Simonetta Teucci - L’insegnamento della letteratura italiana e il 'triennio' superiore

1. Le leggi / 2. Il progetto Brocca / 3. Le indicazioni ministeriali sui programmi / 4. Una riflessione / 5. Considerazioni finali /

La complessità della situazione di crisi generale della letteratura, come Todorov[1] ammonisce, spinge ad un’amara riflessione sull’insegnamento dell’Italiano nel triennio superiore[2], di qualsiasi indirizzo si tratti. Sembra quasi che non sia più importante insegnare a quest’altezza di classi la lingua italiana, correggendo e guidando gli studenti nell’uso corretto del linguaggio, e la letteratura sembra ridursi ad un compendio, spesso il più sintetico possibile, di nozioni, elenchi di opere ed autori che gli studenti conoscono per sentito dire e non perché hanno letto i testi. Il pensiero non può non andare a Mario Lavagetto che nel 2005, in concomitanza con una serie di operazioni editoriali che distribuivano i classici nelle edicole come supplementi o allegati a quotidiani e riviste, affermava che «pensare che i testi parlino da soli, al di là e al fuori di ogni possibile mediazione, è un’idea tanto vecchia quanto ingenua e intimamente balorda: disconosce la storia, disconosce la diversità dei codici e il modificarsi radicale, di secolo in secolo, degli orizzonti di attesa, delle domande che un testo produce e che al testo vengono poste. Dimentica soprattutto che le grandi opere letterarie sono, come ci è stato insegnato, abitate fin nell’intimo delle loro fibre da una critica immanente, che la cifra nel tappeto esiste e che su di essa, sul suo rinvenimento, si gioca la scommessa stessa della letteratura»[3] e criticava tutto uno stuolo di specialisti, docenti universitari che, chiusi nelle torri d’avorio delle loro facoltà, non percepivano la sordità del pubblico, o del pubblico potenziale, non solo e non tanto alla critica letteraria quanto soprattutto alla letteratura.
Analogamente, se pensiamo al programma di Italiano del triennio superiore ed al modo in cui può essere affrontato a scuola, si potrebbe parlare, parafrasando il titolo del saggio di Lavagetto, di ‘eutanasia dell’Italiano’ (inteso come disciplina scolastica). Gli studenti non mostrano interesse per i vari scrittori, i docenti appaiono spesso e volentieri demotivati e frustrati dal dover presentare opere e poetiche a giovani che si sentono lontanissimi dai temi e dalle problematiche trattate da un Boccaccio o da un Ariosto o da un Foscolo e che fanno grande fatica a confrontarsi con una lingua ben lontana da quella semplificata che usano quotidianamente e sentono usare dai loro coetanei e dalla società che li circonda, primi fra tutti i media, in qualsiasi versione siano.
Se poi scendiamo nello specifico e ci chiediamo come viene affrontata la letteratura nel triennio superiore, non solo viene in mente il susseguirsi degli autori che abbiamo studiato nella scuola superiore ed il modo in cui ci sono stati presentati, ma appare ovvio che lo studio della letteratura non possa che essere affrontato cronologicamente, con una scansione che non può essere alterata e con scelte testuali sempre uguali a se stesse. Ma la vita degli uomini cambia e nessun momento è uguale ad un altro; cambiano i meccanismi della società, cambiano le idee ed i modelli culturali. E nella scuola è cambiato il modo di pensare alla didattica e di conseguenza il modo di affrontare lo studio della letteratura e di organizzare la programmazione annuale. Del resto siamo passati, in modo particolare negli ultimi trent’anni, da una riforma all’altra e soprattutto alla trasformazione della scuola da scuola selettiva, che predeterminava le future scelte lavorative, a scuola di massa, che fa rimandare le scelte spesso fino e anche oltre l’università.
Si è iniziato a parlare di curricolo, che comprende sia cosa deve essere studiato sia come lo deve essere ma anche, e forse è l’aspetto più problematico, chi è il soggetto del curricolo: il docente o lo studente? È il singolo alunno o il gruppo-classe? Non si può certo rispondere in modo univoco, in quanto gli elementi sopra indicati sono strettamente relazionati e intrecciati fra loro così che è difficile, se non impossibile, separarli l’uno dall’altro. Tanto è vero che per la scuola si parla di un processo di apprendimento/insegnamento o insegnamento/apprendimento a seconda se si analizza la situazione dal punto di vista degli studenti oppure da quello dei docenti, ma ciò che è inconfutabile è che il rapporto studente-docente è sempre e comunque interattivo, sia che si tratti di scuola del primo ciclo sia che si tratti di Scuola Superiore, per prendere gli estremi del percorso scolastico.
Non intendo affrontare le modalità e le trasformazioni emotive, relazionali e cognitive con le quali gli studenti si confrontano negli anni della scuola inferiore e superiore né gli aspetti squisitamente pedagogici che i docenti si trovano di fronte nei vari livelli scolastici. Eppure sono numerosi e complessi. Mi interessa porre invece l’attenzione sull’ultimo segmento, quello della Scuola Superiore, quando gli studenti hanno già una base di conoscenze e competenze, costruite negli anni scolastici precedenti, e sui programmi d’Italiano sia nelle linee guida ministeriali sia nel loro effettivo svolgimento.
Da non dimenticare un aspetto fondamentale della trasmissione scolastica dei saperi e dell’insegnamento dell’Italiano, inteso come letteratura, e cioè che l’apprendimento è un fatto sociale e la scuola ‘trasmette’ un insieme di conoscenze letterarie che sono storicamente e socialmente consolidate e condivise. Non si può non affrontare lo studio di autori come Petrarca o Ariosto o Manzoni, perché occupano una posizione significativa nello sviluppo della cultura letteraria italiana (e non solo letteraria), e dunque anche in quel ‘sapere condiviso’ che rappresenta un modello culturale di riferimento per tutta la nazione. Fanno cioè parte di quello che definiamo canone, o per meglio dire della nostra tradizione culturale. Il termine ‘canone’, divenuto così importante in particolar modo per la cultura americana, nel caso dell’Italia può essere ‘tradotto’ appunto con tradizione letteraria, perché attraverso i secoli è stata tramandata una serie di scrittori, quelle “itale glorie” di foscoliana memoria, sulle quali si è andata costruendo e articolando nel tempo una tradizione condivisa. Mauro Moretti sottolinea «…si dovrà aggiungere che oltre ad essere affidato alle pagine dei programmi e alla voce degli insegnanti, il compito di ricordare ai giovani i grandi italiani, i nomi attorno ai quali si poteva tentare di costruire una genealogia ed una tradizione (il corsivo è mio) nazionale, fu attribuito alle scuole, ai licei, nella loro materialità»[4], tanto è vero che il R.D. 4 marzo 1865 n. 2229 stabilì che le scuole fossero intitolate ai grandi scrittori d’Italia, come a dire che, scorrendo l’elenco degli Istituti Superiori, possiamo avere ancora oggi una mappa della nostra tradizione letteraria e culturale.
Un’ultima considerazione: il canone, ed il canone scolastico in particolare, non è immobile, ma anch’esso subisce variazioni nel tempo per quello stesso processo di trasformazione che riguarda i singoli individui e la collettività.

