HarperCollins, 2020
Destinatari: classi di tutti gli indirizzi di studio del triennio della scuola secondaria di II grado
“Il vero motivo per cui molte persone trovano la parola femminismo spaventosa è che il femminismo è una cosa spaventosa per chiunque goda del privilegio di essere maschio. Il femminismo chiede agli uomini di accettare un mondo in cui non ottengono ossequi speciali semplicemente perché sono nati maschi” (Laurie Penny)
Nel testo proemiale de Le Beatrici, volumetto agile contenente otto monologhi teatrali tutti femminili, Stefano Benni mette in scena un’irriverente Bice Portinari che tenta, con un piglio ironico e dissacrante, di scrollarsi di dosso secoli di divinizzazioni e di proiezioni eteree. Dopo mesi trascorsi a ragionare su donne angelicate e stilizzate, le studentesse (ma anche gli studenti) accolgono questa lettura come una liberazione. Di solito, è l’occasione per avviare una discussione più consapevole sulla divaricazione insanabile tra la donna desumibile dal discorso letterario e la condizione femminile effettiva nella società occidentale di ieri e di oggi (in Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf, questa divaricazione è restituita attraverso una frase lapidaria: «Immaginativamente, la sua importanza [della donna] è estrema; praticamente, la sua insignificanza è totale»).
Le adolescenti sanno di godere di diritti impensabili per l’epoca in cui visse Bice Portinari (prova ne è anche soltanto la loro presenza a scuola, a fronte di generazioni di donne lasciate forzatamente incolte e analfabete), ma, andando più a fondo, confessano di sentire il peso di molti condizionamenti, a cominciare da quelli dipendenti da canoni di bellezza opprimenti e irraggiungibili.
Una pubblicazione recente dalla quale la riflessione didattica sulla parità di genere potrebbe trarre giovamento e rinnovamento è Le ragazze stanno bene, libro scritto a quattro mani da due coetanee omonime, Giulia Cuter e Giulia Perona, già ideatrici del podcast letterario “Senza rossetto”, inaugurato settant’anni dopo il primo ingresso in cabina elettorale da parte delle donne italiane. Le ragazze, comprese le due autrici che nell’introduzione non esitano a riconoscersi «trentenni italiane, bianche, eterosessuali e, certamente, privilegiate» (p. 10), stanno bene, sì, soprattutto in termini di consapevolezza e presa di coscienza dei progressi compiuti grazie alle lotte femministe dei decenni precedenti, ma potrebbero certamente migliorare il loro stato di salute. Il libro ha dunque il pregio di affrontare la condizione femminile con un approccio propositivo e rifiutando i toni vittimistici, rassegnati o esacerbati, pur senza trascurare «ciò che è perfettibile e migliorabile della nostra epoca» (p. 10).
Sono ancora molti, infatti, gli intoppi alla realizzazione di una piena emancipazione sociale e culturale delle donne e attorno a questi intoppi ruota la suddivisione interna del volume: la perpetuazione, attraverso il sistema educativo, di ruoli stereotipati e di discriminazioni di genere; la disparità salariale e la difficoltà ad accedere a incarichi dirigenziali; le pressioni sociali legate al matrimonio, alla maternità, alla cura ossessiva del proprio corpo; una legge sul diritto all’aborto sempre più esautorata dalla pratica ormai diffusissima dell’obiezione di coscienza; il tabù delle mestruazioni e la delegittimazione della discussione politica attorno all’abbattimento dell’Iva sugli assorbenti (ci provò Pippo Civati nel 2016 e divenne immediatamente il bersaglio di sbeffeggiamenti sul Web). Le questioni affrontate nel libro sono supportate da una solida bibliografia e da un ampio corredo di dati, ma il rigore documentaristico non fa di Le ragazze stanno bene un saggio arido e impersonale. Al contrario, si tratta di un racconto in prima persona, poiché la scelta stilistica è stata quella di fondere le voci delle due autrici e le voci raccolte da “Senza rossetto” in un unico io narrante. La prima persona ha ridotto drasticamente la possibilità che l’opera diventasse una lezioncina cattedratica, pedante e retorica sul femminismo ed è un motivo a favore della destinazione del volume a un pubblico di studentesse adolescenti, tra le quali potrebbero facilmente attivarsi meccanismi di empatia, riconoscimento e rispecchiamento nei confronti della giovane protagonista-narratrice.
