Perché il rossore/ Rossore erotico/ Il rossore è democratico? / Rossore virile/ Raffinatezze psicologiche/ Conclusione ed esortazione ai giovani
Perché il rossore è segno, sintomo, manifestazione del pudore. Soprattutto quello onesto, come dice Boccaccio già nella prima giornata del Decameron.
All'inizio della novella quinta le donne della brigata, dopo una spregiudicata novella di Dioneo, la sua prima novella, ridono di gusto, ma prima provano vergogna, pudore... e l'onesto rossore è l'indizio certo della loro emozione:
La novella da Dioneo raccontata, prima con un poco di vergogna punse i cuori delle donne ascoltanti e con onesto rossore né loro visi apparito ne diedon segno; e poi quella, l'una l'altra guardando, appena del ridere potendosi astenere, sogghignando ascoltarono.
e anche perché li accosta Antonia Pozzi: rossore e pudore.
Pudore
Se qualcuna delle mie povere parole
ti piace
e tu me lo dici
sia pur solo con gli occhi
io mi spalanco
in un riso beato
ma tremo
come una mamma piccola giovane
che perfino arrossisce
se un passante le dice
che il suo bambino è bello.
(1° febbraio 1933)
In Antonia Pozzi ci sono alcune caratteristiche tipiche del rossore/pudore che ricorrono nei testi della letteratura italiana dall'Alighieri a oggi, o quasi. Sono questi i testi infatti in cui ho cercato l'eventuale presenza di pudibondi rossori.
Il pudore è per lo più femminile, il pudore è legato all'emozione, soprattutto erotica. Ma nella poesia della Pozzi la particolarità sta nel fatto che pudore, seduzione, rossore, sono connesse alla poesia, alla parola. La sfera emotiva è anche evocata con la figura potente e tenera della maternità: per la Pozzi i versi sono come per una giovane mamma il suo bambino.
Giova precisare che, come vedremo ancora in seguito, il rossore del pudore ha labili confini: spesso lo stesso rossore è sintomo di tante emozioni confuse. Così nella poesia della Pozzi, oltre al pudore, c'è anche il piacere, il compiacimento per il valore dei propri versi.
Onesto
Boccaccio, Decamerone
IX giornata, novella III
La donna, che assai onesta persona era, udendo così dire al marito, tutta di vergogna arrossò, e abbassata la fronte, senza risponder parola s'uscì della camera.
La donna è Tessa, moglie non solo onesta, ma anche assennata dello stolto Calandrino. Il quale credendosi, a causa d'uno scherzo dei suoi compagni, "incinto", attribuisce il suo stato alla particolare posizione voluta dalla moglie durante l'amplesso. Il pudore di Tessa che vede la sua sfera intima messa in pubblico e davanti a tre estranei, maschi, si manifesta anche col silenzio. Proprio perché, come s'è già detto Tessa è anche intelligente. C'è in questa frase di Boccaccio un riassunto di tutta la fenomenologia fisica del pudore: il rossore, l'abbassare la fronte e il silenzio. Il silenzio colpisce proprio perché contrasta con la verbosa, impudica stoltezza del marito.
Ariosto, Orlando Furioso
Canto VIII, 47 ottava
Comincia l'eremita a confortarla
con alquante ragion belle e divote;
e pon l'audaci man, mentre che parla,
or per lo seno, or per l'umide gote:
poi più sicuro va per abbracciarla;
et ella sdegnosetta lo percuote
con una man nel petto, e lo rispinge,
e d'onesto rossor tutta si tinge.
Se il rossore pudico qui pare emozione meno intensa e profonda, ma pur sempre onesta è perché Ariosto parla di Angelica. Angelica tiene alla sua verginità in modo, si può dire, un po' strumentale. Ma il suo essere calcolatrice deriva dal fatto che chiunque incontri la vuole possedere e così non la considera una donna, ma un bell'oggetto. Infatti Angelica smetterà di essere opportunista e cederà all'amore di un giovane qualunque, che privo di sensi, non la può desiderare. Angelica è seduttrice, forse di natura, certo per necessità, ma non arriva mai a farsi dominare e possedere da alcuno, però qui rischia grosso. Perché si fida, chi ha di fronte è un uomo di fede. Resta comunque un po' seduttrice, quello sdegnosetta è una scelta lessicale efficacissima che descrive bene con quale gesto la fanciulla allontani da sé l'eremita, che forse era anche un po' repellente. Povera Angelica rischia grosso, ma la sua verginità si salva anche questa volta.
