Si riporta qui l’intervento a tre voci tenuto al Congresso ADI- ADISD il 24 settembre scorso a Catania
Fantasia: l’arte di inventare storie da Boiardo a Rodari (Cinzia Ruozzi)
Abbiamo iniziato a ragionare sul progetto di formazione rivolto ai docenti e agli studenti di Reggio Emilia, che ha poi preso il titolo di Fantasia: l’arte di inventare storie da Boiardo e Rodari, quando la pandemia non era ancora cominciata. L’idea era partita da Elisabetta Menetti che proprio in quel periodo aveva da poco ultimato il suo ultimo saggio Gianni Celati e i classici italiani: narrazioni e riscritture [1], trascorrendo tanto tempo nella biblioteca Panizzi di Reggio Emilia dove sono conservati anche numerosi documenti e materiali inediti su Gianni Rodari che alla città dedicò il famoso saggio Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie (1973).
Seguendo il tracciato della fantasia come tema letterario, pedagogico e storico sociale ci eravamo riproposti di riflettere sul legame e sulla dimensione contemporanea delle opere della tradizione letteraria estense da Matteo Maria Boiardo (Orlando innamorato ) a Ludovico Ariosto (Orlando Furioso), sulla loro rielaborazione nelle riscritture di Italo Calvino e Gianni Celati e insieme di restituire il fermento neo-cavalleresco che permeò la vita culturale italiana negli anni Settanta e che ancora pulsa nelle terre della pianure, basti pensare alla recente Storia dei giganti di Ermanno Cavazzoni del 2007 ispirato al Morgante di Luigi Pulci.
E` importante anche sottolineare in questa scelta il ruolo della lettura ad alta voce, pratica didattica sulla quale l’Associazione degli Italianisti sezione didattica (Adi-sd) lavora da anni in collaborazione con il CEPELL, poiché la circolazione delle storie cavalleresche è sempre avvenuta attraverso svariati modi di racconto in narrazioni orali o cantate.
Inoltre volevamo restituire la complessità, la profondità e il lascito di Gianni Rodari, del quale ricorreva il centenario dalla nascita, a partire da quel leggendario Seminario sulla ‘Fantastica’ (parola tratta da Novalis che dice Rodari «mi faceva compagnia da trentaquattro anni» ) tenuto con Loris Malaguzzi a Reggio Emilia nel 1972.
Infine annodare i tanti fili di questo zigzagante ordito a una pratica didattica rinnovata, quella dell’Adi-sd dove ci si interroga sul senso della lettura e dello studio delle opere in rapporto alla propria vita e al proprio tempo.
Poi è arrivato il Covid 19 e mentre si cominciavano a chiudere le scuole e il buio della solitudine calava nelle nostre vite abbiamo cominciato a riflettere e a ripensare al ruolo che l’immaginazione fantastica può avere in relazione alla scuola e all’insegnamento. Improvvisamente abbiamo sentito quanto vere e nostre fossero le parole di Gianni Celati ne L’Orlando innamorato raccontato in prosa [2], quanto la letteratura potesse regalarci la contentezza e il sollievo, la passione immaginativa e il desiderio di raccontare, quanto le parole potessero aprire una prospettiva diversa sulla realtà che non è evasione ma un’alternativa all’esistente.
Una piccola patria per sopravvivere, la definisce Celati, mentre questi stralunati poeti fanno venire in mente che tutto è sempre da immaginare e che c’è sempre un gran bisogno di questa facoltà immaginativa e che per forza bisogna correre dietro a incanti e illusioni, come quei cavalieri incantati che si disperdono nel mondo. [3]
L’arte di raccontare storie fantastiche, ‘l’arte della fantasticazione’, come la definisce in un celebre neologismo Celati, acquista negli anni Settanta del Novecento una nuova prospettiva e nuove potenzialità espressive legate all’arte della riscrittura, del riadattamento sia in campo letterario che teatrale, televisivo, cinematografico che si nutre della tradizione dei poemi cavallereschi, rivelando la personale passione degli autori e al contempo l’intento di tenere viva la memoria di uno scorcio glorioso del nostro passato letterario. «È sicuramente Calvino il grande ispiratore di una nuova pedagogia dell’immaginazione e del superamento tra una visione oggettiva e realistica del mondo e la sua trasfigurazione fantastica. Due saggi degli anni Settanta (Il mare dell’oggettività ,1959 e Tre correnti del romanzo italiano d’oggi, 1960) raccontano questa intuizione, che si concretizzerà nell’amore per Ariosto e il suo poema e che non è una ricerca di evasione, ma una ricerca di intelligenza viva, di accuratezza formale e di fantasia» [4], «tutte doti che fanno parte di una concezione del mondo» e che «sono lezioni attuali», «è un’energia rivolta verso l’avvenire, non verso il passato» [5].
Nel 1968 Calvino presenta il testo dell’Orlando furioso in una serie di trasmissioni radiofoniche, messe in onda dalla RAI, leggendone e commentandone i canti. Nello stesso anno Calvino incontra Celati.
Sempre nel ‘68, Alfredo Giuliani, poeta dei ‘Novissimi’, critico e figura di punta del ‘Gruppo 63’ presenta ai radioascoltatori la Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso realizzando una lettura mediante l’intreccio di strofe e racconto. Ne nasce una chiave di interpretazione del testo inedita, suggestiva e modernissima dove la classicità si incontra con l’immaginazione contemporanea.
Nel 1969 al Festival dei due mondi di Spoleto, Ronconi e Sanguineti propongono un adattamento del Furioso che rimane uno degli episodi più importanti della sperimentazione teatrale novecentesca. L’opera ebbe un grande successo di pubblico, mentre l’impresa di trasporre il testo dalla scena allo schermo proposta dalla Rai sei anni dopo susciterà pesanti critiche. A questo dibattito prenderà parte anche Gianni Rodari sulle pagine di ‘Paese Sera’, quotidiano al quale collaborava già dal 1958. Lo fa inscenando un’intervista impossibile, sulla scia delle interviste impossibili messe in onda dal secondo canale radiofonico della Rai proprio in quel periodo tra il ‘74 e il ‘75 curate da Lidia Motta che vedono come protagonisti Manganelli, Eco, Arbasino, Ceronetti e gli ‘ariostisti’ Calvino e Sanguineti. L’Ariosto di Rodari si fa carico di difendere dalle critiche lo sceneggiato televisivo, ma è anche ben consapevole del fatto di essere in anticipo sui tempi, perché il pubblico italiano non è in grado di recepire il suo capolavoro.
“Ho calcolato, dice, con l’aiuto di Pitagora e altri matematici che il “Furioso” diventerà la lettura preferita degli italiani verso il duemiladuecentoventotto e dunque soltanto allora un regista potrà divertirsi a tradurlo in immagini senza correre troppi rischi.” [6]
Come scrive Stefano Jossa
«La frase di Ariosto colloca l’Orlando Furioso nel futuro, come se il pubblico dell’Italia degli anni Settanta del Novecento non fosse in grado di recepire la sua dirompente potenza letteraria, la sua carica di rottura e di slancio verso un altrove di là da venire. Poema del futuro e rivolto al futuro, l’Orlando Furioso differisce sempre la sua ricezione» [7].
