Valeria Pilone - Canone scolastico e scrittrici

Una riflessione didattica e civica

 

Gli anni di esperienza come docente di materie letterarie nella scuola superiore hanno sollecitato in me una riflessione, certamente didattica ma anche civica, sul tema del canone scolastico in rapporto alle scrittrici, ovvero all’inclusione delle autrici all’interno di esso. È, in realtà, un tema recentemente assai dibattuto, su cui molto ci si interroga, che coinvolge soprattutto una riflessione sul rapporto che intercorre tra il concetto di canone e la definizione di classico. Non può non tornare subito alla mente la definizione che al concetto assegnava Calvino nel saggio Perché leggere i classici, quando scriveva che «i classici servono a capire chi siamo e dove siamo arrivati»: in quella seconda parte della domanda implicita («dove siamo arrivati»), a mio avviso, risiedono i fondamenti per una corretta discussione sul canone letterario.

 

Se è vero – come noi intendiamo – che il canone è una sorta di contenitore all’interno del quale collochiamo grandi classici della letteratura, quelli che da sempre, secondo la tradizione, riteniamo essere grandi opere che, imprescindibilmente, noi e i nostri studenti e studentesse dobbiamo conoscere e con le quali entrare in relazione, è anche vero che – tenendo conto della definizione di Calvino – il classico deve interrogarci su chi siamo e dove siamo arrivati; dunque, alla luce di ciò, diviene ancora più importante che un canone non possa escludere le scrittrici, non possa più marginalizzare le autrici. Seppur è vero che ci sono tanti studi e tanto fermento sul tema delle donne e delle scrittrici, per ciò che personalmente osservo nella prassi didattica quotidiana, in realtà, c’è ancora tanta strada da percorrere in tal senso.

 

Proprio a tal proposito, un’altra domanda che sarebbe opportuno porsi è se il canone debba essere statico o dinamico. Romano Luperini ha scritto: «La memoria, sia dell’individuo che della società, è sempre selettiva. Il canone esprime appunto tale memoria. Perciò non è mai statico, ma si presenta in continuo divenire. Come la memoria, è il risultato dinamico di un processo inarrestabile di riassestamento. Ogni comunità è infatti attraversata da un incessante conflitto delle interpretazioni che ne modifica, nel contempo, l’immagine e l’identità presenti e quelle passate. Il rapporto passato-presente non è mai definito una volta per tutte, ma subisce in ogni momento profonde trasformazioni che modificano il bilancio del passato» (Luperini, Il canone del Novecento e le istituzioni educative, in http://www3.unisi.it/ricerca/prog/canone/can/Luperini1.htm). Il canone, dunque, esprime tale memoria individuale e collettiva, per cui risulta essere selettivo e mai statico: come la memoria, anche il canone è il risultato dinamico di un processo inarrestabile di riassestamento della comunità. Risulta molto interessante l’assunto finale del passo riportato: «Il rapporto passato-presente – scrive Luperini – non è mai definito una volta per tutte, ma subisce in ogni momento profonde trasformazioni che modificano il bilancio del passato». Credo che questa definizione, unita alle riflessioni iniziali, sia molto significativa, perché vuol dire che il canone non può essere uno strumento statico, ma deve in qualche maniera essere flessibile e adattarsi alle trasformazioni che continuamente modificano il nostro rapporto col passato, per cui sempre più dovremmo sentire l’urgenza come insegnanti di includere maggiormente le scrittrici all’interno dei canoni e delle programmazioni. Va aggiunto che il tema del canone ci interroga in maniera viva come docenti di humanae litterae, perché credo che non dovremmo mai dimenticare che i docenti sono intellettuali a tutti gli effetti della società, come ricorda anche Massimiliano Tortora in un volume recente dal titolo Il lavoro dell’insegnante. La letteratura in classe: siamo intellettuali a tutti gli effetti perché ogni giorno, nella prassi quotidiana della didattica, concretamente operiamo delle scelte stabilendo un canone da condividere con i nostri studenti e le nostre studentesse.