 

1. Le leggi

Il DPR 275/99 ha istituito la normativa sull’autonomia scolastica, in base alla quale è possibile modificare la struttura didattico-organizzativa, come ad esempio l’articolazione del monte-ore annuale riservate a ciascuna disciplina, secondo modalità e scansioni diverse dal tradizionale quadro orario settimanale (ex art.4). Tuttavia non sono molte le scuole che hanno reso operativa questa possibilità di flessione consentita dall’autonomia sia per quanto riguarda l’organizzazione oraria sia quella didattica nel senso più stretto del termine, ed in particolare per quanto riguarda la didattica modulare. La programmazione per moduli permetterebbe, per quanto attiene ai programmi di Italiano del triennio superiore, di cambiare l’andamento rigidamente storicistico e rigidamente diacronico e di organizzare percorsi di studio per tema e/o per genere in modo tale da mostrare come ci siano strette correlazioni fra le opere ed il pensiero di autori anche non coevi fra loro e come il rapporto tradizione/innovazione sia una costante non solo nelle opere degli scrittori italiani, ma rappresenti anche uno stretto rapporto con quelli degli altri paesi europei. L’organizzazione modulare consente infatti agli studenti di conseguire non soltanto conoscenze (quelle che tradizionalmente sono state chiamate nozioni e che, fra l’altro, sono ineliminabili nel processo di apprendimento) ma anche (ed è un aspetto molto importante e significativo) competenze, quali il saper individuare quelle caratteristiche di tradizione/innovazione di cui sopra, il saper riflettere sulle influenze delle sollecitazioni sociali e culturali sui vari scrittori, il capire da cosa nascono i movimenti culturali che cambiano con il tempo i codici, le forme ed i temi della letteratura. Dalle competenze infine scaturiscono le capacità, come quella critica, che non riguarda soltanto i testi oggetto di studio e di analisi scolastica, quella creativa (basta pensare all’importanza della scrittura al riguardo) e quella comunicativa, necessaria in qualsiasi ambito della vita.
Nell’ottica dell’autonomia scolastica e dell’applicazione della modularità è possibile inoltre spezzare il gruppo-classe comunemente inteso e formare gruppi aggregativi di studenti in base ai moduli da loro stessi scelti. Ma forse nella nostra scuola questa opzione è ancora utopia. Tuttavia ci potremmo accontentare, e sarebbe già una grande conquista, di applicare la modularità nella scansione programmatica delle singole discipline e cambiare in modo proficuo per gli studenti le modalità per affrontarle.
Il testo di legge al quale la scuola italiana attuale ha fatto finora riferimento porta il nome di Giovanni Gentile e risale al 1923 (i programmi sono del 1928), quando l’interesse era rivolto da una parte alla formazione di una classe dirigente che, passando attraverso i licei, approdava all’università, ad eccezione della Facoltà di Economia e Commercio per la quale erano richiesti studi tecnico-commerciali, e dall’altra alla formazione professionale, che permetteva di accedere ad una professione, appunto, di tipo prevalentemente subordinato o ad una mansione, sempre sottoposta ai quadri dirigenti. Da questo presupposto è scaturita l’articolazione delle varie tipologie di scuola: licei, istituti magistrali, istituti tecnico-commerciali e per geometri, istituti tecnico-industriali, istituti professionali per il commercio, istituti professionali femminili. Dunque una scuola in linea con le esigenze storiche del momento e che aveva una precisa organizzazione elitaria e gerarchica dell’istruzione così come della società da cui nasceva. La discriminante era inoltre rappresentata, già a livello della quinta classe elementare, dallo studio o meno del Latino, presente solo nella Scuola Media, dalla quale si accedeva ai licei e agli istituti magistrali, ma non negli istituti tecnici e nei professionali.
I programmi dei diversi tipi di scuola e dei diversi indirizzi delle scuole superiori presentavano brevi premesse introduttive, che delineavano finalità e criteri metodologici ed i contenuti specifici da affrontare, con l’indicazione, per lo studio della letteratura italiana, delle epoche, dei singoli autori e delle opere che dovevano essere lette. Fino agli anni ‘60/’70 i programmi della Scuola Secondaria di II grado hanno visto qualche variazione, rimanendo sostanzialmente gli stessi. Ma con un problema in più. Se all’inizio del ‘900 parlare di scrittori contemporanei significava far leggere le opere di Pirandello o D’Annunzio, negli anni ‘60/’70 la contemporaneità si era allargata sia in seguito a tutta la produzione degli ultimi cinquanta/sessanta anni sia al riconoscimento del valore di molti scrittori, come Svevo o Calvino, tanto per fare due nomi significativi, sia per le continue e pressanti aperture alla produzione letteraria non italiana.
Il 1969 segnò le innovazioni nell’ordinamento scolastico con la liberalizzazione dell’accesso alle Università da tutti i tipi di scuola superiore, la quinquennalizzazione degli istituti professionali, la riforma sperimentale dell’Esame di Stato, che da temporanea ebbe invece vita ventennale. Rileva Chiosso che «nel caso, ad esempio, degli istituti professionali il proposito fu quello di qualificarli sul piano della formazione culturale generale onde renderli quanto più possibile omogenei agli altri istituti secondari anche a costo di perdere un po' di vista la loro caratterizzazione professionale»[5]. Le innovazioni apportate nel 1969 erano state deliberate nella speranza che si potesse giungere ad una revisione totale dell'istruzione secondaria di II grado ed erano «animate da una logica di tipo licealizzante»[6]. Adeguamenti per l’Italiano e per il Latino furono infine necessari nei programmi del ginnasio e dei licei come conseguenza delle modifiche apportate ai programmi della Scuola Media nel 1977 dalla riforma del suo ordinamento e dall’abolizione definitiva dello studio del latino.
Ma il momento più importante per la scuola italiana fu il 1974, quando furono emanati i Decreti Delegati, DPR n. 419/74, che agli articoli 2 e 3 consentivano forme di mini e di maxi sperimentazione di tipo didattico-metodologico, che di fatto hanno cambiato la faccia della scuola superiore[7]. Più volte, sia nel 1978 sia nel 1984, sembrò che stesse per essere varata una legge organica di riforma, che regolamentasse le varie sperimentazioni della Scuola Secondaria di II grado attuate in vari istituti tramite progetti assistiti. Tali sperimentazioni rappresentavano una specie di ‘adeguamento fisiologico’ della scuola alle istanze sociali e culturali che si erano andate trasformando nel corso degli anni.