Del resto il differimento come ha dimostrato Sergio Zatti nel saggio Il Furioso tra epos e romanzo [8] è proprio il meccanismo su cui si fonda la narrazione stessa del poema ariostesco che Rodari sembra aver intuito, sebbene negli anni della temperie culturale strutturalista.
Nel 1970 Calvino pubblica il suo Orlando Furioso dedicato ai ragazzi.
Nel 1972 Giorgio Manganelli, amico di Celati e Calvino, per Radio Rai legge e commenta il Morgante di Luigi Pulci che permette ai radioascoltatori che già conoscono le avventure di personaggi immortali come Orlando e Rinaldo di incontrare i personaggi comici e paradossali del gigante Morgante e del mezzo gigante Margutte. Il programma viene realizzato in 15 puntate con la regia di Vittorio Sermonti.
Dal ‘71 al ‘74 Pier Paolo Pasolini realizza per il cinema la ‘Trilogia delle vita’ (Il Decameron ‘71, I racconti di Canterbury ‘72, Il fiore delle mille e una notte ‘74)
Ma la costellazione non si chiude qui, nel 1991 Gesualdo Bufalino scrive Il Guerrin meschino, frammento di un’opera di pupi, nel 1994 Celati riprende il filo e riscrive L’Orlando innamorato raccontato in prosa. Come osserva Elisabetta Menetti, Celati compie un’operazione molto complessa: riscrive interamente il poema in ottave in prosa e lo suddivide in 43 episodi. Si tratta di un ibrido perché non è solo una riscrittura ma una traduzione dalla lingua padana del ‘400 all’italiano contemporaneo, un adattamento dal sistema letterario antico, che era a sua volta influenzato dalla tradizione canterina, al sistema letterario contemporaneo.
Siamo di fronte ad una opera di riscrittura di inestricabile complessità, molto diversa da quella svolta da Calvino per l’Orlando furioso di Ariosto o da quella di Manganelli per il Morgante di Pulci: entrambi avevano alternato liberi racconti di collegamento e di commento con una antologia di ottave da leggere o da recitare nell’antica forma originale. Celati, invece, sceglie la strada più impervia che è tradurre in italiano contemporaneo e riscrivere in prosa il poema in versi di Boiardo, cercando di ricreare la musicalità dell’antica lingua ‘emiliana’ nella sua prosa contemporanea, come se fosse un’eco della sua parlata di famiglia. [9]
Nel 2007 Ermanno Cavazzoni pubblica La storia naturale dei giganti [10], ma già a testimonianza del suo interesse di studioso e di scrittore aveva dato alle stampe nel 2000 per L’istituto Poligrafico e Zecca di Stato Luigi Pulci e 14 cantari da lui scelti e introdotti. Secondo Cavazzoni il testo critico che può essere considerato fondamentale per la comprensione di tale contemporanea riscoperta è il saggio di Celati Finzioni occidentali. Fabulazione, comicità e scrittura. [11]
Il saggio, o meglio la raccolta di pensieri come lo definisce l’autore, indaga l’origine della forma romanzesca e la genealogia della comicità, individuando nel superamento della forma razionalistica (che l’autore definisce ‘delirio di consapevolezza’) una delle strade della produzione letteraria post-moderna.
Infine a conclusione di questa rassegna ricordo l’opera di Paolo Nori Paolo Nori riscrive il Morgante di Luigi Pulci del 2016. [12]
E` in qualche modo entusiasmante pensare che sia avvenuto questo passaggio di consegne tra passato e presente che ha anche profonde radici nella mia terra, come dimostra l’origine della maggior parte dei suoi protagonisti. Sembra che i narratori delle pianure non se ne siano mai andati, che quei cavalieri vagabondi siano rimasti laggiù intrappolati dentro i cespugli in mezzo alla pianura, invisibili ma udibili se uno va ad ascoltarli da vicino, che facciano ormai parte della nostra famiglia. [13]
Ma il poema cavalleresco è stato anche l’occasione per un’indagine nuova e sfidante sulle figure femminili dell’Orlando Innamorato. La prima impressione, sfogliando nella memoria i ‘libri di cavalleria’ è che gli uomini siano perennemente altrove, persi in una quête che riguarda solo il loro sesso, mentre le donne li aspettino a casa.
Ne L’Orlando Innamorato, come sostiene Cristina Montagnani nel suo contributo Le brave ragazze vanno in Paradiso, le cattive ragazze vanno dove vogliono: donne e viaggi nella letteratura cavalleresca,[14] avviene un cambiamento di paradigma etico e dunque dei comportamenti di uomini e donne che da esso sono ispirati. L’esempio più conosciuto è quello di Angelica (il nome non è scelto a caso in quanto Angelica non corrisponde allo stereotipo medievale della donna angelo).
Angelica non aderisce più all’immagine di donna perennemente in attesa, ma si muove in continuazione all’interno del poema, parte e torna e spesso viaggia da sola. Ed è il suo movimento che provoca il movimento dei cavalieri. Altrettanto Inducono il movimento degli eroi, pur senza spostarsi dai loro regni e dal loro spazio, anche le quattro fate: Dragontina, Falerina, Morgana, Alcina e le loro aiutanti.
Ci sono poi le ragazze cattive, tra le più spregiudicate c’è Origille, incarnazione del femminile nella sua forma più dichiaratamente sessuale. Ella è l’unica a distogliere l’attenzione di Orlando dalla sua passione per Angelica senza l’ausilio di alcun incantesimo. E ancora la gentile figura di Fiordespina, la figlia di Marsilio che compare solo all’inizio e alla fine del racconto, vera ragazza in viaggio transgender, innamorata di un bel cavaliere che è in realtà Bradamante.
Spezzare l’immagine monolitica della donna dentro i canoni della rappresentazione maschile anche in ambito letterario è una prospettiva didattica necessaria, direi urgente, e sicuramente di grande interesse.
Abbiamo voluto approfondire questo tema con Cristina Gamberi la quale ha indagato il nesso tra letteratura per l’infanzia e l’articolazione della prospettiva di genere nella narrativa di Rodari. Dopo aver dimostrato come la letteratura per l’infanzia sia un genere letterario complesso, non innocente e dal potenziale sovversivo, Gamberi si è soffermata su alcuni personaggi femminili e sull’uso del linguaggio attraverso cui Rodari ha smascherato con ironia e acume quei meccanismi: ruoli e modelli sociali considerati universali, naturali e quindi invisibili che sono in realtà la causa della subalternità delle donne. Quello che è importante capire è che questo aspetto può essere compreso solo se noi siamo consapevoli del progetto politico che è sotteso al progetto narrativo di Rodari, del suo ideale trasformativo della società, del suo impegno proprio a partire dalla letteratura di far esistere una democrazia possibile.
