Marzia Pessolano - Nemico e/è straniero

Proposte didattiche per un percorso letterario

Una nuova didattica: letteratura e intercultura

La frequente e costante immigrazione nel nostro paese ha recato in sé molteplici implicazioni, tra cui la metamorfosi del rapporto scuola-società. E' preparata la scuola italiana ad affrontare questo mutamento? E quali strumenti possono essere utilizzati per formare studenti aperti e disponibili al dialogo con altre culture?

"L'educazione interculturale non è infatti, e non può essere, una nuova disciplina ma una modalità di approccio che si fonda sull'acquisizione di un habitus mentale capace di allargare la propria visione del mondo: è un modo di leggere, o di rileggere, contenuti antichi e attuali." [1]

I frequenti episodi di cronaca nera, portatori, più o meno inconsapevoli, del germe della xenofobia, non aiutano di certo i nostri studenti ad approfondire i rapporti con gli ormai numerosi compagni stranieri. Diventa, allora, indispensabile la conoscenza delle altre culture tramite la discussione, il dialogo, la riflessione: in questo senso, la letteratura rappresenta un efficace canale di comunicazione. 

Prima che il volto dello straniero assuma nell'immaginario collettivo - e di conseguenza in quello giovanile - le sembianze dell'operaio sottopagato che ruba lavoro agli italiani, del pusher che ruba vite agli angoli delle strade, del nemico venuto da chissà dove a rubare la nostra identità, è dovere della scuola attivare percorsi d'indagine e di recupero della memoria del proprio passato, soprattutto se in esso vi sono affinità sul piano delle problematiche storiche, sociali ed economiche con situazioni attuali.

Percorsi didattici incentrati sul racconto di storie, di storie di uomini (perché non c'è mai stato un popolo che non abbia avuto almeno una storia da raccontare) possono acquistare il valore di interventi interculturali. Storie di tutti, antiche e recenti, vicine e lontane, che, superando i confini geo - politici e le barriere culturali, mettano i nostri studenti nella condizione di capire e di capirsi, nella logica speculare del conoscere l'altro per conoscere sé stessi. Voci letterarie nazionali, internazionali, sovranazionali che inducano a "conoscersi per amarsi, ma [anche ad] amarsi per conoscersi". [2]

La letteratura diventa così veicolo di conoscenza tra culture, tra popoli, tra studenti che, distanti per luoghi d'origine, possono incontrarsi e scoprirsi più vicini nell'universo letterario. Una reintepretazione della letteratura, come momento conoscitivo essenziale della diversità, dei suoi modi e dei suoi tratti.

In tal senso è fondamentale promuovere percorsi interculturali sin dall'ingresso nel mondo della scuola,abituare da subito, quando forse preconcetti e modelli culturali sono meno radicati, al confronto con l'altro, attraverso i diversi modi del narrare. Non vi è alcuna garanzia che lo scontro sociale sarà evitato, ma che dal confronto culturale scaturiranno il rispetto reciproco e la disponibilità verso l'altro, di questo si fa garante la letteratura.

Il percorso tematico proposto

sez. a. L'espatriato che ritorna:

- G. Pascoli, Italy

- C. Pavese, I mari del Sud

sez. b. L'intellettuale alla ricerca della propria identità:

- D. Campana, Viaggio a Montevideo

- G. Ungaretti, Girovago; Silenzio; Fase; Levante

Un percorso tematico sulla figura dello straniero può essere considerato intervento interculturale non solo quando promuove, negli studenti, l'interesse per letture e per la conoscenza dell'altro, ma anche quando l'apertura verso nuovi orizzonti mentali parte da voci familiari, da espressioni letterarie di ambito nazionale.

Percorsi che danno voce ad autori dai nomi difficili, irripetibili, che ci parlano di altri mondi o che, più recentemente, parlano di noi, del nostro paese, così come appare agli occhi di chi in questo paese, per un motivo o per un altro, è costretto a trasferirsi, possono favorire la conoscenza di letterature poco o affatto note, ampliare gli orizzonti culturali, aiutare a comprendere questioni di fondo relative al mondo attuale. La costruzione di uno "scaffale multiculturale", al centro di dibattiti sui temi del multiculturalismo e l'integrazione culturale, caldeggiato dalle stesse istituzioni, rappresenta un valido strumento per promuovere la reciproca conoscenza fra le culture e la comprensione della diversità.