 

2. Il progetto Brocca

All’inizio degli anni ’90 la Commissione Brocca cercò di rispondere in modo organico ai cambiamenti avvenuti nella società e nella scuola italiana ed elaborò un progetto di riforma, che riguardava sia gli ordinamenti sia la struttura del sistema scolastico, fra l’altro superando la distinzione istituzionale fra scuola classica e scuola tecnica. Furono stilati i piani di studio ed i programmi per il biennio della Scuola Superiore, presentati nel 1991, e quelli per il triennio nel 1992[8]. Innovativa risulta nel progetto la presenza delle finalità, degli obiettivi, delle scelte metodologiche e dei criteri di valutazione, oltre che della progettazione curricolare e dei suoi contenuti, con l’intento di rendere la scuola più adeguata ai cambiamenti avvenuti nella società ma anche più consapevole degli strumenti e dei metodi da usare. In più, i piani di studio ed i programmi dovevano essere calati nelle realtà delle singole scuole attraverso le programmazioni generali degli istituti e di quelle di ciascun consiglio di classe. Il progetto Brocca in questo modo aprì ai singoli istituti la possibilità di gestire l’autonomia organizzativa e didattica in relazione alla realtà in cui si trovavano ad operare.
Ma se le finalità sono ‘prescrittive’, gli obiettivi invece sono articolati in ‘obiettivi prescrittivi’, che docenti ed alunni devono perseguire, e in ‘obiettivi facoltativi’, che permettono ai docenti di operare delle scelte in base alla realtà scolastica specifica, agli interessi dimostrati dagli studenti e alle sollecitazioni scaturite dai testi e dai temi precedentemente affrontati[9].
Quanto agli obiettivi di apprendimento per l’Italiano nel triennio superiore sono individuati tre ambiti: a) l’analisi e la contestualizzazione dei testi; b) la riflessione sulla letteratura e la sua prospettiva storica; c) le conoscenze e le competenze linguistiche.
Per quanto attiene al punto a), questa tripartizione appare logica a chi, insegnando nel triennio, ha sempre fatto della lettura diretta e dell’analisi dei testi il fulcro dell’insegnamento. Purtroppo risulta pratica ancora oggi piuttosto diffusa il porre l’attenzione solamente sulla storia della letteratura, per così dire ‘raccontata’, senza che tematiche o scelte di genere scaturiscano direttamente dai testi, forse perché nella pratica scolastica si è sempre pensato e ancora si pensa che esista un programma prefissato dall’alto in modo rigido e che sia necessario completarlo nell’arco di un anno scolastico, magari nel modo più veloce possibile. Allora ci si affida a sintesi letterarie, che purtroppo non sono letteratura né nel senso tecnico del termine né in quello reale. Così gli studenti finiscono, nel migliore dei casi, per conoscere le interpretazioni, ad esempio, della poetica di Leopardi, senza avere mai visto e letto un verso delle sue opere.
Invece è da tenere presente quanto viene indicato al punto 2. dell’analisi e contestualizzazione dei testi, che recita che gli studenti devono saper «collocare il testo in un quadro di confronti e relazioni riguardanti: le tradizioni dei codici formali e le “istituzioni letterarie”; altre opere dello stesso o di altri autori, coevi o di altre epoche; altre espressioni artistiche e culturali; il più generale contesto storico del tempo;» e al punto 3., che recita che gli studenti devono saper «mettere in rapporto il testo con le proprie esperienze e la propria sensibilità e formulare un proprio motivato giudizio critico»[10]. Questi obiettivi di competenza, e in senso più lato queste finalità, presuppongono un impegno serio da parte degli studenti del triennio, qualsiasi sia il tipo di scuola e di indirizzo frequentati, mentre la realtà dei fatti ci pone davanti ad una situazione spesso demoralizzante perché i docenti si trovano a doversi relazionare con studenti del tutto o quasi demotivati rispetto alla scuola, allo studio in genere ed in particolare allo studio della letteratura. Gli studenti che sono interessati davvero alla letteratura e allo studio in genere vengono annullati in alcuni tipi di scuole, come gli istituti professionali o industriali, dagli interessi e dagli impegni predominanti delle discipline di indirizzo; pertanto, se coltivano interessi letterari, spesso e volentieri non ne fanno mostra nell’attività scolastica per non diventare oggetto di scherno da parte dei compagni.
Negli attuali Piani di Studio per la Scuola Secondaria Superiore e Programmi del Triennio si legge «La vastità del patrimonio letterario italiano e la pluralità e l’ampiezza degli obiettivi e di conoscenza connessi con lo studio di esso impongono che si dia ordine e dimensione ai contenuti. Tra questi è indispensabile compiere delle scelte, le quali […] richiedono perciò la costruzione di percorsi di studio. Tale costruzione è affidata alla programmazione del docente, il quale trova spazi di libertà nell’organizzare il disegno complessivo […] e nell’individuare in dettaglio gli autori e i testi sui quali si fonda il proprio progetto. In tale disegno devono comunque trovare posto i testi fondamentali della nostra letteratura, i quali costituiscono un patrimonio consolidato di cui va assicurata la conoscenza nelle nuove generazioni. Accanto ad essi, altri testi, di autori italiani e stranieri, dovranno essere presenti per dare consistenza e sviluppo agli itinerari prescelti»[11].
Quindi non programma stabilito in modo teorico e prescritto dall’alto, bensì programmazione redatta dal singolo docente o da gruppi di docenti dei vari corsi presenti nelle singole scuole in base a scelte didattiche e sostenibili da parte di studenti concreti, con una loro individualità e con i loro interessi, inseriti in un curricolo scolastico creato per loro, e che vivono in una precisa e concreta realtà. Credo che l’aggettivo sostenibile sia proprio quello che fa la differenza, cioè che fa capire che sono gli studenti al centro del percorso formativo, al quale concorrono tanti fattori ambientali, dei quali la scuola è solo uno. Non si può fare a meno di tenere in considerazione il mondo che ci circonda, nel senso che circonda docenti e discenti, dal quale provengono sollecitazioni e necessità, cambiamenti di mentalità e di interessi, che non possono non entrare nella scuola e nelle attività scolastiche. Per questo motivo il progetto Brocca in modo oculato suggerisce di affiancare alla lettura e allo studio di scrittori ed opere italiane anche quelli delle letterature straniere[12], il che, in un mondo globalizzato come il nostro, sarebbe il comportamento più ovvio. Purtroppo l’abitudine che la maggior parte dei docenti contrae negli anni di insegnamento fa sì che ci sia una chiusura rispetto al mondo esterno e che lo studio della letteratura italiana sia considerato come estraneo al mondo che si muove intorno a noi e costituito unicamente dal susseguirsi cronologico di autori ed opere.