È con il contributo di Vanessa Roghi, l’autrice di Lezioni di Fantastica. Storia di Gianni Rodari [15] che abbiamo indagato la figura di Rodari con l’ambizione di sottrarlo allo stereotipo di scrittore per bambini, dunque ‘facile’ e restituirne la complessità di intellettuale del Novecento. Giornalista, scrittore, uomo di cultura, militante nelle fila del Partito Comunista, Rodari è stato costantemente partecipe della storia italiana, attento a descrivere la vita del paese dalle pagine dei quotidiani e dei periodici ai quali collaborava. L’autrice ha realizzato una biografia di Rodari che è al tempo stesso storia personale e ricostruzione della temperie politica e culturale dell’Italia dagli anni Cinquanta agli Ottanta del Novecento (ricordiamo che Rodari muore il 14 aprile 1980 a soli sessant’anni). «Usando gli strumenti della lingua, della parola e del gioco ha portato l’elemento del fantastico nel cuore della crescita democratica dell’Italia Repubblicana» [16], eppure le sue opere rimangono relegate a una fruizione marginale, sono assenti dalla storia della cultura e della letteratura italiana. Forse la recente raccolta delle opere nei due volumi del Meridiano Mondadori pubblicato nel 2020 a cura di Daniela Marcheschi[17] (potrà finalmente restituire a Rodari il rilievo che merita nella letteratura italiana.
Basterebbe leggere in classe qualche capitolo della Grammatica della fantasia per offrire agli studenti l’occasione di recuperare qualche nozione scolastica applicata alla realtà. Il saggio è infatti ricco di numerosi riferimenti culturali a riprova dello spessore e della complessità della ricerca di Rodari: I Frammenti di Novalis, l’incontro con le tecniche del Surrealismo, la lezione sull’essenzialità della parola degli Ossi di seppia di Montale, la poesia di Alfonso Gatto, il concetto di ‘spaesamento sistematico’ di Max Ernst, il debito nei confronti di alcuni saggi di Umberto Eco, la grande lezione di Gramsci sul linguaggio (‘tutti gli usi della parola a tutti’ scrive Rodari).
Nel capitolo Il prefisso arbitrario, Rodari ci rivela il senso profondo della sua proposta sulle svariate tecniche dell’invenzione. Primo fra tutti il valore di liberazione che può avere la parola. Rodari scrive:
Un modo di rendere produttive, in senso fantastico le parole, è quello di deformarle. Lo fanno i bambini per gioco: un gioco che ha un contenuto molto serio, perché li aiuta a esplorare le possibilità delle parole, a dominarle, forzandole a declinazioni inedite; stimola la loro libertà di parlanti, con diritto alla loro personale parole (grazie, signor Saussure); incoraggia in loro l’anticonformismo. [18]
Ma nel saggio di Vanessa Roghi c’è anche tanta storia della scuola italiana in un periodo, quello degli anni Sessanta- Settanta in cui la scuola vive un grande processo di rinnovamento pedagogico e didattico e una stagione di riforme importanti come l’introduzione della scuola media unica (1962), la nascita del tempo pieno (1971), i Decreti Delegati (1974), le 150 ore (1973). Rodari conosce e si lega idealmente a Mario Lodi, al Movimento di maestri e maestre di Cooperazione Educativa, a Bruno Ciari e si inserisce nel dibattito della pedagogia cooperativa, dell’educazione linguistica democratica con la pungente leggerezza delle sue raccolte di favole, fiabe, favolette e filastrocche, con la convinzione di chi crede nella necessità che l’immaginazione abbia il suo posto nell’educazione, che esprimersi e giocare con la fantasia sia un diritto di tutti, che inventare una nuova realtà possa servire a cambiare la realtà.
Concludo infine ripartendo dall’inizio, cioè dal primo incontro che abbiamo organizzato e che era rivolto, secondo una tradizione ormai consolidata dall’ADi-sd di Reggio Emilia, alle scuole superiori di secondo grado ma anche a quelle di primo grado. La lezione di Gianluca Genovese, alla quale erano presenti 240 studenti, tesa a rintracciare le costanti dei meccanismi fantastici e la loro fortuna nell’immaginario collettivo ha unito idealmente questi due segmenti di scuola. Dopo aver esplorato l’universo semantico del termine fantasia dalla etimologia, alla psicologia cognitiva, alle neuroscienze partendo dalle quattro occorrenze del termine presenti nel Furioso, Genovese ha guidato gli studenti in un viaggio intersemiotico nel mondo dell’immaginario da Ariosto fino a Harry Potter, inseguendo la presenza di animali misteriosi come l’ippogrifo e l’orca marina che ritroveremo rappresentati nelle stampe delle feste di Versailles, nei piatti e le ceramiche delle case nobiliari fino ai fumetti di Paperino e alle canzoni di Jovanotti. (Astolfo sulla luna a cercare il senno di Orlando che è sbroccato). In quell’occasione le classi hanno presentato un loro riadattamento de L’omino della pioggia di Rodari e altri contributi ispirati alle sue opere.
18 ottobre 2021
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[1] E. Menetti, Gianni Celati e i classici italiani: narrazioni e riscritture, Milano, Franco Angeli, 2020.
[2] G. Celati, L’Orlando innamorato raccontato in prosa, Torino, Einaudi, 1994.
[3] Ivi, p. X.
[4] E, Menetti, cit., pp.28-29.
[5] I. Calvino, Tre correnti del romanzo italiano, in Una pietra sopra, Milano, A. Mondadori, 1995, p. 68.
[6] G. Rodari, «Paese Sera» 23/02/1975 in C. Longhi, Orlando furioso di Ariosto-Sanguineti per Luca Ronconi, Pisa, Edizioni ETS, 2006.
[7] S. Jossa, Rodari e Ariosto, «Doppio Zero», 01/01/2020.
[8] S. Zatti, Il Furioso tra epos e romanzo, Lucca, Pacini, Fazi 1990.
[9] E. Menetti, cit., p. 82.
[10] E. Cavazzoni , Storia naturale dei giganti, Parma, Guanda, 2007.
[11] G. Celati, Finzioni occidentali. Fabulazione, comicità e scrittura, 1975, Torino, Einaudi, 1975.
[12] P. Nori, Paolo Nori riscrive il Morgante di Luigi Pulci, Milano, Rizzoli, 2016.
[13] G. Celati, L’Orlando innamorato raccontato in prosa, cit., p. 338.
[14] C. Montagnani, Le brave ragazze vanno in Paradiso, le cattive ragazze vanno dove vogliono: donne e viaggi nella letteratura cavalleresca in E. Carriero, ( a cura di) Letteratura adriatica: le donne e la scrittura di viaggio, Edizioni digitali del CISVA, 2011.
[15] V. Roghi, Lezioni di Fantastica. Storia di Gianni Rodari , Bari, Laterza 2020.
[16] Id, Gianni Rodari, un meraviglioso intellettuale, «Internazionale», 14 aprile 2020.
[17] G. Rodari, Opere, a cura e con un saggio introduttivo di Daniela Marcheschi Milano, Mondadori ‘I Meridiani’, 2020.
[18] G. Rodari, Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie, Torino, Einaudi, 1973, p.31.
