Sara Urban - Di tutti quelli che si chiamano Ulisse

prove di scrittura teatrale, fra contemporaneità e classicità

 

Ciò che Ulisse salva dal loto, dalle droghe di Circe, dal canto delle Sirene, non è solo il passato o il futuro. La memoria conta veramente – per gli individui, le collettività, le civiltà – solo se tiene insieme l’impronta del passato e il progetto del futuro, se permette di fare senza dimenticare quel che si voleva fare, di diventare senza smettere di essere, di essere senza smettere di diventare.  (Italo Calvino, Perché leggere i classici)

 

Il teatro, come linguaggio artistico in ambito educativo, permette di sperimentare sulla propria pelle l’essere e il diventare, l’evoluzione umana e creativa dell’individuo e del gruppo che attraverso l’appropriazione e l’assunzione di storie e personaggi può condurre a esplorare e indagare temi, talvolta apparentemente lontani e complessi, mediante un approccio che unisce conoscenza ed esperienza, pensiero e sentimento. Il teatro consente di muoversi con libertà tra passato e presente, rinnovare la memoria per giocare a creare sul palcoscenico un mondo nuovo.

Nelle parole di Italo Calvino ci sono molte fra le premesse che hanno condotto alla creazione e poi alla concretizzazione del percorso di teatro e scrittura Figli di Nessuno presso l’Istituto Tecnico Statale Luigi Casale di Vigevano, durante lo scorso anno scolastico. Il progetto, suddiviso in una prima parte dedicata alla scrittura drammaturgica e una seconda al lavoro di messinscena, ha visto la partecipazione libera di un gruppo di alunni provenienti da classi diverse.

Quello su cui ora ci si vuole concentrare è il modulo dedicato alla scrittura e dunque alla testualità come prova di un percorso attivo e creativo di approccio al testo letterario, da intendersi nella sua varietà comunicativa e stilistica. La creazione drammaturgica ha infatti avuto origine da fonti e stimoli assai diversificati tra loro, nel tentativo di creare un continuo dialogo fra lettura e scrittura, scrittura e teatro, contemporaneità e classicità.

 

UN LABORATORIO DI TEATRO E SCRITTURA: IL VIAGGIO DEI FIGLI DI NESSUNO

L’idea di partenza espressa dai docenti referenti del progetto teatrale d’istituto e poi definita nelle sue fasi attuative, ruotava intorno al tema dei viaggi dei cosiddetti “figli di Nessuno”, migranti contemporanei, viaggiatori alla ricerca di una vita migliore, in qualche modo eredi del viaggiatore dei mari per eccellenza, Ulisse.

L’esperienza teatrale immaginata si proponeva di approfondire la tematica attuale e controversa dei migranti, coerentemente con i percorsi di educazione civica già affrontati nelle ore di didattica tradizionale. L’obiettivo era di condurre i ragazzi a esprimere una propria visione della questione, acquisire una conoscenza che andasse oltre i luoghi comuni e rendesse chiara ai loro occhi la complessità del tema, le sue molteplici sfaccettature politiche, sociali e umane.

La scrittura diviene così il luogo deputato per l’indagine e l’espressione dei singoli e del gruppo, mentre il teatro il luogo fisico e mentale in cui poi mettersi in scena per farsi protagonisti di un racconto. Due “spazi” per esprimere un pensiero originale, una personale visione creativa.

L’interesse da parte dell’Istituto era proprio quello di stimolare i partecipanti al laboratorio a mettersi in gioco in prima persona nell’intero processo, a partire dalla ricerca delle fonti, fino alla creazione del testo e infine dello spettacolo. Trattandosi di un istituto tecnico in cui le discipline umanistiche non sempre sono al centro degli interessi degli studenti, l’idea di partire dalla scrittura voleva essere un “esperimento” per coinvolgerli mediante un approccio didattico “altro”, attivo, personale e giocoso.

Giocare con la scrittura stimola gli allievi ad andare oltre certi timori che nella scuola a volte si sedimentano, a superare pregiudizi personali (“io non so scrivere!”…); li incoraggia a superare l’imbarazzo del dover mettere se stessi in quello che non è “un compito” ma, a poco a poco, diventa uno spazio espressivo. La finalità performativa in maniera piuttosto spontanea, se guidata con attenzione, aiuta a percepire un corpo nelle parole e conduce naturalmente ad una complessità contenutistica spesso inaspettata.

 

BREVE RACCONTO DEL VIAGGIO DA “NOI” A “VOI”

Il punto di partenza per l’elaborazione drammaturgica è stato chiamare in causa l’“io” dei ragazzi attraverso i primi esercizi teatrali e di scrittura volti alla presentazione di sé e al racconto – talvolta la scoperta – delle proprie origini: chi sono io, chi siamo noi.

