Raffaele Passarella - Gertrude vs Dracula: sguardi a confronto

Liceo classico “G. Carducci”, Milano

 

La proposta didattica di mettere a confronto due personaggi così distanti nasce innanzitutto dalle sorprendenti analogie delle loro descrizioni, ma soprattutto va nella direzione del sottoporre agli studenti del secondo anno di scuola superiore – destinatari ideali, ma nulla vieta che il lavoro possa essere affrontato anche da studenti di altre classi – qualcosa che possa incuriosire, stimolare l’attenzione e risultare funzionale anche alle attività normalmente previste dalla didattica del biennio, in particolare al lavoro sul testo descrittivo, e comunque a una capacità di guardare il testo, di coglierne gli elementi essenziali, quelli peculiari, e all’avvio all’analisi interpretativa.

 

Manzoni e il gotico

È noto che Manzoni non fu insensibile al fascino del romanzo gotico, e anche se gli studiosi hanno rilevato come il passaggio dal Fermo e Lucia ai Promessi sposi abbia comportato la decisione di sopprimere l’elemento gotico in misura significativa, è innegabile che la redazione definitiva del romanzo ne conservi ancora numerose tracce[i]. Tra i topoi del genere ricordiamo non solo l’ambientazione cupa, in cui compaiono edifici diroccati, antichi castelli abbandonati, una natura misteriosa e inquietante (spesso vissuta di notte), ma anche il senso di tensione, di ansia, di paura, di angoscia, di disagio, dei vari sentimenti e sensazioni, insomma, che favoriscano l’immedesimazione del lettore con il personaggio di cui legge le vicende.

Nei Promessi sposi tratti gotici sono disseminati qua e là, e sono primariamente presenti nella cosiddetta ‘notte degli imbrogli’[ii], nella fuga di Renzo da Milano, dove il percorso attraverso il bosco è raccontato in modo da generare inquietudine[iii], nella sezione dell’innominato[iv], nella Milano dominata dalla peste[v]. E nella parte dedicata alla Monaca di Monza, che è quella di cui ci occuperemo.

Gli studiosi hanno finora concentrato la loro attenzione sull’influenza che il romanzo gotico ha esercitato sulla scrittura di Manzoni, osservandone i possibili precedenti, eccezion fatta per Giovannoli, che ha invece proposto una lettura dei Promessi sposi alla luce di Dracula di Bram Stoker, con la consapevolezza che si tratta di un’opera posteriore[vi]. Quel che si nota in tutti i contributi (almeno quelli da me letti) sono analogie di struttura, di temi, di intenti, con posizioni da strutturalista a semiotico, a chissà che altro, ma con un rigido schema per cui un uomo è paragonato a un altro uomo, una donna a un’altra donna[vii].

 

Getrtude, suor Maria, suor Angelica

Quel che mi propongo di fare, quindi, ossia paragonare la descrizione della Monaca di Monza a quella del Conte Dracula, riveste questo ulteriore tratto di novità, perché è sicuramente più immediato muoversi su un terreno di somiglianza: il lavoro di confronto con la Monaca di Monza ha due termini di paragone molto più ovvii, ossia il romanzo epistolare di Verga, Storia di una capinera, scritta nel 1869 (pubblicata nel 1870-1871) e l’opera in un atto di Puccini, Suor Angelica (composta nel 1917, ebbe la prima rappresentazione al Metropolitan di New York nel 1918). In entrambi i casi gli spunti offerti sono comunque interessanti, a partire dal fatto che, se Manzoni racconta una storia che origina da un personaggio storico (Marianna di Leyva), anche per Verga e Puccini c’è un dato storico, anzi autobiografico: Verga si riferisce all’estate 1856-57 quando, sedicenne, per sfuggire all’epidemia di colera che infuriava su Catania, si rifugiò con la famiglia a Tèbidi, una località di Vizzini; in quell’occasione egli si innamorò di una giovane educanda, una certa Maria Passanisi, della Badia di San Sebastiano in Vizzini, dove era monaca anche sua zia[viii]. Puccini aveva una sorella di nome Iginia, che era madre superiora del convento delle monache agostiniane della frazione di Vicopelago di Lucca; grazie a lei egli riuscì a rappresentare in modo assai realistico quella che era la vita in un convento femminile[ix].

