Silvia Ferrari - Giovanni Raboni tra destra e sinistra: la politica della cultura

Il 27 marzo 2002 il poeta Giovanni Raboni intervenne sulle pagine del Corriere della Sera con un articolo che si presentava in questi termini:

Se c'è qualcosa su cui destra e sinistra sembrano essere, da un po' di tempo, sorprendentemente d'accordo è che in Italia non esiste una cultura di destra degna di questo nome: con il corollario o, invece, per il motivo che i cosiddetti intellettuali - categoria di cui fanno naturalmente parte, fra gli altri, i romanzieri, i poeti, i drammaturghi, insomma gli scrittori - sono “tutti di sinistra”. Si tratta di una convinzione talmente diffusa e soprattutto, si direbbe, così profondamente radicata, da trasformarsi nell' immaginario collettivo in una sorta di luogo comune metastorico: come, insomma, se non soltanto adesso e qui da noi, ma ovunque e da sempre vi fosse un nesso consolidato e in qualche modo fatale fra l'essere scrittore e l'essere “di sinistra”. […] Per dirla nel più diretto e disadorno e a prima vista (ma solo a prima vista) provocatorio dei modi, la verità dei fatti è la seguente: che non pochi, anzi molti, anzi moltissimi tra i protagonisti o quanto meno tra le figure di maggior rilievo della letteratura del Novecento appartengono o sono comunque collegabili a una delle diverse culture di destra - dalla più illuminata alla più retriva, dalla più conservatrice alla più eversiva, dalla più perbenistica alla più canagliesca - che si sono intrecciate o contrastate o sono semplicemente coesistite nel corso del ventesimo secolo [1].

Raboni continuava stilando un elenco alfabetico e, per sua stessa ammissione, frettoloso di una serie di scrittori classificabili, in un modo o in un altro, come scrittori di destra, da D’Annunzio a Céline, da Pound a Pirandello. Si aggiungevano all’elenco anche i cosiddetti “transfughi dalla sinistra”, ovvero, nelle parole di Raboni, «quelli che sono stati folgorati, a un certo punto della vita, dalla rivelazione dei disastri e dei crimini del comunismo storico e che per questo hanno finito con l’attestarsi su posizioni sostanzialmente liberali» [2]. Da Vittorini a Gide. 
Come facilmente deducibile, l’articolo si rivelò esplosivo e scatenò reazioni che si susseguirono per circa un mese nelle pagine dei più importanti giornali italiani. Il dibattito fu ben fornito e la posizione di Raboni fu il fulcro di un confronto tra intellettuali schierati in difesa o contro le parole del poeta milanese. 
Prima di procedere nell’analisi delle risposte mosse dall’articolo di Raboni, sono necessarie due considerazioni preliminari e, a mio parere, fondamentali per una lettura critica del dibattito. La prima questione riguarda il titolo. Il Corriere della Sera intitolò l’articolo “I grandi scrittori? Tutti di destra”. La provocazione, legittima, scivolò nell’errore di valutazione perché un titolo di questo tipo non solo non corrispondeva al contenuto dell’articolo, ma assolutizzava quello che Raboni stava tentando di risolvere, spostava dall’altro lato la prospettiva della questione, non aiutava a comprendere, ma rischiava di confondere. 
La seconda questione riguarda, invece, la posizione politica di Raboni. Giovanni Raboni era un intellettuale di sinistra. Dalla vicenda Pinelli alle elezioni del 1994 si era sempre schierato a sinistra: il 21 gennaio 1970 aveva partecipato al corteo di Milano contro la repressione e la morte di Pinelli e subito un pestaggio da parte della polizia; nello stesso anno cominciava la collaborazione e l’amicizia con Piergiorgio Bellocchio e la sua rivista “Quaderni piacentini”; nel 1994, in occasione delle elezioni politiche, si era schierato pubblicamente con Rifondazione Comunista e aveva accolto la vittoria di Silvio Berlusconi con sgomento. Il poeta milanese, dunque, era un uomo di sinistra e la sua stessa poesia trasudava i valori e le idee della cultura di sinistra. Si leggano a proposito le quartine di L’alibi del morto, pubblicate tempestivamente da “Nuovi argomenti” nel gennaio/febbraio 1970 a seguito della vicenda Pinelli:

Non predicate la dittatura di una classe sull’altra, non è il vostro lavoro. Non dite niente che possa suscitare l’odio di classe: ci pensano già loro. [3] 

O la raccolta Ultimi versi, in cui una rabbia nera e disgustata si scaglia contro Silvio Berlusconi e la politica italiana:

È vero, la sinistra non c’è più, c’è un profluvio di destre d’ogni tipo, formato e sfumatura e in tanta oscena abbondanza decidere sarebbe a dir poco difficile se spuntato verso il crepuscolo dalla verminosa fermentazione dei rimasugli della guerra fredda e dei rifiuti dell’ancien régime a capo di una non ci fosse lui […] [4].