Da subito si è lavorato in maniera stringente sulla relazione fra lo scrivere e l’agire sulla scena, perché si chiarisse concretamente l’obiettivo comune: elaborare un copione sul tema scelto. Quest’ultimo, quindi, andava esplorato, indagato, con pensieri da mettere su carta e con corpi da far agire nello spazio. Gli esercizi di presentazione hanno portato alla creazione di una prima semplice scena.

Riporterò d’ora in avanti, per illustrare il lavoro svolto, qualche frammento del testo finale a cui il gruppo è giunto. Lo abbiamo intitolato Di tutti quelli che si chiamano Ulisse.

 

Scena 1

 

I ragazzi si presentano, in mezzo al pubblico. Dopo aver detto la loro battuta, rivolgendosi agli spettatori, salgono sul palco.

GABRIELE: Io sono Gabriele, sono nato qua, e per me il viaggio è il suono del vento.

DENISE: Io sono Denise, sono nata qua, a Vigevano, la mia famiglia arriva dalla Puglia, per me il viaggio è una valigia.

SOFIA: Io sono Sofia, sono nata a Pavia, i miei genitori arrivano dal Pakistan, dalla grande regione del Punjab, e per me il viaggio è Dante che attraversa Inferno, Purgatorio e Paradiso.

 

Tutti i ragazzi-attori-autori hanno creato la propria battuta di presentazione con una medesima forma data: la dichiarazione del nome, la descrizione delle origini, una definizione o immagine per esprimere la propria idea del viaggio.

Il copione, e poi lo spettacolo immaginato, inizia dunque con una dichiarazione di identità, con la realtà, l’essere nel presente, l’essere “io”, “noi”: io che ho un nome, io che ho delle origini, noi che siamo un miscuglio di provenienze, anche se non sempre ci facciamo caso; noi che portiamo nel nostro corpo storie di migrazioni passate; noi che condividiamo il pianerottolo, l’aula, l’autobus, condividiamo la vita con persone che arrivano da lontano.

L’Istituto Tecnico Luigi Casale si caratterizza per una presenza di studenti stranieri abbastanza elevata, perlopiù seconde generazioni solitamente ben integrate nella società scolastica e cittadina, ma non sempre con una relazione emotiva pacifica con le proprie origini: questi ragazzi e ragazze sono esempi emblematici della società di oggi, mescolata e meticciata. Anche per questo l’argomento del progetto poteva avere una ricaduta comunicativa sia sugli alunni partecipanti, sia sugli altri che sarebbero stati spettatori del prodotto finale.

Le successive attività hanno riguardato direttamente l’attualità e la percezione del “problema degli stranieri”: ai ragazzi è stato prima chiesto di rispondere a un questionario di natura personale, poi di intervistare un compagno mediante un gioco di ruolo e infine di immedesimarsi in un migrante. Ciò che è emerso è stata la mancanza di una percezione che potremmo definire “tridimensionale” del tema dello straniero: è un soggetto osservato solo da lontano, appiattito sugli schermi della TV; sono le fotografie degli sbarchi, dei naufraghi, viste di sfuggita sul web; è il dibattito pubblico e la xenofobia espressa da certa parte politica, non condivisa dalla maggior parte degli studenti coinvolti, ma contemporaneamente accettata, perché “la faccenda è difficile e prima ci sono gli italiani”. Ma quali italiani? Chi sono gli italiani?

 

ALINA: Io sono Alina, sono nata a Suceava in Romania, come i miei genitori, e per me il viaggio è partire alla ricerca di una nuova vita.

 

Questo passaggio ci ha permesso di rompere la distinzione tra “loro” e “noi”, affiorata dai primi esercizi: la consapevolezza che anche “noi” – i nostri amici, la nostra classe, il nostro gruppo di riferimento – possiamo essere stranieri è stata significativa e ha agito in maniera sottile sul gruppo nel corso dell’intero laboratorio.

Abbiamo poi considerato la tematica del viaggio, esplorata sempre in modalità interattiva attraverso input di scrittura e piccole improvvisazioni in seguito trascritte. Siamo sempre partiti dal “noi” e dall’esperienza quotidiana – cos’è il viaggio per te? Per che cosa lasceresti ciò che hai? – per giungere al “voi”: voi che avete lasciato il vostro paese per andare alla ricerca di una nuova vita, come ha scritto Alina, 16 anni, che ha avuto un’esperienza diretta, che ha poi scelto di condividere e ne ha fatto l’oggetto del suo monologo. Un “voi”, dunque, che continua, dichiaratamente, a mescolarsi con “noi”.