Percorsi che danno voce al proprio patrimonio letterario, che contribuiscono alla conoscenza di sé stessi e a mantenere viva la memoria del passato, possono anch'essi favorire la comprensione dell'altro, delle sue necessità e del suo mondo.

Il fattore comune: lo straniero. O meglio, la rappresentazione dello straniero nelle letterature degli altri come nella nostra. Il concetto di straniero porta in sé una forte e ambivalente carica ideologica: se da un lato troviamo, incontriamo ostilità e negatività nei giudizi che gli vengono assegnati, nei modi come nelle caratteristiche fisiche, dall'altro è facile imbattersi in espressione di emulazione e assimilazione. La forza di questa ambiguità si riflette nella semantica, dove ritroviamo una situazione ugualmente contraddittoria nei termini che contraddistinguono lo straniero. Quest'ambiguità è rintracciabile nelle lingue moderne europee: basti pensare alle coppie corrispondenti di termini straniero/strano in italiano, étranger/étrangein francese, stranger/strange in inglese, Fremder/fremd in tedesco. [3]

Prima ancora di assurgere al ruolo di grande protagonista della letteratura di tutti i tempi, di miti e di fiabe, lo straniero costituisce una categoria sociologica: essere straniero è condizione propria dell'esistere, un modello culturale presente nell'immaginario di tutte le comunità. Lo straniero è da sempre il termine di paragone di ciascun popolo, ciascuno di noi è lo straniero di qualcun altro, perché straniero è condizione esistenziale propria di chi viene a contatto con una società diversa da quella di appartenenza. Il posto e i tratti assegnati a questa figura mutano a seconda del processo di formazione dell'identità della stessa comunità: ci sono comunità più eterogenee e disponibili verso l'altro e comunità umane più compatte, chiuse in sé, che rifiutano gli stranieri relegandoli nella loro diversità, come comunità deboli, che si sentono attaccabili e indifese, che caricano lo straniero di valenze negative.

E' la collettività che produce le immagini e gli stereotipi dello straniero, grazie anche alla letteratura che contribuisce alla diffusione e alla loro trasformazione in cliché culturali (si pensi ai protagonisti di grandi opere classiche come l'Odissea e la tragedia di Euripide, lo straniero Ulisse e la straniera Medea). La letteratura, rispetto alla creazione di modelli culturali, ha avuto un doppio ruolo, contribuendo in certi casi alla diffusione di valori negativi e differenzianti (lo straniero come il personaggio dai lati oscuri e diabolici, di derivazione fiabesca), in altri nel tentativo di smontare questi cliché ha dato vita a un'ampia varietà di temi letterari (il viaggio, lo sradicamento, l'estraneità alla vita, e tanti altri).

L'espressione letteraria altro non è allora che il riflesso del modello culturale introiettato e la codificazione di tutta una gamma di figure indicative dei modi diversi di essere straniero, che possono variare nello spazio, ma anche nel tempo. Schiavo, barbaro, ospite nel mondo antico; pellegrino, mercante, viaggiatore, colonizzato/colonizzatore nel Medioevo e nel mondo moderno; esule, profugo, clandestino, immigrato, turista nel mondo contemporaneo.

Ricercare le forme della diversità a partire dal passato, comporta dunque una duplice potenzialità didattica: l'una legata all'esigenza di riproporre il passato come sistema dinamico di valori e funzionale alla lettura del presente, l'altra alla necessità di recuperare la propria genealogia culturale. Conoscere e capire lo sviluppo della propria tradizione culturale è il prerequisito essenziale per la conoscenza e il confronto con culture diverse.

