Questo modulo si propone di dare voce a un ambito della letteratura spesso lasciato ai margini della considerazione nel percorso scolastico. Eppure la funzione della parodia e del rifacimento è stata segnalata da tempo da critici e teorici come uno dei grandi fattori costitutivi del fare letterario. Basti pensare al percorso teorico del critico russo M. Bachtin, che riconosce in riso e parodia un punto di vista particolare "che percepisce la realtà in modo diverso, ma non per questo meno importante (anzi forse più importante) di quello serio".[1] E già i formalisti russi ravvisavano nella letteratura un plagio di se stessa, giacché frutto di un costante rapporto dialettico con i testi precedenti: "un'opera d'arte viene percepita sullo sfondo di altre opere d'arte ed associandola ad esse. La forma di un'opera d'arte è determinata dal rapporto con altre forme esistenti prima di essa…Non solo la parodia, ma in genere ogni opera d'arte viene creata come parallelo e antitesi di un qualche modello. Una nuova forma appare non per esprimere un nuovo contenuto, ma per sostituire una forma vecchia che abbia ormai perduto il proprio valore artistico", [2] secondo la riflessione di Sklovskij.
Il genere trasversale della parodia permette pertanto di stabilire un dialogo con opere e autori già trattati nel corso dell'anno e del biennio, fornendo il vantaggio di un ripasso, e di una rilettura in una nuova chiave, dell'iter di studio sinora compiuto. In questa stessa prospettiva si dispone l'opinione di Almansi e Fink per i quali "una delle funzioni della parodia è proprio questa: di farci rileggere l'oggetto parodiato con occhio diverso". [3] Ai testi già affrontati si aggiunge quindi non semplicemente un ulteriore e inconsueto carosello di brani letterari, ma la ricchezza che nasce dal dialogo intertestuale, dal conflitto fra opere, il quale si risolve positivamente in scambio e arricchimento reciproco. La parodia diviene, in quest'ottica, il luogo letterario per eccellenza, capace di presentare, sul suo stesso terreno, l'incontro con l'altro (in tal caso, il testo altro) come momento di intesa o di attrito che sa risolversi in occasione di colloquio e di innovazione. Da un lato infatti attraverso l'imitazione irriverente può accadere che l'originale riveli i propri limiti e i propri automatismi, ma nel contempo la bontà che resiste al dileggio; dall'altro il testo parodiante, rovinando e graffiando il parodiato, cerca una via per rapportarsi alla tradizione secondo modalità che evitino un passivo ossequio e riescano piuttosto a innovare o a superare il canone, a trarre da esso pronunce nuove: ecco dunque che rovinare significherà anche creare.
Lo stesso genere parodico può inoltre essere inteso come letteratura altra, reietta ai consueti percorsi didattici, ed offrire perciò, all'alunno come al docente, l'opportunità di scoprire nel diverso e nel poco noto una risorsa preziosa che stereotipi, e pigrizia rischiano invece di occultare.
A ciò si aggiunga che la lettura e la conoscenza di testi comici, grotteschi, mordaci, può non solo fornire agli allievi un'idea non unidirezionale e convenzionale di letteratura, ma anche accrescere l'interesse e la motivazione della classe verso la disciplina.
Nel presente modulo peraltro l'apporto di opere straniere, di forme d'arte non solo letterarie e di contributi che cronologicamente spaziano dal XIII [4] al XX secolo (con particolare cura per i componimenti del Novecento) permette di aprire uno sguardo allargato sul mondo, di sollecitare una prospettiva internazionale e il confronto fra dimensioni artistiche e cronotopi differenti.
Contenuti e sequenze:
Il percorso è articolato su tre principali sequenze.
La prima si propone di presentare gli aspetti strutturali e di genere della parodia, focalizzando l'attenzione su argomenti quali l'imitazione e il rovesciamento dell'originale, la polemica letteraria, il realismo, i topoi distintivi.
La seconda e la terza sequenza intendono indicare, attraverso gli esempi tangibili forniti dai brani letterari, le riflessioni e le implicazioni di ordine teorico che la parodia comporta, fra le quali si possono ricordare il problema della tradizione, della rilettura e mislettura, le procedure di genere, l'intertestualità, la pluralità di prospettive, la relatività.
