Maria Vittoria Sala - I giovani del Ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori e Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti

Un confronto

Il ponte della Ghisolfa è una raccolta di diciannove racconti pubblicata da Testori nel 1958; essa fa parte di un disegno più ampio, una sorta di 'commedia umana' dal titolo I segreti di Milano, «dove tutto - nomi e situazioni, personaggi e ambienti - si tiene, si intreccia e si conferma»[1], un ciclo di cui Il dio di Roserio - racconto lungo uscito a Torino nel 1954 - rappresenta l'anello iniziale. Nel Ponte della Ghisolfa è rappresentato «il mondo della periferia milanese, popolato di poveri diavoli che tirano la carretta in fabbrica o a bottega ma anche di sfaccendati pronti a tutto, di prostitute e ragazzi di vita, di ladri e macrò con licenza di ricattare se non proprio di uccidere, di aspiranti campioni sportivi e di torbidi nouveaux riches»[2].

I personaggi del Ponte della Ghisolfa sono tutti personaggi giovani, diciassettenni, ventenni, operai, baristi, che, nella periferia di una Milano neocapitalistica, lottano per sopravvivere, vivono nella periferia dai grandi casoni grigi (Roserio, la Ghisolfa, Porta Ticinese), si incontrano nei bar, frequentano le palestre coltivando la speranza di diventare campioni del ciclismo o della boxe, passano le domeniche nei "cine" o nelle sale da ballo, si innamorano.

Nel primo racconto, intitolato Sotto la pergola, l'autore mette in scena una compagnia di giovani amici alcuni dei quali compaiono poi anche nei racconti successivi: il Berto e il Candela «uno venuto su dalla Terronia»[3], il Luciano, il Renzo (diciassettenne che, «dannato a far da bersaglio a tutti gli scherzi della compagnia»[4], «minore di tutti, da tutti ormai e per tutta Vialba veniva chiamato Ciulanda»[5]), il Dante (il Pessina), il Riguttini e il Camisasca, tre ciclisti della società sportiva 'Vigor'; ed infine l'Ivo detto il Brianza.

Proprio quest'ultimo - ventitreenne bello come un Apollo - è il protagonista di alcuni racconti del Ponte della Ghisolfa (Il Brianza, Ma sì anche lei..., Impara l'arte, La padrona, La coscienza di ciò che si fa, Un addio), nei quali viene narrata, appunto, la vicenda di Ivo Ballabio, giovane avvenente, povero e «senza tanti scrupoli»[6] , venuto giù dalla Brianza e costetto a vivere, a Milano, in «una di quelle grandi caserme della periferia [...] dove si trovava di tutto, gente come si deve e foffa, ladri, baresi, ruffiani, abruzzesi, napoli e veneziani»[7]; assunto come barista al 'Re di picche', un elegante bar del centro, dopo nemmeno dieci giorni di servizio al bar, l'Ivo viene avvicinato da un cliente dall'aria strana, dallo sguardo ambiguo, un misterioso sconosciuto chiamato nel racconto G.M., che lo definisce immediatamente un 'Apollo' («sempre così caldi li fa i punch il suo Apollo?»[8]), e che lo invita, per arrotondare lo stipendio, a fare delle fotografie che lo avrebbero ripreso mentre partecipava a delle strane feste. Ivo accetta, ma poi, preso dal disgusto per la vicenda, decide di tirarsi indietro e di ricattare il G.M., ottenendo così un facile guadagno.

La «baldanza» e la «sicurezza di non mettere mai il piede in fallo e di poter uscire indenne da ogni avventura»[9] grazie al fascino che la sua persona emana sono i due sentimenti che contraddistinguono questo personaggo in tutti i racconti che lo vedono protagonista, tranne che negli ultimi due (La coscienza di ciò che si fa e Un addio), dove avviene una vera e propria metamorfosi del personaggio: se per il Ballabio, sino a quel punto, 'amore' significava 'divertimento' ed 'amare' voleva dire semplicemente 'andare insieme a una donna' pensando già che la relazione prima o poi sarebbe finita, ne La coscienza di ciò che si fa Testori descrive la trasformazione che in questo giovane provoca il sincero amore per una donna, Wally, la padrona del 'Re di picche', più anziana di lui di tredici anni, e con la quale il Ballabio inizialmente, quasi per gioco, aveva intrecciato una relazione; ma dopo la storia con Wally la leggerezza e l'indifferenza diventano per questo personaggio un bene ormai per sempre perduto.

