Rita Chiappini, Claudio Vandi - Caffè e Sirene in Medioriente. Tracciabilità e rovesciamento tra Nantucket e Ramallah

In questi tempi contrastati di globalizzazione selvaggia ed irrigidimenti tradizionalisti spacciati per dogmi religiosi, di pasti nella plastica, insalate in atmosfera modificata e ricerca maniacale della tracciabilità del cibo, per cui vogliamo sapere tutto della pecora, dell'erba, del pastore e del caprino a km zero, si ha a volte l'illusione o l'impressione di poter cogliere un avanzo di senso in un'immagine, una foto.
La foto che ha risvegliato i pigri ramponieri dal loro dormiveglia, mentre sul tavolato del ponte sopravvivevano alla noia delle bonacce estive, è quella dello Stars and Bucks , caffetteria di Ramallah apparsa sul Sole 24ore di una domenica della scorsa estate; in questa foto guardiamo Ramallah attraverso l'idea che la città orientale pare avere dell'America.
Per un gioco di lenti deformanti, capiamo qualcosa di Ramallah grazie alla mediazione di un modello di Occidente che non siamo noi e capiamo qualcosa dell'America passando da Ramallah.
Infatti la ragione sociale di questo caffè palestinese altro non è che la manipolazione del marchio di Seattle, Starbuck's, che a sua volta prende il nome da Starbuck, fiero primo ufficiale del Pequod di Achab, in Moby Dick[1].
Per ricostruire le tracce del significato dovremo procedere a rovescio, da Ramallah per arrivare a Seattle passando per Nantucket.

Proviamo a ricostruire la filiera dell'insegna e del caffè, del contenente e del contenuto; per il contenuto la strada sarebbe davvero lunga, dato che il chicco 100% arabica, originario di poco lontano, per diventare beverone bollente in bicchieroni di cartone pressato ha dovuto caricarsi di allure manhattanese: tacchi a stiletto sull'asfalto della Quinta strada, un'occhiata da Sacks, in mano alle eterne ragazze di Sex and the City scendendo da una limousine vetri oscurati in mano a uomini senza scrupoli con svolazzanti cappotti di cammello (anche lui sarebbe di poco lontano..) o a diaboliche direttrici di pubblicazioni fatue e per questo influentissime.
Ma come ha potuto l'idea di caffé passare dalla caffettiera a becco di rame e polverina in sospensione che scende piano ad un tavolo di soli uomini, ed arrivare al palestinese Stars and Bucks, luogo di aggregazione mista e "moderna" che possa magari essere utile "al decoro della città, alla salute degli uomini e all'onesto divertimento di chi ha bisogno di respirare"[2]?
Ha dovuto essere inghiottita da un leviatano e risputata sulla terra ferma, versione occidentale e consumistica del profeta Giona

Giona scese a Giaffa, dove trovò una nave diretta a Tarsis e, pagato il prezzo del suo viaggio, si imbarcò con loro lontano dalla presenza del Signore.
Il Signore scatenò un gran vento sul mare, e vi fu sul mare una tempesta così forte che la nave era sul punto di sfasciarsi. I marinai si dissero l'un l'altro: «Venite, tiriamo a sorte e sapremo per causa di chi ci capita questa disgrazia». Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. Allora gli dissero: «Che dobbiamo fare di te perché il mare si calmi per noi?» Il mare infatti si faceva sempre più tempestoso. Egli rispose: «Prendetemi e gettatemi in mare, e il mare si calmerà per voi; perché io so che questa gran tempesta vi piomba addosso per causa mia».
Il Signore fece venire un gran pesce per inghiottire Giona: Giona rimase nel ventre del pesce tre giorni e tre notti. Dal ventre del pesce Giona pregò il suo Dio, e disse: […] Tu mi hai gettato nell'abisso, nel cuore del mare; la corrente mi ha circondato, tutte le tue onde e tutti i tuoi flutti mi hanno travolto. […] Le acque mi hanno sommerso; l'abisso mi ha inghiottito; le alghe si sono attorcigliate alla mia testa. 7 Sono sprofondato fino alle radici dei monti; la terra ha chiuso le sue sbarre su di me per sempre; ma tu mi hai fatto risalire dalla fossa […] io ti offrirò sacrifici, con canti di lode; adempirò i voti che ho fatto. E il Signore diede ordine al pesce, e il pesce vomitò Giona sulla terraferma[3]


Bibbia a piene mani, ed il mare non è lontano da qui (in realtà le spiagge pettinate di Tel Aviv sanno più di California che di Medio Oriente) Gerusalemme è a due passi, anche se invisibile, di là dal muro che ferisce, segna e strazia la regione.
Ma forse la partenza e l'arrivo contano poco, quello che importa è piuttosto il percorso, la via del senso, scandita a suon di "One more cup of coffee before I go" o di "...the coffee tasted so fine.": lungo è il cammino del profeta per tornare in patria, carico di segni d'occidente.