 

LE FONTI E LE STORIE

Il gruppo ha individuato la ricerca della felicità come motore comune delle storie di viaggio che avremmo raccontato.

Proponendo un’attività di ricerca di testimonianze e storie personali, abbiamo chiaramente scelto di servirci della dimensione umana come chiave per entrare nel cuore del tema delle migrazioni, per renderlo materiale da teatralizzare, per immedesimarsi e dunque spingere a un avvicinamento anche emotivo, fin dalla fase di raccolta delle fonti e poi di rielaborazione scritta. Volevamo che i ragazzi giungessero concretamente alla consapevolezza che dietro le notizie spesso tragiche, dietro i dibattiti politici, oltre i numeri, ci sono persone, individui che hanno un vissuto e una ragione per viaggiare. E speravamo così di muovere una curiosità, un interesse, verso le storie che questi viaggiatori contemporanei portano con sé.

Gli studenti sono stati invitati a raccogliere prima testimonianze dirette, intervistando amici, parenti, compagni di scuola, conoscenti di origine straniera, per poi passare al reperimento di fonti bibliografiche, online, articoli di giornale. Abbiamo condiviso frammenti di film e reportage, ascoltato canzoni, osservato fotografie e opere d’arte capaci di raccontare le epopee dei milioni di contemporanei “figli di Nessuno”.

Dopo questa iniziale fase di indagine, i ragazzi e le ragazze hanno scelto le storie che avevano maggiormente colpito la loro immaginazione e da queste si sono ispirati per creare un personaggio (talvolta reale, talvolta suggerito dalla realtà) che salisse sul palcoscenico a raccontare del suo viaggio, della sua odissea verso una nuova Itaca.

 

Scena 2

Si presentano i protagonisti delle storie. Tutti si preparano per la partenza. Ognuno ha un bagaglio.

YUSRA: Puoi essere la persona più buona del mondo, ma il mondo spesso non è buono con le persone. A volte per farti rispettare dal mondo devi dimostrargli di lottare, di saper prendere la tua vita in mano e stravolgerla. Yusra ha scelto di provare a far cambiare idea al mondo.

ALIA: Ciao, mi chiamo Alia. Questa storia inizia un po’ di anni fa. Quando ho otto anni. Mi chiamo Alia ed ero una bambina di otto anni.

THERIM: “Hanno fatto saltare in aria Sheneeza”. Therim continuava a ripeterselo.

OWONA FUDA: Owona Fuda, faccia aperta, una bella risata e una buona facilità nel manipolare la terra. Owona Fuda viene dal Camerun e ha 40 anni. È partito perché è omosessuale e la sua cultura non lo accetta. Neanche suo padre lo accetta. E lo denuncia alla polizia.

ITALIA:  Cara Italia, mi vergogno un po’ a scriverti. Forse perché quando sono partita l’ho fatto senza troppi rimorsi.

MAMMA: Sono gli anni ‘80, anni di grande divertimento, ma anche anni di tensione politica. Il muro di Berlino non è ancora caduto. Io sono una studentessa, ho ventidue anni, sono qui per raccontare una parte di me e ciò che mi ha portato a cambiare la mia vita.

 

Queste sono alcune fra le battute di presentazione dei personaggi creati. Le loro storie sono state scritte in forma di monologo. I singoli testi, che si intrecciano nel prosieguo del copione, sono direttamente ispirati a fonti diverse, che agli allievi è stato chiesto di considerare quali stimoli di partenza, lasciandoli liberi nella scelta di attenervisi in maniera più o meno diretta, valutando sempre la coerenza alle notizie acquisite, ai dati reali.

Quando il teatro parla di attualità il gioco fra invenzione e cronaca per gli studenti non è solo motivo di conoscenza ma anche esercizio di utilizzo delle fonti in chiave creativa, per giungere ad un testo che dalla realtà possa assurgere alla dimensione della finzione.

Il lavoro di composizione del monologo è stato diverso e personale per ognuno dei partecipanti ed è nato da una specifica fonte orale o scritta. Farò alcuni esempi per chiarire il processo di reinvenzione del materiale di partenza.