Un lavoro di confronto tra la Monaca di Monza, suor Maria e suor Angelica mette in luce alcuni temi comuni:

- per tutte e tre si tratta di una monacazione forzata, che implica la negazione della libertà e uno stato di effettiva reclusione[x];

- Gertrude e suor Maria hanno avuto per un breve periodo la possibilità di vedere com’è la vita fuori del convento (per suor Angelica la vita prima dell’ingresso in convento ha anzi avuto sviluppi complessi);

- per tutte c’è anche direttamente o indirettamente la presenza dell’elemento amoroso (nei Promessi sposi Egidio; in Storia di una capinera Nino; per Suor Angelica l’ignoto padre del suo bambino); la storia di Gertrude e quella di suor Angelica coinvolge anche la nascita di un bambino;

- infine in tutti e tre i casi c’è un parente stretto con tratti negativi (nei Promessi sposi il padre, in Storia di una capinera la matrigna, in suor Angelica la zia) che tratta la giovane con distacco e durezza.

Interessanti anche gli spunti che le tre storie offrono dal punto di vista sociale: in Storia di una capinera la monacazione di Maria è dovuta alla povertà della famiglia, mentre nei Promessi sposi e in Suor Angelica le famiglie sono aristocratiche: alla convenienza della reclusione di Maria, che con l’ingresso in convento alleggerisce le difficoltà economiche della famiglia, rispondono scopi diversi: una colpa d’amore da scontare (Suor Angelica) o l’interesse economico, che sconsiglia lo smembramento del patrimonio familiare tra i figli (Promessi sposi).

Questo è percorso che si può fare, ma è più scontato, data l’analogia del soggetto, ed è comunque lavoro che si può condurre principalmente a livello tematico, mentre risulta sicuramente più intrigante per gli studenti mettere a confronto testi che propongono qualcosa di insolito e solleciti la loro attenzione anche sul piano lessicale. Nel nostro caso la lettura in parallelo delle due descrizioni di Gertrude e di Dracula produce lo stupore di chi non si aspetta certe somiglianze e scopre come la pratica del testo descrittivo possa affinare la capacità di cogliere lo specifico di ciascun testo, sviluppare senso critico e stimolare l’interpretazione dei dati.

 

Gertrude e Dracula

Il modo in cui i due personaggi sono introdotti nei rispettivi romanzi presenta il ricorso a strumenti narrativi analoghi, tutti orientati alla creazione di un effetto di suspense. Al personaggio si arriva per gradi, attraverso un avvicinamento marcato da una serie di passaggi fisici e spaziali. Sia Agnese e Lucia nei Promessi sposi che il giovane procuratore legale Jonathan Harker in Dracula, penetrano gradualmente in una realtà estranea al paesaggio familiare dai contorni noti. Ci si addentra nel monastero, così come ci si addentra nel palazzo ed è goticamente un andare verso l’ignoto:

 

Promessi sposi

il guardiano […] si fermò di nuovo sulla soglia aspettando la picciola brigata. […] Il guardiano fece entrare la madre e la figlia nel primo cortile del monastero, le introdusse nelle camere della fattora, alla quale le accomandò […]. Attraversando un secondo cortile, diede un po’ di lezione alle donne sul modo di portarsi colla signora. […] Entrarono in una stanza terrena, dalla quale si passava nel parlatorio

Dracula

ho varcato la soglia […] «Benvenuto nella mia casa! Entrate libero e franco. […]».[…] Ha insistito per portare il mio bagaglio lungo il corridoio e poi su per uno scalone a spirale, e lungo un altro ampio corridoio […]. In fondo a questo, ha aperto un uscio pesante, e mi sono rallegrato alla vista di una stanza bene illuminata

 

Come si vede, il percorso è analogo:

Promessi sposi: soglia > ingresso nel monastero > primo cortile > camere della fattoressa > secondo cortile > stanza > parlatorio.

