “Scritti vari di amici, scherzi etc.”

[2] Cfr. Charivari, in Storicamente, https://storicamente.org/scelta_del_coniuge_link2 (consultato il 9 giugno 2021).

[3] Cfr. A. Guadagnoli, Musica e Amore, Nistri, Pisa, 1828, p. 5.

[4] (*) Denominazione etrusca di Sopramonte.                             

[5] Non è possibile sciogliere le inziali che forse identificano un nome proprio.

[6] Sui personaggi cfr. https://www.deutsche-biographie.de/sfz62201.html (ad vocem Wenzel Messenhauser; Hermann Jellineck); https://www.treccani.it/enciclopedia/alfred-julius-becher/  (ad vocem Alfred Julius Becher; Robert Blum).

[7] I sette dolori della libertà austriaca, Archivio Diocesano Tridentino, fondo famiglia Alberti Poja, busta III., cit.

[8] Archivio Diocesano Tridentino, fondo famiglia Alberti Poja, busta III, cit.

[9] «Il Malintenzionato», Archivio Diocesano Tridentino, fondo famiglia Alberti Poja, busta III, cit.  Cfr. Fig. 1.

[10] Cfr. J. W. Goethe, Faust (1831),  https://www.liberliber.it/online/autori/autori-g/johann-wolfgang-von-goethe/faust/ (consultato il 9 giugno 2021).

[11] Cfr. R. Ceserani, Convergenze. Gli strumenti letterari e le altre discipline, Milano, B, Mondadori, 2010, pp. 130-140.

[12] Cfr. G. Alfano, L’umorismo letterario. Una lunga storia europea (secoli XIV-XX), Roma, Carocci, 2016, pp. 243-263.