 

La storia di Alia - scritta da Sara G. (16 anni), ricalca quella del protagonista di Nel mare ci sono i coccodrilli di Fabio Geda: il libro ha costituito un riferimento comune poiché a tutti è stato chiesto di leggerlo nelle prime settimane di laboratorio. Tra i numerosi testi sull’argomento delle migrazioni abbiamo scelto il volume di Fabio Geda perché attraverso una storia personale riesce a mettere in evidenza le innumerevoli implicazioni politiche, sociali e umane di un fenomeno che riguarda non uno ma molti. E lo fa con semplicità, conducendo il lettore in una vicenda coinvolgente: la storia biografica di Enaiatollah Akbari, un bambino che dall’Afghanistan arriva in Italia dopo un viaggio straziante e contemporaneamente epico, non è “solo” un libro sui migranti, è un racconto di formazione, una narrazione avvincente, uno sguardo su un mondo diverso da quello occidentale, capace di toccare anche i giovani lettori. Sara ha scelto di lavorare sul libro come fonte del suo monologo e lo ha fatto individuando i due passaggi che l’avevano particolarmente colpita nel momento della lettura e che sintetizzassero un episodio legato alla partenza e uno allo svolgersi del viaggio: il sacrificio della madre del protagonista che lo abbandona per consentirgli di partire e fuggire dalla guerra e il clandestino attraversamento di una frontiera. Sara ha sostanzialmente agito operando un montaggio tra i frammenti del libro, proponendo una sintesi obbligatoria per la forma teatrale e cercando di comprendere quali elementi risultavano più efficaci – e dunque andavano mantenuti – nel passaggio dalla forma narrativa a quella drammaturgica. Infine ha scelto di trasformare il bambino del libro di Geda in una bambina, per percepire il personaggio maggiormente vicino a sé.

 

Le storie di Saida, Omar, Omou e Owona Fuda - composte da Sara T., Francesco, Giada e Sofia M. (16 e 18 anni) sono tratte dalle testimonianze raccolte online nell’ambito di progetti specifici dedicati al tema dei migranti e alle loro storie personali, preziosissimi per il nostro percorso e, più in generale, per qualunque progetto educativo che abbia l’intento di avvicinare i più giovani alla tematica. In particolare abbiamo utilizzato il materiale raccolto in Archivio Memorie Migranti e DIMMI di storie migranti. In entrambi i siti è possibile reperire interviste e storie autobiografiche di migranti arrivati in Italia e provenienti da diverse aree del mondo. Per il nostro percorso è stato interessante il fatto di poter accedere tramite questi archivi a varie tipologie di narrazione: da quella propriamente autobiografica in prima persona, al reportage in terza persona, al racconto orale nella forma della videointervista. Queste diversità hanno condotto i ragazzi a riflettere sulla scelta di un punto di vista specifico nel momento della stesura del monologo, già immaginando la messinscena. Alcuni hanno scelto di porsi come narratori esterni della storia del proprio personaggio, mentre altri di immedesimarsi con la sua stessa voce. Inoltre affiancare al leggere l’ascoltare, quindi il ricorso a fonti orali (videointerviste, audiointerviste), ci ha portati a concentrarci sul “dire” e dunque sulla potenzialità insita nella forma drammaturgica e volta al suo compimento in scena: se la finalità è scrivere una storia da agire fisicamente e verbalmente, su quali elementi è necessario concentrarsi? Quali informazioni che la fonte fornisce è utile e efficace inserire nel testo? Come organizzare gli elementi selezionati? Che linguaggio usare? Come evocare immagini mediante le parole, che sappiano poi concretizzarsi e divenire corpo sulla scena?

Tutte queste domande sono state oggetto del processo di scrittura, condiviso, e per step successivi, sempre scanditi da momenti di lettura a voce alta dei testi in fase di lavorazione. Questi momenti hanno aiutato il gruppo a vivere il percorso di scrittura teatrale in maniera attiva e dialettica, scoprendo l’esperienza della scrittura non come momento solipsistico e chiuso in se stesso, ma collettivo e volto a un obiettivo creativo comune.

 

La storia di Yusdra - L’iniziale ricognizione libera di storie su siti, blog, social ha portato Elektra, 16 anni, a “incontrare” la storia vera di Yusra Mardini, profuga dalla Siria e poi nuotatrice alle Olimpiadi di Rio nel 2016: Elektra, partendo da informazioni e fonti giornalistiche reperite online, ha riscritto la storia di Yusra ponendo al centro del monologo il tema chiave dell’acqua, simbolo del viaggio per mare, elemento naturale da domare e allo stesso tempo abbracciare per raggiungere una vita nuova, una vita in cui Yusra può vivere per l’acqua:

 

YUSRA: Ancora Turchia, sognando la Grecia.

Ci devono riprovare per forza. Questa volta con una barca. Una barca che più di una barca sembra un gommone, che più di un gommone è un ammasso di plastica bucherellata qua e là e rattoppata con del nastro isolante. E’ molto più piccola e malandata di quella della prima volta. E’ molto più affollata. E c’è anche un motore, uno di quelli che si accendono con il filo che devi tirare e sperare di sentire il rombo che ti permetterà di viaggiare. Senza quello è come essere su un materassino in mezzo all’oceano. Su un materassino in cinquanta. Prima di partire lo guardi e speri che parta, poi per tutto il viaggio speri che non si spenga fino alla costa. Ma questa volta le speranze non sono bastate: il motore si è spento.