Variabili testuali della 'funzione Rodari' (Claudia Correggi)
Nel secondo dopoguerra in Rodari si va gradualmente confermando la consapevolezza di una possibile compatibilità tra produzione per l'infanzia e scrittura giornalistica, all'insegna di un'attitudine decisamente comica. Le oscillazioni tra le due direzioni produttive dell'autore, temperate da una vocazione umoristica che Faeti definisce “riso civile”,[[i]] costituiscono le coordinate di una possibile 'funzione Rodari'. La si può individuare soprattutto nei testi dove l'intenzione pedagogica sorveglia la tessitura degli intrecci e la modellazione dei personaggi, ed è a sua volta mantenuta entro i limiti di una controllata intensità didascalica, grazie al daffare di una fantasia inesauribile. Le radici della 'funzione Rodari' possono essere fatte risalire a De Amicis e soprattutto a Collodi. Se per De Amicis la direzione creativa che affianca la scrittura per l'infanzia è il giornalismo, in Collodi, alla produzione di romanzi realisti e fantastici per lettori giovani e alla traduzione del repertorio fiabesco europeo, si somma la prosa umoristica. Per questa sintesi Rodari guarda a Collodi come a un modello ineludibile. Risulta difficile stabilire se si senta più influenzato dalla scelta del realismo-fantastico dell'autore di Pinocchio o dalla sua adesione a un umorismo irriverente e satirico. Accanto a Collodi è individuabile una genia di autori novecenteschi con i quali Rodari condivide una collocazione ibrida, condannata alla marginalità rispetto alle correnti più affermate, come il neorealismo, tuttavia feconda e ben accolta dai lettori. La critica gli accosta Alfonso Gatto, Palazzeschi, Zavattini, Malerba, Delfini, scrittori che condividono la vocazione al comico e la duplice ricezione della loro opera, “opere anfibie” le definisce Malerba, fruibili da adulti bambini. Il comico rodariano nella sua vasta gamma di sfumature può costituire tuttora una risorsa per la scuola, da diluire con le tecniche adeguate, per compensare le dosi massicce di 'letteratura tetra', secondo Manganelli, quotidianamente somministrate agli studenti.
2.1 Tra modernismo e postmoderno seguendo 'la vita all'incontrario'
Il primo percorso propone la lettura dell'ultimo romanzo dell'autore pubblicato in vita, nel 1978, C'era due volte il Barone Lamberto ovvero i misteri dell'isola di San Giulio, abbinata a quella de Il barone rampante[[ii]] di Calvino. Il Barone di Rodari si rivela un testo in cui il comico assume sfumature malinconiche. Le situazioni paradossali e le invenzioni umoristiche messe in campo con collaudata esperienza narrativa, si presentano come depotenziate, sembrano infatti non disporre dell'energia necessaria per mascherare il tema dell'invecchiamento e della morte che sottende l'intreccio. La causa di questa fragilità, va fatta risalire al contesto culturale in cui il romanzo fa la sua comparsa: la diffusione, veicolata dalla neoavanguardia, dei sintomi del postmoderno – inconsistenza delle trame, disinteresse per le psicologie dei personaggi, tono ironico d'ordinanza – alla fine degli anni Settanta ha già avuto modo di incidere sulle poetiche degli autori più ricettivi: Calvino nel '79 pubblica Se una notte d'inverno un viaggiatore, seguito nell'80 da Il nome della rosa di Eco. Rodari, interessato soprattutto alle dinamiche combinatorie della lingua proposte dal Gruppo 63 – già perlustrate negli anni dedicati allo studio del Surrealismo – sceglie di imbastire un intreccio a bassa intensità: un novantaquattrenne barone ricchissimo e malato vive con il fedele maggiordomo in una villa sull'isola di San Giulio, sul lago d'Orta; durante un viaggio in Egitto si imbatte nella ricetta dell'immortalità contenuta in un proverbio pronunciato da un vecchio arabo: “l'uomo il cui nome è pronunciato resta in vita”. Di ritorno a casa, assume una truppa di impiegati pagati per ripetere a turno il suo nome e garantirgli un progressivo ringiovanimento; il successo del piano viene messo a rischio da un avido nipote e da una banda di 24 di rapitori tutti di nome Lamberto. Dopo varie peripezie, il Barone, morto e rinato, si trova tredicenne a vivere una nuova vita. Il pericolo di sentimentalismo che insidia l'ambientazione negli amati luoghi d'infanzia, viene neutralizzato dall'atmosfera paradossale che contagia trama e personaggi, figure di una commedia comica che sembra svolgersi su un palcoscenico senza profondità, quasi uno schermo. La parodia dell'incipit formulare delle narrazione favolistica – C'era due volte... – segnala fin dal titolo la convinzione che raccontare come una volta non sia più possibile. Lo ribadiscono le note, 'poscritti' numerati posti alla fine di ogni capitolo a dilatare i fili dell'intreccio, gli stessi che il finale da commedia dell'arte, completo di saluto al pubblico, non risolve, ma lascia sospesi. Il carattere popolare della comicità di Rodari espressa nell'adesione ai temi del carnevalesco e del mondo capovolto, viene esemplificato nel romanzo nel dettaglio 'buffo' del fiume Nigoglia, unico emissario del Lago d'Orta rivolto a Nord, verso le montagne e nell'adesione al topos della vita vissuta all'indietro, presente nell'espressione popolare “ricadere nell'infanzia”, che allude alla credenza diffusa nell'immaginario infantile che a “partire da un'età avanzata i vecchi ridiventino progressivamente bambini”[[iii]] Se ne possono seguire le tracce in alcuni titoli a partire da La favola di Gockel e Hinkel di Brentano, autore del romanticismo tedesco, affine a Rodari per l'interesse verso il repertorio fiabesco popolare. Nel primo Novecento il topos è rintracciabile in due testi: la Storia di Pipino nato vecchio e morto bambino, pubblicato nel 1911 da Giulio Gianelli, poeta crepuscolare e scrittore di racconti per ragazzi, e in The curious case of Benjamin Button di Scott Fitzgerald, del 1922, noto al grande pubblico per la trasposizione cinematografica di David Fincher del 2008. Nella seconda metà del Novecento lo si ritrova al centro del racconto Time of passage, in italiano Controtempo, di J.G. Ballard, del 1964, e nel romanzo La freccia del tempo, del 1991, in cui Martin Amis imbastisce il topos della vita vissuta al contrario con il tema della responsabilità e della colpa nel contesto del secondo dopoguerra. All'elenco si possono aggiungere la versione pop del tema ricorrente, sintetizzata in un monologo di Woody Allen assai replicato in rete [[iv]] e una canzone di Simone Cristicchi del 2010 [[v]]. La proposta della lettura abbinata dei due 'baroni' consente di seguire le poetiche di due autori coevi e affini per formazione politica e culturale, all'unisono riguardo alla scelta condivisa, seppur modulata con esiti diversi, di aggirare la barriera del Naturalismo, deviando in direzione di un 'fantastico sprovvisto del perturbante'. Se l'architettura della narrazione calviniana, all'altezza del Barone rampante, 1957, ancora ormeggiata alle forme tradizionali, risulta in grado di contenere e dare sostanza all'ariosità dell'ambientazione e all'acrobatico antagonismo del protagonista, il testo di Rodari esibisce gli esiti di un lungo periodo in cui si è consolidato il processo di raffreddamento delle forme e dei personaggi, avviatosi agli inizi degli anni Sessanta. Come scrive Jossa «Calvino e Rodari si sono sempre inseguiti, scambiandosi i ruoli e influenzandosi a vicenda»,[vi] condividendo «militanza politica, atmosfere culturali, progetti letterari e pedagogia linguistica, […] gusto per la sperimentazione verbale [e per] la chiarezza nella scrittura».[vii] Ma il riconoscimento pubblico del ruolo significativo svolto da Rodari da parte del più influente dei due arriva postumo, nel risvolto di copertina de Il gioco dei quattro cantoni 1980, l'ultima raccolta dello scrittore di Omegna, e ancora nell'articolo Rodari e la bacchetta magica, pubblicato su «Repubblica» il 6/11/82, rubricabile come il testo che porta a compimento il processo di canonizzazione avviato da Tullio De Mauro nel 1974, quando nella recensione alla Grammatica della fantasia annuncia la comparsa di un classico “elegante e geniale”.[[viii]]