Oltre al Ballabio, tra i personaggi giovani sicuramente più interessanti de Il ponte della Ghisolfa vi sono i due protagonisti maschili de Il Ras (parte prima) e de Il Ras (parte seconda), Cornelio Binda, vale a dire, e Duilio Morini, il 'Ras', appunto, «non solo dei ring, ma anche dei dancing e delle sale da ballo»[10].

Cornelio Binda , giovane povero ma prestante e appassionato di boxe, si iscrive alla 'Box e Atletica Aurora', dove conosce il potente Duilio Morini, campione rionale dei leggeri e finanziatore dell' "Aurora".

Ben presto fra i due nasce un forte legame di amicizia, tanto che Cornelio diventa il «beniamino del Ras»[11], ed il Ras il suo protettore, il suo idolo, colui al quale Cornelio si attacca «in una maniera oltre il normale»[12] (la tematica dell'omosessualità - qui soltanto accennata - è fortemente presente nell'opera di Testori); ma proprio un incontro di boxe, nel quale il Ras pretende inutilmente che Cornelio lo lasci vincere, segna la fine della loro amicizia, l'abbandono da parte del Morini della gloria e dei ring e la sua feroce vendetta, consistente nella seduzione e nel disonore di Angelica, la sorella di Cornelio.

Al Ponte della Ghisolfa, ed, in particolare, al mondo della boxe descritto nei due racconti de Il Ras si è ispirato Luchino Visconti per il film Rocco e i suoi fratelli.

Questo film del 1960 narra la vicenda di una vedova, Rosaria Parondi, che, lasciata la Lucania con i suoi quattro giovani figli - Simone (21 anni), Rocco, Ciro e Luca tutti più giovani di Simone -, si trasferisce a Milano dove vive già il figlio maggiore.

La famiglia trova una sistemazione in un seminterrato della periferia di Milano e conosce Nadia, una ragazza di strada che prospetta a Simone la possibilità di arricchirsi con la boxe.

Simone inizialmente ha un certo successo come pugile, ma poi entra nell'ambiente della piccola malavita, e anche Nadia, che con Simone ha una breve relazione, dopo qualche tempo viene arrestata.

Alcuni mesi dopo, Rocco parte per il servizio militare e nella piccola città di provincia dove lo sta svolgendo ritrova Nadia. Tra i due nasce un sincero amore e rientrati a Milano vogliono cominciare una vita nuova: Nadia per amore di Rocco abbandona la strada e va a scuola di stenografia-dattilografia.

Quando Simone, che non sta più con Nadia da due anni, scopre la relazione tra Nadia e Rocco, insieme a un piccolo gruppo di amici pedina i due che si vedono la sera dalle parti della Ghisolfa, violenta la ragazza e picchia il fratello. Rocco, sentendosi in colpa nei confronti del fratello, abbandona Nadia e fa in modo che Nadia e Simone si rimettano insieme.

Gli imbrogli di Simone portano, però, la famiglia in disgrazia: egli, tra l'altro, deruba l'impresario della boxe che, in cambio, vuole che Rocco firmi un contratto e diventi pugile per lui; Rocco, pur odiando la boxe, accetta per il bene della famiglia.

Simone, durante una lite con Nadia, la uccide: egli confessa l'omicidio ai fratelli, ma, mentre Ciro lo vuole denunciare, Rocco e gli altri cercano di proteggerlo inutilmente, perchè scoperto dalla polizia viene arrestato.

Del Ponte della Ghisolfa ritornano in Rocco e i suoi fratelli non solo l'ambiente della boxe (nel film viene nominata la società sportiva 'Aurora') ed i luoghi della periferia milanese della fine degli anni Cinquanta, ma anche molti personaggi - l'Ivo, il Camisasca, il Riguttini; l'impresario della boxe di Rocco e i suoi fratelli, poi, si chiama Duilio Morini proprio come il Ras, ma ha in più qualcosa di ambiguo che richiama alla mente anche il G.M. - ed anche molte frasi pronunciate sia dai personaggi dei racconti di Testori che dai protagonisti del film. Quando, ad esempio, nel film, per la prima volta, Duilio Morini vede Simone gli dice le stesse parole che l'allenatore della boxe rivolge al Cornelio del Ras: «I denti son da lupo, ma c'è troppa nicotina. Se vuoi fare la boxe, bambino mio, sigarette niente.»; e quando, sempre nel film, dopo qualche tempo, Duilio Morini, rivedendo Simone, ripensa a quel loro primo incontro, afferma: «quando ti ho visto la prima volta eri un vero Apollo»: lo chiama 'Apollo', proprio come nel Ponte della Ghisolfa è definito il Brianza dal G.M.