Restringendo il campo d'indagine agli elementi che definiscono lo straniero nella letteratura italiana del primo Novecento, ci imbattiamo in una tipologia di figure che si prestano ad un percorso interculturale e che corrispondono al paradigma di tratti dell' "espatriato che ritorna" e dell'intellettuale alla ricerca della propria identità.

sez. a. L' "espatriato che ritorna"

Un percorso tematico incentrato sulla figura dell' "espatriato che ritorna" soddisfa più esigenze didattiche: in generale, far maturare nello studente l'abilità dello studio delle discipline curriculari mediante nuclei tematici; nello specifico, mettere lo studente a conoscenza degli elementi che definiscono la figura dello straniero nella cultura letteraria italiana della prima del Novecento; nell'ottica di un intervento interculturale, metter a disposizione dello studente gli strumenti per confrontare la vicenda dell'emigrazione italiana (dal 1876 al 1976 sono emigrati più di ventisette milioni di italiani) con gli esodi dei nostri giorni, per non dimenticare che un giorno gli albanesi eravamo noi. [4]

Testo 1

Italy, Primi Poemetti. L' "espatriato che ritorna" è la famiglia di contadini della Garfagnana, emigrati da anni in America, che fa ritorno al paese d'origine, a Caprona nei pressi di Castelvecchio, protagonista del poemetto Italy (1904) di Giovanni Pascoli: alle vicende di questa famiglia – la malattia della piccola Molly, le difficoltà economiche – Giovanni Pascoli s'interessò personalmente.

Al di là delle motivazioni ideologiche che ispirarono l'autore, il testo di Italy consente di analizzare e comprendere il dramma dell'emigrazione italiana del primo Novecento.

La storia ha un significato simbolico: il ritorno al nido, all'antico casolare, dona agli emigranti la salute (Molly guarirà dalla tisi grazie al clima mite della campagna toscana) e la felicità perdute lontano dalla patria. Pascoli lo dedicò a tutti coloro che a centinaia, a migliaia lasciavano l'Italia ogni anno, diretti in gran parte oltre Atlantico: sacro all'Italia raminga, recita l'epigrafe che precede il testo.

Da questo più ampio contesto storico, si snoda la trama: la guarigione della piccola Maria (Molly in inglese), arrivata malaticcia in Italia, la morte della vecchia nonna, il ritorno degli emigrati in America.

Leggi il testo di Pascoli 

Analisi, metodi e strumenti. Di questo lungo componimento (diviso in due canti, per 450 versi complessivi), si può offrire una lettura completa o analizzare alcune sezioni: le antologie scolastiche riportano generalmente una riduzione del testo. Suggeriamo le sezioni III – VI del primo canto: in esse è descritto il ricongiungimento degli emigranti con la madre (la nonna di Molly), le impressioni che la bambina ha del paese a lei straniero, l'incontro con i paesani che chiedono notizie dei loro cari emigrati.

Il dramma dell'emigrazione italiana, fenomeno di cui Pascoli fu tra i pochi letterati a comprendere l'importanza storica, rivive nell'esperienza di Molly: nata in America, parla solo l'inglese e non riconosce l'Italia come il suo paese. In effetti, nel rapporto tra la nipotina e la nonna, che parlano due lingue sconosciute l'una a l'altra e stentano a capirsi, si riassume l'estraneità e la distanza tra il vecchio e il nuovo mondo, tra la vita contadina ancorata al suo patrimonio di valori e la vita nelle metropoli, frenetica e incomprensibile, incubo dei nostri emigrati che, come "vu cumprà" ante litteram, si aggiravano per le strade, di giorno di notte, col freddo e la pioggia, al grido Will you buy. Ma nell'incontro fra questi due mondi, così distanti e diversi, non c'è solo la solidale rappresentazione dello spaesamento, della solitudine dell'emigrato condannato ad andare per "terre ignote con un grido / straniero in bocca" (Will you buy, appunto), che sogna di poter tornare a casa, un giorno, e con il gruzzolo risparmiato acquistare "un campettino da vangare, un nido / da riposare", ma c'è soprattutto l'auspicio che l'Italia, l'antica madre, possa un giorno riscattare i suoi figli dispersi, recuperare al suo seno le migliaia di italiani costretti ad emigrare alla ricerca di forme di sostentamento (prima espressione di quel processo che indirizzerà l'umanitarismo di Pascoli verso un più generico nazionalismo e che sfocerà, di lì a poco, nel discorso La grande proletaria si è mossa – 21 novembre 1911).

L'analisi di Italy può svolgersi su due piani: l'analisi del tema, l'attenzione dell'autore verso un problema sociale del suo tempo; l'analisi delle forme, lo sperimentalismo linguistico di cui l'autore fa sfoggio. D'Annunzio parlò al riguardo di "virtuosismo linguistico" ed ebbe a complimentarsene.