 

Il mondo universitario si interroga molto su queste tematiche. A solo scopo esemplificativo, si ricordano tre convegni. Il primo è Fuori programma. Scrittrici italiane dal Novecento a oggi, realizzato dall’Associazione Zefiro di Monza, in collaborazione e con il patrocinio del Collegio Ghislieri di Pavia, tenutosi nelle giornate del 12 e 13 maggio 2022, al quale ho personalmente partecipato. Introdotto dal professor Pietro Cataldi (la cui relazione si intitolava proprio Cambiare prospettiva. La letteratura delle donne), il convegno affrontava, attraverso i vari interventi, l’approfondimento di diverse scrittrici italiane dall’inizio del Novecento fino ai nostri giorni (con un intervento sulla scrittura di Elena Ferrante). Gli altri due convegni sono stati organizzati dall’ADI, in particolare dal gruppo di ricerca “Studi delle donne nella letteratura italiana”, il primo si è tenuto alla fine del 2021 e il secondo nel 2022. Gli atti di questi lavori congressuali sono fruibili gratuitamente in rete, scaricabili dal sito dell’ADI, strumento prezioso per gli insegnanti che possono accedere a documenti interessanti per l’aggiornamento e la continua autoformazione. Sono relazioni ricche di spunti, che affrontano l’analisi di diverse figure di scrittrici, sia narratrici che poetesse, e che dispongono il lettore anche in una certa dialettica, in quanto alcune delle argomentazioni in esse contenute potrebbero suscitare interrogativi e dissenso, come è giusto che sia in una comunità di intellettuali.

 

A tal proposito, nell’approfondire recentemente ina delle mie classi la novella di Boccaccio Madonna Filippa, mi sono imbattuta in un contributo di Gabriele Baldassari, Per Madonna Filippa (in Natura Società Letteratura, Atti del XXII Congresso dell’ADI – Bologna, 13-15 settembre 2018), contenente un’analisi molto interessante del personaggio di Madonna Filippa. Un lavoro, quello di Baldassari, che propone in incipit una interessante considerazione:

 

Pur non essendo tra le più note novelle del Decameron, forse perché difficilmente potrebbe entrare nel canone scolastico, la novella di madonna Filippa (Dec. VI 7) è sicuramente una delle più interessanti della raccolta.

 

Mi sono chiesta come mai Baldassari asserisce che forse questa novella potrebbe difficilmente entrare nel canone scolastico. In realtà, la storia di questa novella è estremamente interessante perché, al di là della precipua questione dell’adulterio, si osserva in essa un meccanismo sociale che si modifica sulla base del comportamento arguto di Filippa, che, con la sua capacità di sapersi difendere con il sapiente uso della parola, induce la città di Prato a modificare il suo statuto (il quale prevedeva – come ricordiamo – la condanna al rogo delle donne che si macchiavano del peccato di adulterio). Lo stesso Boccaccio fa dire alla protagonista che le donne, di fatto, non hanno partecipato alla redazione di tale legge, sono stati i soli uomini che hanno scelto e scolpito nello statuto le norme per tutti, uomini e donne. Tale racconto dovrebbe essere letto in classe proprio in ottica di genere e stimolare una discussione che porti a un confronto con il nostro mondo contemporaneo, in cui le situazioni non sembrano poi del tutto essere cambiate. Si ricorderanno, infatti, a titolo esemplificativo, due situazioni recenti. La prima è stata il rinnovo del Consiglio di amministrazione dell’AIFA il 17 aprile 2024, la cui foto in rete mostra un colpo d’occhio eloquente: sono tutti uomini, riuniti intorno a un tavolo, a ricoprire un ruolo lavorativo apicale. La seconda situazione risale al 18 aprile dello stesso anno (verrebbe quasi da dire una dopo l’altra), relativa a una puntata del programma televisivo “Porta a porta”, che ha innescato un’accesa polemica rimbalzata sui giornali e sui social: quella sera si parlava dell’aborto e di un emendamento proposto dal partito Fratelli d’Italia da inserire in un decreto PNRR per l’inserimento degli antiabortisti di Pro Vita all’interno dei consultori. Il fotogramma della serata è altrettanto emblematico quanto quello che ritraeva il CdA dell’AIFA: il consesso radunato da Bruno Vespa è tutto maschile, anche se il tema trattato riguardava il corpo delle donne. Dunque, a maggior ragione, la novella di Madonna Filippa dovrebbe entrare nel canone scolastico ed essere letta in classe, perché può aprire un varco di dialogo intergenerazionale con i nostri studenti e studentesse proprio in virtù delle considerazioni di Romano Luperini inizialmente condivise.

