Si riportano alcune riflessioni nate dal laboratorio didattico sulle Digital Humanities del 6 settembre 2024, tenuto a Milano nella giornata di apertura delle attività didattiche dell’Adi-sd Lombardia in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano. L’Adi ha iniziato dallo scorso anno una riflessione articolata sulle Digital Humanities in un gruppo di ricerca coadiuvato da Elisabetta Menetti (UniMore) e Floriana Calitti (UniPegaso), che si è concretizzato in un corso nell’autunno del 2023 (programma qui: https://adisd.blogspot.com/2023/09/corso-di-umanistica-digitale-primo.html), unico nel suo genere e pensato per i docenti di scuola.[i]
In How we think del 2012 Katherine Hayles sottolineava come nessun insegnante o ricercatore potesse più definirsi “analogico” per la pervasività della dimensione digitale. Eppure si trattava ancora del contesto precedente all’avvento della connessione permanente dovuta agli smartphone, che, diffondendosi a partire proprio da quell’anno, avrebbero accelerato inarrestabilmente il processo di interconnessione tra on-line e off-line.
Appare significativo anche l’accostamento della Hayles tra “insegnante” e “ricercatore”: se la scuola, almeno fino al COVID, sembra aver ignorato la questione del digitale, negli ultimi venti anni nell’ambito accademico le Digital humanities, non senza difficoltà, si sono fatte strada, cercando di definire metodi di indagine, paradigmi, statuto fino a diventare, nei curricoli universitari di studio attuali, un settore trainante e di grande appeal tra i giovani. A partire dalle ricerche di analisi computazionale di Padre Busa negli anni Cinquanta del secolo scorso, sono seguiti decenni di riflessioni teoriche e di sperimentazioni, rilanciate nell’ultimo ventennio dal paradigma metodologico del Distant Reading formulato da Franco Moretti (“Coniectures for world Literature”) e da fattori contestuali di grande rilievo, come la disponibilità di vasti archivi testuali e metadati, e lo sviluppo di nuove tecniche di analisi di big data, quali il Machine Learning.
Il mondo della scuola, invece, se da un alto è rimasto fermo a quella dicotomia tra docenti “apocalittici” e “integrati” rispetto al digitale, dicotomia che la Hayles aveva liquidato più di dieci anni fa, dall’altro sta vivendo una spinta fortissima verso la digitalizzazione, legata ai fondi PNRR stanziati in seguito alle difficoltà emerse durante l’emergenza pandemica. A una prima ondata di finanziamenti volti all’ammodernamento delle dotazioni informatiche nelle scuole (con tutte le storture su cui non mi soffermo, tra cui la mancanza di infrastrutture per garantire il funzionamento delle lavagne “smart”), è seguita (ed è tuttora in corso) una vasta campagna di formazione del personale docente, dal PNSD con la costituzione delle Equipe territoriali, al fondi DM66 che impongono ambiti, tipologie di attività, obiettivi e target per la formazione, sulla base di competenze e definite “a priori” nei vari DIG. COMP 2.2 del 2022, https://repubblicadigitale.innovazione.gov.it/assets/docs/DigComp-2_2-Italiano-marzo.pdf ), nel Piano d'azione per l'istruzione digitale (2021-2027) (https://education.ec.europa.eu/it/focus-topics/digital-education/action-plan), ma anche nel quadro delle Competenze dei docenti in merito all’IA del giugno 2023 (AI in Education, European Digital Education Hub https://www.indire.it/wp-content/uploads/2023/06/AI-squad-output_briefing-report-1-5.pdf), per citare solo alcuni documenti programmatici tanto celebrati in tutti i programmi dei corsi di formazione, spesso senza una adeguata riflessione critica. Nell’ambito delle discipline letterarie non c’è stato insomma alcun confronto critico con le metodologie e i paradigmi elaborati nel contesto universitario delle Humanities: da una campionatura di dati osservati da chi scrive sulla piattaforma “Scuola futura” o ricavati da riviste di settore, i corsi proposti di area umanistica, ovviamente briciole rispetto alla totalità dei finanziamenti erogati (circa l’1%), sono sempre prevalentemente “di natura pratico-esperienziale” (questa è l’etichetta più diffusa) e consistono nella presentazione di tools e programmi che saranno destinati, inevitabilmente, all’obsolescenza. Può avere senso questa strada in termini di sforzo economico e