E se anche Ariosto, con noi, ci ride un po' su, l'obiettivo ironico è l'eremita, alla fin fine Angelica è pudibonda e proprio il suo rossore lo dimostra.
Ma, se così si può dire, l'esperta di rossore pudico e onesto della letteratura italiana è Lucia, la Lucia dei Promessi Sposi. Nessuna arrossisce tanto quanto lei. Sempre onesta, sempre pudica, tanto da risultare, come si vedrà, persino un po' fastidiosa, non solo ai lettori, ma anche a qualche personaggio del romanzo. E per far risaltare il suo rossore onesto e pudico Manzoni non esita a metterlo a confronto col rossore invece di stizza, impudico e ben poco onesto della Monaca di Monza.
Manzoni, Promessi Sposi
Lucia arrossisce due volte nel capitolo primo quando Renzo le comunica che non si potranno sposare più per via di don Rodrigo. Lucia arrossisce anche un po' di imbarazzo, perché, certo per buoni motivi, nulla ha detto dell'importuno e sfacciato corteggiatore al promesso sposo. Arrossisce perché è stato contro la sua natura anche insistere per sposarsi presto e quindi apparire sfacciata.
– Lucia! – rispose Renzo, – per oggi, tutto è a monte; e Dio sa quando potremo esser marito e moglie.
– Che? – disse Lucia tutta smarrita. Renzo le raccontò brevemente la storia di quella mattina: ella ascoltava con angoscia: e quando udì il nome di don Rodrigo _ ah! – esclamò, arrossendo e tremando, – fino a questo segno!
(…) E fu allora che mi sforzai, – proseguì, rivolgendosi di nuovo a Renzo, senza alzargli però gli occhi in viso, e arrossendo tutta, – fu allora che feci la sfacciata, e che vi pregai io che procuraste di far presto, e di concludere prima del tempo che s'era stabilito. Chi sa cosa avrete pensato di me!
Nell'Addio ai monti, finalmente Lucia ricorda di essere arrossita per amore, sia pure onestissimo. Nel guardare di sfuggita (anche questo è segno di pudore) la casa "straniera" in cui sarebbe entrata sposa Lucia arrossiva, certo pensando a lei e Renzo in quella casa e al suo futuro di moglie.
Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore…
Lucia nei colloqui con la Monaca di Monza non fa che arrossire: Manzoni le ha dipinte come il diavolo e l'acqua santa, come il caldo e il freddo, il bianco e il nero ecc. ecc. dunque non poteva che essere così. Ma, essendo il grande romanziere che è, ha mescolato un po' i colori, anche la Monaca arrossisce. Anche Lucia ha momenti di ribellione, ben pochi in verità, e più che atti di ribellione sono atti di omissione: Lucia si ribella tacendo le cose, magari proprio nell'arrossire pudicamente.
La Monaca chiede notizie su Lucia.
... mi dica un po' più particolarmente il caso di questa giovine, per veder meglio cosa si possa fare per lei. Lucia diventò rossa, e abbassò la testa.
Lucia parla direttamente alla Monaca e spinta dalle domande della Signora, rivela anche il suo amore, naturalmente arrossendo vistosamente.
Reverenda signora, – disse Lucia, – quanto le ha detto mia madre è la pura verità. Il giovine che mi discorreva, – e qui diventò rossa rossa, – lo prendevo io di mia volontà.
Ma la Monaca non si ferma, vuol sapere di più di quest'amore, vuol sapere qualcosa anche sulle attenzioni di don Rodrigo verso Lucia... E su questo pure s'avanzava a domande, che facevano stupire e arrossire l'interrogata
Ecco infine un atto di ribellione-omissione. Lucia non rivela alla madre il suo voto. Il pudore ha la meglio sull'obbligo filiale e conoscendo la lingua di Agnese capiamo anche Lucia. E poi qui implicito c'è un discorso anche erotico, si tratta di mantenere la verginità: si può parlare di questo a una madre? Lucia ritiene di no!