 

Come già evidenziato, il mondo universitario si interroga su questi aspetti. E la scuola cosa fa? Prima di lanciarsi nella creazione di ricette preconfezionate da avere a portata di mano per la risoluzione dei problemi, consapevoli che esse non esistono, basterà solo sfogliare alcuni dei manuali di storia letteraria che sono certamente capitati tra le mani di tutti noi docenti addetti ai lavori in questi ultimi anni. A mo’ di mero esempio e osservando solo la parte relativa al Novecento, si riscontra la presenza di un cospicuo numero di autori a fronte di un esiguo numero di autrici, nello specifico:

 

  • Baldi, Classici nostri contemporanei, Novecento: 101 autori e 8 autrici
  • Luperini, Noi e la letteratura, vol. 3B (dal 1925 ai nostri giorni): 44 autori, 8 autrici
  • Terrile-Biglia, Una grande esperienza di sé, vol. 6, (il Novecento e gli anni Duemila): 48 autori, 6 autrici.

 

Stupisce in positivo il Ferroni, Se tu segui tua stella, vol. 3C (dal primo dopoguerra agli anni Duemila), con 57 autori, 15 autrici, tra cui Alba De Céspedes, Mariangela Gualtieri, Melania Mazzucco, che personalmente non mi sembra di avere visto in altri manuali di storia della letteratura per il triennio della scuola superiore (non ho verificato se si queste autrici ci siano tracce nelle antologie per il biennio).

Anche un’analisi degli autori/autrici proposti nell’esame di stato rivela una analoga mancanza della rappresnetanza femminile.

Se si osservano i dati relativi alla sola tipologia A (analisi del testo letterario), ci si presenta questa fotografia (il salto temporale è dovuto al COVID, per cui negli anni 2019/2020 e 2020/2021 la prova scritta era stata sospesa):

 

a.s. 2024/2025: Pasolini, Tomasi di Lampedusa

a.s. 2023/2024: Ungaretti, Pirandello

a.s. 2022/2023: Quasimodo, Moravia

a.s. 2021/2022: Montale, Pirandello

a.s. 2018/2019: Ungaretti, Sciascia

a.s. 2004/2005: Dante

a.s. 2005/2006: Ungaretti

a.s. 2006/2007: Dante

a.s. 2007/2008: Montale

a.s. 2008/2009: Svevo

a.s. 2009/2010: Levi

a.s. 2010/2011: Ungaretti

a.s. 2011/2012: Montale

a.s. 2012/2013: Magris

a.s. 2013/2014: Quasimodo

a.s. 2014/2015: Calvino

a.s. 2015/2016: Eco

a.s. 2016/2017: Caproni

a.s. 2017/2018: Bassani.

 

Anche in questo caso il colpo d’occhio appare eloquente: mettendo tutti gli autori in fila, non ci sono scrittrici a fronte – è bene ribadirlo – di grandi pietre miliari della nostra storia culturale, scrittori di cui assolutamente non possiamo fare a meno, perché rappresentano la nostra tradizione, la nostra identità culturale. Però da docente occorre – a mio avviso – provare a mettersi dalla parte degli studenti e delle studentesse e interrogarsi seriamente: una così pervasiva e totalizzante presenza maschile tra gli scrittori proposti quale immagine produce nella mente degli studenti e delle studentesse? È come se stessimo comunicando ai giovani – e specialmente alle ragazze – intenti a studiare testi per sostenere una prova molto importante, che di fatto la storia della letteratura è stata scritta solo da uomini e che non esiste traccia delle donne, come se la visione del femminile fosse totalmente scomparsa. Per altro tutti gli autori di cui si è fornita sopra una lista, offrendo uno sguardo sul femminile che è ovviamente legato al tempo in cui hanno vissuto, potrebbero essere proficuamente (in un’ottica realmente critica ed educativa) affiancati a voci di donne, tutt’altro che assenti nella lettertaura dell’ultimo secolo.

Ecco perché questa situazione chiama, soprattutto docenti e intellettuali, ad un’assunzione di responsabilità nella trasmissione del patrimonio culturale e nella costruzione di un immaginario con cui giovani generazioni costruiscono le loro identità.