Dracula: soglia > ingresso del palazzo > corridoio > scalone > secondo corridoio > stanza (poi, per raggiungere la sua stanza, Jonathan prosegue in una seconda stanza, infine in una camera grande e ben illuminata).

 

Entrati nella dimensione dell’ignoto, i lettori sono pronti per incontrare i due personaggi, la cui descrizione fisica è giocata tutta e solo sul volto e sulle mani, ossia le uniche parti scoperte dall’abito:

 

Promessi sposi

Il suo aspetto, che poteva dimostrar venticinque anni, faceva a prima vista un’impressione di bellezza, ma d’una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta. Un velo nero, sospeso e stirato orizzontalmente sulla testa, cadeva dalle due parti, discosto alquanto dal viso; sotto il velo, una bianchissima benda di lino cingeva, fino al mezzo, una fronte di diversa, ma non d’inferiore bianchezza; un’altra benda a pieghe circondava il viso, e terminava sotto il mento in un soggolo, che si stendeva alquanto sul petto, a coprire lo scollo d’un nero saio. Ma quella fronte si raggrinzava spesso, come per una contrazione dolorosa; e allora due sopraccigli neri si ravvicinavano, con un rapido movimento. Due occhi, neri neri anch’essi […] Le gote pallidissime scendevano con un contorno delicato e grazioso, ma alterato e reso mancante da una lenta estenuazione. Le labbra, quantunque appena tinte d’un roseo sbiadito, pure, spiccavano in quel pallore: i loro moti erano, come quelli degli occhi, subitanei, vivi, pieni d’espressione e di mistero. La grandezza ben formata della persona scompariva in un certo abbandono del portamento, o compariva sfigurata in certe mosse repentine, irregolari e troppo risolute per una donna, non che per una monaca. Nel vestire stesso c’era qua e là qualcosa di studiato o di negletto, che annunziava una monaca singolare: la vita era attillata con una certa cura secolaresca, e dalla benda usciva sur una tempia una ciocchettina di neri capelli; cosa che dimostrava o dimenticanza o disprezzo della regola che prescriveva di tenerli sempre corti, da quando erano stati tagliati, nella cerimonia solenne del vestimento. […]

Era essa, in quel momento, come abbiam detto, ritta vicino alla grata, con una mano appoggiata languidamente a quella, e le bianchissime dita intrecciate ne’ vòti; e guardava fisso Lucia, che veniva avanti esitando […]

Dracula

Dentro, stava un vecchio alto, accuratamente sbarbato a parte i lunghi baffi bianchi, e nerovestito da capo a piedi, senza una sola macchia di colore in tutta la persona. […]

non appena ho varcato la soglia, si è mosso d’un subito e, stendendo la mano, ha afferrato la mia con un vigore tale da farmi sobbalzare, risultato nient’affatto sminuito dal sembrare essa fredda come ghiaccio – più la mano di un morto che di un vivo […]

l volto era grifagno, assai accentuatamente tale, sporgente l’arco del naso sottile con le narici particolarmente dilatate; la fronte era alta, a cupola, e i capelli erano radi attorno alle tempie, ma altrove abbondanti. Assai folte le sopracciglia, quasi unite alla radice del naso, cespugliose tanto che i peli sembravano attorcigliarvisi. La bocca, per quel tanto che mi riusciva di vederla sotto i baffi folti, era dura, d’un taglio alquanto crudele, con bianchi denti segnatamente aguzzi, i quali sporgevano su labbra la cui rossa pienezza rivelava una vitalità stupefacente in un uomo così attempato. Quanto al resto, orecchie pallide, assai appuntite all’estremità superiore; mento marcato e deciso, guance sode ancorché affilate. L’effetto complessivo era di uno straordinario pallore.