Non c’è dubbio quindi che Raboni fosse un uomo di sinistra. Ed emergono immediatamente i risvolti culturali e politici che questo provocò nel dibattito. Nei giorni successivi alla pubblicazione dell’articolo in molti, intellettuali, giornalisti e scrittori, alternarono interventi a favore o contro le parole di Raboni. A favore si schierarono Paolo Mieli sul Corriere della Sera [5], Cesare Cavalleri su Avvenire e Stenio Solinas sulle pagine del Giornale. Contro l’articolo intervennero sulle pagine del Corriere Franco Cordelli e Alberto Arbasino e su L’Espresso Eugenio Scalfari. Il dibattito si animò a tal punto e con toni di discredito talmente accesi che Raboni, in genere contro le repliche, sentì la necessità di intervenire nuovamente sul Corriere il 23 aprile 2002. 
Per comprendere lo snodo centrale della diatriba partirei dalla risposta di Franco Cordelli, del 31 marzo 2002. Cordelli pose la questione in questi termini: 

In questo senso è inutile contrapporre un elenco altrettanto lungo di scrittori di sinistra, o che tali si sono ritenuti, all' elenco stilato da Raboni di “scrittori di destra”. Il punto è un altro: sarebbe molto bello, edificante e pratico se gli scrittori fossero come li immaginava Sainte Beuve: se cioè si potesse dedurre dalla loro biografia qualcosa di probante intorno alla loro opera […]. Così, se un poeta si dichiara di destra o di sinistra ha valore in quanto è un cittadino, non già un artista [6]. La risposta di Cordelli dimostra come la tesi di fondo dell’articolo di Raboni non fosse stata compresa. Egli stesso aveva scritto nell’ultima parte dell’articolo come «il senso di un’opera letteraria si decida e si manifesti altrove, su un piano totalmente diverso da quello delle scelte di carattere ideologico e dei comportamenti di carattere politico» [7]. Raboni non aveva mai messo in dubbio la separazione necessaria tra il campo della vita e quello della scrittura e, anzi, proprio per rafforzare questa sua convinzione aveva scritto il suo articolo «per mettere in discussione la credibilità della famosa equazione che identifica sinistra e intellettuali» [8]. 
Già nel 1994, inoltre, il poeta milanese aveva tradotto per Guanda il pamphlet politico di Louis-Ferdinand Céline Mea Culpa, scrivendo nell’introduzione: 

Come tutto sarebbe più semplice e più comodo se le idee sbagliate producessero automaticamente e infallibilmente soltanto dei brutti libri! Purtroppo non è così; ma prenderne atto è, a volte, così doloroso, che preferiamo fare i finti tonti […] pur di non ammettere nemmeno con noi stessi che un grande scrittore può avere nutrito, o comunque espresso, convinzioni che ripugnano alla nostra sensibilità etica. Il caso Céline è, in proposito, d’una completezza esemplare [9]. Dunque, Raboni aveva sempre distinto profondamente la distanza tra la scrittura e la vita, tra l’etica e la letteratura e Cordelli aveva ribadito un concetto già a fondamento del pensiero del poeta. Stupisce inoltre l’accenno di Cordelli, anche se poi lasciato sospeso, a un eventuale elenco di scrittori di sinistra da contrapporre all’elenco di scrittori di destra. Come se fosse necessario riportare la questione illustrata da Raboni ad una dimensione familiare e rassicurante, come se, proprio a dimostrazione della tesi di Raboni, uscire dall’equazione sinistra-intellettuali, significasse mettere in crisi un principio radicato e inamovibile nella cultura italiana. 
Può risultare a questo punto illuminante leggere ciò che Pierluigi Battista ha scritto nel 2001 a proposito del connubio tra cultura e sinistra (più specificamente qui tra cultura e partito comunista):