L’unica salvezza delle persone a bordo sono Yusra, sua sorella Sarah e un’altra ragazza. Sono le uniche a conoscere abbastanza bene l’acqua da poterla sfidare. E ce la fanno. Salvano diciassette persone oltre alle loro vite. E finalmente arrivano in Grecia e poi da lì in Germania. La Germania concede a Yusra lo status di rifugiato e lei può finalmente vivere per l’acqua.

 

Anche Denise, 16 anni, ha trovato un materiale giornalistico che l’ha interessata, differente da quello scelto dai compagni: Denise si è infatti ispirata a raccolte di lettere dei cosiddetti “cervelli in fuga” dall’Italia, pubblicate online da L’Espresso e La Stampa, scrivendo un monologo in forma di lettera al nostro Paese. Includere la storia di una giovane italiana – Italia, appunto – ha permesso di procedere sulla strada, intrapresa fin dall’inizio, del rendere la tematica trattata vicina ai ragazzi, continuando a rompere la percezione del “tema estraneo”. Inoltre si è così ampliato il ventaglio delle tipologie di personaggi coinvolti ed è stata inclusa una vicenda che ha un moto contrario rispetto alle altre: dall’Italia verso un paese extraeuropeo, lontano ed esotico, in cui la protagonista ci racconta ironicamente di dover fare attenzione a non farsi uccidere da ragni e meduse, ma in cui ha trovato possibilità lavorative negate nel nostro Paese. Un tema, questo, particolarmente sentito da studenti che si pongono domande sul loro futuro, domande che oggi – in seguito alla pandemia – stanno forzatamente cambiando il loro profilo e conducendo verso nuove e forse sempre più preoccupanti non-risposte.

Infine abbiamo utilizzato le fonti orali raccolte direttamente. Gabriele, 18 anni, ha creato il personaggio di Therim e la storia del suo viaggio dal Pakistan all’Italia, attraverso la Svezia, componendo le storie raccontate al gruppo da una volontaria che si è dedicata all’accoglienza e che ha dialogato telefonicamente con i ragazzi:

 

THERIM: Pakistan, un po’ di tempo fa. “Hanno fatto saltare in aria Sheneeza”. Questo è quello che continuavo a pensare durante il tragitto verso la scuola in cui insegnavo. I piedi si susseguivano a rilento, non camminavo al mio solito passo spedito, il passo tipico da insegnante pakistana che non vuole farsi sparare. Ancora non potevo capacitarmi che la mia amica, la mia collega, fosse veramente morta ieri, insieme agli altri insegnanti e ai bambini; tutto per colpa di quei mostri a cui osano concedere un nome, i talebani. Avanzavo con quell’eco rimbombante e continuo che mi riportava sempre lì. “Hanno fatto saltare in aria Sheneeza”.

 

E tra le tipologie di spunti iniziali dobbiamo infine annoverare l’esperienza personale, l’autobiografia.

Oltre al citato libro di Geda, abbiamo consultato l’ampia bibliografia che raccoglie testimonianze di viaggio e in particolare ci siamo soffermati su raccolte di storie di giovani migranti: riflettersi, rivedersi, riconoscersi nella vicenda di un coetaneo contribuisce a sviluppare empatia, abilità relazionale fondamentale per qualsiasi percorso teatrale (e aggiungerei, umano). Un libro particolarmente interessante per noi è stato Ho viaggiato fin qui. Storie di giovani migranti, a cura di Cristina Cenci e Francesco Iarrera, che raccoglie storie di immigrati tra i quindici e i diciannove anni, provenienti da Paesi e culture diversi. Il volume è frutto di un progetto attuato in una scuola dell’hinterland milanese il cui intento era quello di dare voce agli allievi stranieri. Dal mosaico di racconti emergono temi ricorrenti: l’esperienza mutevole della famiglia come “nucleo-nido”, l’abbandono degli affetti, l’incontro con una realtà nuova, l’approccio ad una lingua diversa. Questi stessi temi ritroviamo anche tra le nostre storie quando entra in gioco l’esperienza personale.

L’autobiografia è stato il punto di partenza di Carolina, 16 anni, che ha scritto la storia di sua madre, italiana e migrante per amore, e di Alina, 16 anni, che ha raccontato la sua storia. Il processo di lavoro, in questi casi, ha messo in gioco in maniera diretta l’io delle ragazze, il confrontarsi con le proprie origini famigliari e geografiche: il teatro e la scrittura possono diventare spazi significativi per l’espressione e l’elaborazione creativa del proprio vissuto.