     Finora avevo notato solo il dorso delle sue mani posate sulle ginocchia, alla luce del fuoco: sembravano piuttosto bianche e fini; ma, trovandomele adesso proprio sott’occhio, ho costatato che erano invece piuttosto grossolane – larghe, con dita tozze. Strano a dirsi, peli crescevano in mezzo al palmo. Le unghie erano lunghe e di bella forma, e assai appuntite. Come il Conte si è chinato verso di me e le sue mani mi hanno sfiorato, non ho potuto reprimere un brivido. Può darsi che il suo alito fosse fetido, certo è che un’orribile sensazione di nausea mi ha invaso e, per quanto facessi, mi è stato impossibile celarla. Il Conte, evidentemente accortosene, si è ritratto; e, con una sorta di tetro sorriso, che gli ha messo in mostra più che mai i denti prominenti, è tornato a sedersi dall’altra parte del camino.

(trad. it. di Francesco Saba Sardi)

 

Dati fisici

Nei Promessi sposi compaiono, nell’ordine, viso, fronte, mento, sopraccigli, occhi, gote, labbra, tempia, capelli, mano, dita; in Dracula baffi, mano, volto, naso, narici, fronte, capelli, tempie, sopracciglia, bocca, denti, labbra, orecchie, mento guance; mani, dita, peli, palmo, unghie.

Si può far notare agli studenti come gli elementi siano quasi esattamente gli stessi, con minima variazione nell’ordine in cui sono proposti. Si rileverà come il Conte presenti in aggiunta elementi tipicamente maschili (i baffi) e il dato che più dovrà caratterizzarlo, ossia i denti aguzzi, ma di cui non si può (non si deve!) cogliere l’importanza, perché non è ancora tempo di rivelare il suo essere un vampiro. Il lettore, infatti, deve stare al gioco dello scrittore e lasciarsi guidare nel processo di scoperta della vera identità di questo personaggio misterioso.

Altro particolare che caratterizza il solo Dracula è la sua freddezza, che viene manifestata, in apertura del brano, dal contatto con la sua mano «fredda come ghiaccio – più la mano di un morto che di un vivo» (un commento di cui solo più avanti si avrà piena comprensione), e, in chiusura, in termini analoghi («come […] le sue mani mi hanno sfiorato, non ho potuto reprimere un brivido»).

 

Cromatismi

Un dato che merita di essere preso in considerazione, per tutte le implicazioni che comporta, è il cromatismo su cui entrambe le descrizioni sono costruite: balzerà evidente agli occhi che gli unici colori presenti sono il bianco e il nero: il bianco del soggolo e della benda, e il nero dell’abito (un velo nero, un nero saio), cui corrispondono nella monaca il pallore dell’incarnato e il nero dei capelli e degli occhi; analogamente per il Conte Dracula abbiamo il vestito nero (vestito di nero da capo a piedi) + bianco dei baffi e “uno straordinario pallore”. Chiaramente attraverso questo cromatismo, in cui tutta la tavolozza dei colori è assente (esplicito Stoker: «senza una sola macchia di colore in tutta la persona»), entrambi gli autori stanno trasmettendo un senso di morte, che nel caso di Gertrude, oltre a significare la tensione tra opposti che la determina, esprime la condizione di non-vita cui lei è ormai destinata, mentre nel Conte Dracula è uno stato di morte reale.

