Michele Abbati - A carte scoperte

Come lavorano le scrittrici e gli scrittori contemporanei (Un progetto a cura di Paola Italia e del Master in Editoria cartacea e digitale dell’Università di Bologna) – Bononia University Press, 2021

 

Un valido ausilio allo studio della letteratura italiana contemporanea e alla pratica della scrittura nella scuola superiore si trova ora in A carte scoperte. Come lavorano le scrittrici e gli scrittori contemporanei, a cura di Paola Italia Anna Maria Lorusso, Bononia University Press, 2021. Il libro raccoglie i risultati di un’ampia inchiesta sull’essere scrittori oggi condotta nell’ambito del Master in Editoria cartacea e digitale dell’Università di Bologna fra oltre venti dei maggiori protagonisti dell’attuale panorama letterario italiano e può essere considerato sia come un’introduzione alla lettura di autori su cui gli interventi critici sono ancora pochi o di difficile reperimento, sia come uno sguardo d’insieme sulle più recenti tendenze della nostra letteratura. Ma non solo. L’intento di illustrare la scrittura nelle sue fasi come un processo laborioso e problematico perfettamente si attaglia alle esigenze dei giovani studenti della scuola (e dell’università) che si cimentano nelle prove scritte e sono alla ricerca non solo di astratti modelli di stile, ma anche di indicazioni pratiche su come superare gli scogli che si incontrano nell’elaborazione di uno scritto.

Qual è il problema della scrittura nella scuola superiore? È un problema di modelli e di esercizio. Le “Indicazioni nazionali” ministeriali per l’insegnamento di Lingua e letteratura italiana prevedono che si presti particolare attenzione alla forma espositiva scritta, in modo che sia corretta, pertinente, efficace e personale. Naturalmente nessuno mette in dubbio che buone competenze di scrittura siano fondamentali per la prosecuzione degli studi a livello universitario e per intraprendere un percorso professionale.  Tuttavia, per ragioni di tempo e per la vastità dei programmi (anche ridotti all’essenziale) raramente nel corso dell’attività didattica è possibile dedicare sistematicamente spazio alla pratica della scrittura. In sostanza, bisogna per lo più demandare all’attività domestica individuale degli studenti l’esercizio scritto e la lettura di autori contemporanei che possano essere modelli attuali e praticabili.

In questo senso A carte scoperte, oltre a individuare implicitamente un repertorio di autori per la scuola, rivela il dietro le quinte della loro scrittura e fornisce una serie di suggerimenti suggestivi e anche divertenti che possono tornare utili, all’atto pratico, per trovare il proprio modo di scrivere.

Insomma, come in una vera lezione, l’indagine sul rapporto tra il metodo e i risultati è rigorosa e chiara, per nulla incline ad astratte elucubrazioni o a compiacimenti narcisistici.

Infatti, interrogare direttamente uno scrittore sul suo metodo di lavoro e sul complesso delle procedure che precedono e accompagnano la nascita di un libro è un’operazione al contempo meritoria e delicata. Si entra nell’intimo della creazione letteraria, invitando un autore a svelare i segreti della sua attività, con una sorta di mon coer mis à nu in cui la componente soggettiva autobiografica si sovrappone e filtra l’esperienza oggettiva della scrittura.

Tutte le notizie autoriali concernenti gli aspetti e le circostanze, concettuali e materiali, della composizione di un’opera sono di per sé un’occasione imperdibile per sgombrare il campo da pregiudizi ed equivoci interpretativi, presenti e futuri; spesso, anzi, offrono la possibilità di chiarire le ambiguità di un testo o ne suggeriscono fondatamente una lettura da differenti punti di vista. Proprio nell’idea di una lettura aperta e pluriprospettica, le testimonianze degli autori sul fieri della propria opera assumono un valore che va oltre l’aneddotica e la pura curiosità, si pongono come una specie di bussola, di polo magnetico che orienta i lettori e gli interpreti a vario livello.