Ma un sentimento diverso la tenne sospesa, a un certo punto del racconto: quando fu al voto. Il timore che la madre le desse dell'imprudente e della precipitosa; e che, come aveva fatto nell'affare del matrimonio, mettesse in campo qualche sua regola larga di coscienza, e volesse fargliela trovar giusta per forza; o che, povera donna, dicesse la cosa a qualcheduno in confidenza, se non altro per aver lume e consiglio, e la facesse così divenir pubblica, cosa che Lucia, solamente a pensarci, si sentiva venire il viso rosso; anche una certa vergogna della madre stessa, una ripugnanza inesplicabile a entrare in quella materia; tutte queste cose insieme fecero che nascose quella circostanza importante, proponendosi di farne prima la confidenza al padre Cristoforo.
Il rossore onesto però viene messo in crisi da Pirandello nella novella
Ma ora il compiacimento d'aver saputo parlare davan ti a quello anche con improntitudine, proveniva dal fatto che costui, (certo per pungerla sotto sotto) in una lunga discussione su l'eterno argomento dell'onestà delle donne, aveva osato sostenere che il soverchio pudore accusa infallibilmente un temperamento sensuale; sicché c'è da diffidare d'una donna che arrossisce di nulla, che non osa alzar gli occhi perché crede di scoprire da per tutto un attentato al proprio pudore, e in ogni sguardo, in ogni parola un'insidia alla propria onestà. Vuol dire che questa donna ha l'ossessione di immagini tentatrici; teme di vederle dovunque; se ne turba al solo pensiero.
Non è una teoria così campata per aria: chi la pronuncia ha un obiettivo preciso, provocare la moglie dell'amico, donna dal pudore morboso, che la porta alla selvatichezza.
Leggendo la novella vien da pensare alla moglie di Pirandello, la povera Antonietta, pazza e impazzita di gelosia, educata, come la protagonista della novella, alla clausura, alla diffidenza verso l'uomo e verso tutto ciò che rientra nella sfera erotica.
Forse aldilà del contesto è pur vero che l'eccesso di pudore, diviene un fenomeno malato, determina una personalità che pone al centro il sesso, svincolato dalla tenerezza dell'amore, per questo lo vive con sofferenza e vergogna. È un retaggio cristiano, ma non è questo il luogo per dissertare di morale e moralismo.
Tentare di arrossire
Se a qualcuno, come Lucia, arrossire viene facile facile, qualcuno fatica di più. C'è un rossore, non proprio disonesto, ma certo meno spontaneo, più dovuto al rispetto delle convenzioni che realmente sentito. Come è in questo dialogo, molto divertente, di Goldoni. Qui vige il rapporto stretto pudore-rossore, ma la protagonista lo enuncia, perché così vogliono le convenzioni, senza arrossire fisicamente davvero. Ben altra è la difesa per il suo pudore: l'età!
Goldoni Una delle ultime sere di carnevale
DOMENICA Perché no ghe l'aveu dito?
MADAMA Ah! la pudeur... Come voi dite? Il rossore me lo ha impedito.
DOMENICA Seu ancora da maridar?
MADAMA Non, mademoiselle. Io ho avuto trois mariti
DOMENICA E ve xè restà ancora la pudeur?
MADAMA Oui, per la grazia du Ciel.
DOMENICA E andar con elo da sola a solo da Venezia fin a Moscovia, no patiria gnente la pudeur?
MADAMA Io son sicura della mia virtù.
DOMENICA Sì, per la vostra virtù, e anca un pocheto per la vostra età.
Manzoni, I Promessi Sposi
Come già detto, la Monaca di Monza arrossisce, ma di stizza; il suo rossore viene dal comprendere nelle parole del frate irrisione verso di lei (quel superlativo: purissime) e un vero rimprovero per la sua condotta di vita, che tanto contrasta con la purezza e la verecondia reali e intime di Lucia. Ma chissà che verecondia avrà avuto la povera Gertrude prima di essere costretta alla monacazione! Il rossore di Gertrude qui, induce a chi conosce la sua storia anche alla compassione.