In Italy assistiamo a un vero impasto linguistico, che apparve "scandaloso" (secondo Benedetto Croce) a chi lo misurava con la norma della tradizione letteraria italiana. Il testo è costituito da battute di discorso diretto, i dialoghi si svolgono in più lingue. E' possibile individuare quattro livelli linguistici:

- la lingua della poesia, che realisticamente rende l'umiltà dei personaggi e della loro condizione (I muri grezzi apparvero col banco / vecchio e la vecchia tavola di noce, III 58-59) ma allo stesso tempo non esenta da finezze letterarie (Il tramontano discendea con sordi / brontoli, V 119-120);

- i dialettalismi lucchesi (nieva per nevica, IV 98, scianto per riposo, V 106, mugliava per muggiva, V 107);

- la lingua straniera, l'inglese di Molly

- la lingua speciale ovvero il mix italoamericano degli emigranti (bisini per business; fruttistendo per fruit-stand; checche per cakes; candi per candy; scrima per icecream, V 113-114)

Un'operazione davvero scandalosa se si considera che Pascoli, oltre a fondere lingue diverse, trasgredisce la norma del linguaggio poetico istituzionale creando rime tra inglese e italiano (febbraio con Ohio I 1 e3; luì con Italy III 73 e 75; gelo con yellow VI 138 e 140; tossì con Italy VI 148 e 150). Non si tratta esclusivamente di quella "magia pratica", della "destrezza […] infallibile", dell'attitudine a giocolare con la metrica che tra i primi D'Annunzio riconobbe all'autore: l'impasto linguistico, ricercato da Pascoli, riflette la contaminazione culturale dell'emigrato, "quell'intima lacerazione, quel doloroso offuscarsi della voce e del sentimento della terra natale" (Getto) che si produce in chi si trova in una situazione di emigrazione. Pascoli, pioniere, introduce nel linguaggio poetico quella contaminazione di lingue che è sempre di più un aspetto del mondo contemporaneo.

Testo 2

I mari del Sud, Lavorare stanca. L' "espatriato che ritorna" è il cugino di Cesare Pavese ne I mari del Sud che, dopo aver a lungo viaggiato ed essere stato nei quattro angoli del mondo, fa ritorno alle Langhe, e gli confida: "quando si torna, come me a quarant'anni / si trova tutto nuovo".

Come Pavese stesso dichiarò: "I Mari del Sud […] è […] il primo tentativo di poesia-racconto e giustifica questo duplice termine in quanto oggettivo sviluppo di casi, sobriamente e quindi […] fantasticamente esposto". Con questo componimento (datato 7-14 dicembre 1930) si apre la raccolta Lavorare stanca che avrebbe più appropriata collocazione, secondo Mengaldo, "entro un filone anti-ermetico o in genere anti-novecentista di poesia" piuttosto che nella poesia del Neorealismo, come buona parte della critica ha da sempre decretato. Le poesie di "Lavorare stanca [sono] short stories chiuse e tetre di personaggi tipizzati" (la campagna e la città, i contadini, i paesani, le ragazze esili e bionde, e così via). [5]

Ma va sottolineato come, in apertura del suo primo libro, s'incontri un tema, una figura ricorrente nell'opera di Cesare Pavese: l' "espatriato che ritorna", colui che si è sradicato dal proprio mondo, ha viaggiato in lungo e in largo, magari ha fatto fortuna, ma prima o poi ritorna ai propri luoghi e cerca un recupero del passato infantile, dal protagonista di questa prima lirica a quello dell'ultimo romanzo: Anguilla. E proprio lui, Anguilla, protagonista dell'ultimo romanzo La luna e i falò, dichiarerà: "un paese vuol dire non essere soli", dove "paese" è l'unico antidoto alla condizione della solitudine, all'impossibilità di dialogare con gli altri, un po' come il nido di Pascoli, che restituisce sanità e felicità a chi ha sofferto per la lontananza e per l'esilio.