Il discorso vale universalmente e ha, peraltro, nobili e supremi esempi nel passato. Con buona pace di tutti gli agelasti, Thomas Mann dichiarò, ad esempio, di considerare la composizione dei Buddenbrook una sorta di divertissement e di passatempo familiare, una storia buttata giù quasi per burla, tanto che, quando la si leggeva alla fine di una giornata di lavoro, suscitava grandi risate in tutti. È quasi superfluo dire, allora, che la noterella autobiografica, riguardante la composizione di un’opera capitale nella letteratura europea e determinante nel destino dello scrittore tedesco, è un’icastica rappresentazione dell’idea originaria di Th. Mann sul rapporto tra artista e società borghese, sull’arte come attività ludica ed estetica ed è anche una chiave di lettura ironica del romanzo: lo scrittore è una sorta di Till Eulenspiegel che gioca in modo improprio tiri burloni alla serietà della vita. Così, per affrontare il discorso dal versante opposto, all’interno dell’opera, i lettori di Proust ricordano il passo del Temps retrouvé in cui quasi all’improvviso appare la definizione di “paperoles“ affibbiata dalla fedele domestica Françoise ai bigliettini incollati sui quaderni di scrittura del protagonista-narratore della Recherche. L’allusione strettamente autobiografica, confermata dai manoscritti e dalla Corrispondenza proustiana, è un autocommento sull’osmosi fra vita e letteratura, fra stile additivo della scrittura e labirinto della memoria, e fa il paio con quella in cui, primo ed unico caso nel romanzo, il narratore appone un’ambigua sphragìs al testo, presentandosi con formula ipotetica col nome di Marcel. In un memorabile saggio pionieristico sulla Recherche Gianfranco Contini dimostrò in anni lontani quanto le dichiarazioni dell’autore incrociate alla critica delle varianti possano giovare alla corretta comprensione del testo e all’acume delle interpretazioni.

Tuttavia, se allora il Contini poteva lamentare una penuria di mezzi e strumenti necessari per padroneggiare l’immensa mole degli scartafacci proustiani, ad oggi paradossalmente la situazione per quanto riguarda la letteratura contemporanea appare del tutto rovesciata. La diffusione delle nuove tecnologie, con l’immenso potenziale che esse mettono a disposizione, ha cancellato buona parte dei materiali attraverso cui si costruiva progressivamente il testo e, quindi, ha reso impossibile documentare in modo tradizionale la genesi e l’elaborazione di un’opera letteraria. E’ un dato di fatto, la grande trasformazione della scrittura nel secolo XXI, con il passaggio dal supporto cartaceo a quello digitale, ha reso evanescente il processo creativo. I manoscritti sono una rarità, i dattiloscritti sono spariti, manca spesso quasi del tutto l’avantesto, sfuggono le circostanze anche materiali che condizionano l’ideazione e la composizione del testo, gli scambi epistolari sono completamente caduti in disuso e, dunque, è venuta a mancare quella che per secoli è stata la principale fonte diretta di informazioni sugli autori e sulla civiltà letteraria in generale. Insomma, ci si può chiedere se l’informatica modificando radicalmente la datità del testo letterario, ne abbia anche modificato lo statuto ontologico: la sua esistenza non emerge più in ogni momento, viva, mobile e dinamica, ma appare cristallizzata nel libro come prodotto editoriale finale, a sé stante e decontestualizzata.

Come comportarsi allora con gli autori contemporanei?  Come evitare che la lettura da dialogo con il testo si trasformi in una ricezione passiva e anodina, oppure, al contrario, dia spazio a tentativi arbitrari di divinare significati inesistenti nel testo? Cosa resta della “mano autoriale” che traccia il procedimento creativo individuale nella sua elaborazione ed è insieme il portato di un sistema culturale che dà forma al messaggio e ne fornisce i codici di interpretazione?

Partendo da questi assunti, A carte scoperte. Come lavorano le scrittrici e gli scrittori contemporanei propone idee e spunti di riflessione attraverso le testimonianze dirette di ventidue scrittori di oggi (Andrea Bajani, Marco Balzano, Paola Capriolo, Giuseppe Culicchia, Paolo Di Paolo, Paolo Di Stefano, Marcello Fois, Antonio Franchini, Helena Janeczek, Maurizio Maggiani, Gaia Manzini, Dacia Maraini, Beatrice Masini, Melania Mazzucco, Marta Morazzoni, Laura Pariani, Valeria Parrella, Alessandra Sarchi, Antonio Scurati, Walter Siti, Andrea Tarabbia, Simona Vinci). Il volume, mantenendo una chiara impostazione laboratoriale, è un catalogo che descrive in una tessitura diacronica e sincronica aspetti e abitudini materiali e intellettuali che caratterizzano il loro modus operandi, dalle fasi aurorali dell’ideazione del testo fino al lavoro di correzione ed editing. In rigoroso ordine alfabetico gli autori rispondono a un questionario articolato in dieci stringenti domande proposte in quest’ordine:

Metodi. Qual è il suo metodo di lavoro?

Tempi. Quali sono i suoi tempi della scrittura?

Spazi. Dove scrive solitamente? Crede che i luoghi abbiano influenzato il suo modo di scrivere?

Scrivanie. Che cosa c’è ora sul suo tavolo di lavoro?

Supporti. Fino a quando ha continuato a usare carta e penna e cosa è cambiato con la scrittura digitale?