Pur tuttavia nei Programmi Brocca leggiamo, sempre a pag. 124, «Per le epoche fino all’inizio del Novecento i percorsi devono ( e sottolineo ‘devono’!) comprendere opere – da leggere per parti significative e dove possibile per intero - di Dante, Petrarca e Boccaccio, Machiavelli, Guicciardini, Ariosto, Tasso, Galilei, Goldoni, Alfieri, Parini, Foscolo, Leopardi, Manzoni, Carducci, Pascoli, D’Annunzio, Verga, Pirandello, Svevo». Ci troviamo né più né meno in presenza di un canone, pur sapendo che il canone rimane fisso nel breve periodo, mentre nel lungo periodo subisce quei cambiamenti, dovuti alle variazioni di mentalità, di interessi, in una parola di modelli culturali di cui sopra, o, per dirla con Marx, la sovrastruttura varia con il variare della struttura. Tanto è vero che dal 1992 ad oggi (ma forse lo era anche prima) Carducci è praticamente sparito dalle programmazioni scolastiche, e non solo degli istituti professionali e tecnici; Guicciardini non ha mai suscitato un vasto interesse fra i docenti, forse sulla scorta del giudizio negativo desanctisiano; Galilei viene considerato un autore scientifico e nel migliore dei casi è affrontato nei licei scientifici[13]; Parini è andato progressivamente sparendo. Si è verificata una specie di ‘selezione naturale’, nonostante le indicazioni ministeriali.
Leggiamo ancora nel testo della Commissione Brocca: «Per l’epoca successiva all’inizio del Novecento, alla quale bisogna riservare pari attenzione, non vengono specificati nomi e filoni della nostra letteratura, ma devono essere prese in considerazione, sempre mediante una conoscenza diretta dei testi, le espressioni più salienti ed altre che con esse meglio documentano le profonde e varie tendenze innovative, in particolare la ricerca di nuovi linguaggi poetici e di nuove tipologie narrative e teatrali»[14], cioè a dire che per il Novecento non esiste un canone condiviso e consolidato, per cui ai docenti è riservato un più ampio spazio di scelta sia degli autori che delle opere. Un poeta come Montale è ormai entrato insieme ad Ungaretti nel novero di quegli scrittori che nessun docente di Italiano tralascerebbe nella sua programmazione. E così pure per la prosa Italo Calvino è diventato imprescindibile. Invece rimangono alterne e differenziate la scelta di Pavese e Vittorini, la cui lettura è stata presente nella scuola negli anni ‘70/’80, come la scelta di Gadda, autore considerato ‘difficile’ da proporre sia per le caratteristiche linguistiche sia per quelle tematiche, o come la lettura di testi di Luzi e Caproni per la poesia e di Tozzi, Pasolini e Tabucchi per la prosa. Quanto poi ai nuovi linguaggi, certamente quello cinematografico già da tempo è entrato nella scuola, veicolato da esperti esterni oppure da docenti cultori di cinematografia. Il punto riguardante gli autori e le opere conclude così: «Nel complesso delle attività di studio si colloca anche la lettura individuale, da parte dello studente, di opere intere. A tal fine lo studente sceglierà per ciascun anno tre opere in una lista, predisposta dal docente, che comprenda testi di narrativa, poesia, teatro, saggistica, a preferenza di autori moderni, con significativa presenza di quelli stranieri»[15]. Quanti sono i docenti e gli studenti che operano in questa direzione?
Il punto c) riguardante le conoscenze e le competenze linguistiche a prima vista sembrerebbe il più semplice da perseguire e realizzare sia nella parte dell’esposizione scritta sia in quella dell’esposizione orale. Invece anche in questo caso i docenti si trovano davanti molti ostacoli, prima fra tutti la difficoltà di concentrazione degli studenti, alla quale segue un progressivo impoverimento della competenza lessicale ed un appiattimento dell’esposizione in gerghi e formule, che non possono non limitare le competenze linguistiche. Gli studenti dovrebbero esprimersi oralmente con un buon livello di organicità, di proprietà e di correttezza formale e dovrebbero abituarsi da una parte alla sinteticità e dall’altra all’analisi argomentata. Gli strumenti sono la lettura e la produzione scritta, che si devono avvalere in primo luogo dei testi letterari, ma anche di testi di natura non letteraria, per consentire loro di decodificare ciò che leggono e di codificare in strutture e forme organiche le loro riflessioni, commenti, analisi e proposte di discussione.
La scuola anglosassone ad esempio da lunghissimo tempo abitua gli studenti a scrivere testi con un limite preciso di parole, in modo da rendere operativa la sintesi espositiva. Nella scuola italiana solamente negli ultimi dieci anni viene messa in atto una tale pratica, e non da parte di tutti i docenti, e solamente sulla scia delle cosiddette ‘consegne’ presenti nella prima prova dell’Esame di Stato per la tipologia B, riguardante il saggio breve e l’articolo di giornale, per i quali viene anche richiesto di indicare il destinatario e l’occasione della scrittura.
Tuttavia nelle attività del triennio viene dimenticata o passata sotto silenzio un’attività che è invece fondamentale, e cioè la riflessione metalinguistica. Se fino al biennio superiore i docenti dedicano una parte del monte ore, riservato all’Italiano, alla cosiddetta ‘grammatica’, compresa l’analisi logica e l’analisi del periodo, questa è del tutto assente nei programmi dei trienni. Invece, considerando il fatto che gli studenti sono sempre meno consapevoli della lingua italiana e che sempre di più sono presenti nelle nostre scuole alunni extracomunitari, che arrivano in Italia in momenti diversi dei loro percorsi scolastici (e spesso non conoscono l’italiano), è necessario procedere alla riflessione sulla lingua fino alla fine della scuola superiore, anche se è l’educazione letteraria in tutte le sue forme che assume nel triennio centralità e prevalenza. L’educazione letteraria riassume una pluralità di obiettivi in quanto deve mirare a trasmettere i procedimenti retorici, le forme metriche, i generi letterari, i codici formali; deve appuntare l’attenzione sui centri di produzione della cultura, sulle modalità di trasmissione e di ricezione della letteratura; deve far conoscere le periodizzazioni, i rapporti fra la letteratura e le manifestazioni artistiche delle arti figurative, della scultura, della musica, che nascono dallo stesso humus della produzione letteraria nelle varie epoche e nelle varie realtà storiche, e il cinema e la televisione.
Le indicazioni contenute nel Progetto Brocca sono davvero rivoluzionarie, tuttavia a distanza di quasi venti anni molti docenti del triennio superiore continuano ad affrontare il programma come se fosse un susseguirsi normativo di autori e opere (sempre gli stessi e sempre le stesse scelte testuali) che non può deviare dall’andamento cronologico. E, nonostante i cambiamenti avvenuti anche in sede di prima prova scritta dell’Esame di Stato, continuano a richiedere ai loro studenti solamente il tema tradizionale, senza affrontare le varie tipologie di scrittura.