Sottoponendosi a dosi massicce di politicizzazione e di partitizzazione, la cultura di sinistra ha voluto (spontaneamente) inocularsi i germi di una malattia destinata a produrre effetti micidiali sullo stile stesso del suo impegno intellettuale. Trasformandosi in partito, si è fatta però contagiare dal feticismo del partito. Ha introiettato a tal punto i valori della disciplina e della fedeltà da vivere con fastidio qualsiasi irregolarità, vissuta e fantasticata come molesta e pericolosa manifestazione di spirito anti-partitico [10].L’intervento di Raboni, in fondo, è un’irregolarità, un fastidioso esempio di indisciplina e per di più da parte di uno scrittore che più volte si era schierato con il partito comunista e poi con Rifondazione. E anche lasciando in disparte il partito comunista, certamente l’intervento di Raboni usciva dalle linee di quello che Battista definisce il “partito degli intellettuali”, attraverso il quale «gli intellettuali hanno spinto al massimo grado, e senza validi contrappesi, la loro vocazione di inflessibili guardiani della giusta “linea” culturale» [11]. 
Questa convinzione trova ulteriore e più evidente conferma anche nell’intervento di Eugenio Scalfari su L’Espresso [12]. Scalfari critica la costruzione del discorso di Raboni e la scelta di utilizzare l’elenco come strumento retorico: «L’elenco è schiacciante per qualità e quantità. Perciò riflettete gente, riflettete». Quindi, propone tre osservazioni che mostrano come ciò che infastidì maggiormente nell’articolo di Raboni fosse proprio l’irregolarità della sua tesi, il suo entrare a bandiere spiegate e con le insegne della sinistra nell’area maledetta della destra. I tre punti esposti da Scalfari sono i seguenti: 
1. «Dubito che molti dei nomi sopra elencati si possano definire di destra. […] A me, dico la verità sembra un minestrone indigesto, se non addirittura repulsivo». 
2. «Alcuni errori specifici vanno comunque segnalati».
3. «È stato proprio Mieli a lamentare l’egemonia culturale della sinistra. […] Se il suo elenco fosse valido, se tutti i grandi scrittori furono di destra, come sarebbe mai stata possibile l’egemonia culturale della sinistra?».
L’argomentazione di Scalfari si muove non su un livello di qualità letteraria, ma pericolosamente sul filo del rasoio che separa destra e sinistra: si ha l’impressione che Scalfari non legga Raboni, ma il titolo e, in quanto uomo di sinistra, si senta in dovere di smontare quello che definisce uno «sciocchezzaio». Non si limita, cosa che sarebbe stata legittima, a mettere in dubbio la presenza nell’elenco di scrittori o intellettuali che non possono essere classificati assolutamente nella categoria di scrittori di destra, ma critica in toto l’argomentazione di Raboni. E nulla dice sulla presenza nell’elenco di scrittori di qualità che furono realmente di destra, quali Pound o Céline: si limita a criticare il «minestrone indigesto e arbitrario», l’accozzaglia di scrittori, lo «sciocchezzaio» imprudente. Senza tenere in dovuta considerazione il fatto che l’intervento di Raboni si proponeva come uno spunto per riflettere, un articolo sulle pagine di un quotidiano, limitato nello spazio e nell’argomentazione per ragioni logistiche. 
Raboni stesso nella sua replica scriverà: «ho l’impressione che buona parte di quanti ne hanno parlato ne abbiano parlato per sentito dire o, al massimo, sulla base del titolo. Più che letto male, insomma, mi sono sentito non letto» [13]. 
La replica di Raboni era rivolta anche a ciò che Arbasino aveva scritto in proposito in una lettera al Corriere, pubblicata il 29 marzo, che si presentava in questi termini: «Caro Corriere, leggendo che classificate nella destra parecchi grandi scrittori del Novecento posso assicurarvi che avendone conosciuti alcuni mai si fecero discorsi simili» [14]. Stilava poi un elenco degli scrittori o intellettuali con cui aveva dialogato e aggiungeva: «Ma “destra” o “sinistra” sono parole e categorie che non si sono mai presentate, né oralmente né per iscritto. Così come non si discorreva delle preferenze sessuali, o alimentari, o calcistiche, o di analoghe classifiche in base a criteri provinciali, stagionali, da politichetta pubblicistica» [15]. L’argomentazione di Arbasino risulta indicativa nel panorama in questione: piuttosto di ammettere che alcuni degli scrittori elencati da Raboni furono realmente di destra, e alcuni nemmeno della destra più nobile, Arbasino preferisce insistere sulla apoliticità della cultura, sintomo di un’insofferenza avvertita per le parole di Raboni. È vero che, come scrive lo stesso Arbasino nel volume Fantasmi italiani, «le definizione più giuste della Letteratura continuano a rimanere fra noi quelle fornite involontariamente dalla Carmen» [16], che «ripete di se stessa “Je chante pour moi-meme”», ma risulta miope assolutizzare un’apoliticità che non sempre è presente. Il caso di Céline o quello di Pound ne sono un esempio, come ne sono un esempio nel fronte opposto Vittorio Sereni o lo stesso Raboni. 
A questo punto, risulta abbastanza scontato dire che l’articolo fu, invece, accolto positivamente dai giornali cattolici e di destra. Cesare Cavalleri, cadendo nell’assolutizzazione contraria, scrisse su Avvenire che «uno sguardo all’albo d’onore del Novecento, infatti, convince che, in Italia e nel mondo, l’eccellenza letteraria sta piuttosto dalla parte degli scrittori non allineati a sinistra» [17]. Stenio Solinas intervenne sulle pagine del Giornale, aggiunse all’elenco stilato da Raboni anche Conrad e scrisse: 