 

ALINA: Tutto inizia dalla morte di mio padre. Poco dopo mia mamma dalla Romania comincia a “viaggiare” per il mondo, se così si può dire, viaggia, si sposta, per cercare lavoro. Ne fa molti di lavori. D’estate raccoglie le fragole in Israele e prima di arrivare in Italia le rubano tutti i soldi guadagnati. Dopo un anno di viaggi e lavori, viaggi e lavori, arriva proprio qua a Vigevano. Io e mio fratello intanto siamo rimasti in Romania con la nonna. “Nonna, andiamo a giocare! Nonna mi fai la merenda? Buonanotte nonna”. Nonna. Passano tre anni da quando mamma è partita. Un giorno riceviamo una telefonata. È lei. “Vuoi venire in Italia da me? Vuoi tornare a vivere con me, tesoro?”. “Sì!”. Le rispondo subito di sì e qualche settimana dopo rivedo mia mamma dopo tre anni. Tre anni sono tanti, sono tanti per stare lontane. Ci abbracciamo. Io saluto la Romania, il mio paese, e salgo su un aereo con mia madre. Non ricordo bene le mie sensazioni, ma so che ero spaventata. Era la prima volta che prendevo l’aereo. Al decollo mi si sono tappate le orecchie, ero sempre più spaventata perché non capivo cosa stesse succedendo e per di più non sentivo quello che diceva mamma. Finalmente siamo atterrate. Era ottobre, faceva fresco, ma io ero abituata alla neve alta quindi stavo bene. L’aeroporto di Bergamo mi sembrava immenso. Io ero una bambina e pensavo che in tutto il mondo si parlassero solo due lingue, rumeno e polacco. Quindi con sicurezza ho iniziato a parlare con le altre persone, a volte in rumeno, altre volte in polacco. “Sono Alina, sono appena arrivata, arrivo dalla Romania, buongiorno, buonasera, come va, tutto bene, l’Italia non sembra male, sono con mia madre”. Ma nessuno mi capiva. E così ho cominciato a imparare l’italiano. All’inizio era come un gioco: cercavo di interpretare le parole, di indovinarle, e per fortuna il rumeno e l’italiano non sono poi così diversi! Il primo giorno all’asilo mi siedo e comincio a disegnare. Dopo un po’ si avvicina una bambina e mi dice qualcosa, ovviamente io non capisco. “Io sono Alina, sono appena arrivata, dalla Romania” ma lei non capisce. E così parliamo con i gesti e con il disegno. Siamo due bambine e giochiamo e disegniamo per capirci attraverso i mondi. Adesso parlo quasi solo italiano. Sono Alina, sono qua, e sono io.

 

Il monologo di Alina chiude l’intrecciarsi di voci dei personaggi, un viaggio che ci ha condotto lontano per poi riportarci vicino, dove le identità dell’autrice e del personaggio si corrispondono. La possibilità del teatro è anche quella di dare lo spazio agli studenti di raccontarsi in maniera più o meno svelata, di esprimere la propria personalità, di percepire di avere “qualcosa da dire” e che questo “qualcosa da dire” può essere interessante e avere un valore narrativo.

 

E INFINE SI APPRODA A ULISSE

Vi è stato un ultimo stadio nel lavoro di produzione del materiale testuale per il copione. Uno dei riferimenti culturali da cui il progetto era partito era stata la figura di Ulisse, che gli studenti dell’istituto tecnico incontrano nel loro percorso scolastico con lo studio dell’Odissea prima e poi con quello della Divina Commedia.

Abbiamo ampliato la lettura dei materiali letterari ispirati alla figura di Ulisse, spaziando tra i generi: dai classici al Novecento, al mondo della musica, fino alla scoperta di metafore in ambito giornalistico e psicologico che si riferiscono all’eroe antico.

Per ciò che concerne l’ambito letterario è stata data ai ragazzi una breve antologia di frammenti in cui la presenza del personaggio Ulisse assume significati diversi. Siamo partiti dalla rilettura dei passi già noti: la famosa definizione di Omero nell’invocazione alla Musa e il passaggio dantesco, soffermandoci su analogie e differenze nella visione del personaggio e affiancando la descrizione che ce ne fornisce l’Enciclopedia Treccani. La scelta è stata quella di servirci, sin dal principio del nostro excursus, di materiali testuali differenti tra loro, che richiedessero anche diverse competenze di lettura, e che gli allievi potessero poi impiegare in maniera personale. L’obiettivo non era quello di un’analisi critico-letteraria bensì di rendere manifesta ai ragazzi la presenza di Ulisse, personaggio emblematico del viaggiare, attraverso i secoli e di far notare loro come i suoi metaforici viaggi potessero compiersi in spazi testuali diversi, assumendo eterogenei significati. Ad ognuno è stato poi chiesto di individuare i frammenti ritenuti più interessanti e di segnare graficamente le immagini maggiormente evocative.