 

3. Le indicazioni ministeriali sui programmi

Se osserviamo nello specifico l’articolarsi degli attuali programmi suggeriti dall’ultima normativa del 1999, le più interessanti sono le indicazioni per gli istituti tecnici, i cui programmi sono articolati per ciascun indirizzo e contengono per ciascuno le finalità, gli obiettivi, l’articolazione di contenuti, le indicazioni metodologiche, la scansione modulare, le modalità di verifica e di valutazione[16].
Il curricolo di letteratura italiana è impostato su un asse cronologico ma viene precisato che l’impostazione diacronica non deve essere intesa come un susseguirsi uniforme degli argomenti, ma deve servire da supporto intorno al quale si articolano le unità didattiche, che seguono percorsi orizzontali e verticali e stabiliscono raccordi fra tempi diversi. In questo modo sarà possibile «dare spazio adeguato alla letteratura e cultura del Novecento, nelle quali lo studente deve avere gli strumenti per orientarsi. La presenza dei testi novecenteschi non sarà peraltro limitata al periodo terminale del ciclo, ma sarà rilevante anche nei primi due anni, sia attraverso letture libere e consigliate, sia attraverso l'accostamento di opere recenti a quelle epoche che sono al centro dello studio, compiuto in funzione di stabilire continuità e differenze, di rilevare la lunga durata di temi e forme, di percepire l'attualità del passato». Anche in questo caso, come nei Licei, sono raccomandate letture domestiche integrative, suggerite dal docente «assegnate anche per i periodi di vacanza» così come troviamo ribadita la particolare rilevanza attribuita alla Divina Commedia «per il suo valore fondante della tradizione letteraria italiana e per la sua influenza sull'intera cultura occidentale».
Ciò che più conta è il fatto che viene raccomandata un’impostazione modulare, articolata in Unità Didattiche, che permetta agli studenti di conoscere le varie prospettive della letteratura italiana. Si suggerisce di prevedere da dieci a venti ore di lezione per Unità Didattica, in modo tale da affrontare in un anno scolastico cinque o sei moduli, cercando di includere testi di periodi diversi, in modo particolare quelli novecenteschi. La scelta degli autori e dei testi è lasciata alla libera progettazione dei docenti. Sono suggerite Unità Didattiche storico-culturali, per generi letterari, per tema, per “ritratto d’autore” e per “incontro con l’opera” e viene indicato di scegliere in ciascun anno almeno due Unità storico-culturali, sulle quali innestare le altre, garantendo la varietà tipologica. In questo modo è possibile assicurare il fondamento diacronico della letteratura. Si ribadisce che «È opportuno che il metodo di lavoro abbia come punto di partenza la lettura e l'interpretazione di testi: testi e brani letterari, documenti, eventuali brani storico-critici. La lettura è occasione di discussione e confronto di ipotesi interpretative in quanto le caratteristiche e i significati dei testi sono meglio percepibili quando risultano dall'accostamento di testi diversi. I concetti generali emergeranno come sintesi, guidata dall'insegnante, del materiale letto e analizzato: le analisi e i confronti fra i singoli testi concorreranno a istituire una rete di relazioni utile all'inquadramento delle varie tematiche nei rispettivi contesti storici».
Un’indicazione importante, che spesso sembra dimenticata, è la necessità di prevedere interventi di recupero e di rafforzamento, qualora si accertino all’inizio del triennio carenze linguistiche di rilievo. Nella situazione attuale, nella quale assistiamo all’immissione di alunni stranieri che parlano e capiscono poco o niente l’italiano, perché arrivati da poco nel nostro paese, questa raccomandazione diventa più importante che mai. E non solo per loro. Se nel biennio la riflessione sistematica su strutture, funzioni e varietà linguistiche ha uno spazio autonomo, nel triennio va proseguita e intrecciata con l'analisi dei testi letterari e non letterari. Le indicazioni contenute all’inizio dei programmi degli istituti tecnici hanno un ragguardevole spessore didattico e le linee guida sono funzionali a tutti i tipi di scuola, compresi i licei, che non sono più elitari dopo la diffusione della scuola di massa.

 

4. Una riflessione

Quello che ho potuto ricavare dai dati rilevati su un ampio campione di scuole distribuite su tutto il territorio nazionale è che nei programmi svolti la fase iniziale della letteratura italiana vede una certa uniformità dalle origini fino a Boccaccio, pur con scelte adeguate al tipo di scuola e alla classe a cui il docente si rivolge e in relazione alla quantità di testi scelti.
Un’analoga uniformità si riscontra nel programma della classe terminale, probabilmente per la presenza dell’Esame di Stato finale che prevede tracce per la prima prova scritta uguali per tutti gli indirizzi scolastici sul territorio nazionale. In più negli ultimi anni sono stati assegnati come testi per l’analisi del testo passi di prosa e poesie di autori del Novecento (Pavese, Montale, Ungaretti, Pirandello…), il che ha spinto e spinge i docenti ad ampliare l’ultima fase letteraria per consentire ai loro studenti una maggiore preparazione in vista di questa prova. Tuttavia è curioso che solo in pochissimi casi i programmi svolti contemplino moduli di scrittura, ivi compresa l’analisi del testo, come se gli studenti sapessero già affrontare questo tipo di esercizi. L’esperienza diretta a scuola e indiretta attraverso la SSIS dice invece che la stragrande maggioranza se non la totalità degli studenti non sa di quale tipo di scrittura si tratti e trova difficoltà nell’affrontare tali tipologie di scrittura, per cui sarebbe necessario inserire moduli appropriati nel programma di tutte e tre le classi terminali di tutte le scuole superiori.
Le differenze maggiori ci sono nei programmi delle classi quarte con forti oscillazioni di autori e testi. È molto raro trovare il ‘400 fiorentino con la complessità della cultura umanistica pre-laurenziana e laurenziana; stupisce che un’opera fondamentale per la svolta del pensiero in senso moderno come Il principe di Machiavelli sia presente con una sparuta scelta di capitoli, se non addirittura solo con il cap. XXV in cui parla della Fortuna. I due grandi poemi epico-cavallereschi di Ariosto e Tasso subiscono la stessa sorte, e il teatro del ’500 passa in genere sotto silenzio; tutto il Seicento e la maggior parte del Settecento scompaiono.
Negli ultimi anni le indicazioni ministeriali hanno sollecitato a spostare fino alla metà dell’Ottocento il periodo culturale da affrontare nelle quarte classi in parallelo con la nuova scansione del programma di Storia e per favorire lo studio del Novecento. Ma la realtà della scuola non ha risposto e in genere non sembra rispondere a queste sollecitazioni, per cui la situazione si presenta molto sfrangiata, a tutto danno di una trattazione organica di tutta la prima metà del XIX secolo. Foscolo viene liquidato con la lettura solo di tre sonetti e, quando va bene, di alcune lettere dell’Ortis, mentre I sepolcri vengono by-passati o letti in scarne scelte di versi che impediscono peraltro la comprensione complessiva del carme. L’opera foscoliana viene affidata a una trattazione teorico-manualistica, fatta di stereotipi e semplificazioni, come del resto accade per molti altri scrittori. Se L’infinito e Il sabato del villaggio sono i punti di riferimento imprescindibili per Leopardi, anche laddove il programma è ridotto ai minimi termini, già il Canto notturno non fa parte di tutti i programmi e La ginestra viene letta solamente nei primi 51 versi o addirittura non affrontata affatto. Quale la motivazione addotta? La difficoltà della lingua e delle argomentazioni, considerate spesso distanti dalle problematiche attuali.

 