2.2 Una vergine guerriera contro il senso comune
La partecipazione alla Resistenza e l'adesione al PCI, almeno fino al '56 per Calvino, è il retroterra comune a numerosi scrittori nati intorno agli anni '20 del '900, sul quale germoglia una concezione ben delineata del ruolo pubblico degli intellettuali. L'intensità della visione politica di Rodari si concretizza in un impegno instancabile volto alla trasformazione della società. Il progetto utopico si rafforza grazie alla lettura delle pagine di Gramsci, in particolare quelle dedicate ai temi della cultura, dell'educazione e della lingua, ai fini dell'elaborazione di un nuovo rapporto con le masse non colte [[ix]]. La riflessione gramsciana condiziona l'attitudine pedagogica di Rodari, l'attenzione all'accessibilità della lingua, la sensibilità divergente allenata a individuare e combattere le cristallizzazioni indotte dal senso comune, definito da Gramsci «un concetto equivoco, contraddittorio, multiforme»,[[x]] per cui «riferirsi al senso comune come riprova di verità è un non senso».[[xi]] L'osservazione si focalizza in particolare sulle dinamiche di potere tra uomo e donna, tra bambini e adulti, i soggetti più coinvolti nel processo di trasformazione dei modelli sociali e di genere, ne registra con attenta sensibilità sociologica gli effetti nella sfera privata, nei metodi educativi, nel mondo del lavoro per smascherare il persistente fine conservativo che intride il senso comune e si insedia nei contenuti e nella lingua. Tra i testi analizzabili alla luce di questo filtro si propone la lettura del romanzo Atalanta. Una fanciulla nella Grecia degli dei e degli eroi, pubblicato a puntate nel 1963 sull'inserto di «Noi donne» l' Album dei piccoli e in volume nel 1982, a cura di Argilli, con i disegni di Luzzati, per Editori Riuniti. Nella produzione narrativa dell'autore Atalanta si inserisce nella costellazione dei primi romanzi, inaugurata nel 1957 da Le avventure di Cipollino, dove contenuti innovativi, di intensa carica politica vengono adattati a forme del tutto tradizionali, a garanzia di una ricezione allargata, che travalica i confini nazionali. Per raccontare il mito secondario della giovane seguace di Diana, la cifra autoriale non investe sugli accorgimenti del comico, né sugli sperimentalismi linguistici, ma sulle invenzioni dell'intreccio, nel quale confluisce una sintesi del pensiero utopico di Rodari, focalizzato non solo sulla concezione della donna, ma sulle relazioni auspicabili tra i generi. Il tema mitologico viene affrontato con fedeltà alle fonti, nell'esordio Atalanta, figlia del re Jaso, appena nata è rifiutata dal padre in quanto femmina. Abbandonata in un bosco, è allevata da un'orsa e addestrata alla caccia dalla dea Diana. Conquista il rispetto e l'amicizia di eroi per la sua destrezza. Dopo la morte dell'amica Britomarti, gettatasi in mare per sfuggire all'inseguimento di Minosse, partecipa a una battuta di caccia in Caledonia, nonostante le proteste dei maschi cacciatori e trafigge il cinghiale sfuggito a ai precedenti tentativi di cattura. A questa prima impresa straordinaria, che la versione ufficiale del mito attribuisce ad Artemide con le sembianze di Atalanta, ne seguono altre in cui mostra doti eccezionali. Vive una vita libera, viaggiando nell'intero mondo conosciuto e conquista il rispetto e l'amicizia di Teseo, Giasone ed Ercole. Le avventure degli eroi – tra tutte la conquista del vello d'oro – e la vicenda di Medea disposta a tradire il padre per aiutare Giasone, vengono inserite nella trama in capitoli monografici, che vanno a costituire le parti del romanzo in cui l'invenzione creativa di Rodari lavora più autonomamente sulle psicologie dei personaggi e ne arricchisce lo spessore. Alla fine Atalanta si riconcilia con il vecchio padre, e non essendo neppure lei, come la dea protettrice, immune dall'amore, decide di sposarsi con Melanione, unico tra i pretendenti che riesce a batterla nella corsa Nel narrare la formazione del carattere della protagonista e la sua educazione sentimentale, Rodari dispiega l'utopia di una femminilità libera e indipendente, mai remissiva o dimessa, coraggiosa e disponibile a un dialogo tra pari con una mascolinità schietta e sincera, amichevole e solidale. L'epica classica e l'immaginario contemporaneo ci hanno abituati allo stereotipo della 'vergine combattente' personificato dalla giovane Atalanta. Ne è un'antesignana la Camilla di Virgilio, replicata nei poemi epico-cavallereschi dalla Clorinda di Tasso. Una versione popolare dell'eroina giovane e ardimentosa è la protagonista del film d'animazione Disney Mulan del 1998, divenuto poi un lungometraggio, così come la Principessa Mononoke, al centro della pellicola d'animazione del regista giapponese Miyazaki, 1997. Tuttavia colpisce la modernità della rilettura rodariana del mito, perché esprime in anni insospettabili, ancora non lambiti dall'onda lunga del '68, la fiducia in un cambiamento dei modelli di genere, possibile solo se reciproco. La convinzione della necessità di una rivoluzione antropologica che coinvolga entrambi i sessi viene tematizzata in un racconto sempre del '63, Pigmalione pubblicato anch'esso sull'«Album dei piccoli» e ripubblicato in Il libro degli errori, approdato con la seconda edizione del 1977 negli “Struzzi” La rivisitazione del mito comporta l'accurata descrizione dell'ossessione amorosa dello scultore per la statua, colmata di doni e idolatrata proprio per la sua passività, interlocutrice muta, sulla quale egli esercita un controllo assoluto. Il reiterato mutismo dell'oggetto d'amore insinua tuttavia nel protagonista dubbi sull'autenticità del proprio sentimento e sulla sua sensatezza. Mentre il noto finale del mito prevede che Venere accolga la preghiera di Pigmalione e trasformi la statua in una ragazza in carne e ossa, Rodari, riscrivendolo, introduce una variante realistica, che detronizza l'atmosfera mitica, abbassandola: sulla strada del ritorno dal santuario di Venere, lo scultore incontra una ex compagna di giochi che gli rivolge la parola per salutarlo, restituendogli così la bellezza di un dialogo autentico e il coraggio di una relazione reciproca. Interessante è la lettura proposta da Marzia Camarda in Una savia bambina. Gianni Rodari e i modelli femminili,[[xii]] studio che passa in rassegna i personaggi femminili in tutto il corpus della produzione di Rodari, narrativa e giornalistica. Ne emerge la conferma di quel metodo di lavoro ben definito che caratterizza la 'funzione Rodari': l'intreccio di narrativa e scrittura per la stampa periodica procede parallelamente; i due fronti consentono a Rodari di disseminare il progetto di una rivoluzione del senso comune all'insegna dell'autodeterminazione e della libertà, tra lettori diversi, gli adulti coevi e i futuri adulti.