– Sono pericoli, – rispose il guardiano, – che all'orecchie purissime della reverenda madre devon essere appena leggermente accennati...
– Oh certamente, – disse in fretta la signora, arrossendo alquanto. Era verecondia? Chi avesse osservata una rapida espressione di dispetto che accompagnava quel rossore, avrebbe potuto dubitarne; e tanto più se l'avesse paragonato con quello che di tanto in tanto si spandeva sulle gote di Lucia
In sostanza il rossore spontaneo pare quasi un privilegio, così probabilmente pensa la protagonista della novella di Verga. Una donna dai dubbi costumi, una vittima della vita, tenta di arrossire, perché così dovrebbe essere per le donne oneste, perché così vuole la convenzione, perché così si dimostra la propria intima virtù. Quasi che arrossire di pudore fosse un modo per riscattarsi.
Verga, Gelosia
Ma torniamo agli altri due. Crescioni voleva sposare la Carlotta sul serio, perché essa gli andava dicendo che stavolta era proprio necessario.
- Almeno, - pensava lui, - sarò certo che il bambino è roba mia! - Il sor Gostino strizzava l'occhio furbo: - E se cercate un padrino, ve l'ho già bello e trovato! - Che discorsi! - gridava la sora Carlotta tentando di arrossire.
Nievo, Le confessioni di un italiano
Vi sono ora leggiadre donzelle e giovinotti di garbo le cui mire son tutte volte ai godimenti materiali: le comodità, le feste, le pompe sono loro soli desiderii; sola cura il danaro che provvede d'un lauto e perenne pascolo quei desiderii; perfino il loro spirito non cerca qualche nutrimento che per farsene bello agli occhi della gente, e non provar l'incommodo di dover arrossire.
Ed ecco che il rossore, l'arrossire e dunque il senso del pudore non solo non è più considerato un privilegio, ma diviene un incommodo. Questi giovani di garbo, maschi e femmine, scrive Nievo, pensano solo a divertirsi, grazie al denaro, anche il nutrimento per lo spirito è puramente un fatto di "immagine" e vogliono godere della vita senza nemmeno provare pudore, quindi senza l'incommodo di dover arrossire: non è un ritratto tanto lontano dai nostri giorni. C'è un libro di Belpoliti (Senza Vergogna, Guanda, 2010) che parla proprio del tramonto del sentimento della vergogna nell'età contemporanea.
Seduttore
Aretino, Dialogo nel quale la Nanna insegna alla Pippa sua figliola a esser puttana...
PIPPA. Io diventarò forse rossa a farlo.
NANNA. E io allegra, perché il belletto che ne le gote de le fanciulle pone la vergogna, cava l'anima altrui.
Già il titolo dell'opera dovrebbe far comprendere il contesto, in realtà siamo proprio all'inizio della prima giornata, quando la madre insegna alla figlia come comportarsi nel momento in cui avvicinerà un potenziale amante. Sicché quello della Pippa è un rossore ancora autentico, si tratta dell'iniziazione di una giovane. La madre lo saluta con entusiasmo perché questo rossore è un fondamentale elemento di seduzione.
Il pudore seduce e diventa quasi una sfida, come in effetti fu per Lucia con don Rodrigo.
Nievo, Le confessioni di un italiano
Dove mi metterai a dormire? Uscí ella a chiedere di sbalzo con un tal tremito di voce e un cosí vago rossore sul volto che la rabbellí cento volte.
In Nievo è un pudore reale, che è "vago" e rende bella la donna. Molto più bella. Così come è per Zeno. La fidanzata Augusta rivela a Zeno una curiosa particolarità: un rossore che s'accende ove lui posa le labbra, un rossore di pudore che diviene un dono involontario della donna all'amato, ma anche uno strumento di seduzione perché rende bella la bruttina Augusta, ultima scelta del protagonista fra le sorelle Malfenti.