Leggi il testo di Pavese 

Analisi, metodi e strumenti. Intravediamo due modalità di lavoro: a) sviluppare un modulo "autore" e leggere I mari del Sud seguendo lo sviluppo diacronico dell'opera di Pavese (l'esperienza dello sradicamento e il bisogno del ritorno, da Lavorare stanca a La luna e i falò); b) analizzare il testo mettendo in evidenza i momenti di intertestualità del tema portante (l' "espatriato che ritorna", da Pascoli a Pavese).

Nell'ipotesi di scegliere la seconda modalità, il lavoro consisterà nell'esplorare tra le righe il tema/guida del percorso, nella ricerca di analogie e variazioni.

Le analogie.

- Il disorientamento di chi lascia il proprio paese e, al ritorno ai propri luoghi, sente di non potergli appartenere mai più. Maria/Molly recupera le sue origini e la salute, il cugino di Pavese recupera le Langhe e il suo passato infantile: la prima, però, che non conosce nemmeno l'italiano (dato, tra l'altro, poco realistico), ritorna in America; il secondo, che pure apprezza la primordialità e la staticità della vita di paese, non si riconosce più in quella comunità e della gente delle Langhe dice: "Dovevo sapere / che qui buoi e persone son tutta una razza". Troppo ha viaggiato che "anche nel divertimento non si è mantenuto fedele alla terra d'origine" (Guglielminetti) e progetta, fatto inaudito per le Langhe, un cartellone pubblicitario per la festa del patrono (cfr. vv. 81-83)

- L'impasto linguistico, di cui Pascoli dà mirabile prova in Italy, ritorna, scevro della sua virtuosa attitudine di sperimentatore, nell'uso del dialetto intrecciato alla parola colta, il gergo torinese o piemontese, "il lento dialetto" del cugino che ritorna (ci fece riuscire un garage di cemento, v. 60; e che la dicano, v. 83) assieme alla "rabbiosa passione per Shakespeare e altri elisabettiani". [6]

Le differenze.

- Gli emigrati che ritornano a Caprona hanno oramai perduto la loro lingua madre, non parlano più l'italiano ma non parlano nemmeno americano: dall'incontro di culture, nasce un mix linguistico in cui Pascoli riassume il dramma dell'emigrazione. Il cugino che ritorna, invece, nonostante i "vent'anni di idiomi e di oceani diversi", nonostante gli anni in giro per il mondo e a contatto con lingue diverse, continua ad adoperare "il lento dialetto" che, come le Langhe, non perderà mai.

- Italy si connota di implicazioni ideologico-politiche, nasce dall'interesse dell'autore per il fenomeno dell'emigrazione; ne I mari del Sud, al di là del tentativo di ancorarsi a una esperienza concreta e di porsi in posizione antitetica al lirismo tipico della poesia ermetica contemporanea, Pavese sembra prescindere dal dato realistico e su questa realtà avvia un processo di tipizzazione. Il senso di sradicamento e di solitudine del cugino come esperienza tipica dell'esistere.

sez. b. L'intellettuale alla ricerca della propria identità.

Melting pot, crogiuolo di culture.

L'intellettuale è come l'esule moderno definito da Todorov: è un essere che "ha perduto la patria senza acquistarne un'altra, uno che vive di una doppia esteriorità". L'intellettuale moderno ha spesso intrapreso, per motivi personali, politici, culturali, viaggi che lo hanno condotto lontano dal contesto di appartenenza; egli ha spesso più culture di riferimento, sebbene distanti tra loro.

Il ruolo tradizionalmente attribuito agli intellettuali europei è molto diverso in altri contesti: gli scrittori dell'America Latina, come ritiene M. Scorza, assumono presso la società una funzione oracolare, di guida, e producono una letteratura che partecipa all'azione. Chinua Achebe, scrittore nigeriano, assegna alla letteratura il compito di mediare tra la tradizione scritta e quella orale: la narrazione ha così sia compiti didattici che estetici. Secondo Chinua Achebe, "Il mondo è una Maschera che danza, e per vederlo bene non si può rimanere fermi nello stesso luogo".

La funzione dell'intellettuale sarebbe quella di conoscere e far conoscere il mondo. Il viaggio ha sovente portato l'intellettuale in terre remote, alla ricerca dell'altro, alla ricerca di stesso.