2.3 L'orecchio acerbo di Rodari
Intorno agli anni Settanta la scrittura di Rodari sembra aver trovato un equilibrio davvero maturo tra propensione all'assurdo e attenzione alle sollecitazioni del quotidiano, tra le quali riveste un peso rilevante la questione ambientale. Lo testimoniano diversi interventi, ma in particolare l'articolo rivolto a un pubblico di adolescenti Lo scaffale dell'ecologia. Libri per salvare la natura,[[xiii]] che esordisce così:
Gli inquinamenti atmosferici, le previsioni sulla 'morte del mare', le profezie sui pericoli cui va incontro la vita sul nostro pianeta se non si correggono talune conseguenze negative del progresso tecnologico, hanno contribuito a far entrare nelle conversazioni d'ogni giorno termini riservati, non molto tempo fa, agli scienziati. Questo vale ad esempio per l'ecologia, cioè per quel ramo della scienza che si occupa degli esseri viventi e del loro ambiente. É una scienza complessa […] L'umanità ha bisogno oggi di farsi una “coscienza ecologica”, cioè di comprendere e misurare tutte le conseguenze della sua attività.[[xiv]]
L'esortazione è corredata da una bibliografia nella quale compaiono classici come La comunità vivente. Introduzione all'ecologia, di C. Carl Hirsch, e Domani il diluvio di Dario Paccino, ex-partigiano, autore con Mario Lodi di manuali di scienze per le scuole medie e di testi fondamentali dell'ecologismo agli esordi.[[xv]]. Un articolo pubblicato su «Paese Sera» nel '1977 oltreché testimoniare l'influenza di Leopardi sul pensiero di Rodari, si rivela carico di una duplice valenza: la sfumatura divinatoria, straniante per i lettori contemporanei, testimoni della crisi pandemica più grave della storia recente e, al tempo stesso, il valore di antidoto da opporre alla concezione ingannevole di natura diffusa dalle teorie misticheggianti amplificate dal web:
La natura non ci è né nemica né alleata. Siamo diventati uomini uscendo dalla natura, lottando contro la natura, sforzandoci di dominarla, contendendo il terreno palmo a palmo ad altre creature della natura, tigri e orsi, mosche e zanzare, microbi e batteri. Non siamo noi, è la natura che produce ogni anno il virus di una nuova epidemia di influenza.[[xvi]]
L'opera che per la sua carica suggestiva è riuscita a esprimere poeticamente il carattere peculiare dell'ambientalismo di Rodari è sicuramente la filastrocca Un signore maturo con un orecchio acerbo, del '79,[xvii] una sorta di “manifesto poetico ambientalista” di vasta risonanza internazionale. L'intreccio prevede che sul treno Capranica-Viterbo salga un signore anziano, maturo in tutto il resto del corpo, tranne che nell'orecchio sinistro, ancora verde. Un bambino incuriosito domanda:
Signore, gli dissi dunque, lei ha una certa età, /di quell'orecchio verde che cosa se ne fa? É un orecchio bambino, mi serve per capire/le voci che i grandi non stanno mai a sentire:/ascolto quello che dicono gli alberi, gli uccelli, /le nuvole che passano, i sassi, i ruscelli, /capisco anche i bambini quando dicono cose/ che a un orecchio maturo sembrano misteriose”.
Per accordarsi con l''orecchio acerbo' di Rodari un ottimo strumento è la raccolta di racconti Il gioco dei quattro cantoni, pubblicato subito dopo la morte ne “Gli Struzzi”, nel 1980 – rivolto quindi a un pubblico adulto – con illustrazioni di Munari, in un secondo momento nella collana “Libri per ragazzi”. Nella quarta di copertina Calvino scrive «Questo libro che Rodari ha consegnato all'editore pochi giorni prima di lasciarci, non è un commiato, ma la conferma che il suo sorriso continuerà a farci compagnia».[xviii] Nel seguito della nota Calvino attribuisce allo scrittore da poco scomparso le qualità della leggerezza e dell'esattezza, due parole chiave dell'ultima produzione calviniana che confermano la congenialità tra i due autori, soprattutto riguardo ai temi. Tra i racconti, di particolare interesse è quello che dà il titolo alla raccolta. La maestra Santoni, la protagonista, vedova in pensione, nota strani spostamenti degli alberi del suo giardino. Un'indagine notturna conferma la supposizione della maestra:
È proprio così – essa mormora – le piante stanno giocando ai quattro cantoni. E perché no? Che ne sappiamo veramente, noi, delle piante? Ci siamo informati dei loro progetti per il futuro? E se il regno vegetale aspirasse a raggiungere il livello del regno animale? [[xix]]
Le indagini proseguono e dopo aver captato una conversazione notturna fra gatti, la maestra arriva alla conclusione che una rivoluzione di grande portata stia coinvolgendo tutto il mondo naturale.