5. Considerazioni finali

È sicuramente indispensabile che ciascun docente adatti argomenti e metodi alla classe che di volta in volta si trova davanti. E normalmente questo avviene. Tuttavia si ha l’impressione, in taluni casi confermata dall’analisi dei programmi effettivamente svolti, che alcuni docenti siano più legati ad una loro idea della letteratura e siano ‘affezionati’ al modo in cui l’hanno imparata nei loro anni di studio, piuttosto che rapportarsi davvero con tutto il complesso di realtà differenziate e variegate con le quali vengono a contatto di anno in anno. È vero che, soprattutto nei primi anni d’insegnamento i docenti cambiano tipo di scuola ogni anno ed ogni volta devono ricominciare ad orientarsi sia nei confronti degli allievi sia nei confronti dei colleghi e dell’ambiente in cui devono svolgere il loro lavoro. In queste situazioni, l’adattamento è faticoso e non certo immediato, viste le caratteristiche composite delle varie istituzioni scolastiche e delle classi. Così finisce per sembrare che il modo migliore, anzi più indolore, di affrontare questi continui cambiamenti consista nel mantenere fissa la composizione del programma e la metodologia.
Fortunatamente i dieci anni di SSIS hanno insegnato alle nuove generazioni di docenti che quest’ultimo è invece il modo peggiore di porsi di fronte alle nuove e diverse realtà scolastiche con le quali hanno a che fare ogni anno, e che l’atteggiamento più produttivo e tutto sommato meno faticoso è invece quello di iniziare dall’osservazione oggettiva e disincantata della realtà che devono affrontare e scegliere le metodologie, gli argomenti ed i testi più idonei.
Analizzando i programmi per come appaiono nelle stesure finali, ricaviamo prima di tutto che non sono scanditi per moduli, ma per successione cronologica di autori e movimenti culturali, come se gli ultimi trenta/quaranta anni fossero passati invano e non fosse stata dimostrata sul campo «l'inadeguatezza dei tre presupposti del modello storicistico ottocentesco che avrebbero dovuto onorare: 1. un canone rigido di autori italiani da preservare dall'oblio; 2. un'idea identitaria di letteratura quale sintesi e agente di civiltà; 3.una procedura didattica incentrata sulla narrazione compatta e lineare della letteratura italiana dalle origini all'Ottocento, da svolgersi attraverso la lezione ex cathedra da parte del docente, coadiuvato dal manuale di storia letteraria, dell'antologia dei testi e dell'antologia dei brani critici.»[17]
Inoltre in larghissima parte non compaiono moduli dedicati alla scrittura, nonostante che per gli studenti, e a maggior ragione per gli studenti di oggi, sia difficile confrontarsi con una scrittura che non sia quella degli sms, delle mail e degli altri strumenti informatici, che vogliono una comunicazione breve, fatta di abbreviazioni ed elementi iconici e nella quale le parole sembrano aver perso il loro valore. Per questo motivo nella scuola superiore è ancora più necessario cominciare, se non ricominciare, dall’alfabetizzazione di base per la ‘composizione scritta’, fornendo gli strumenti fondamentali sia di tipo retorico che strutturale-argomentativo. Se i docenti non programmano e poi non effettuano questo tipo di lavoro, non potranno che lamentarsi del fatto che i loro studenti “non sanno scrivere”. E come potrebbero se nessuno glielo insegna mai? Se l’esercizio della scrittura non viene affrontato nella scuola media, se non viene affrontato nel biennio superiore, deve, per forza di cose, essere affrontato nel triennio; pena il disamore per la scrittura da parte degli studenti, che si limiteranno alla comunicazione immediata ( proprio nel senso di non-mediata e non-meditata), senza capacità di riflettere su ciò che scrivono, ma nemmeno su ciò che leggono. Nell’insegnamento della lingua scritta, sia essa lettura sia scrittura, non si può prescindere dal trasmettere un uso ragionato e consapevole di quanto viene prodotto o dalla letteratura a livello alto o, a livello più quotidiano, dagli stessi studenti. Quindi diventa sempre più un imperativo categorico l’inserimento di moduli di scrittura in tutti i programmi anche del triennio superiore.
Altro punto. Oggi non è possibile insegnare letteratura italiana senza operare i necessari ed ineliminabili collegamenti con le correlazioni che la nostra letteratura ha sempre avuto, pur con forme ed intensità differenziate nel tempo, con le letterature straniere, quelle europee prima, quelle mondiali poi. Perciò, quando nei programmi del triennio manca qualsiasi legame con le altre letterature sia a livello di contestualizzazione storica dei fatti letterari sia a livello di lettura diretta dei testi, pur se in traduzione, e quando questa assenza esiste anche nel Liceo Linguistico, che dovrebbe fare della interdisciplinarità fra le letterature il perno dell’insegnamento letterario, si resta per lo meno perplessi.
Dobbiamo fare anche un’altra osservazione. I libri di testo. Tutti i manuali di letteratura italiana seguono un’impostazione storicistica, forse perché è più semplice e più ‘pratico’ ordinare così i materiali letterari di tanti secoli, per affrontare tutti gli aspetti di un’opera e della poetica di uno scrittore, mettendone in evidenza gli elementi di continuità rispetto al suo passato e alla sua contemporaneità e allo stesso tempo le innovazioni da esso portate nello sviluppo del pensiero. Ma è ancora funzionale davvero alla scuola, e in modo particolare alla scuola di oggi? Da decenni ormai si parla di organizzazione modulare, di moduli per tema e per genere; eppure non ci sono manuali ad uso delle scuole, che presentino in toto questo tipo di impostazione, fatti salvi alcuni manuali per gli istituti professionali. Esiste un ampio e articolato dibattito al riguardo ed anche intorno alla periodizzazione letteraria, che vede tradizionalmente il susseguirsi di Medioevo, Umanesimo, Rinascimento, Barocco, Illuminismo, Romanticismo etc., secondo una distinzione idealistica, che basa la scansione sulla storia delle idee. Ma già negli anni ‘80/’90 del secolo scorso il manuale di Remo Ceserani e Lidia De Federicis, Il materiale e l’immaginario[18], ha scardinato questa suddivisione (o quanto meno ha cercato di scardinarla, suscitando una vera e propria contrapposizione fra favorevoli e contrari a tale tipo di impostazione), introducendo una periodizzazione in relazione alle basi ‘materiali’ delle varie epoche storiche, scandendola in età dei Comuni, età delle Signorie, ancien regime e così via. Oggi Gianmario Anselmi proprio dalle pagine di «Griseldaonline» ripropone il dibattito, facendo tesoro della posizione di Carlo Dionisotti[19] che ha insegnato a coniugare la storia letteraria e le trasformazioni culturali con le aree geopolitiche in cui si sviluppano e si elaborano. Riferendosi poi in particolare al Novecento, sul quale attualmente si appunta un confronto serrato in merito a quale sia il canone e quale sia la periodizzazione da evidenziare, afferma che «la stessa periodizzazione della letteratura del Novecento (come gli storici sanno bene per la storia dell'epoca contemporanea) è problematica e irresolubile senza usare qualche dispositivo retorico ed ermeneutico insieme», sottolineando al contempo quanto fondamentale e «significativo è l'intreccio tra geografia e generi letterari»[20]. Anche Anselmi sostiene che non è possibile separare la letteratura italiana da quella europea né per il passato né tanto meno per la contemporaneità, ribadendo che il fenomeno letterario non può prescindere dalla sua geografia, cioè dai luoghi in cui si è sviluppato e radicato e da tutto il complesso di modelli culturali, certamente variegati e non unidirezionati, che lo hanno generato e che lo tengono in vita. Se non è semplice fornire a livello di triennio superiore questa dimensione complessa della letteratura, perché implica conoscenze pregresse e per così dire già ‘digerite’ e assimilate, è almeno possibile impostare lo studio letterario in tale direzione, senza pretendere di percorrere tutte le epoche e tutti gli autori. Mentre fondamentale è trasmettere un metodo di lavoro e la consapevolezza che i modelli culturali si coniugano con le forme e con le sollecitazioni delle loro epoche.