intellettuale? Può essere una formazione umanistica di qualità quella limitata ad una questione puramente strumentale, senza alcun ripensamento metodologico? Non viene avallata quell’idea “tecnocratica” per cui l’informatizzazione di procedimenti si risolve in una esecuzione più rapida ed efficiente (criteri per sé discutibili entro un paradigma “umanistico”, più tradizionalmente legato al pensiero lento)? Perché un programma digitale dovrebbe essere preferibile ad altre metodologie, dal momento che mancano studi di efficacia ad ampio raggio e, ancora peggio, evidenze significative e attendibili sull’interferenza degli strumenti digitali sull’apprendimento?[ii]
Tra l’altro, dopo la pandemia l’Italia ha sprecato una occasione importante per sviluppare piattaforme didattiche libere e adatte al contesto-scuola (Socloo è poco utilizzata), senza dipendere dalle grandi multinazionali delle comunicazioni, il che rende ancora più problematico l’impiego di tali piattaforme in un contesto d’aula. L’assenza di un ambiente di riferimento comune ha poi determinato la parcellizzazione dei supporti digitali pensati per la didattica da parte delle Case editrici scolastiche, supporti che spesso si riducono alla trasposizione del cartaceo sul digitale, senza un reale cambiamento di paradigma.
Nuovi paradigmi della conoscenza?
Jeffrey Schnapp[iii], di recente ospite a Milano per ragionare sui temi che saranno affrontati nella sua prossima pubblicazione dal titolo Quickening. An Anthropology of Speed ha riflettuto già da un decennio sul cambio di paradigma del sapere e i nuovi modelli del sapere legati all’avvento del digitale, a partire dalla contrapposizione di due immagini di grande efficacia: lo studiolo rinascimentale e il laboratorio di ricerca.
Lo studiolo rinascimentale richiama l’idea di un lavoro meticoloso e in solitaria, in uno spazio traboccante di libri. Si tratta di un modello di sapere connesso alla stampa e caratterizzato da un’autorialità molto forte. Il lavoro di ricerca converge sul prodotto e si traduce nella pubblicazione dei risultati, spesso sotto forma di articolo o monografia, in una forma narrativa e testuale. Il digitale avrebbe invece dato origine a un modello di comunicazione più fluido, per Schnapp, interattivo e aggiornabile, che fa i conti con la temporalità e il cambiamento; per questo il paradigma dello studiolo sarebbe stato sostituito da quello del laboratorio, in cui molti professionisti specializzati collaborano ad un risultato, che spesso rappresenta uno step di un processo più complesso, destinato ad essere sviluppato in futuro da altri team, perché i risultati della ricerca sono disponibili in tempi rapidi e distribuiti attraverso molteplici reti. Le procedure accademiche di produzione (testuale) da un lato, controllo, valutazione e intermediazione editoriale, dall’altro, sono saltate nell’ambiente digitale, in un contesto di distribuzione del sapere più rapido, alla prova di un “pubblico” potenzialmente ampio che riplasma, condivide, rimedia i contenuti. Che ne è dell’autorialità? Quali sono le implicazioni legate al medium scelto? Come viene riplasmato il sapere nel momento in cui è immerso in un flusso informativo non più controllabile? Sono domande che anche un qualsiasi docente dovrebbe porsi quando progetta una attività didattica, che sia o meno mediata dal digitale- non è questo il punto, dal momento che uno studente ha accesso (almeno fuori dal contesto scolastico) a fonti illimitate, anche testuali, da cui attingere e a chatbot che possono produrre una testualità “a comando”. Da qui l’importanza di una riflessione in aula sulle fonti informative e sui processi di costruzione del sapere, che presuppongono il modello del sapere collaborativo e fluido del “laboratorio”. È evidente come sia necessario ripensare alle modalità per il raggiungimento di obiettivi didattici prefissati o alla riformulazione degli stessi. È sotto gli occhi di tutti la crisi che ha investito la didattica del latino basata sullo sviluppo di competenze traduttive negli allievi, dal momento in cui traduzioni ed esercizi svolti sono stati resi disponibili in tempo immediato e a portata di click, se disgiunta da una più ampia riflessione metodologica e sullo statuto stesso della didattica disciplinare di una lingua classica.