Dopo Omero e Dante, abbiamo letto alcuni testi poetici: A Zacinto di Ugo Foscolo, Ulisse di Umberto Saba e Itaca di Konstantino Kavafis, che ci hanno consentito di soffermarci sulle immagini sensoriali e visive relative al viaggio e al senso del suo approdare. Siamo poi passati alle pagine di Cesare Pavese e a uno dei suoi Dialoghi a Leucò, L’isola: lo scambio fra l’eroe e la ninfa Calipso ha colpito l’attenzione e la fantasia degli studenti, particolarmente interessati alla metafora del viaggio interiore e universale. L’universalità espressa da Primo Levi in Se questo è un uomo quando evoca il canto dantesco del folle volo ha suggerito ai ragazzi – guardando attraverso la lente della letteratura - analogie tra una ormai lontana tragedia storica e quelle contemporanee, perché quel messaggio riguarda tutti gli uomini in travaglio. Le letture più propriamente letterarie si sono concluse con Italo Calvino e con le sue considerazioni sul senso di rileggere la figura di Ulisse, mediante passaggi da Perché leggere i classici: siamo dunque approdati all’affermazione dell’importanza costruttiva della persistenza della memoria, del viaggio come percorso fra passato, presente e futuro.

Ai testi di grandi autori abbiamo affiancato altre riflessioni sulla figura omerica e sul senso di evocarla e raccontarla oggi: interviste ad artisti e personaggi del mondo della cultura e del teatro che si sono dedicati a reinventare Ulisse, articoli di psicologi sulla cosiddetta Sindrome di Ulisse (scientificamente definita Sindrome dell’immigrante con stress cronico), dati sul fenomeno migratorio. Infine sono stati letti testi di cantautori e ascoltati i relativi brani musicali direttamente ispirati al personaggio o dedicati al tema del viaggio, viaggio di migrazione o di scoperta in relazione al cambiamento personale o collettivo: Odysseus e Cristoforo Colombo di Francesco Guccini, Nostos e Povero Cristo di Vinicio Capossela, Pane e coraggio di Ivano Fossati, Coprifuoco e Waltz degli scafisti delle Luci della Centrale Elettrica.

Questo excursus attraverso testi letterari, articoli e canzoni, si è concluso con l’osservazione di tre immagini emblematiche: la famosa foto di Massimo Sestini, icona della crisi migratoria nel Mediterraneo, scattata da un elicottero della Marina Militare a un barcone di migranti tra Libia e Sicilia, e accompagnata dalla famosa citazione di Terenzio Sono uomo, nulla che sia umano mi è estraneo (che apre il documentario Where are you? di National Geographic andato in onda in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato 2019 e che prende le mosse proprio dalla foto di Sestini); alcune tra le fotografie di New York Times e Reuters che nel 2016 hanno vinto il Premio Pultzer sezione fotografica Breaking News per aver documentato la crisi dei profughi in Europa; l’opera grafica del 2018 di Eduardo Stupia intitolata Ulises inmigrantes che accosta antiche immagini scultoree di Ulisse a volti di migranti contemporanei.

Ogni giovane autore si è appropriato liberamente di immagini e frammenti letterari, citati o rielaborati, per far scaturire da essi la propria personale visione di Ulisse, da esprimere mediante la scrittura di un breve monologo che riassumesse il senso di tutto il percorso fatto.

Il coro finale, mosaico dei singoli monologhi, è la forma in cui l’io dei ragazzi torna a farsi protagonista, celato dietro i molti Ulisse, una voce contemporaneamente unica e collettiva:

 

FRANCESCO: Io, lupo di mare, io uomo i cui occhi guardano tutto ciò che gli dei hanno creato.

GABRIELE: Io mi chiamo Nessuno. Posso essere chiunque. Sono un barcone di persone in mare aperto. Sono un uomo che si rallegra per i mattini d’estate. Sono un equipaggio colpito dalla tempesta. 

FRANCESCO: In questo periodo ho visto un certo movimento nei mari. Vedo gente come me che scappa dalla propria patria, scappa con i suoi ricordi e con la paura di non arrivare a destinazione.

ALINA: Avevo lasciato la mia casa per una grande impresa, per diventare eroe. Molti che viaggiano per i mari non se ne vanno per una scelta.