Struttura del percorso:
1. Codificazione della parodia
(a) Cenne de la Chitarra, [Gennaio], prima metà del XIV secolo, in G. Contini (a cura di), "Letteratura italiana delle origini", Firenze, Sansoni, 1970, pag. 123
(b) Jonathan Swift, Lo spogliatoio della signora (The lady's dressing room), in J. Swift, Opere scelte, a cura di Masolino D'Amico, Milano, Arnoldo Mondadori, 'I Meridiani', 1995, pp. 1083-1091
(c) Marcel Duchamp, LHOOQ, 1919 - Andy Warhol, Mona Lisa, 1963
2. Angoscia dell'influenza. Mislettura per emanciparsi dal passato e divenire padri di se stessi: assimilare, distruggere, superare la tradizione
(d) Rustico Filippi, Quando Dio messer Messerino fece, seconda metà del XIII secolo, in G. Contini (a cura di), "Letteratura italiana delle origini", Firenze, Sansoni, 1970, pag. 115
(e) Guido Gozzano, La signorina Felicita ovvero La Felicità, in I Colloqui, 1911, vv. 73-204
3. Fini (consacrare, dissacrare, superare, divertire), tipi (falso perverso e falso consacrante) e procedimenti (abbassamento, ingrandimento, rimpicciolimento, rovesciamento, aggiornamento) della parodia
(f) Lorenzo il Magnifico, La Nencia da Barberino, in G. Contini (a cura di), "Letteratura italiana del Quattrocento", Firenze, Sansoni, 1976, pp. 422-428
(g) Luigi Pulci, La Beca da Dicomano, in Luigi Pulci e quattordici cantari, Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, 2000, pp. 705-707
(h) Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia (1605-1615): brano (Bacile o elmo?) tratto da Baldi, Giusso, Razetti, Zaccaria (a cura di), "Dal testo alla storia, dalla storia al testo", Torino, Paravia, 1994, vol. II, t. II, pp. 117-119
- brano (Bacile o elmo? Bacielmo), in ibidem, pp. 120-123
(i) Luciano Folgore, La pioggia sul cappello, in Id., Poeti controluce, Foligno, Campitelli, 1922, pp. 43-48
(l) Eugenio Montale, Piove, in Satura, 1971
(m) Aldo Palazzeschi, La fontana malata, in Poemi, 1909
(n) Pablo Picasso, Las Meninas, after Velazquez, 1957
- Pablo Picasso, La merenda sull'erba (La Déjeuner sur l'herbe), after Manet, 1961
1. Codificazione della parodia
La prima sequenza (o unità didattica) è destinata a delineare i caratteri salienti della parodia, che andrà intesa sia come imitazione e rovesciamento di un'opera o di un genere, secondo un intento canzonatorio o polemico, sia pure come dialogo tra le opere, ovvero "un caso estremo di intertestualità", [5] il quale apre al confronto tra prospettive diverse, a un conflitto che sa farsi costruttivo, così schiudendo alla creazione del nuovo.
Ne offre esempio il brano di Cenne (Bencivenni) de la Chitarra (a), giullare aretino vissuto nella prima metà del XIV secolo, il quale traslittera in enueg il plazer di Folgóre (Splendore) da San Gimignano, suo contemporaneo. In tal modo l'elenco di piaceri auspicabili per il mese di gennaio, che ricama immagini di natura e di vita cortese, si traduce, nel sonetto di Cenne, in un elenco di fatti noiosi e spiacevoli, creando un rovesciamento burlesco dell'originale.
Il testo di Swift (b), attraverso un salto temporale che porta al XVIII secolo, permetterà di osservare come la parodia sia un genere che percorre la letteratura nei secoli, e costituisca un fenomeno che accomuna la produzione italiana a quella straniera.
Ancora nel '700 in tutta Europa conservava il suo predominio il codice d'amore petrarchesco, del quale l'antipetrarchismo era il secolare contrappunto. In questa direzione si pone Lo spogliatoio della signora, un brano swiftiano che traccia un quadro grottesco e antilirico della figura dell'amata, in polemica con l'artificiosità del petrarchismo deteriore, con i suoi apici di astrazione e di vuota stereotipia. Per questa via Swift ne rileva i limiti, e nel contempo dimostra come l'archetipo costituito dal Canzoniere possieda qualità inattaccabili: proprio la parodia evidenzia il pregio indistruttibile di Petrarca, il quale resiste al petrarchismo come anche al suo opposto. La parodia interessa non solo la letteratura, ma ogni ambito dell'arte e della vita: le due contraffazioni della Gioconda (c) innestano accanto al percorso fra i testi, un diverso linguaggio artistico, il codice visivo delle immagini. Duchamp fa il verso al capolavoro di Leonardo da Vinci risvegliando l'opinione corrente dalla passività acritica e sollecitandola a confrontarsi con la complessità del reale. Le trenta Monna Lisa di Warhol possono intendersi quale invito alla riflessione di fronte alla mercificazione dell'arte, ovvero dinnanzi a quel fenomeno che Benjamin definiva la "riproducibilità tecnica" dell'opera d'arte, lievitata nell'età contemporanea e suggellata dalla cultura di massa. Entrambi le opere dei due pittori esortano inoltre a domandarsi se i classici dell'arte sappiano ancora parlare all'uomo moderno e catturarne l'attenzione.