Ma anche i loro coetanei maschi sono chiamati in causa, sia perché per un ripensamento duraturo dei ruoli di genere è necessario che anche la popolazione maschile sappia identificare criticamente la posizione subalterna e ancillare che la donna ha ricoperto nella Storia, sia perché la «cultura sessista, rigida e binaria» (p. 217) fa un grande torto anche agli uomini, costringendoli a occultare le proprie fragilità, come se fossero qualcosa di ignominioso. Perché i ragazzi stiano bene, bisogna avviare una riflessione profonda e articolata su ciò «di cui la mascolinità patriarcale li sta privando: il diritto alla vulnerabilità e alla gentilezza, la possibilità di scegliere per se stessi senza la pressione delle aspettative sociali che ti vorrebbero bello, di successo, forte, assertivo, invincibile» (pp. 217-218). La ridefinizione dei modelli di genere è, quindi, un percorso che uomini e donne devono compiere congiuntamente. Come osservano Cuter e Perona, la sfida per le nuove generazioni è trovare modalità efficaci «di spiegare a tutti che il femminismo è un dialogo per ridefinire le forme del potere, un percorso da fare insieme verso l’uguaglianza, un processo che non implica rubare i diritti civili a qualcuno per darli agli altri, ma solo estenderli al maggior numero possibile di persone» (p. 213).
La scuola, che finora ha svolto una funzione preminente per la propagazione di condizionamenti sociali e per la perpetuazione di ruoli statici e sessisti (temi su cui si sono interrogate, tra le altre, Elena Gianini Belotti con il saggio Dalla parte delle bambine e Loredana Lipperini in Ancora dalla parte delle bambine, ideale continuazione dell’opera di Belotti), sta lentamente accogliendo le istanze della società civile in favore di «un’educazione più aperta, più equa, più attenta alle minoranze e più inclusiva per le future generazioni» (p. 217). Al momento, a scuola manca quasi del tutto uno spazio apposito per l’educazione sessuale e affettiva: la prima, quando c’è, è improntata su modelli sorpassati che non tengono conto della pervasività del sesso nella vita degli adolescenti di oggi e della loro indubbia “preparazione” sull’argomento; la seconda è pressoché inesistente. Ci si ostina a sottoporre la comunità scolastica a periodici incontri sul bullismo e sul cyberbullismo senza preoccuparsi, però, di andare alla radice di questi fenomeni, che sono sicuramente fomentati dall’ostentazione esasperata della virilità maschile e da una cultura machista fondata sulla prevaricazione e sulla negazione della propria e dell’altrui vulnerabilità.
Tra gli adolescenti sono frequenti gli episodi di revenge porn (vera piaga della vita scolastica, ma su cui si fa spesso una gran confusione, focalizzandosi esclusivamente sugli strumenti che ne garantiscono la messa in pratica e ignorando del tutto le cause culturali soggiacenti: non è, infatti, l’uso generalizzato dei social network e dei programmi di messaggistica a determinare la diffusione facile di immagini e video intimi, quanto piuttosto la persistenza di retaggi dell’oggettificazione sessuale della donna e il disconoscimento del diritto femminile all’autodeterminazione) e di ghosting (la chiusura repentina di una relazione attraverso la semplice sparizione su ogni canale di comunicazione). Inoltre, studenti e studentesse non esitano a riconoscere la forte coercizione che subiscono da parte dell’industria pornografica, che colonizza il loro immaginario erotico con prestazioni sessuali irrealizzabili, fomentando in loro frustrazioni e sentimenti di inadeguatezza.
Rendere gli studenti e le studentesse consapevoli dei propri diritti ma anche delle proprie responsabilità all’interno delle relazioni sentimentali, sessuali e amicali, allenarli a uno sguardo critico verso i ruoli ereditati dalla tradizione e verso i meccanismi culturali che contribuiscono alla loro interiorizzazione, nonché abituarli a un’esternazione serena e consapevole delle proprie emozioni e delle proprie fragilità è un primo passo per far sì che le ragazze e i ragazzi stiano meglio. Parafrasando il passaggio di una canzone di Vasco Brondi intitolata proprio Le ragazze stanno bene, la scuola, accogliendo i bisogni emotivi di alunne e alunni e le spinte sociali per la realizzazione di un sistema educativo che rinunci al culto reazionario della tradizione, deve sforzarsi «di fabbricare quello che verrà | con materiali fragili e preziosi», pur senza sapere, ancora, «come si fa[ccia]».
18 ottobre 2021