Il grande problema inevaso della cultura del Novecento è infatti questo, e la parola destra copre pudicamente la foglia di fico fascista e nazionalsocialista. […] L’elenco, parziale, stilato da Raboni, permette di capire come troppi siano stati gli artisti finiti “dalla parte del torto” perché quell’equazione sinistra-intellettuali possa ancora avere un senso [18]. Solinas colse un punto centrale della questione: qual era la ragione di fondo per cui l’articolo di Raboni provocò reazioni così indignate? Era il principio per cui nemmeno gli intellettuali sfuggono alle categorie politiche? O era piuttosto il fatto di aver messo in dubbio l’equazione che identificava sinistra e cultura?
Credo che a muovere gli animi di intellettuali e giornalisti italiani fu soprattutto quest’ultima tesi. Le ragioni forti che hanno reso egemone e intoccabile il legame tra la cultura e la sinistra sono, tra le altre, l'errata identificazione tra destra e fascismo e la scarsa capacità di rinnovamento del ceto politico.
L’identificazione destra-fascismo è stata a lungo fatale. Come ha scritto Ernesto Galli della Loggia nella sua Intervista sulla destra, «il fascismo, surrogando la destra, l’ha liquidata. L’identificazione, come ho detto ampiamente discutibile, della destra con il fascismo tout court è stata decisiva nell’emarginare la destra, nel delegittimarla completamente. […] L’efficacia politica dell’equazione fascismo-destra è stata straordinaria. Perché ad essa andava aggiunto un terzo termine, la sconfitta. Quindi se eri di destra eri fascista ed eri responsabile della sconfitta» [19]. La destra diventava quindi illegittima perché erede del fascismo, la sinistra, invece, come scrive Battista, poteva essere «interamente riassorbita nel campo democratico grazie al suo determinante contributo all’identità “antifascista” dell’Italia Repubblicana» [20]. 
Questo, aggiunto a quello che Asor Rosa ha definito «l’autoperpetuazione del ceto politico italiano» [21], la sconsiderata vitalità dell’uomo politico italiano, e quindi il mancato rinnovamento e la mancata possibilità di redenzione in nuove figure politiche, ha minato alle basi una destra già profondamente ferita. 
Successe con Raboni, in fondo, quello che successe con Céline e il suo libro antisemita Bagatelles pour un massacre. L’uscita del libro nel 1981 presso l’editore Guanda provocò la reazione indignata di molti tra scrittori e intellettuali. «Filippini su Repubblica scrisse che Bagatelle gli dà il vomito. Moravia sul Corriere stabilì che il libro è scadente. Per Giovanni Bogliolo (La Stampa) dalla “censura morale” non può che derivare “la disapprovazione estetica”. “Nel confondersi col giornalismo di destra di più bassa lega” scrive sul Manifesto Sandro Teroni Manzella, “Céline muore come scrittore”» [22]. E per Natalia Ginzburg si trattava di «un libro orribile. Il libro è letteralmente brutto e dico che non poteva essere altrimenti. Un libro razzista non può essere altro che brutto» [23]. Fu invece, anche in questo caso, proprio un intellettuale di sinistra, Piergiorgio Bellocchio, a intervenire su “Quaderni Piacentini” scrivendo: «Trovo disonesto che per cavarsi d’impaccio, si faccia passare per brutto, mancato, scadente, vomitevole un libro di tale importanza artistica e culturale. Per scomodo e sgradevole che appaia a chi vuol far tornare i conti facilmente, Bagatelle appartiene al maggior Céline» [24]. Raboni stesso intervenne sulla questione Céline e scrisse: «un lettore che non si sia riempito le orecchie di cera […] e abbia un sufficiente rispetto per la verità delle proprie emozioni è costretto, letteralmente costretto a fare i conti, nello stesso tempo, con un forte consenso estetico e con un radicale dissenso etico» [25]. 
Pur di non trovarsi a dover affrontare una questione etico-letteraria così complessa si preferì bollare il libro come scadente o esteticamente brutto. In vent’anni ben poco è cambiato se ancora nel 2002 gli intellettuali di sinistra non furono pronti ad accogliere un articolo come quello di Raboni senza condannarlo di troppa superficialità. 
«Il mio scopo principale– scriveva Raboni – era, ripeto, dimostrare che si può essere grandi scrittori anche se si è, in un modo o nell’altro, di destra. […] Mi sentirò più tranquillo quando potrò credere che chi si sente “di destra” riuscirà ad amarli quanto io, che da sempre mi sento “di sinistra”, amo (da sempre) D’Annunzio e Yeats, Benn e Claudel, Eliot e Pound» [26]. 