2. Angoscia dell'influenza. Mislettura per emanciparsi dal passato e divenire padri di se stessi: assimilare, distruggere, superare la tradizione
La presente sequenza è orientata a introdurre il concetto bloomiano di 'angoscia dell'influenza', ossia un'angoscia da indebitamento per effetto della quale il successore tenta di disfarsi del proprio padre letterario, appropriandosi della sua poetica con un atto che la travisa e la deforma. Qui si intende evidenziare in specie come la nozione di Harold Bloom possa costituire un'ottica aggiuntiva dalla quale considerare, se non tutte, almeno alcune delle opere parodianti. Fra esse si propone il sonetto di Rustico Filippi, Quando Dio messer Messerino fece (d), parodia del motivo cortese dell'essere miracoloso e ineguagliabile (di cui offrono un indice le liriche Ma donna ha 'n sé, di Jacopo da Lentini, e Chi è questa che vén e Avete'n vo' il fior' e la verdura, di Guido Cavalcanti). Rustico Filippi pare autore idoneo a esemplificare le coordinate dell'angoscia dell'influenza, poiché egli coltiva, accanto alle forme comiche e dissacranti, anche le forme della poesia aulica e amorosa. Egli conta dunque nella propria produzione un doppio binario in cui il filone giocoso bilancia l'adesione alla tradizione cortese e al registro sublime: convivono in questo poeta bifronte l'amore filiale e il gesto edipico verso i progenitori letterari.
Guido Gozzano, antidannunziano autore di La signorina Felicita ovvero La Felicità (e), è più prossimo a D'Annunzio di quanto spesso non si creda, e non a caso ebbe ai suoi esordi poetici proprio in D'Annunzio il suo principale modello. [6] Quanto giunse pesare a Gozzano il debito verso il D'Annunzio è ben visibile nella preghiera al buon Gesù per non essere dannunziano, rimasta fra le poesie sparse con il titolo emblematico L'altro: "[...] se penso/ che avresti anche potuto,/ invece che farmi gozzano/ un po' scimunito, ma greggio/ farmi gabrieldannunziano:/ sarebbe stato ben peggio!". Gozzano, assimilata la lezione dannunziana, ne elabora quindi una ripresa caustica che rovina e rovescia l'originale e gli vale il suo superamento. Di questo itinerario volto a costituirsi padri di se stessi è un caso chiaro e accessibile il componimento La signorina Felicita ovvero La Felicità: il personaggio femminile vi compare come anti-Ermione, il negativo piccolo-borghese e provinciale di tutte le fascinose e aristocratiche dame del vate pescarese; anche il tono si inclina verso modalità discorsive e cantabili, smorzando la sublime sostenutezza del predecessore. Data l'ampiezza del componimento si potrà prenderne in considerazione anche solo una parte, ad esempio i vv. 73-204.
3. Fini (consacrare, dissacrare, superare, divertire), tipi (falso perverso e falso consacrante) e procedimenti (abbassamento, ingrandimento, rimpicciolimento, rovesciamento, aggiornamento) della parodia
La terza sequenza si sofferma sulla varia tipologia del genere parodico, compiendo una sosta su alcune delle finalità più frequenti dei brani, quali consacrare, dissacrare o superare l'originale e divertire il pubblico. L'attenzione è condotta anche verso i principali tipi (falso perverso e falso consacrante) e procedimenti (abbassamento, ingrandimento, rimpicciolimento, rovesciamento, aggiornamento del contenuto e della forma dell'archetipo) presenti in parodia. Si darà dunque occasione di osservare come non sussista un unico modo di fare parodia, ma varie siano le motivazioni, i criteri e gli stili in cui essa si manifesta.