Illuminante a questo proposito un saggio di Franco Moretti, La letteratura vista da lontano[21], che apre una prospettiva feconda per il lavoro scolastico, cioè quella della fortuna delle opere letterarie scandita dal susseguirsi delle generazioni dei lettori, fondamentali nello specifico per Moretti nel decretare il successo dei romanzi in Inghilterra dalla fine del 1700 in poi. Se si applica questa posizione teorica nell’insegnamento nel triennio superiore per i romanzi dell’Ottocento italiano, il risultato, a partire dai singoli romanzi, sarà di un progressivo allargamento d’orizzonte del campo di indagine, scandito per generazioni, peraltro diversificato geograficamente e in rapporto alle condizioni storiche delle varie aree italiane di provenienza degli scrittori o nelle quali operavano. Per citare ancora Anselmi, «emerge con chiarezza che anche nelle periodizzazioni letterarie il fattore generazionale è di particolare rilevanza, come del resto ogni fattore antropologico. Il dato culturale e antropologico infatti si condensa intorno al concetto di generazione»[22].
Uno dei rischi della didattica modulare, soprattutto dei moduli tematici, è certamente quello di far perdere agli studenti le coordinate spazio-temporali, e temporali in modo particolare, e di finire per mettere sullo stesso piano scrittori e testi distanti fra loro anche molti secoli. Ma il docente che conosce questo rischio, farà in modo di incardinare i moduli tematici affrontati in una struttura storica per evitare il rischio che Petrarca sia considerato coevo a Tasso o a Manzoni.
Tuttavia la domanda che dobbiamo porci è la seguente: nella scuola di oggi, cioè quella di una società complessa ma soprattutto confusa, è davvero necessario e indispensabile far studiare in sequenza il susseguirsi di epoche culturali e di scrittori? È funzionale ad avvicinare e a far appassionare alla letteratura studenti che in ogni momento della loro giornata sono frastornati da un’incessante comunicazione che impedisce, a loro come a tutti noi, di fermarci o anche solo soffermarci a leggere con lentezza[23] un testo, assaporarne il messaggio, farlo proprio e mantenerne la memoria? O non è forse preferibile insegnare che i testi si parlano fra loro, che si rimandano l’un l’altro, che sono uno strumento fondamentale e indispensabile per cercar di capire cosa pensavano gli uomini del passato, non per creare monumenti letterari, ma per rendersi conto di cosa pensano gli uomini oggi, cosa pensiamo noi, perché e come vengono operate certe scelte, quali sono le aspirazioni della nostra realtà. A questo proposito credo che vengano in aiuto proprio i moduli tematici di cui sopra, che oltre a suscitare l’attenzione degli studenti permettono di sviluppare nodi problematici e nello stesso tempo di costruire un’ossatura storico-letteraria.
In tale direzione è dunque fondamentale operare scelte più ridotte e fissare autori e opere basilari che, in ciascun anno scolastico, gli insegnanti devono comunque affrontare in classe, prima di tutto per garantire una preparazione il più possibile omogenea dal punto di vista dei contenuti di base (non solo nelle classi terminali in vista dell’esame di Stato, ma anche per creare una cultura condivisa nelle generazioni future), in secondo luogo per evitare che gli insegnanti incentrino la loro attività didattica unicamente su alcuni scrittori, magari minori, tralasciando al contempo Dante o Montale, e portando avanti un canone del tutto soggettivo. È da questi autori fondanti che si possono far partire, a mo’ di raggiera, i collegamenti trasversali di tipo tematico, di genere, e interdisciplinari, in modo da trattare, da angolazioni molteplici, autori e problematiche, scelte autonomamente dagli insegnanti, legandoli anche, ma soprattutto, con la letteratura europea.
Tenendo conto della recente riforma della scuola superiore, che separa l’ultimo anno dal primo e dal secondo biennio, forse si potrà evitare il pericolo che non ci sia uniformità in vista della prova scritta finale dell’Esame di Stato, che ad oggi rilascia un titolo di studio con valore legale ed è uguale su tutto il territorio nazionale. Forse una soluzione potrebbe essere quello di definire generi e temi da affrontare nell’ultimo anno del triennio e lasciare una maggiore libertà di scelta ai docenti nei primi due anni, salva restando l’indicazione di autori e opere imprescindibili; così anche periodi o movimenti culturali che ora sono spariti dalla pratica scolastica potrebbero essere ’recuperati’ tramite percorsi modulari. Del resto è quello che si nota scorrendo e analizzando lo svolgimento reale dei programmi attuali: l’omogeneità esiste all’inizio e a conclusione del triennio, mentre nelle classi centrali notiamo le scelte più disparate.
Oltre e al di là della definizione dei programmi o delle linee programmatiche per le varie classi, ciò che va differenziato con chiarezza sono le competenze che gli studenti devono raggiungere nelle varie tipologie di scuola, pur nella condivisione di quelle comuni di base e di un’ipotesi di autori e testi da conoscere. Occorre dunque individuare obiettivi e competenze e, in modo particolare, definire se l’obiettivo è la letteratura e non la storia della letteratura, se la prima è e può essere autonoma dalla seconda, demandando alla literacy[24] della letteratura il compito di offrire esempi che coinvolgano educazione linguistica ed educazione letteraria in una prospettiva dialettica e ragionata e non solo descrittiva[25].
Durante una recente intervista rilasciata alla radio svizzera Gianni Celati ha sostenuto che “insegnare è uno dei privilegi dell’essere umano”, ma ha anche raccontato un aneddoto riguardante Mozart: una volta, dopo aver diretto un suo concerto davanti a un principe, gli fu chiesto: «Bello. Ma cosa significa?» e Mozart rispose: «Adesso ve lo spiego.» E lo suonò un’altra volta[26]. Lo stesso aneddoto è citato anche da Lavagetto ma riferito a Schumann: «A chi gli chiedeva di spiegare una étude di grande difficoltà, Schumann – racconta Steiner – “si sedette al pianoforte e la suonò di nuovo”» e prosegue riportando la sua esperienza di studente che assisteva ad una lezione di Ungaretti su Leopardi all’Università di Roma: «Eravamo pieni di febbrili aspettative e uscimmo sconcertati e delusi: il vecchio poeta aveva debuttato leggendo (meravigliosamente) Alla luna. Arrivato alla fine della sua lettura era rimasto in silenzio, con istrionica impassibilità, per qualche minuto, poi aveva borbottato: “è meraviglioso…non c’è niente, proprio niente da dire” e aveva letto e riletto ripetute volte il testo fino a quando il tempo della lezione fu completamente esaurito»[27]. Verissimo. Ma gli studenti, che nel triennio superiore si avvicinano ai testi, almeno a molti di essi, per la prima volta, hanno bisogno di costruirsi gli strumenti per ‘capirli’, per introiettarli e farli propri con tutte le risonanze, i rimandi, lo spessore letterario e culturale che sta alla loro base. Perciò hanno bisogno, ed è un bisogno ineliminabile, di una mediazione che non può essere che quella del docente; e proprio per questo motivo è da scongiurare il pericolo che la storia della letteratura si sovrapponga ai testi e che parlare e riflettere su di un testo si limiti e si riduca a formule stereotipate che niente hanno a che vedere con quella poesia o quel passo di prosa o quel romanzo.
La metafora, che rimandi a Mozart, a Schumann o a Ungaretti, è calzante per la nostra riflessione sui programmi in particolare e sulla scuola in generale, perché a scuola non si dovrebbe procedere per sintesi letterarie più o meno ampie, ma bisognerebbe leggere in classe, rileggere nonché far leggere in classe e a casa i testi agli studenti in modo che siano gli stessi testi a parlare e non la storia o le storie letterarie.