Il regno animale trapassa nel vegetale, questo diventa animale, quest'ultimo si umanizza e agli uomini non rimane, come sta in effetti accadendo, che occupare il mondo delle pietre e dei cristalli. Si verifica qualcosa di paragonabile a un universale gioco dei quattro cantoni. Il cosmo rivela, con tutto rispetto, la sua sostanza ludica.[[xx]]
Il tema ecologico, sottoposto a un trattamento paradossale, risulta investito da un'energia “trasfigurativa cosmica”,[[xxi]] rivitalizzata nel dibattito attuale dalle teorie sull'intelligenza delle piante e sulle facoltà mobili delle radici, esposte dal botanico Stefano Mancuso.[[xxii]] Lasciando il finale tipograficamente aggrappato alla presenza di una virgola “sospesa sull'abisso”[[xxiii]] del bianco della pagina, l'autore omette eventuali scenari apocalittici. Difficile stabilire se tale sospensione sia dovuta all'usuale “ritegno”[[xxiv]] che lo esime dalle lungaggini descrittive e dalle derive didascaliche o, invece, alla risoluzione di lasciare al lettore la responsabilità di un finale aperto. Forse lo scioglimento dell'enigma di quella 'virgola sospesa sull'abisso' lo si può reperire in uno degli ultimi interventi pubblici di Rodari, la conferenza Quello che i bambini possono insegnare agli adulti, tenuta a Torino il 18 gennaio dell'Ottanta, nella quale dichiara di aver appreso dai bambini “il coraggio della fantasia” e l' ”ottimismo della specie”.[[xxv]] Seguendo la traccia di questa fiduciosa dichiarazione, pronunciata alla medesima altezza del racconto in questione, al di là della virgola “sospesa sull'abisso” il lettore non si dovrebbe aspettare cupe narrazioni di catastrofi ambientali, ma, ipotizziamo, un lieto fine. Un'acquisizione che vorremmo condividere, ma siamo impossibilitati a farlo per vari motivi, la pressione mediatica, che insiste sull'imminenza del cambiamento climatico con toni allarmati; il senso di responsabilità nei confronti delle giovani generazioni alle quali sentiamo di aver sottratto il futuro; la paura che il nostro destino sia simile a quello che le narrazioni distopiche, di cui ci siamo nutriti avidamente nel frattempo, prefigurano; la diffusione di teorie antispeciste che taccerebbero il rodariano “ottimismo della specie” di razzismo planetario. In questo cupo orizzonte denso di presagi funesti gli unici refoli di speranza provengono dalle parole di una intrepida ragazzina che si rivolge senza esitazione agli adulti con discorsi semplici e chiari, li invita ad agire, a intraprendere una rivoluzione contro l'inerzia indotta dal senso comune. Impossibile per i lettori di Rodari non scorgervi la controfigura incarnata di un'Alice Cascherina, un'Atalanta, una Delfina e non percepirvi l'eco dell'accorato appello dell'autore, come sempre critico nell'analisi, lucido nell'esortazione alla prassi:
Ci sono [...] responsabilità del mondo adulto nei confronti del mondo bambino. [responsabilità terribili] l'uomo diventa un meccanismo della macchina che egli stesso ha costruito e che ora lo stritola. Bisogna rimettere la vita al primo posto. In questa impresa giovani e adulti possono incontrarsi: non più soltanto come padri e figli, ma come uomini.[xxvi]
18 ottobre 2021
[i] A., Faeti, Torte in cielo e torte in faccia. Note sul comico in Rodari in C. De Luca. (a cura di), Se la fantasia cavalca con la ragione. Prolungamenti degl itinerari suggeriti dall'opera di Gianni Rodari, Convegno del decennale della “Grammatica della fantasia” Reggio Emilia, 10-12 novembre 1982, Bergamo, Juvenilia, 1983, p. 35.
[ii] La proposta è stata rivolta a una seconda liceo scientifico.
[iii] G. Durand, Le strutture antropologiche dell'immaginario, Bari, Dedalo, 1972, p. 238 cit. in P.Boero, Una storia, tante storie. Guida all'opera di Gianni Rodari, Torino, Einaudi, 1992, p. 166-7
[iv] “Tanto per cominciare si dovrebbe iniziare morendo, e così il trauma è bello che superato. Quindi ti svegli in un letto di ospedale e apprezzi il fatto che vai migliorando giorno dopo giorno. Poi ti dimettono perché stai bene e la prima cosa che fai è andare in posta a ritirare la tua pensione e te la godi al meglio. Col passare del tempo le tue forze aumentano, il tuo fisico migliora, le rughe scompaiono. Poi inizi a lavorare e il primo giorno ti regalano un orologio d’oro. Lavori quarant’anni finché non sei così giovane da sfruttare adeguatamente il ritiro dalla vita lavorativa. Quindi vai di festino in festino, bevi, giochi, fai sesso e ti prepari per iniziare a studiare. Poi inizi la scuola, giochi con gli amici, senza alcun tipo di obblighi e responsabilità, finché non sei bebè. Quando sei sufficientemente piccolo, ti infili in un posto che ormai dovresti conoscere molto bene. Gli ultimi nove mesi te li passi flottando tranquillo e sereno, in un posto riscaldato con room service e tanto affetto, senza che nessuno ti rompa i coglioni. E alla fine abbandoni questo mondo in un orgasmo”. https://www.cineblog.it/post/21277/la-vita-al-contrario-di-woody-allen consultato il 7/10/21
[v]La vita all'incontrario, Album Gran Hotel, 2010. https://www.youtube.com/watch?v=YvxZn-nWcJc&ab_channel=SSALVO4 consultato il 7/9/21
[vi]S. Jossa, Italo Calvino in P. Boero, V. Roghi (a cura di), Rodari. A-Z, Milano, Electa, 2020, p. 36.
[vii]Ivi, p. 37.
[viii]T. De Mauro, Le parole e i fatti. Cronache linguistiche degli anni settanta, Roma, Editori Riuniti, 1977, p. 361.
[ix]Cfr. V. Roghi, Lezioni di fantastica. Storia di Gianni Rodari, Roma-Bari, Giu. Laterza & Figli, 2020.
[x]A. Gramsci, Quaderni del carcere (1975), a cura di V. Gerretana, Torino, Einaudi, 1965. p. 1399-1400, cit. in G. Benedetti, D. Coccoli, Gramsci per la scuola. Conoscere è vivere, Roma, L'Asino d'oro , 2018, p. 81.
[xi]Ibidem.
[xii] Marzia Camarda, Una savia bambina. Gianni Rodari e i modelli femminili, Cagli (PU), Settenove Edizioni, 2018. Sullo stesso tema cfr. l'intervento di Cristina Gamberi nell'ambito del Progetto Fantasia (vedi link sul blog adi-sd)
[xiii] G. Rodari, Lo scaffale dell'ecologia. Libri per salvare la natura in «La Via Migliore», febbraio 1973, n. 6
[xiv] G. Rodari, Lo scaffale dell'ecologia. I libri per salvare la natura, «La Via Migliore», febbraio 1973, n. 6.
[xv]Cfr. D. Paccino, L'imbroglio ecologico. L'ideologia della natura, Torino, Einaudi, 1972.
[xvi]G. Rodari, Dal pesce palla alla bomba ecologica, «Paese Sera», 17 luglio 1977 cit. in S. Panzarasa (a cura di), L'orecchio verde di Gianni Rodari, Viterbo, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2011, p. 62.
[xvii] Cfr. G. Rodari, Parole per giocare, numero monografico di «Biblioteca del lavoro» n. 101, 102, settembre-ottobre 1979, presentazione di Tullio De Mauro e illustrazioni di Francesco Tonucci.
[xviii]P. Boero, I libri della fantasia in G. Rodari, I libri della fantasia, San Dorligo della Valle (Trieste), Einaudi Ragazzi, 2009, p. 839.
[xix]Ivi, p. 721.
[xx]Ivi, p. 726.
[xxi]M. Pelaia, Gianni Rodari, orecchioverde pacifista in S. Panzarasa (a cura di), L'orecchio verde di Gianni Rodari, op. cit. p. 49.
[xxii]Cfr. S. Mancuso, L'incredibile viaggio delle piante, Roma-Bari, Laterza, 2018.
[xxiii]G. Rodari, I libri della fantasia, op. cit., p. 727.