Si può partire da La Nencia da Barberino di Lorenzo il Magnifico (f). Nella seconda metà del Quattrocento fioriva nella città toscana il primo umanesimo volgare, contrassegnato dalla fiducia nell'uomo, dall'amore per la cultura, per l'arte e la scienza (alla corte di Lorenzo si raccolsero, tra gli altri, Pulci, Poliziano e Marsilio Ficino), e sotto il Magnifico Firenze diveniva centro promotore della pace dell'equilibrio politico in Italia. La Nencia, probabilmente databile alla prima produzione laurenziana, compone una parodia della lirica d'amore cortese (di cui l'ingrandimento focale nelle rozze iperboli incrina i topoi della lode all'amata e dello struggimento dell'amante, cui sono dedicate le stanze rispettivamente della prima e della seconda decina). La parodia nenciale non risparmia la poesia petrarchesca e la poesia pastorale (la quale ebbe alcuni rappresentanti nel Petrarca 'bucolico', nel Boccaccio del Ninfale fiesolano e di alcune novelle – quale la VIII, 2 – che traduco in chiave rusticale e comica il tema e il linguaggio cortese, nell'Alberti e nel genere dell'egloga, tornato in auge nel Quattrocento [7] ). La Nencia, a ben vedere, è un caso di falso consacrante: il suo autore, del resto, apprezza e recupera alla sua corte i classici e gli scrittori della tradizione. Il fine risulta dunque quello di divertire e di omaggiare i propri paradigmi letterari, ma con un procedimento che li rovescia e li abbassa. Come notano Almansi e Fink, "la perfetta parodia consacrante è un complimento fatto di cattiverie". [8]
La Nencia a sua volta è parodiata da La Beca da Dicomano (ante 1470) (g), di Luigi Pulci (di cui si potranno considerarsi le prime ottave, ad esempio dall'I alla VI). Scritta anch'essa alla corte medicea, La Beca costituisce un esempio di parodia di secondo grado, e ripropone un'evenienza di una parodia consacrante. Pulci tuttavia è ben più irriverente e grottesco del Magnifico: nel suo poema tutto si fa esplicito e sguaiato, e nel linguaggio aumenta il coefficiente espressivo e plebeo, tracce dell'abbassamento e della tumefazione grottesca che guidano la parodia pulciana. L'affinità formale tra la Nencia e la Beca si misura per lo più limitatamente al metro popolare (rispetti continuati, ovvero serie di ottave), e all'utilizzo di forme dialettali, convergenze al di là delle quali la Necia appare ben più prossima alla lingua e al tono di Boccaccio, a cui l'avvicina l'espressione controllata e aggraziata, e un atteggiamento privo di eccessi caricaturali, tessuto invece di cordiale simpatia verso il mondo rappresentato.
Un'opera di valore notevole nella quale hanno trovano spazio le problematiche della multivocalità e dell'incontro con l'altro da sé può individuarsi nel Don Chisciotte della Mancia (h) di Cervantes da cui si potrà prendere in esame il brano inerente alla conquista dell'elmo di Mambrino, ad incipit del capitolo XXI. L'obiettivo che l'autore dichiara di perseguire attraverso l'opera risulta quello di 'abbattere l'autorità e il favore che hanno nel pubblico di tutto il mondo i libri di cavalleria', obiettivo che egli persegue mediante un loro rovesciamento in parodia. Gli ideali cavallereschi quali la lealtà, la generosità, la liberalità erano oramai anacronistici e in profonda crisi in un'Europa all'epoca percorsa da lotte tra imperi coloniali, e retta su stati assolutistici. E non a caso l'opera di Cervantes sviluppa su contrapposizioni agrodolci, quali il conflitto tra idealità e realtà, tra letteratura e vita, tra prospettive eterogenee di cui sono portatori i diversi personaggi: in essa trovano espressione la complessità e l'ambiguità della realtà e dell'esistenza. Nel brano analizzato non solo un bacile diviene nobile elmo agli occhi del prode cavaliere, ma l'intera realtà è interpretata e moltiplicata attraverso lo sguardo di ogni personaggio (in specie, nel brano considerato si incontrano e scontrano senza alcuna simmetria il punto di vista del narratore esterno, del barbiere, di Don Chisciotte, e di Sancio Panza), sicché le differenti prospettive appaiono in potenza tutte veritiere ma tutte insufficienti e relative, un principio, quello della relatività che potrebbe indirizzare alla riflessione sull'esigenza della tolleranza, del rispetto e dell'accettazione dell'altro. A questa soluzione giungono gli stessi protagonisti del romanzo, come riprovano i capitoli XLIV e XlV, in cui le versioni discordanti sul bacile o elmo convergono e convivono in un'ottica divenuta multifocale, dalla quale gemma la coniazione del 'bacielmo'. [9] Come mostra il brano in questione, uno strumento utile a questi esiti è senz'altro l'ironia, la quale favorisce l'assunzione di prospettive diverse dalla propria ed esorta a prendere in considerazione la visione e le ragioni degli altri.