SARA: Ma la felicità è un diritto di tutti.

GABRIELE: Di tutti quelli che si chiamano Nessuno.

CAROLINA: Di tutti quelli che si chiamano Yushra, Therim, Alia, Saida,…

FRANCESCO: Di tutti quelli che si chiamano Ulisse.

GIADA: Siamo tutti Ulisse. Siamo tutti persi da qualche parte. Ma che cosa ci porta a casa? Che cosa ci permette di capire qual è la nostra vera identità? Ho impiegato dieci anni per trovare la via del ritorno, dopo altri dieci anni sprecati a perseguitare e combattere guerre. E poi ho iniziato il viaggio. Itaca mi ha dato il viaggio.

ALINA: Le sue ombre di viti nel sole e nel miraggio sono state come una bussola. Itaca l’ho avuta dentro.

CAROLINA: Nel futuro magari le guerre non ci saranno più, ognuno avrà una propria casa in cui potrà identificarsi, un suo luogo di pace. Ma se così non fosse, qualunque viaggiatore dovrà essere aiutato dagli dei, fino a quando non si troverà alla fonte di un fiume sconosciuto e si domanderà in quale territorio sia giunto. Senza mai arrendersi, come ho fatto io. E i popoli che seguiranno le mie tracce, che incroceranno le mie rotte, che ascolteranno le storie di Ulisse, l’uomo del folle volo, dovranno viaggiare e vivere la vita per la quale viaggiano.

 

Questa è l’ultima scena del copione scritto nell’ambito del laboratorio teatrale dell’Istituto Luigi Casale di Vigevano, tra dicembre e febbraio dello scorso anno scolastico.

Il teatro e la scrittura drammaturgica, attraverso l’elaborazione di differenti materiali testuali poi rimontati in un testo per lo spettacolo, hanno a mio avviso la straordinaria potenzialità didattica di mettere liberamente in azione l’acquisizione del sapere, di esperire il percorso di creazione e la nascita di un’opera originale, di consentire una riflessione attiva sul presente e sui grandi temi della contemporaneità, mettendo in gioco l’intera individualità dei ragazzi, mente corpo emozioni.

Di tutti quelli che si chiamano Ulisse non è mai andato in scena. L’emergenza Covid ha causato la sospensione dell’attività teatrale e nella bufera che ha travolto il sistema scolastico il progetto è rimasto incompiuto.

Nell’anno in corso, nonostante il proseguimento pressoché costante della DAD, il laboratorio è ripartito e quello che sarebbe dovuto essere uno spettacolo ha mutato forma per divenire prodotto video e consentire al testo di trovare la propria vita, anche se lontano dal palcoscenico. Attualmente ci troviamo in una fase di lavoro che prevede lo studio delle storie e i modi della recitazione da parte di un nuovo gruppo di giovani attori e attrici, studenti dell’Istituto che hanno accolto l’invito a portare a termine il progetto e a impegnarsi in un percorso creativo che – oggi più che mai, con l’obbligo e il vincolo della distanza – non è semplice approcciare e affrontare, ma che è importante che la scuola continui a proteggere e a proporre per la formazione dei propri studenti, individui e cittadini.

Questa mia testimonianza vuole solo essere un esempio di come il teatro e la scrittura possano diventare validi strumenti scolastici, sia per ciò che concerne le molteplicità di percorsi che è possibile creare, sia per il coinvolgimento diretto dei partecipanti, viatico per un avvicinamento a svariate forme di testualità. La lettura e la scrittura intese in senso non passivo, ma in una forma creativa e interattiva, favoriscono negli studenti la scoperta della parola come “corpo vivo”, come strumento di cui potersi servire per comunicare ed esprimersi in maniera inedita e autentica.

 

 

 

A conclusione di questo mio “racconto di lavoro” vorrei fare qualche ringraziamento, che ritengo doveroso soprattutto in un momento così travagliato per le istituzioni scolastiche e per tutti coloro che, quotidianamente, nonostante tutto, nella scuola impegnano passione e competenze.

Voglio quindi ringraziare le Dirigenti Elda Frojo e Stefania Pigorini, i docenti coinvolti nell’organizzazione del laboratorio,

Giuseppe Del Signore, Alexa Serio e in particolare la professoressa Giulia Cotta Ramusino.

Infine e soprattutto voglio citare personalmente tutti i ragazzi e le ragazze che hanno partecipato e stanno partecipando al laboratorio:

grazie ad Alessandro, Alina, Andrea, Arianna, Carolina, Denise, Emanuele, Elektra, Francesco, Gabriele, Giada, Giorgia, Luca, Sara D., Sara G., Sara T., Sofia C., Sofia M.

 

Giugno 2021