Le Digital Humanities hanno dovuto affrontare questi aspetti già da un ventennio, dato che si sono occupate di edizioni critiche digitali, collezioni, di progetti pensati per il web, molti dei quali non sono più supportati e hanno avuto una rapida mortalità. La pianificazione della sostenibilità di un progetto è allora diventata un elemento essenziale dello stesso, così come l’interoperabilità, per poter aggiornare la ricerca sulla base di ritrovamenti, letture, annotazioni della comunità di studiosi, pena la perdita rapida di credibilità scientifica. Interoperabilità e sostenibilità hanno spostato l’attenzione dal prodotto al processo (produttivo e di conservazione): che sia da ricercare anche qui quella valorizzazione del processo tanto invocata a scuola? E’ possibile, a partire dall’esperienza delle Digital Humanities, superare l’idea sterile di una crisi delle discipline umanistiche - e della scuola – e affiancare logiche differenti, nell’ambito della ricerca e della didattica?
Il modello di trasmissione del sapere a scuola è rimasto quello specifico della stampa: autoriale, narrativo, testuale, complice anche una editoria scolastica che non è stata in grado di aprirsi veramente alla rivoluzione digitale né di misurarsi con i nuovi paradigmi della conoscenza.[iv] E in un mondo in cui il digitale è pervasivo, è fondamentale che la scuola si focalizzi sul pensiero profondo, ancorato alle tradizionali forme del sapere, ma forse è significativo anche sperimentare alcune attività, ad esempio collocate in momenti strategici dell’anno scolastico o pensate come restituzione di letture e approfondimenti, che si aprano al digitale e che permettano una riflessione sullo stesso, in molteplici direzioni. Su alcuni autori o correnti letterarie esistono già strumenti pensati per un uso didattico, ad esempio i meritori progetti di Paola Italia su Manzoni o Leopardi (per una rassegna completa si veda la sezione dedicata di Griselda: https://site.unibo.it/griseldaonline/it/strumenti/strumenti-italianistica-digitale). Tocca quindi al docente conoscerne le potenzialità e adattarle ad un uso in contesto, ad esempio per far ricercare informazioni agli studenti e rielaborarle in forme ibride/testuali e infografiche, da presentare successivamente ai compagni, in una modalità di lavoro collaborativa e di condivisione delle ricerche secondo il paradigma del laboratorio precedentemente illustrato.
Ad esempio, nell’ambito letterario, facendo riferimento al progetto manzoniano “Manzoni on line” curato da Paola Italia (https://www.alessandromanzoni.org/biblioteca ), si può sostituire alla lettura del manuale sulle fonti di Manzoni una ricerca attiva, per cui i ragazzi, divisi a gruppi, recuperino informazioni dal portale e costruiscano attivamente gli “scaffali” della biblioteca dell’autore, magari in una attività di confronto con la biblioteca dell’erudito don Ferrante descritta nel romanzo, al fine di ricostruire mentalità e posizioni dello scrittore.
La sezione “Vedo Manzoni” del portale, permette poi quel tipo di lettura che oggi definiremmo “aumentata” e che integra scritto e visuale, riproducendo l’esperienza più comune della Rete, e andando nel contempo a recuperare il senso più autentico della Quarantana, pensata per immagini. Altra possibilità oggi disponibile e di immediato utilizzo a scuola è la versione digitale dell’Edizione Nazionale dell’Opera Omnia di Pirandello (https://www.pirandellonazionale.it/) , che permette la visualizzazione stratigrafica, la lettura aumentata con rimandi tra i testi e significative possibilità di ricerca intratestuale: anche in questo caso si tratta di un’ottima possibilità per ritornare al testo mediante un approccio “reticolare” che è tipico del web (testo di partenza> ricerca> lettura di altri testi per un confronto).