Si aggiunga, però, un ulteriore elemento di affinità cromatica tra i due personaggi, che nei Promessi sposi risiede nel «roseo sbiadito» che compare sulle labbra di Gertrude, cui corrisponde la «rossa pienezza» sulle labbra del Conte: nel caso di lei è da pensare che le labbra alludano alla passione amorosa, in particolare al bacio, cui il Manzoni censore accenna solo timidamente (il colore è infatto sbiadito), mentre per lui le labbra coprono i denti, che sono il suo ‘strumento’ di vitalità, e chiedono quindi di essere associate al colore del sangue. Lo stesso elemento identificativo, dunque, che rivela ciò che caratterizza i due personaggi. Così gli studenti imparano che anche minimi cenni possono rivelarsi altamente significativi.

 

Gli occhi

Abbiamo volutamente trascurato gli occhi, non per dimenticanza, ma per creare ulteriore suspense su di essi e sul messaggio che essi veicolano. Se dovessimo organizzare il materiale in una tabella apposita, sinottica, come abbiamo fatto sopra, otterremmo questo:

 

Promessi sposi

Due occhi, neri neri anch’essi, si fissavano talora in viso alle persone, con un’investigazione superba; talora si chinavano in fretta, come per cercare un nascondiglio; in certi momenti, un attento osservatore avrebbe argomentato che chiedessero affetto, corrispondenza, pietà; altre volte avrebbe creduto coglierci la rivelazione istantanea d’un odio inveterato e compresso, un non so che di minaccioso e di feroce: quando restavano immobili e fissi senza attenzione, chi ci avrebbe immaginata una svogliatezza orgogliosa, chi avrebbe potuto sospettarci il travaglio d’un pensiero nascosto, d’una preoccupazione familiare all’animo, e più forte su quello che gli oggetti circostanti.

Dracula

-

 

Come gli occhi sono oggetto di accurata indagine da parte di Manzoni, così essi sono vistosamente assenti nella descrizione del Conte Dracula, e credo che questo sia l’elemento più significativo da mettere in luce: partendo dal notorio e proverbiale adagio che gli occhi sono lo specchio dell’anima[xi], risulterà evidente che Manzoni, attraverso il lungo passo in cui analizza la varia mobilità degli occhi di Gertrude sta presentando il suo carattere; per converso, il fatto che Stoker non conceda la medesima attenzione agli occhi del Conte Dracula è, a mio avviso, il modo con cui ci sta dicendo che il giovane Jonathan non ha capito con chi ha a che fare, che non riesce a comprendere lo strano figuro che gli compare davanti.

E troviamo conferma di questa strategia narrativa poco più avanti, ma dopo la descrizione fisica, quando dice: «Uno strano silenzio sembrava posare su ogni cosa; ma, tendendo l’orecchio, ho udito, come se provenisse dal fondovalle, l’ululare di molti lupi. Gli occhi del Conte hanno avuto un lampo, ed egli ha detto: “Ascoltateli, i figli della notte. Che musica fanno, eh?”». Quel lampo, pur fugace, è il momento in cui il conte rivela il suo essere cacciatore. Ed è subito confermato dallo stesso Dracula che il suo interlocutore non è in grado di comprendere la sua vera natura, e difatti aggiunge: «Colta sul mio viso, così suppongo, un’espressione che gli riusciva strana, ha soggiunto: “Ah, signore, voi cittadini non potere far vostri i sentimenti del cacciatore”».

Ecco quindi che lo sguardo si conferma elemento fondamentale per la comprensione della vera e profonda natura dei personaggi. Si trattava, dunque, solo di attendere che l’autore scoprisse le sue carte. A lui la libertà di decidere quanto di essi svelare e quando. A noi lettori la capacità di assecondare la sua richiesta di complicità[xii].