Due opposte tendenze percorrono la cultura contemporanea: da un alto, la globalizzazione, l'universalità, l'abbattimento dei vecchi confini; dall'altro, la creazione di nuovi confini. Un percorso didattico incentrato sul tema dell'intellettuale alla ricerca della propria identità ha innanzitutto l'obiettivo di educare gli studenti a prestare attenzione verso fenomeni complessi, che si determinano nell'incontro fra culture, e a imparare a leggerli. La letteratura ha sempre escogitato il modo per raggirare le frontiere e l'intellettuale, che conosce più culture, diviene un efficace esempio di mediazione e scambio culturale.

Testo 3

Viaggio a Montevideo. Canti Orfici. Dino Campana era animato da un'incoercibile brama di viaggiare, una vera e propria "mania di vagabondaggio". Egli stesso ce ne lascia testimonianza: "Facevo tanti mestieri … di gaucho, di carbonaio, di minatore, di poliziotto, di zingaro … di tenitore di tiro al bersaglio, di suonatore di organetto. Sono stato a Odessa. M'imbarcai come fuochista, poi mi fermai ad Odessa. Vendevo le stelle filanti nelle fiere … Varie lingue le conoscevo bene". 

Il viaggio in sud America è il referente memoriale da cui scaturisce questa poesia (da Canti Orfici, 1914). Interrotti gli studi universitari e dopo un primo ricovero in manicomio, Campana comincia una vita da nomade (tra il 1907 e il 1908) che comprende un viaggio nell'America del Sud.

L'esperienza biografica è quindi alla base di Viaggio a Montevideo, comunemente considerata la più alta prova poetica di Dino Campana e per le innovazioni formali un esempio quasi isolato nel panorama lirico italiano. Il viaggio verso l'Uruguay è descritto con eccezionale tensione "visiva": scorrono sotto lo sguardo spettacoli emblematici, i colli di Spagna svanire dal ponte della nave nel "crepuscolo d'oro", le tenebre, i silenzi, e poi l'apparire "nella luce incantata / una bianca città addormentata" (probabile riferimento alla sosta della nave a Capoverde), e poi ancora il mare solitario e immenso fino all'approdo nella "capitale marina" del nuovo continente, "tra il mare giallo e le dune".

Montale ha parlato acutamente di una "poesia in fuga … che si disfà sempre sul punto di concludere": queste strutture, aperte e dinamiche, sono coerenti con i motivi campaniani del viaggio, della ricerca esistenziale, della tensione per l'avventura

Leggi il testo di Campana 

Analisi, metodi e strumenti. Il testo di Viaggio a Montevideo si presta a più livelli di indagine: analisi delle implicazioni storico-sociali (per anni, dagli inizi del Novecento, il sud America è stato meta dei "viaggi della speranza" che i nostri connazionali intraprendevano in cerca di fortuna); riflessione sul tema letterario del viaggio come condizione dell'esistere; ricerca di elementi di sintesi culturale e di apertura al diverso.

Il tema del viaggio in Campana assume una duplice valenza. Da un lato è esperienza biografica dello scrittore, dall'altro è condizione esistenziale intesa come ansia di evasione, come ricerca di nuove orizzonti culturali. Motivo già presente nei versi di Baudelaire, di Rimbaud, di Mallarmé, i poeti maledetti, e Campana è davvero l'unico maudit italiano. Versi come "Ne la celeste sera varcaron gli uccelli d'oro: la nave / già cieca varcando battendo la tenebra … sul mare" ricorda le notazione suggestive, l'espressione per inversione sintattica della lirica di Mallarmé, che come Campana era sensibile al motivo del viaggio liberatorio verso altri paesi lontani.

Non è forse l'intellettuale moderno l' interprete di più culture? I versi, forse di un "matto e solo matto" che "è stato scambiato da molti per un vero poeta" (Saba), di un autore preletterario come è parso a molti, tradiscono un'apertura verso i nuovi mondi, che l'intellettuale può e deve trasmettere. "Le gravi matrone di Spagna", che a un certo punto entrano a far parte del viaggio, si oppongono alla "fanciulla della razza nuova" che Campana scorge "sì presso sul cassero": ma non è un confronto tra positivo e negativo, solo la comprensione della diversità tra il vecchio e il nuovo mondo, tra le matrone "dai seni gravidi di vertigine" e la fanciulla "bronzina", mulatta.