Per la scena dello scontro tra i due fratelli e della violenza compiuta sulla ragazza, inoltre, Visconti si è ispirato ad un'altra serie di racconti del Ponte della Ghisolfa - Cosa fai, Sinatra?, Il resto dopo, Pensieri nella notte - nella quale si narra la vicenda di due ragazzi, i due fratelli Rivolta, Attilio, il fratello maggiore, e Dario, chiamato anche in questi racconti Sinatra o Bob.

Attilio, che per consentire a Dario di «studiare il bel canto»[13] ha accettato per due anni «di sudar per due»[14], proprio quando Dario inizia ad avere un certo successo, ottenendo il secondo posto nel 'Concorso per le voci nuove' e la possibilità di firmare una scrittura per una società di varietà, viene a sapere da alcuni amici «che il Sinatra come ringraziamento d'averlo fatto sgobbar per due anni» gli ha messo sulla fronte «un paio di corna»[15]: il Sintra infatti frequenta la Gina, una giovane donna che da due mesi è stata lasciata da Attilio, ma che non ha mai smesso di amarlo.

Attilio, che si sente ferito nell'onore, fa pedinare da alcuni ragazzi Dario e la Gina, ed una sera in compagnia di un gruppo di amici picchia il fratello e violenta la donna.

Come risulta evidente, la scena è la stessa che si vede nel film di Visconti; ci sono, però, delle sostanziali differenze tra i personaggi di Simone e Rocco, da un lato, ed Attilio e Dario dall'altro.

Nel racconto di Testori, Attilio, secondo la Gina (che - come si è già detto - pur essendo stata lasciata da lui non ha mai smesso di amarlo), ha un «carattere sicuro, asciutto ed orgoglioso»[16], e sa dimostrare bene che cosa debba essere un uomo vicino a una donna. Dario, invece, è il suo «opposto esatto [...] solo parole, esibizioni e vanità»[17], innamorato, com'è, soltanto del canto e della sua voce.

Il fatto di passare da un fratello all'altro è per la Gina soprattutto una rivalsa, ed anche Dario vive questa relazione con assoluta leggerezza, tanto che quando Attilio violenta la Gina non la difende neppure, e si limita a dire ad Attilio «non sembri neanche mio fratello. Mi fai schifo, mi fai ...»[18]; e poi, quando torna a casa, ha un «passo ilare e indifferente»[19] e canticchia, come se nulla fosse accaduto.

Molto diversa è, nel film di Visconti, la reazione di Rocco che tenta disperatamente di difendere Nadia dalla violenza di Simone; e, d'altra parte, molto diverso dal rapporto tra la Gina e Dario è l'amore sincero, l'autentico sentimento che sorge fra Rocco e Nadia e che induce Nadia a cambiare vita. Rocco non ha nulla in comune con la leggerezza che contraddistingue Dario: Rocco è il personaggio più sensibile e spiritualmente complesso del film e - secondo quanto afferma Ciro nella scena conclusiva - sbaglia per troppa bontà e generosità; Simone, invece, sempre secondo Ciro, prima aveva radici sane, ma poi si è fatto avvelenare dalle cattive piante.

 

Note:


[1] Cfr. G. Testori, Opere 1943.1961, Milano, Bompiani, 2003, qui introduzione di G. Raboni p. XI.

[2] Cfr. Ibidem.

[3] Cfr. G. Testori, Il ponte della Ghisolfa, in Opere 1943.1961, cit., pp.195-482, qui p.201.

[4] Ibidem p.214.

[5] Ibidem, p.203.

[6] Cfr. G. Testori, cit. p.327.

[7] Ibidem.

[8] Ibidem, p.229.

[9] Ibidem, p.361.

[10] Cfr. G. Testori, cit. p.281

[11] Ibidem, p.286.

[12] Ibidem, p.294.

[13] Cfr. G. Testori, cit. p.377.

[14] Ibidem.

[15] Ibidem, p.378.

[16] Cfr. G. Testori, cit., p.383.

[17] Ibidem.

[18] Ibidem, p.389.

[19] Ibidem, p.394.