 


[i] Si vedano a titolo d’esempio, M. Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Milano 2008 (1^ ed. 1948), pp. 103-108; G. Baldi, Manzoni. Cattolicesimo e ragione borghese, Torino 1975, soprattutto pp. 256-264; P. Giannantonio, Manzoni e il romanzo nero, «Otto/Novecento» III.2 (1979), pp. 5-37; R. Giovannoli, L'innominato vampiro. Riflessi «gotici» nei «Promessi sposi» alla luce del «Dracula» di Stoker, in Leggere i Promessi Sposi. Analisi semiotiche, a cura di G. Manetti, Milano 1989, pp. 263-292; M. Bricchi, «Come una magnifica veste gittata sopra un manichino manierato e logoro»: i «Promessi sposi», il gusto gotico e Ann Radcliffe, «Autografo» XII n. 31 (1995), pp. 29-70; A. Scarsella, Manzoni, Guerrazzi, Tenca. Ricezione del gotico e resistenze al fantastico in Italia, in Dal gotico al fantastico: tradizioni, riscritture e parodie, Venezia, 2015, pp. 215-227; M. Maggi, Gotico manzoniano e modernità visuale, «Immagine e parola» I (2020), pp. 163-185. Interessante anche F. Camilletti, Gertrude e il Nome del Padre, «Italian Studies» 71 n. 1 (2016), pp. 82–97, che analizza la figura di Gertrude dal Fermo e Lucia ai Promessi sposi «alla luce della sintomatologia isterica elaborata in ambito medico» (p. 82).

[ii] PS, cap VIII: «I nostri fuggiaschi camminarono un pezzo di buon trotto, in silenzio, voltandosi, ora l’uno ora l’altro, a guardare se nessuno gl’inseguiva, tutti in affanno per la fatica della fuga, per il batticuore e per la sospensione in cui erano stati, per il dolore della cattiva riuscita, per l’apprensione confusa del nuovo oscuro pericolo. E ancor più in affanno li teneva l’incalzare continuo di que’ rintocchi, i quali, quanto, per l’allontanarsi, venivan più fiochi e ottusi, tanto pareva che prendessero un non so che di più lugubre e sinistro».

[iii] PS, cap. XVII: «…s’accorse d’entrare in un bosco. Provava un certo ribrezzo a inoltrarvisi; ma lo vinse, e contro voglia andò avanti; ma più che s’inoltrava, più il ribrezzo cresceva, più ogni cosa gli dava fastidio. Gli alberi che vedeva in lontananza, gli rappresentavan figure strane, deformi, mostruose; l’annoiava l’ombra delle cime leggermente agitate, che tremolava sul sentiero illuminato qua e là dalla luna; lo stesso scrosciar delle foglie secche che calpestava o moveva camminando, aveva per il suo orecchio un non so che d’odioso. Le gambe provavano come una smania, un impulso di corsa, e nello stesso tempo pareva che durassero fatica a regger la persona. Sentiva la brezza notturna batter più rigida e maligna sulla fronte e sulle gote; se la sentiva scorrer tra i panni e le carni, e raggrinzarle, e penetrar più acuta nelle ossa rotte dalla stanchezza, e spegnervi quell’ultimo rimasuglio di vigore. A un certo punto, quell’uggia, quell’orrore indefinito con cui l’animo combatteva da qualche tempo, parve che a un tratto lo soverchiasse». Ha sempre una certa efficacia per gli studenti il parallelo con la fuga di Biancaneve nel bosco, dove il lungometraggio della Disney presenta rami di piante come lunghe braccia nodose che sembrano voler afferrare Biancaneve, o la quantità di occhi che emergono dal buio e che atterriscono la povera giovane in fuga (e il referente è spesso assai noto, perché è momento del cartone animato che rimane impresso nelle menti dei bambini proprio per la paura che genera).

[iv] Giovannoli, pp. 265-267.

[v] Giovannoli, pp. 267-272; G. Bárberi Squarotti, La peste dei Promessi sposi e la parte di Dio, in I classici della letteratura italiana 2. Manzoni, Atti del convegno (Albenga, 22-23 novembre 2013), a cura di G. Amoretti, Torino 2015, pp. 215-230 (soprattutto pp. 218-219).