Correzioni. Quante volte e come deve riscrivere un testo perché possa essere considerato concluso?

Biblioteche. Qual è il rapporto tra la sua scrittura e la sua biblioteca? Come annota i suoi libri?

Modelli. Quali sono i modelli a cui si è ispirato per i suoi testi?

Editori. Quanto ha influito sulla sua scrittura il rapporto con gli editori e i redattori?

Archivi. Ha mai pensato di destinare il suo archivio a qualche istituzione? E se sì, a quale e perché?

Si tratta di una serie di domande perspicue e ben perimetrate, uno scavo per riportare alla luce le varie fasi del lavoro letterario nei suoi aspetti teorici e pragmatici e, come suggerisce Paola Italia nell’Introduzione, per ridefinire a partire dalla testimonianza diretta degli autori quello che, con le parole di Armando Petrucci, possiamo chiamare il loro “rapporto di scrittura”. Ne è scaturito un prezioso “vademecum” per studiosi, studenti e lettori che desiderano avventurarsi nella terra sostanzialmente incognita della letteratura contemporanea, un agile prontuario di notizie, riflessioni, suggestioni sulla e per la scrittura, che può essere letto sistematicamente come referto sullo stato generale della letteratura italiana contemporanea o anche consultato selettivamente in base alla focalizzazione dei propri interessi.

Procedendo, ad esempio, all’esame “sinottico” delle risposte, scopriamo che solo pochi fra gli autori interpellati affidano esclusivamente alla scrittura informatica l’elaborazione del testo, mentre nei 2/3 dei casi e più permane una stretta interazione fra la stesura fatta con il computer (universalmente adottata) e la scrittura manuale in varie forme, rilevante in particolare nell’ideazione e nelle prime fasi, come pure nelle correzioni in itinere spesso apposte anche al testo già stampato. Il dato percentuale deve ovviamente essere letto e integrato analiticamente proprio attraverso le voci degli stessi autori, che con maggiore o minore dovizia di particolari interpongono vere dichiarazioni di poetica.

Il capitolo dei modelli non presenta la medesima uniformità: con vari distinguo gli autori esplicitamente riconosciuti come modelli sono prevalentemente classici stranieri di fine Ottocento o inizio Novecento (indicativamente i più citati sono Dostoevskj, Kafka e London, poi Woolf, Joyce, Proust, Conrad, James, Hemingway, Th. Mann, Tolstoj…). Fra gli italiani Primo Levi, Pasolini, Tabucchi, ma anche Fenoglio, Tondelli, Pontiggia, S. Satta, Piovene, Parise, Malaparte, Sciascia, Bufalino, Volponi, Pomilio, Berto e alcune scrittrici come F. Cialente e L. Bonanni a G. Manzini e A. Negri, Deledda, N. Ginzburg, Viganò, Ortese, Morante. Poi spuntano Carrère, Th. Bernhard, Bukowskj, Carver, Houellebecq e McCarthy, Bret Easton Ellis e molti altri. Come si vede, una selva di nomi in apparenza inestricabile, in cui tuttavia si individuano precisi riferimenti ad opere e a fasi creative degli intervistati, con l’aggiunta interessante di ascendenti extra-letterari (tra i quali spiccano in assoluto quelli di ambito musicale). Manca, purtroppo, a proposito di modelli dichiarati il contributo di Antonio Scurati, ma, si sa, un dialogo è fatto pure di silenzi e A carte scoperte invita a riflettere anche su questo. «Ogni atto di scrittura - scrive Paola Italia - è fondamentalmente una “conversazione” con altri testi, reali o immaginari, un dialogo continuo, anche in assenza, e un confronto con il lettore, a partire dal redattore o l’editor che si “prende cura” del testo, e che, come una sapiente e a volte energica levatrice, può essere determinante nel portarlo alla luce». E’ in questo confronto così problematico nell’età contemporanea che l’atto di scrivere e l’atto di leggere si manifestano concretamente come atti di libertà e responsabilità, come difesa di valori irrinunciabili e argine dell’imbarbarimento culturale, come cardini di una più alta e nobile visione antropologica.

Non è quindi una chiosa retorica il voler ricordare che il ricavato del prezioso volume, patrocinato dall’Università di Bologna e pubblicato grazie alla collaborazione di tutti gli autori, dei giovani redattori del Master in Editoria e dell’editore BUP, è destinato alla campagna di Amnesty International per la liberazione del giovane Patrick Zaki, lo studente dell’Università di Bologna, coraggioso attivista in favore dei diritti umani, detenuto al Cairo dal 7 febbraio 2020 per reati di opinione. Anche a questo non si può rimanere indifferenti.

 

18 ottobre 2021