 

Note:


[1]T. Todorov, La letteratura in pericolo, Garzanti, Milano, 2008.

[2]Questa è la dizione usata fino ad ora per indicare gli ultimi tre anni di scuola superiore, che formavano un ciclo di studi. Dopo la riforma del ministro Gelmini, approvata dal Consiglio dei Ministri il 12 giugno 2009, si parla di un secondo biennio e di un anno conclusivo. Userò per praticità il termine ‘triennio’, perché su questo si è basata gran parte della ricerca effettuata.

[3]M. Lavagetto, Eutanasia della critica, Einaudi, Torino, 2005, pp. 81-82.

[4]M. Moretti, Le Lettere…, cit., p. 284.

[5]G. Chiosso, La scuola media superiore Natura e finalità, in AA.VV., Dimensioni attuali della professionalità docente, Brescia, La Scuola, 1991, p.90.

[6]G. Chiosso, La scuola media…, cit., p. 90.

[7]Sono confluiti nel T.U. come articoli 277 e 288.

[8]I testi relativi sono stati pubblicati negli Studi e Documenti degli Annali della Pubblica Istruzione, editi da Le Monnier, Firenze. I piani e programmi del biennio sono usciti in un volume pubblicato dalla Editrice La Scuola di Brescia nel 1991 con un commento introduttivo di G.C. Zuccon e due contributi di F. Bertoldi, Pedagogia e didattica nella proposta dei nuovi programmi per la scuola secondaria superiore e di Francesco De Vivo, Il faticoso cammino verso l’unificazione della scuola secondaria superiore.

[9]Come ricorda Moretti «…i programmi ministeriali vanno considerati anzitutto nel loro aspetto progettuale; quello sulla loro efficacia prescrittiva, sulla loro effettiva traduzione in prassi didattica sarebbe altro discorso, tanto più che gli stessi regolamenti ministeriali prevedevano un secondo livello di formalizzazione, con la presentazione, da parte dei singoli insegnanti, di un “programma particolareggiato” ai capi d’istituto, che avrebbero dovuto esaminarlo, e predisporre il coordinamento dei singoli programmi nel consiglio dei professori» e «…l’ex ministro Coppino, nella sua deposizione del febbraio 1873, avrebbe sottolineato l’ampia libertà della quale, di fatto, godevano gli insegnanti:…» (M. Moretti, Le Lettere…, cit., pp. 291 e 292).

[10]Studi e Documenti…, cit., tomo I, p. 122.

[11]Studi e Documenti…, cit., tomo I, pp. 123-24.

[12]Forse sorprende che già nel 1913 l’inchiesta Scialoja aveva prestato attenzione alla «…introduzione nelle scuole italiane di opere ed autori delle letterature straniere moderne» (M. Moretti, Le Lettere…, cit., p. 305).

[13]«Nel 1881 la nota nazional-liberale era integrata da accenti laico-positivistici: “La lettura del Galilei nel terzo corso, ove l’insegnamento della fisica trova il suo campo, gioverà non poco con quella ancora continuata del Sommo Poeta ad avvigorire la mente nelle lotte del pensiero per la scienza e la coscienza, per le quali soltanto viene preparato e assicurato il progresso d’ogni umana cosa”» (M. Moretti, Le Lettere…, cit., p. 304).

[14]Studi e Documenti…, cit., tomo I, p.124.

[15]Studi e Documenti…, cit., tomo I, p.124.

[16]Per quanto riguarda l’educazione linguistica si prevede: a)il potenziamento delle capacità comunicative orali e scritte riferite sia agli usi e ai testi propri dell'ambito professionale, sia più in generale alla vita sociale e alla maturazione personale; b) l'attitudine all'autoformazione permanente, attraverso la capacità di apprendere in modo autonomo.
Per l’educazione letteraria: a) il gusto e la curiosità di allargare il campo delle letture letterarie in ogni direzione; b) la disposizione a fruire del testo letterario a diversi livelli: informativo (l'opera come veicolo di conoscenze), emotivo e cognitivo (educazione dell'immaginario, letteratura come sperimentazione di realtà possibili), estetico (apprezzamento delle qualità formali del testo); c) la capacità di storicizzare il testo letterario inserendolo in una rete di relazioni orizzontali (rapporti fra culture coeve) e verticali (rapporti di continuità e di innovazione che sostanziano la tradizione e la memoria letteraria); d) l'attitudine a misurarsi con la complessità di tali relazioni e con la variabilità degli approcci storici e critici, nella consapevolezza che nessuno schema interpretativo univoco può essere considerato esauriente; e) il possesso di un orientamento storico letterario generale, che consenta di inquadrare, anche sommariamente, autori, movimenti, epoche. Al termine del triennio gli studenti devono dimostrare di sapere: a) svolgere una relazione orale della durata di alcuni minuti, anche sulla base di appunti, su un argomento culturale o professionale appositamente preparato; b) comprendere testi relativi all'ambito professionale, con la padronanza dei relativi linguaggi specialistici; c) comprendere testi di carattere argomentativo, di livello non specialistico, su temi di rilievo culturale; d) acquisire selettivamente, raccogliere e ordinare informazioni da testi diversi; e) redigere una relazione, intesa come sintesi di conoscenze acquisite da esperienze o fonti molteplici; f) redigere testi argomentativi su tematiche di interesse personale, culturale, sociale ed economico.

[17]C. Sclarandis, Uno sguardo sulla realtà: quale letteratura insegnamo?, relazione tenuta al Congresso nazionale dell’ADI a Roma, 17-20 settembre 2008, in www.italianisti.it.

[18]R. Ceserani - L. De Federicis, Il materiale e l’immaginario, Loescher, Torino, 1979 (ed. grigia).

[19]C. Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, Einaudi, Torino, 1967.

[20]G. Anselmi, Narrazione letteraria e narrazione storica: periodi, epoche e percorsi tra verità e immaginario, in http://www.griseldaonline.it/percorsi/metamorfosi/anselmi_narrazione.htm, 12 maggio 2009.

[21]F. Moretti, La letteratura vista da lontano, Einaudi, Torino, 2005

[22]G. Anselmi, Narrazione letteraria…, cit.

[23]Interessante a questo riguardo M. Kundera, La lentezza, Adelphi, Milano, 1995.

[24]«Per literacy si intende la capacità di raccogliere e utilizzare informazioni reperibili in testi scritti, in grafici, in tabelle ecc. e di eseguire operazioni, calcoli, ovvero risolvere problemi. Essa è dunque un processo attivo che si esercita su una pluralità di fonti di informazione e che comporta il possesso di capacità logico-matematiche» (S. Giusti, Le competenze della letteratura, «Per leggere» n.14, primavera 2008, Pensa Multimedia, Lecce, p.147).

[25]C. Sclarandis, Uno sguardo sulla realtà…, cit.

[26]Intervista a Gianni Celati in http://www.rsi.ch/home/channels/tempolibero/libri/2009/04/30/controluce-celati.html.

[27]M. Lavagetto, Eutanasia…, cit., p. 8.