Lucia Rodler - La sirena di Rodari e la fiducia nelle parole

 

Lucia Rodler

 

La sirena di Rodari e la fiducia nelle parole

 

Ognuno di noi ha in mente almeno una sirena: quelle di Ulisse oppure la Sirenetta di Andersen o la Ariel di Disney[1]. In questa sede desidero segnalare una piccola sirena differente, almeno in parte. La si trova nel bellissimo Meridiano delle opere di Gianni Rodari, curato da Daniela Marcheschi (2020): si intitola La Sirena di Palermo e fa parte della sezione Trovate l’errore del Libro degli errori del 1964[2]. Si tratta di un racconto incantevole, una storia semplice e profonda, come accade sovente in Rodari. Gli argomenti principali sono il ruolo della narrazione, la forza incantatoria e identitaria della parola e la gioia dell’ascolto. La Sirena di Palermo può essere letta in modo diverso da grandi e piccoli e si ricollega alla frase coraggiosa dell’Antefatto della Grammatica della fantasia (1973): «“Tutti gli usi della parola a tutti” mi sembra un buon motto, dal buon suono democratico. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo». Ora, per precisare i nuclei di senso rodariani, conviene ricordare in breve la storia della sirena che ha smarrito la mamma e l’orientamento in mare e che resta impigliata nella rete di un pescatore a cui chiede ospitalità:

 

Una volta un pescatore di Palermo trovò nella rete, insieme ai pesci, una piccola sirena. Si spaventò, e stava per lasciar ricadere la rete in mare, ma si accorse che la sirena piangeva e non ne ebbe più paura. […]

– Portami con te, - disse la sirena. – Io non so dove andare.

- Ti porterei, - rispose il pescatore. – Ma ho già cinque figli da mantenere, la casa è piccola e io guadagno poco.

- Portami con te, - pregò di nuovo la sirena bambina. – Io non occupo molto posto. Ti prometto che starò buona e non avrò quasi mai appetito.

- Sentiremo quando sarà mezzogiorno[3].

 

Esiste anzitutto una particolare sensibilità sociale. L’inizio fiabesco («una volta un pescatore di Palermo») è insieme anche realistico. La vicenda è infatti ambientata tra il mare grande e la casa piccola e brutta di un pescatore che il lettore riconosce povero («guadagno poco»), affamato e impegnato in una quotidianità dignitosa e tuttavia misera (il pescatore vive nel vicolo stretto di un quartiere misero). Eppure – preciseranno le righe seguenti - questo contesto riluce anche di «festosa allegria».

Perciò il lettore condivide la scelta generosa del pescatore che accoglie la piccola sirena nella sua famiglia già numerosa. Avverte infatti una serie di valori etici che costituiscono l’«umanesimo antropologico» di Rodari[4]: da una parte esiste infatti una sirena appena più alta di una bambola, bionda, con occhi buoni e allegri, che piange perché si è smarrita; dall’altra parte c’è il pescatore intimorito e insieme coraggioso dinanzi alla sconosciuta. La paura verso la piccola passa subito; resta invece quella nei confronti dei pregiudizi dei vicini di casa e quartiere (che rappresentano l’«errore» evocato dal titolo della raccolta); e allora, poiché «la gente trova sempre da ridire e da chiacchierare», il pescatore condivide con moglie e figli la seguente decisione:

 

- Faremo così, - disse il pescatore, - le prenderemo una carrozzella, perché deve stare sempre seduta. Le metteremo davanti una coperta e diremo che ha le gambe malate. Diremo che è figlia di un parente di Messina, e che è venuta a stare un po’ con noi.

E così fecero[5].

 

Con la dissimulazione i timori vengono condivisi e superati. E le parole realizzano la libertà (come afferma Rodari nell’Antefatto alla Grammatica della fantasia), cioè in questo caso la solidarietà e l’attenzione verso l’altro. In breve, infatti, donne, giovani e bambini donano affetto a quella che è ormai diventata Marina:

 

Tutti la conoscevano, ormai. Ogni donna che passava, pensando alla sua malattia, si fermava a farle una carezza e le diceva una parola gentile. I giovanotti scherzavano con lei e fingevano di litigare tra loro per sposarla. I figli del pescatore non parlavano che di lei, erano molto orgogliosi della sua bellezza e le portavano le piccole meraviglie che riuscivano a trovare, vagando tutto il giorno per i vicoli[6].