Un paesaggio diverso e selvaggio suggestiona Campana, ma qualcosa accomuna il vecchio e il nuovo: sulla "riva selvaggia" si intravedono "cavalle vertiginose", che come i "seni gravidi" danno una sensazione di smarrimento. L'antico si è sostituito al nuovo ma la percezione del mondo resta invariabile.

Testo 4

Girovago, Silenzio, Fase, Levante. L'Allegria. Il tema dell'intellettuale, che viaggia alla ricerca della propria identità, è espresso a chiare lettere nei versi di Girovago di Giuseppe Ungaretti ("In nessuna / parte / di terra / mi posso / accasare … E me ne stacco sempre / straniero") come nelle parole di commento dello stesso Ungaretti: "Questa poesia, composta in Francia, dov'ero stato trasferito con il mio reggimento, insiste sull'emozione che provo quando ho coscienza di non appartenere a un particolare luogo o tempo. Indica anche un altro dei miei temi, quello dell'innocenza, della quale l'uomo invano cerca traccia in sé o negli altri sulla terra". [7]

Le liriche Silenzio, Levante, Fase (come Girovago, dall'edizione definitiva del 1942) nascono dalla stessa esperienza biografica (l'abbandono di Alessandria d'Egitto, città natale del poeta): in esse torna il tema del viaggio, come conoscenza, come memoria, come riscoperta di sé nell'altrove, uno dei temi paradigmatici dello straniero.

Leggi i testi di Ungaretti 

Analisi, metodi e strumenti. All'esperienza del viaggio per conoscere e per ri-conoscersi, si affianca in queste liriche il motivo del viaggio per mare.

Il tema proposto può essere considerato il filo conduttore che conduce lo studente nella sincronia e nella diacronia della letteratura. Ciascuno dei moduli proposti può essere svolto autonomamente. Da Pascoli a Ungaretti è possibile, però, costruire un unico percorso, col rischio, forse, di perderne talvolta il filo. Ma riflettiamo.Un bastimento (il mezzo che consentiva viaggi in terre lontane agli inizi del Novecento) porta Ungaretti, in Levante ("A poppa emigranti soriani ballano / A prua un giovane è solo) e in Silenzio ("Dal bastimento / verniciato di bianco / ho visto / la mia città sparire"), alla scoperta delle proprie radici; un bastimento "traghetta" Campana oltreoceano, in Uruguay, nel vano tentativo di saziare la sua tensione verso altri luoghi e altri spazi. A bordo di un "legno olandese", il cugino di Pavese solcava I mari del Sud, incrociando balene e mostruose creature. A bordo di un bastimento, chissà, il Mauritania, milioni di italiani lasciarono il loro paese alla volta di una nuova vita. Dalla letteratura alla storia, e viceversa. La trama può apparire fitta e complessa, ma si riconoscerà che il "punto" è uno e uno solo: il lungo viaggio dello straniero.

 

Note:


[1]La citazione è tratta da Lo straniero. Letteratura e intercultura, L. Grossi - R. Rossi (a cura di), Roma, CRES edizioni lavoro, 1997, pag. 8.

[2]Pensiero del giurista Francesco Carnelutti, ricordato da Guido Piovene nel saggio Processo dell'Islam alla civiltà occidentale, resoconto dell'omonimo convegno tenutosi a Venezia nel 1955 presso il Centro di Cultura e Civiltà della Fondazione Giorgio Cini.

[3]Per un'indagine sulla tradizione antropologica e culturale dei termini che indicano lo straniero e sulle implicazioni tra categoria sociologica e categoria letteraria, si rimanda al lavoro di Remo Ceserani, Lo straniero, Bari, Editori Laterza, 1998.

[4]Riprendendo il titolo del libro di Gian Antonio Stella, L'orda, quando gli albanesi eravamo noi, Milano, Rizzoli, 2002.

[5]Da Cesare Pavese in Poeti italiani del novecento, P. V. Mengaldo (a cura di), Milano, Oscar Mondadori, 1978, pag. 679 e seguenti.

[6]P. V. Mengaldo, op. cit.

[7]Da G. Ungaretti, Vita d'un uomo. Tutte le poesie, L. Piccioni (a cura di), Milano, Mondadori, 1974; Note, pag. 526