Ora risaliamo la filiera del contenente ed il ribaltamento si fa più evidente: Stars and Bucks, stelle e dollari, cosa ci può essere di più americano per storpiare un marchio come Starbucks? Decostruzionismo mediorientale: si lavora sulle tracce del linguaggio, sulla tracciabilità (impossibile) dell'origine:

La traccia non è solamente la sparizione dell'origine (…) che l'origine non è affatto scomparsa, essa non è mai stata costituita che, come effetto retroattivo, da una non-origine, la traccia, che diviene così l'origine[4]

Ramallah ci dice che non è fuori dal mondo, appropriandosi di un marchio americano e si mette al riparo dividendolo in due capisaldi simbolici: stelle (e strisce) e dollari.
Usa un grimaldello linguistico per dirci "siamo come voi ma non siamo voi" e al verde-bianco del logo originale aggiunge il rosso della bandiera di una non–nazione.
Guardando la foto impariamo anche qualcosa su di noi europei che stiamo, non solo geograficamente, in mezzo: levantini per il caffè come luogo di incontro, d'affari, di commercio, per il caffè come pretesto ("ci vediamo al caffè..": noi non lo portiamo in giro, lo usiamo come scusa per portarci in giro), occidentali per il P.I.L., la libertà di movimento, l'invadenza culturale.

Ma anche il marchio originale aveva avuto bisogno di caricarsi di fascino per diventare remunerativo e distribuire dividendi.
Starbucks anche lui veniva da lontano, la sirena spettinata sul bicchiere parla di oceani, passaggi tra i continenti, pascoli delle balene, ma prima, molto prima, di marinai incantati, ossa bianche sugli scogli, e di uomo versatile e scaltro che non ci casca e si fa legare all'albero per tornare a casa (anche lui era di queste parti..) e, per Giove, parla di lui, il primo ufficiale del Pequod, l'ottimo Starbuck, nativo di Nantucket e quacquero per tradizione di famiglia.

Un uomo lungo e severo […] Trasportato alle Indie il suo sangue pulsante non si sarebbe guastato come la birra in bottiglie […] Circa trenta aride estati aveva veduto soltanto, sinora: quelle estati gli avevano disseccato tutte le superfluità del corpo. […] Guardandolo negli occhi, vi pareva di vederci ancora le immagini di quelle migliaia di pericoli ch'egli nell'esistenza aveva affrontato con calma.[5]

Niente ad un primo sguardo appare più lontano dai vicoli arroventati di Ramallah degli "abissi dell'azzurro senza fondo" in cui si aggirano "enormi Leviatani e pesci spada e squali"[6], delle "mandrie di tricheci e di balene"[7] che si addicono all'uomo di Nantucket.
E il rovesciamento appare completo... Ma in realtà le scorribande più irriverenti nell'immaginario occidentale, dalle serie Tv di successo ai Sacri Testi, una volta tostate e filtrate come il caffè, mostrano una sorta di certificazione d'origine, un'IGP, una DOP delle idee e dei miti, che riporta tutto nello stessa maglia di reticolo geografico.
Ecco perché anche Starbuck pur "nato su una costaccia ghiacciata" era "bene adatto a sopportare climi caldi, ché la carne sua era dura come la galletta biscottata"[8].

 

Note:


[1] H. Mellville Moby Dick trad. it di Nemi D'Agostino Garzanti, Milano (1966)

[2] Carlo Goldoni, La Bottega del caffè (1750), Garzanti, Milano 2004.

[3] Libro di Giona, 1-4, www.laparola.net

[4] J. Derrida, De la Grammatologie Ed. de Minuit Paris (1967) trad. it. Della Grammatologia, Jaca Book, Milano (2 ed. 1998 p.92)

[5] H. Mellville Moby Dick, cit, cap. XXVI

[6] H. Mellville Moby Dick, cit., cap. CXXXII

[7] H. Mellville Moby Dick, cit., cap. XIV

[8] H. Mellville Moby Dick, cit., cap. XXVI