Nicola Bonazzi - Un altro inferno: l'epopea di Gilgames

Col nome di Gilgamesh è designato, in alcuni ritrovamenti a carattere epigrafico, il sovrano della città sumerica di Uruk, in Bassa Mesopotamia, vissuto attorno al 2700 a. C. Tuttavia la storicità del personaggio continua ad essere assai dibattuta e molti studiosi propendono per la natura completamente leggendaria dell'eroe. Di là da ogni valutazione storica, la figura di Gilgamesh è nota soprattutto per i testi a carattere letterario che ne tramandano le gesta, secondo varie versioni di cui la più antica, in lingua sumerica, parrebbe risalire al 2400 a. C.: si tratta di cinque composizioni frammentarie, ma sufficientemente leggibili, che narrano varie imprese dell'eroe e del suo inseparabile amico Enkidu.

Successivamente la materia venne rielaborata in un poema unitario e conobbe una larghissima diffusione, dalla Babilonia meridionale fino al cuore dell'Asia centrale. Se ne conoscono versioni in lingua accadica e ittita. Nella sua redazione ultima, il Poema di Gilgamesh si presentava diviso in dodici canti per un totale di 3600 versi e principiava il racconto dalla nascita di Enkidu, creato dagli dei quale completamento di Gilgamesh, sovrano feroce della città di Uruk.

Enkidu vive fra le greggi della steppa del cui latte egli si nutre. Subita la tentazione e il peccato da parte della donna (una meretrice), viene strappato all'ambiente naturale nel quale è cresciuto e costretto ad andare in città, dove incontra Gilgamesh ed è da questi sottomesso. Dopo tale episodio i due diventano inseparabili e affrontano varie avventure tra cui l'uccisione del gigante Chumbaba. Istar, dea dell'amore, invaghitasi di Gilgamesh, gli si offre, ma egli la respinge. Istar, adirata, gli aizza contro il toro celeste, sacro agli dei, che Gilgamesh ed Enkidu affrontano ed uccidono. Gli dei, decisi a far scontare loro questo peccato, stabiliscono che uno dei due debba morire: il prescelto è Enkidu. Ma senza Enkidu Gilgamesh non può vivere: egli cerca allora l'immortalità, per ottenere la quale dovrà attraversare il mare della morte. Al termine incontrerà Utnapishtim, unico superstite dopo il diluvio babilonese. Tuttavia, per non essere stato in grado di restare sveglio sette giorni e sette notti come richiedevano gli dei in cambio della concessione dell'immortalità, Gilgamesh è costretto ad accontentarsi della gloria derivatagli dalle sue azioni mortali. Evoca allora lo spirito di Enkidu, ma nemmeno questi riesce a consolarlo, potendogli parlare solo della vanità di tutte le cose mortali.