 

La prima parte di La Sirena di Palermo dà forma fiabesca al tema dell’inclusione, assai caro a Rodari. La seconda parte racconta invece la fiducia nella parola e nell’incanto della narrazione: abbiamo accennato a come il pescatore attenui la diversità di Marina, le donne dicano gentilezze e i ragazzi facciano a gara per averla tutta per sé. Ma, a un certo punto, anche la sirena fa sentire la sua voce. Infatti, dopo una serata al teatro dei pupi, che attiva l’intertestualità colta e insieme popolare della tradizione cavalleresca[7],  una Marina felice comincia a raccontare. «Sapeva storie meravigliose» - scrive Rodari – che rammenta la vicenda di Ulisse, capitano «astuto» e curioso che piange ma resiste al canto delle Sirene. E proprio questo esempio veicola anche il ruolo importante dell’ascolto (non per caso Rodari ha parlato nel 1979 di «orecchio acerbo»)[8]. Quali altre storie racconta Marina? Storie «di tutti i popoli e di tutti i tempi» (ecco l’umanesimo antropologico), cioè delle «genti» che avevano raggiunto la Sicilia in terra o in mare nello svolgersi dei secoli (Fenici, Cartaginesi, Greci, Romani, Arabi, Normanni, Francesi, Spagnoli, Italiani), e insieme «storie di pesci, di mostri sepolti negli abissi marini, di navi affondate e spolpate»: insomma vicende di realtà e fantasia, come è nella cultura orale[9].

In questo modo Rodari accompagna il lettore alla fine del racconto. Tutti gli elementi della narrazione ritornano: il contesto sociale di povertà; i valori condivisi, cioè la commozione - oggi si direbbe l’empatia - di donne, bambini e vecchi pescatori che riconoscono l’identità nascosta della sirena; e infine la fiducia nella parola raccontata:

 

Intorno alla sua carrozzella, nel povero vicolo, c’era sempre un crocchio di bambini. Sedevano silenziosi sui gradini della casa del pescatore, si accoccolavano sul selciato, spalancavano i loro occhi di carbone e di diamante; e non erano mai stanchi di ascoltare.

Ogni donna che passava si fermava un momento, e quando andava via si asciugava una lacrima.

- Quella bambina è una sirena, - dicevano i vecchi pescatori. – Guardate come ha incantato tutti. È proprio una sirena.

Più nessuno, ormai, pensava a lei come a una povera bambina infelice perché non poteva camminare. La sua voce era chiara e squillante, e nei suoi occhi c’era sempre una luce di festa[10].

 

Così la parola azzera le diversità perché nessun lettore ricorda che Marina non può camminare: ecco dunque il senso dell’affermazione «perché nessuno sia schiavo». E ancora la parola dà gioia a chi racconta e a chi ascolta, soprattutto quando consente di superare i pregiudizi: l’agnizione finale, inaspettata e suggestiva, dei vecchi pescatori veicola il sogno di quel mondo migliore di cui Rodari fantasticava nell’auto-recensione pubblicata su «Noi Donne» il 9 aprile 1964:

 

basta allungare la mano e volere e il mondo diventerà più abitabile.  Già si sa che una volta la terra era tutta sbagliata: c’erano i fiumi e non c’erano i ponti per passarli, c’erano montagne e non c’erano né strade né gallerie, e non c’erano nemmeno scarpe per non pungersi i piedi. Col coraggio e la buona voglia, gli uomini hanno rimediato a tanti errori; ma ne restano ancora parecchi, dovrete dare una mano anche voi a correggerli[11].

 

Come i pescatori in ascolto della piccola sirena di Palermo, così anche i lettori dei racconti di Rodari possono facilmente inventare rimedi agli errori della realtà: basta avere «voglia di rimboccar[si] le maniche». La speranza in un mondo migliore cresce anche grazie alle parole.

 

 

27 aprile 2021



[1] Su questa figura importante in letteratura, arte e filosofia, cfr. R. Boccali, S. Moretti, S. Zangrandi, La sirena in figura. Forse del mito tra arte, filosofia e letteratura, Patron, Bologna, 2017; E. Moro, Sirene, il Mulino, Bologna, 2019.

[2] G. Rodari, La Sirena di Palermo, in Id., Opere, a cura di D. Marcheschi, Mondadori, Milano, 2020, pp. 204-207, e p. 1671: con il titolo La piccola sirena il racconto esce una prima volta sul «Corriere dei piccoli» del 3 febbraio 1963.

[3] Ivi, pp. 204-205.

[4] Cfr. D. Marcheschi, Gianni Rodari: parole, giochi e scritture per grandi e piccoli, in G. Rodari, Opere, cit., p. XXV.

[5] G. Rodari, Opere, cit., pp. 205-206.

[6] Ivi, p. 206.

[7] A proposito di teatro, vale la pena ricordare che nel 2004 il regista Roberto Gandini ha tratto una pièce teatrale da La Sirena di Palermo per il Teatro India di Roma.

[8] G. Rodari, Un signore maturo con un orecchio acerbo, in Id., Opere, cit., pp. 245-6: il testo esce nella raccolta Parole per giocare (Manzuoli, Firenze, 1979).

[9] G. Rodari, Opere, cit., p. 207.

[10] Ibidem.

[11] Cfr. Scritti di Gianni Rodari su quotidiani e periodici, Orvieto, Centro studi Gianni Rodari, 1991, p. 51.