[xxiv]P. Boero, I libri della fantasia in G. Rodari, I libri della fantasia, op. cit., p. 839.
[xxv]G. Rodari, Opere, a cura e con un saggio introduttivo di Daniela Marcheschi, Milano, Mondadori, 2020, p. CLV.
[xxvi] G. Rodari, Prefazione a L. Martini, Addio al pianeta terra, Milano, Bompiani, 1973
Funzione Rodari: riscrittura, lettura ad alta voce, interpretazione (Magda Indiveri)
“Il tempo è un bambino che gioca” recita, secondo una possibile traduzione, il frammento eracliteo[1]. Tempo nella sua accezione più alta, non il tempo segmentato ma l’eterno, il tempo del mondo. Tempo, bambino, gioco, sono tre vocaboli intensi e profondi a livello filosofico ed essenziali nella rielaborazione critica di ciascun insegnante, nella ricognizione del proprio ruolo.
Gianni Rodari è stato insegnante, giornalista, scrittore, educatore, militante. La sua riflessione sull’insegnare, mai solo teorica, tendeva proprio a cambiare la società, Come e più di un politico, è stato motore del cambiamento della scuola italiana negli anni sessanta, avvenuto a partire dalla scuola materna (e Rodari non risparmia grandi complimenti al’esperienza di Reggio Emilia), che come un fiume in piena ha poi riversato le proprie acquisizioni su tutta la scuola.
Con la Grammatica della fantasia Rodari ha voluto mettere insieme (parole sue) “un’offerta di strumenti per contribuire a creare nella scuola un ruolo nuovo, di bambino creatore, produttore, ricercatore”.
“Ora io credo” sto sempre citando le parole di Rodari che naturalmente faccio mie “che tutta la scuola di ogni ordine e grado debba ormai basarsi su un’idea di conoscenza diversa dal passato. La scuola dell’attenzione e della memoria ha fatto il suo tempo, occorre una scuola in cui entri la creatività e l’immaginazione del bambino, del ragazzo, del giovane”
Parole “antiche” che ancora vengono ripetute come slogan. Le celebrazioni per il centenario della nascita sono state fertilissime di nuovi studi che debbono allargare il bacino di ricezione del pensiero rodariano. Qui si vorrebbe ribadire come Rodari vada studiato da noi insegnanti di scuola superiore come un pedagogista esperto di didattica, impegnato sul campo; vanno letti come sussidi di formazione il recente saggio di Vanessa Roghi[2] e il quaderno della ricerca Loescher La felice impresa[3] insieme ai testi teorici di Rodari, la terna composta dalla Grammatica della fantasia[4], Scuola di fantasia[5] ed Esercizi di fantasia[6]. Completerei poi con la prefazione di Tullio de Mauro a Il gatto viaggiatore[7].
Per me l’insegnamento di Rodari sta tutto in questo motto fortemente donmilanesco, democratico, rivoluzionario, spesso travisato: “ tutti gli usi della parola a tutti”.
La letteratura, per entrare nel nostro ambito, non chiede solo la ricezione passiva o la ricerca delle figure retoriche o delle tecniche di funzionamento, non ci si appropria di un testo letterario solo collegandolo alla biografia dell’autore o al contesto sociale, la grande letteratura è parola che entra nelle parole di tutti (non a caso noi italiani siamo diventati Italia in primo luogo attraverso la letteratura), e quindi deve approdare alla riscrittura. Le tecniche sono molte, ma per ogni autore che si affronta io vedo necessario un lavoro di riscrittura di un brano, di una testo poetico nelle forme più diverse (variazione del punto di vista, riuso dell’incipit o dell’explicit, produzione di rime, strofe, rovesciamenti, scritture “alla maniera di” ecc. ecc.) Non si deve trattare di una “vacanza”, di un “divertimento”, ma di un sistematico e programmato lavoro sul testo letterario. La “funzione Rodari”, giustappunto.
Riscrittura è anche lettura ad alta voce. Il testo scritto passa attraverso il nostro corpo ed esce nella voce, nell’inflessione, nel tono che gli diamo. A volte un testo ci resta in memoria proprio con la voce di chi ce l’ha letto la prima volta con la giusta intensità. Esercizi di lettura ad alta voce fatti dal docente e dagli studenti sono da affiancare alla lettura muta
I classici della poesia italiana alla prova della voce è stato il corso tenuto all’interno del progetto nazionale Cepell “La voce nel testo” a Bologna nel 2021, ideato e organizzato da Filippo Milani. Quattro docenti di Unibo (Alberto Bertoni, Nicola Bonazzi, Stefano Colangelo, Giuseppe Ledda), nell’ interpretare Dante, Ariosto, Leopardi, e alcuni autori del novecento, hanno dialogato con quattro attori/registi (Paolo Billi, Micaela Casalboni, Lea Cirianni, Angela Malfitano), volti a interpretare con la voce e a spiegare quel che sentono in quei versi e come lo trasmettono. L’intreccio delle voci è stato davvero un concerto che ha restituito, a noi docenti di diverse scuole superiori che lo seguivamo, lo spessore del testo. Funestato dalla pandemia e quindi tenuto quasi tutto da remoto – ancora più importante, a quel punto, il ruolo della voce! – si è concluso con un laboratorio in presenza nella cornice della biblioteca Sala Borsa, che è testimoniato da un video di Daniele Fermani presente sui canali You Tube di Unibo e di Bologna Biblioteche.
La voce riscrive il testo letterario, e al tempo stesso lo introietta e lo restituisce in forma nuova e unica. Un gioco che va giocato in classe per la sua valenza di assunzione di responsabilità e per la ricchezza di implicazioni. Perché giocare è una cosa molto seria, e la scuola, scholè, tempo della passione, ne è vocazione prioritaria. Riscrivere o leggere ad alta voce sono già forme di riappropriazione e di interpretazione, competenze da perseguire con i molti mezzi che abbiamo in dote, sotto l’egida del motto galileiano del provare e riprovare. Ma meglio di me Goliarda Sapienza in alcuni suoi versi[8] esprime la forma di un “fantastico impegno” che non posso fare a meno di interpretare come l’essenza dell’insegnare:
fare disfare ancora rifare
questo filo di luce attorcigliato
nel nodo di fuoco
che chiamiamo sole.
18 ottobre 2021
[1] Eraclito, Frammenti, Testo greco a fronte, a cura di Francesco Fronterotta, Milano, BUR Rizzoli, 2013.
[2] Vanessa Roghi, Lezioni di Fantastica, Laternza 2020
[3] QdR 13, La felice impresa, a cura di B. Aldinucci e V. Roghi, Loescher 2021
[4] Gianni Rodari, Grammatica della fantasia, Einaudi 1973
[5] Gianni Rodari, Scuola di fantasia, La nave di Teseo, 2020
[6] Gianni Rodari, Esercizi di fantasia, La nave di Teseo, 2020
[7] Gianni Rodari, Il gatto viaggiatore ed altre storie, Editori Riuniti 1990
[8] Goliarda Sapienza, Ancestrale, La vita Felice, 2013