 

Occorrerebbe navigare tra libri e pubblicazioni che potrebbero fungere da illuminanti provocazioni, direi, che inducano ad aprirsi a innovazioni del canone scolastico. Alcuni testi (anche in questo caso citati esemplificativamente) mi hanno personalmente guidato nella fitta rete di stimoli e risorse. Uno di essi è Controcanone di Johnny L. Bertolio, edito da Loescher, un volume interessante, un utile strumento costruito tutto sulla didattica scolastica, essendo un manuale che segue le scansioni temporali e le metodologie di analisi scolastiche dei testi, arricchito dalla presenza di molte scrittrici di secoli precedenti all’età contemporanea. Un altro testo interessante è il volume Parole d’altro genere a cura della sociolinguista Vera Gheno, una corposa antologia di testi di molte scrittrici, spaziando da Saffo fino ai nostri giorni, con respiro nazionale e internazionale. Il volume risulta interessante perché nelle note di curatela ci sono diversi consigli di lettura abbinati ai temi che ogni testo propone: da essi si possono ricavare anche percorsi interessanti per l’educazione civica o per l’orientamento, di cui occorre appropriarsi a scuola per arricchire tali percorsi (ahimè obbligati) di contenuti culturali di senso piuttosto che di attività sterili e fini a sé stesse, spesso demandate a enti e associazioni private, con tutto ciò che questo comporta (un altro importante argomento di discussione sulla scuola odierna che merita uno spazio a sé).

L’ultimo volume a cui penso è forse il più provocatorio ed è Per una nuova storia letteraria di Federico Sanguineti (purtroppo recentemente scomparso). È un volume molto interessante che con uno stile pungente e non privo di veri e propri strali velenosi, propone una critica radicale della modalità di costruzione della storia letteraria a partire da De Sanctis. Sanguineti denuncia così l'ideologia romantico-borghese che ha costruito la propria storia di fatto cancellando l’operato delle donne che avevano influenzato la scrittura degli uomini. Tra gli esempi meritevoli di attenzione un testo come l’Ultimo canto di Saffo di Leopardi, dove viene riecheggiato un verso della poetessa Petronilla Paolini Massimi (Placida notte). Una pagina che, secondo Sanguineti, costituisce una sorta di ipotesto ‘necessario’; se Petronilla (1663-1726) non avesse scritto quei versi, probabilmente Leopardi non ci avrebbe regalato l’Ultimo canto di Saffo. Quelle di Sanguineti sono affermazioni spesso volutamente provocatorie (a cominciare dal termine incisivo ed efficace di “ginocidio culturale”), ma hanno a mio avviso il merito di porre domande radicali e ultimative, accompagnandole con lo spirito di ricerca e con l’accuratezza filologica propria di uno studioso di valore.

 

Sulla scorta del lavoro di Sanguineti e tenendo presenti le molteplici modalità che si potrebbero adottare per introdurre le scrittrici nella didattica in classe, si può provare a lavorare anche sulla comparazione tra testi. Leggendo, ad esempio, una poesia di Antonia Pozzi che risale al 1934 e confrontandola con una poesia – ben più famosa – di Eugenio Montale, risalente al 1979, si può osservare come il poeta ligure abbia un debito nei confronti di Pozzi: Ho tanta fede in te. Mi sembra / che saprei aspettare la tua voce / in silenzio, per secoli / di oscurità. (Pozzi). Ho tanta fede in te che durerà / (è la sciocchezza che ti dissi un giorno) / finché un lampo d’oltremondo distrugga / quell’immenso cascame in cui viviamo. (Montale, Altri versi e poesie disperse, 1981). Il verso incipitario nella lirica montaliana è chiaramente una ripresa del verso della poetessa milanese. Non solo: ravviserei una ripresa anche nell’accenno all’«oscurità» del mondo, che in Montale diventa «immenso cascame in cui viviamo». Eppure, se si digita il titolo della poesia su un motore di ricerca web, la maggior parte dei siti rimandano al poeta premio Nobel. L’accostamento non è pretestuoso, perché si ricorderà che Eugenio Montale fu l’unico intellettuale italiano ad aver espresso apprezzamento per la giovane dimenticata poetessa milanese: nel 1949 egli aveva scritto una prefazione a quella che era stata la prima edizione delle poesie di Antonia Pozzi, elogiandone l’intimità e il lirismo. Pozzi è l’ennesima scrittrice che, personalmente, non ho mai visto nemmeno citata nei manuali di storia letteraria per il triennio della scuola superiore: si trovano cenni nelle antologie per il biennio, ma di fatto siamo di fronte all’ennesimo caso di donna cancellata dall’oblio della Storia, complice anche il padre che, dopo il suicidio di Antonia, distrusse le poesie della figlia dalle quali emergeva la relazione con il suo professore di greco e latino Antonio Maria Cervi, anagraficamente molto più grande di lei, relazione osteggiata da sempre dalla famiglia della poetessa perché considerata scandalosa. Questo dimostra anche come dietro queste figure femminili, dietro queste vite, questi corpi, si celino storie di vera e propria violenza culturale.