La visualizzazione è, del resto, un elemento fondamentale dell’Umanistica digitale, che può arricchire la produzione e la rappresentazione di contenuti di conoscenza, integrando e ibridando i consueti formati testuali. Non si tratta solo di quelle rappresentazioni che si sono affermate con gli apparati burocratici moderni, vale a dire istogrammi, grafici a torta etc. atti a rappresentare il noto, ma di visualizzazioni più complesse, “Knowledge creators”[v], “Grafi, alberi” (Moretti, secondo il paradigma del Distant Reading),[vi] capaci di produrre nuove conoscenze, di creare legami inaspettati tra i testi, di scovare tendenze e motivi ricorrenti, incoraggiando una lettura attiva, interpretativa e performativa nei soggetti. Nel modello del Distant Reading la dimensione visuale determina il ritorno a porzioni testuali, dal visuale si ritorna cioè al testo e si collegano porzioni significative. In assenza della possibilità di letture integrali, come accade a scuola, perché non provare a favorire percorsi di letture a salti e trasversali nell’opera a partire da temi e quindi mediante ricerche lessicali informatizzate e la loro traduzione visuale?
Dalle sperimentazioni in classe. è emersa l’efficacia dell’uso di strumenti di visualizzazione per raggiungere specifici obiettivi didattici, anche se tali strumenti richiedono dimestichezza dell’Insegnante e una attenta definizione del senso di quanto viene proposto. Il portale Atlante Calvino (https://atlantecalvino.unige.ch/navigation?lang=it) curato da Francesca Serra permette, a partire da un tema o un’opera, un approfondimento in direzione tematica per tendere conto della complessità della scrittura calviniana. Si tratta certamente di uno strumento che, a differenza di quelli sopra richiamati (su Manzoni, Leopardi, Pirandello) adatti a una fruizione autonoma e collaborativa da parte dello studente, va utilizzato principalmente sotto la guida dell’insegnante. E’ risultato particolarmente efficace per l’apprendimento visivo, dal momento che le visualizzazioni che si generano rappresentano veri e propri “organizzatori grafici”, che, come sappiamo da studi ventennali, almeno nell’ambito statunitense, sono efficaci strumenti di comprensione e di organizzazione del testo, dal momento che valorizzano processi cognitivi e metacognitivi.[vii] Si veda ad esempio la visualizzazione delle dinamiche della trama dei romanzi calviniani (https://atlantecalvino.unige.ch/form/phase3?lang=it ), che permette a colpo d’occhio di capire le caratteristiche delle fasi della scrittura, anche solo confrontando i testi d’esordio di argomento resistenziale con la fase sperimentale. Lo studente sarà allora chiamato a tentare una verbalizzazione efficace di quanto il grafico mostra ed è costretto a strutturare il pensiero mettendo in circolo le proprie conoscenze.
Un modello analogo è quello delle lettere di Svevo del Museo Sveviano di Trieste (https://svevo-ar.online.trieste.it/progetto/archivio-digitale/archivio-digitaleepistolario-svevo-per-immagini/) e in particolare la rete di relazioni del suo epistolario (https://svevo-ar.online.trieste.it/progetto/archivio-digitale/) che avrebbe lo scopo di « rendere visibile a colpo d’occhio –mediante grafi di immediata leggibilità, intuitivi e interattivi – la personalità di Ettore Schmitz e la sua emotività, facendo “entrare nella testa” dello scrittore i lettori»; anche in questo caso si tratta di un valido supporto per approfondire l’intreccio tra scrittura, biografia di Svevo, nonché le peculiarità dell’essere scrittore triestino ad inizio secolo.
Il visuale e il digitale possono allora essere pensati come strumenti integrativi al testo scritto per il raggiungimento di specifici obiettivi didattici e per una lettura diretta e più consapevole delle opere, insomma per un ritorno al testo d’autore, guardato anche con “occhi” diversi.
Un occhio alla testualità
Le implicazioni del digitale richiedono una più attenta riflessione sulla testualità, come suggerito da Paola Italia,[viii] che ha efficacemente definito il testo digitale come un testo «nel tempo». Il digitale sta infatti trasformando tutte le ben note relazioni, entro il sistema tradizionale della comunicazione, autore-editore-lettore. Il testo digitale, una volta rilasciato in rete, circola in maniera non controllabile ed è oggetto di riletture, manipolazioni, transcodifiche che gli conferiscono vita propria. L’esperienza più comune dei lettori- e soprattutto dei giovani lettori oggi- è quella che Paola Italia ha definito “Lettori google”, che si affidano al primo risultato fornito dai motori di ricerca e che sono spesso incapaci di vagliare l’affidabilità delle fonti utilizzate. La questione è ancora più spinosa in relazione ai Chatbot che utilizzano un modello conversazionale per la creazione di testi svicolati da qualsiasi pensiero o intenzionalità, ma fondati su combinazioni probabilistiche a partire da dati testuali non noti.