[vi] Giovannoli, p. 263: «ogni testo domanda un altro testo attraverso il quale essere letto. Nel caso di un romanzo, questo testo interpretante potrà essere un saggio critico, un commento, una teoria della narratività, o anche (più modestamente) un altro romanzo che ci aiuti a leggere nel primo ciò che la nostra fretta e la nostra superficialità ci avrebbero altrimenti nascosto».

[vii] Si distingue in questo orizzonte l’esempio di Giovanni Getto, che ha messo a confronto il ritratto di Gertrude con quello di Schedoni, il monaco malvagio protagonista del romanzo della Radcliffe The Italian, or the Confessional of the Black Penitents (1797): cfr. G. Getto, Manzoni europeo, Milano 1971, p. 88 n. 90 (citato da Bricchi, p. 68). Eccone il testo: «La sua figura faceva impressione … era alta, e, benché estremamente magra, le sue membra eran grandi e sgraziate, e, come andava a gran passi, avvolto nelle nere vesti del suo ordine, v’era qualcosa di terribile nel suo aspetto; qualcosa di quasi sovrumano. Il suo cappuccio, inoltre, gittando un’ombra sul livido pallore del suo volto, ne aumentava la fierezza, e conferiva un carattere quasi d’orrore ai suoi grandi occhi melanconici. La sua non era la melanconia d’un cuore sensitivo ferito, ma apparentemente quella di una tetra e feroce natura. V’era nella sua fisionomia un non so che d’estremamente singolare, difficile a definire. Portava le tracce di molte passioni, che sembravano aver fissato quei lineamenti che ora avevan cessato d’animare. Mestizia e severità abituali predominavano nelle profonde linee del suo volto, e i suoi occhi erano così intensi, che con un solo sguardo parevano penetrare nel cuore degli uomini, e leggervi i segreti pensieri; pochi potevano tollerare la loro indagine, o perfino sopportare d’incontrarli una seconda volta» (trad. in Praz, p. 62).

[viii] Cfr. G. Alfieri, Verga, Roma 2016, p. 32. In generale si può agilmente consultare https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_di_una_capinera.

[ix] Su Suor Angelica si veda la pagina di Wikipedia, che è semplice, ma curata: https://it.wikipedia.org/wiki/Suor_Angelica.

[x] Si ricordi che le immagini che in Storia di una capinera sono più spesso associate al convento sono il carcere, la tomba, il buio. Anche in Suor Angelica viene espresso il desiderio di uscire (cfr., ad esempio, Suor Genovieffa: «Soave Signor Mio,/ tu sai che prima d’ora / nel mondo ero pastora. / Da cinqu’anni non vedo un agnellino,/ Signore, ti rincresce / se dico che desidero / vederne uno piccino,/ poterlo carezzare,/ toccargli il muso fresco / e sentirlo belare?».

[xi] La frase è ormai proverbiale e non necessita di essere ricondotta a fonti. Segnalo comunque alcune voci dal mondo antico: Platone, Fedro 255C; Cicerone, De oratore III 221; Vangelo secondo Matteo 6.21-23; Anonimo latino, Fisiognomica 10; Isidoro di Siviglia, Origini, XI 35.

[xii] Questo testo di Stoker, tra l’altro, consente di mostrare con la massima chiarezza agli studenti varie questioni narratologiche, narratore esterno/narratore interno, punto di vista, focalizzazione, presentazione diretta o indiretta dei personaggi, la differenza che intercorre tra i livelli di comprensione a seconda che si sia un personaggio del libro, che per le sue conoscenze è in grado di intendere solo certe informazioni, oppure un lettore esterno, al quale appunto l’autore richiede complicità: qui chiaramente Stoker strizza l’occhio al lettore a spese del malcapitato Jonathan.

 

 

 21 dicembre 2023

 

 

Link allegato 1: TESTO MANZONI P.S. CAP IX

 

Link allegato 2: TESTO BRAM STOKER DRACULA II