Note:


[1]G. Raboni, I grandi scrittori? Tutti di destra, «Corriere della Sera», 27 marzo 2002. http://archiviostorico.corriere.it/2002/marzo/27/grandi_scrittori_Tutti_DESTRA_co_0_02032710665.shtml

[2]Ibidem. 

[3]G. Raboni, Cadenza d’inganno in L’opera poetica, a cura di Rodolfo Zucco, Milano, I Meridiani, Mondadori, 2006, pp. 83-204, p. 183. 

[4]G. Raboni, Canzone del danno e della beffa in Altri versi, in L’opera poetica cit. pp.1315-1372, p. 1332. 

[5]P. Mieli, Così si rompe un tabù: di destra i grandi scrittori, «Corriere della Sera», 8 aprile 2002. http://archiviostorico.corriere.it/2002/aprile/08/Cosi_rompe_tabu_destra_grandi_co_0_0204082333.shtml

[6]F. Cordelli, Ma destra e sinistra per la letteratura non sono categorie, «Corriere della Sera», 31 marzo 2002. 

[7]G. Raboni, I grandi scrittori? Tutti di destra, cit.

[8]Ibidem. 

[9]G. Raboni, Introduzione in L.F. Céline, Mea Culpa, Milano, Guanda, 1994, pp. 9-16, p. 9. 

[10]P. Battista, Il partito degli intellettuali. Cultura e ideologie nell’Italia contemporanea, Bari, Laterza, 2001, p.XIII. 

[11]Ibidem. 

[12]E. Scalfari, Tutti insieme disperatamente, «L’Espresso», 25 aprile 2002

[13]G. Raboni, I grandi scrittori di destra fanno ancora scandalo, «Corriere della Sera», 23 aprile 2002. 

[14]A. Arbasino, I grandi del ‘900 non parlavano di destra e sinistra, «Corriere della Sera», 29 marzo 2002.

[15]Ibidem.

[16]A. Arbasino, Fantasmi italiani, Cooperativa scrittori, Roma, 1977, p. 130. 

[17]C. Cavalleri, Gli scrittori, la politica e le ragioni di Raboni, «Avvenire», 25 aprile 2003.

[18]S. Solinas, Caro Raboni, la parola destra è una foglia di fico, «Il Giornale», 28 marzo 2002.

[19]E. Galli Della Loggia, Intervista sulla destra, a cura di Lucio Caracciolo, Bari, Laterza, 1994, p. 83-84. 

[20]P. Battista, Il partito degli intellettuali. Cultura e ideologie nell’Italia contemporanea, cit. p. 55. 

[21]A. Asor Rosa, Il grande silenzio. Intervista sugli intellettuali, a cura di Simonetta Fiori, Bari, Laterza, 2009, p.82.

[22]P. Bellocchio, Chi ha paura di Céline? In L’astuzia delle passioni 1962-1983, Milano, Rizzoli, 1995, p. 213.-220, p. 213.

[23]Ibidem. 

[24]Ivi, p. 214. 

[25]G. Raboni, Introduzione in L.F. Céline, Mea Culpa, cit. p. 11.

[26]G. Raboni, I grandi scrittori di destra fanno ancora scandalo, cit.