Emergono allora alcune urgenze per la scuola di oggi, preliminari a qualsiasi azione didattica, anche quando si tratta di lettura e scrittura:
Proprio mentre dominano i programmi di alfabetizzazione dei docenti alle Steam e al digitale, emerge con sempre più urgenza la necessità di uno sguardo competente sulla testualità digitale, che solo l’umanista può avere. Prendiamo per esempio il prodotto dei Chatbot: non è certamente possibile affidarsi ad esso senza verificarne la pertinenza mediante richieste di verifica dei dati e accurate domande di disambiguazione. E’ quindi l’interazione “matura, esperta e consapevole” con il testo il focus dello sguardo dell’umanista sul digitale, oggi più che mai necessario per la sua capacità di smontare il discorso, di mettere in dubbio l’assertività delle risposte del chatbot e di mostrare che, quella creatività tanto elogiata, non è altro che uno sterile assemblaggio di motivi e paradigmi della narrazione che i LLM ripetono stancamente, come ha suggerito Alex Reisner nei suoi numerosi interventi[ix], in modo differente, cioè, da quel concetto di creatività -autenticità a cui l’arte e la letteratura ci hanno abituato. Mi piace immaginare che al centro dell’acronimo GPT stia proprio la P, l’operazione di Pre-trained, in cui l’umanista ha un ruolo di primo piano ineludibile.
[i] Pier Cesare Rivoltella ha a tal proposito sottolineato che “le nuove tecnologie stanno interagendo in modo sempre più integrato coi processi formativi”, e questo non tanto per la loro presenza nelle aule scolastiche, ma per l’ “impatto” sui “processi di concettualizzazione e sulle pratiche, sia degli studenti che dei docenti” dovuto al loro uso nella vita quotidiana (Neurodidattica, Insegnare al cervello che apprende, Milano, Cortina, 2012).
[ii] Cosi, sempre Rivoltella, sottolinea come ci siano campionature e dati non ancora significativi per delineare tendenze sicure.
[iii] Professore di Lingue e letterature romanze e di Letterature comparate all’Università di Harvard, è stato direttore dello Stanford Humanities e dal 2011 ha diretto il “metaLAB” di Harvard; su cui segnalo: https://aipedagogy.org/guide/resources/ e https://aipedagogy.org/. Cfr. Burdick A., Drucker J., Lunenfeld P., Presner T., Schnapp J., Digital Humanities, The MIT Press, Cambridge, 2012.
[iv] Scrive ancora Schnapp in relazione ai beni culturali: «un modello che ha per obiettivo unicamente immagazzinare e conservare il patrimonio culturale, facendolo vivere solo attraverso alcuni punti d'accesso molto limitati, è oramai insufficiente: un patrimonio culturale vive e muore nella misura in cui viene animato da una comunità di persone». Ecco allora che anche nella pratica didattica il dato testuale andrebbe integrato, dove possibile, con la dimensione iconografica e sonora, per fare alcuni esempi. In realtà l’espansione digitale dei libri di testo, imposta per legge da una decina d’anni, si è tradotta esclusivamente nella trasposizione on line della “forma” cartacea, in un inutile doppio.
[v] J. Druker, Visualization and Interpretation, Humnistic Approaches to Display, MIT Press, 2020, versione eBook.
[vi] Segnalo i recenti: F. Moretti, Segni e stili del moderno, Del Vecchio, 2020, e A una certa distanza, Carocci 2020.
[vii] Richiamo qui solamente il volume Making Thinking Visible” del Project Zero di Harvard e il recente: M. Castoldi, A. Rucci, M.R. Visone, Per educare al comprendere. Rendere visibili il pensiero e l’apprendimento, Utet, 2023.
[viii] SI rimanda solo a : https://www.classicocontemporaneo.eu/PDF/374.pdf , https://www.openbookpublishers.com/books/10.11647/obp.0224 e al blog “Filologia d’Autore”, http://www.filologiadautore.it/wp/2021/03/03/traduzione-cose-la-filologia-dautore/.
[ix] https://alexreisner.substack.com/p/ai-is-generative-not-creative