 

Alla luce di queste riflessioni, credo si possa affermare che ripensare il canone significa dotarsi di un valido strumento di emancipazione culturale. Nello scorso anno scolastico, rileggendo l’Orlando furioso con una classe quarta, ho riflettuto – e invitato i miei studenti a fare altrettanto – sui versi dell’ottava 58 del primo canto: «Corrò la fresca e matutina rosa, / che, tardando, stagion perder potria. / So ben ch’a donna non si può far cosa / che piú soave e piú piacevol sia, / ancor che se ne mostri disdegnosa, / e talor mesta e flebil se ne stia: / non starò per repulsa o finto sdegno, / ch’io non adombri e incarni il mio disegno». Sono le parole di Sacripante che si prepara al «dolce assalto» di Angelica: sostanzialmente il saraceno afferma di sapere benissimo che la donna, anche se all’inizio si mostra ritrosa, in realtà poi proverà certamente piacere a essere “assaltata”, ovvero stuprata. Compiendo un salto temporale, udiamo l’eco di queste parole riecheggiare nel monologo Lo stupro di Franca Rame, vittima di uno stupro di matrice neofascista nel 1973. Nel dialogo che lei porta in scena, le parole di Sacripante ritornano tristemente a mente: «MEDICO – Dica, signorina, o signora, durante l’aggressione lei ha provato solo disgusto o anche un certo piacere, una inconscia soddisfazione? POLIZIOTTO – Non s’è sentita lusingata che tanti uomini, quattro mi pare, tutti insieme, la desiderassero tanto, con così dura passione? GIUDICE – È rimasta sempre passiva o ad un certo punto ha partecipato?».

 

Nei giorni in cui a scuola, lo scorso anno, rileggevamo il canto XXIII dell’Orlando furioso, riflettevamo sul passaggio dell’ottava 128 in cui si osserva come nel paladino cristiano sta montando terribilmente il furor, quando Ariosto commenta che «la sua donna ingratissima l’ha ucciso: / sí, mancando di fé, gli ha fatto guerra»: erano i giorni in cui era stata resa pubblica la memoria difensiva di Filippo Turetta, il femminicida di Giulia Cecchettin, in cui a un certo punto scrive: «Nella mia testa non ci sarebbe mai potuta essere una persona diversa da Lei nella mia vita, o Lei o niente... e poi inevitabilmente toglierle la vita...». Impressiona come nella lunga memoria egli non citi mai esplicitamente il nome di Giulia, la sostituisce con il pronome spersonalizzante lei: alla fine l’avverbio inevitabilmente arriva come un pugno in pieno volto, caricato di una storia fatta di secoli e secoli di canone in cui l’idea che viene trasmessa è quella che, in fondo, la morte di una donna ingrata verso chi dice di amarla è un fatto inevitabile.

Ecco, dunque, che il canone – a mio avviso –  non è soltanto un tema di critica o di metodologia letteraria, ma è uno strumento civico che gli insegnanti e le insegnanti come intellettuali della società devono poter padroneggiare, al fine di dare agli studenti e studentesse la prospettiva che il mondo non è stato immaginato, disegnato e costruito soltanto dagli uomini, ma da uomini e donne insieme, non perdendo mai di vista che i giovani con cui a scuola abbiamo il privilegio di entrare in relazione sono i cittadini e le cittadine del futuro.

 

 

14 novembre 2025