Così due personaggi radicalmente diversi (secondo il topos dei due opposti) come Don Chisciotte e Sancio Panza, non solo restano in compresenza e si confrontano senza che l'uno prevalga sull'altro, ma giungono, mediante il dialogo e la condivisione di esperienze, a un sodalizio e a un'intesa che li vedrà in progressiva e mutua convergenza. I due protagonisti divengono permeabili l'uno all'altro, in una relazione osmotica fonte di scambio e di crescita umana, grazie a un incontro che ha saputo tradurre la diversità in ricchezza e in risorsa.
Fra gli autori più imitati del Novecento figura D'Annunzio: della sua Pioggia nel pineto Luciano Folgore (i), Montale (l), e Palazzeschi (m) hanno compiuto altrettante rivisitazioni dissacranti, nel tentativo di demolire e superare l'imperativa poetica del Vate. Sarà possibile verificare e confrontare i diversi procedimenti adottati: l'ironia di Folgore istituisce una riduzione e un abbassamento verso la dimensione piccolo-borghese e quotidiana, similmente a Montale che con Piove affranca la circostanza meteorologica da qualsiasi 'favola bella' e sostituisce all'elemento panico e divino un diluvio di parole e di fatti feriali dell'epoca contemporanea. La fontana malata di Palazzeschi può leggersi come un rimpicciolimento della situazione dannunziana e nel contempo come una dilatazione che conduce agli estremi le risorse foniche e la musicalità dell'originale.
E' interessante porre anche uno sguardo alle parodie di Pablo Picasso, in particolare ai d'après, opere che risalgono alla fine degli anni '50 e ai primi anni '60. Non solo in questo arco di tempo, ma per buona parte della sua carriera Picasso ha parodiato pittori noti e molto amati, commentandoli ed esorcizzandoli: fra essi Cézanne, Velazquez, El Greco, Michelangelo. [10] Qui si propongono due d'après (n), l'uno del '57, l'altro del '61, che rovesciano rispettivamente Las Meninas di Velazquez e Le Déjeuner sur l'herbe di Manet.
Note:
[1] M. Bachtin, L'opera di Rabelais e la cultura popolare, Torino, Einaudi, 1979, pp. 76-77.
[2] T. Todorov (a cura di), I formalisti russi, Torino, Einaudi, 1992, I ed. 1968, pag. 49.
[3] G. Almansi e G. Fink, Parodia come letteratura, letteratura come parodia, Milano, Bompiani, 1976, pag. 16.
[4] Un lavoro che offre interessanti percorsi di lettura e riflessioni critiche per il periodo che va dal XIII al XVI secolo è il libro scritto da P. Orvieto e L. Brestolini, La poesia comico-realistica. Dalle origini al Cinquecento, Roma, Carrocci, 2000.
[5] L. Chines e C. Varotti, Che cos'è un testo letterario, Roma, Carocci, 2001, pag. 19.
[6] Cfr. Niva Lorenzini, Le maschere di Felicita: pratiche di riscrittura e travestimento da Leopardi a Gadda, Lecce, Piero Manni, 1999, pp. 32-33.
[7] Cfr. F. Tateo, Lorenzo de' Medici e Angelo Poliziano, Roma, Laterza, 1981, pp. 8, 15.
[8] G. Almansi e G. Fink, Parodia come letteratura, letteratura come parodia, Milano, Bompiani, 1976, pag. 169.
[9] Cfr. Baldi, Giusso, Razetti, Zaccaria (a cura di), Dal testo alla storia, dalla storia al testo, Torino, Paravia, 1994, vol. II, t. I, pp. 120-123.
[10] Cfr. G. Almansi e G. Fink, Parodia come letteratura, letteratura come parodia, Milano, Bompiani, 1976, pag. 140.