Svevo, La coscienza di Zeno
La mia sposa era molto meno brutta di quanto avessi creduto, e la sua più grande bellezza la scopersi baciandola: il suo rossore! Là dove baciavo sorgeva una fiamma in mio onore ed io baciavo più con la curiosità dello sperimentatore che col fervore dell'amante
Anche in Caproni il rossore è un dono d'amore. Da Su cartolina
A Giannino
(…) il viso in una nube di vapore
tepido, sulla banchina,
di sulle ciglia scioglieva la brina
un rossore al mio amore...."
Nella lirica un uomo, in guerra, parla al suo amore che, al freddo, sulla banchina della stazione lo attende Il rossore dell'amore scalda la giovane, la illumina e la rende più bella.
La consapevolezza, finalmente enunciata e scritta, della potenzialità seduttiva del rossore, in quanto simbolo/sintomo di pudore, viene alla donna con l'età contemporanea. Ecco tale consapevolezza nella poesia di Patrizia Cavalli:
Ma prima bisogna liberarsi
dall'avarizia esatta che ci produce,
che me produce seduta
nell'angolo di un bar
ad aspettare con passione impiegatizia
il momento preciso nel quale
il focarello azzurro degli occhi
opposti degli occhi acclimatati
al rischio, calcolata la traiettoria,
pretenderà un rossore
dal mio viso. E un rossore otterrà.
(Poesie, Einaudi, 1999)
...è un "rossore da bar" non romantico, nemmeno passionale, neppure onesto o disonesto e fastidioso. È il rossore codice comunicativo (Ci stai? Ci sto!), anche questo ormai forse obsoleto.
Fastidioso
Manzoni, I Promessi Sposi
La vista di Lucia aveva confermata quella persuasione. Non che, in fondo, come si dice, non le paresse una buona giovine; ma c'era molto da ridire. Quella testina bassa, col mento inchiodato sulla fontanella della gola, quel non rispondere, o risponder secco secco, come per forza, potevano indicar verecondia; ma denotavano sicuramente molta caparbietà: non ci voleva molto a indovinare che quella testina aveva le sue idee. E quell'arrossire ogni momento, e quel rattenere i sospiri... Due occhioni poi, che a donna Prassede non piacevan punto.
Chi, anche il più ben disposto, anche il più grande ammiratore di Manzoni e di Lucia, non ha mai provato un poco di fastidio davanti a certi atteggiamenti della fanciulla? Donna Prassede racchiude tutti i nostri fastidi di lettori, ma, secondo me, esprime anche un po' il fastidio dello stesso Manzoni.
Eppure le osservazioni di Donna Prassede su Lucia sono di grande finezza psicologica, giacché è vero, talvolta è lecito chiedersi: dove finisce il pudore, la verecondia e invece inizia una certa caparbietà, persino una certa "superbia"?
Proprio le critiche di Donna Prassede però alla fine rendono più simpatica Lucia e danno al suo continuo arrossire un'altra importante connotazione: arrossire è testimonianza di pudore, che a sua volta è una forte forma di protesta. Lucia nell'arrossire dimostra che "quella testina aveva le sue idee".
Ragazzoni, Scherzi e frammenti
Vergini muse dell'Olimpo antico,
Andate tutte a farvi benedire
Perché se udiste mai quello che dico
Obbligate sareste ad arrossire.
Fuggite, o pur tappatevi le orecchie
Voi siete troppo caste e troppo vecchie.
Il poeta Ernesto Ragazzoni, non noto quanto meriterebbe, punta in alto: è insofferente verso le muse, addirittura. E le muse presentano il massimo della manifestazione fisica della vergogna, ma mescolata al dispetto, ma mescolata al disprezzo, ma mescolata al biasimo e al fastidio. Sono retoricamente iperboliche. Caste perché vecchie (un po' come la Dama del Goldoni).
Dunque un rovesciamento della classica invocazione alle Muse. Le parole del poeta ormai le Muse le fanno arrossire!
Pirandello, Scialle nero
— Di' a tuo padre, — rispose allora, con gravità, Eleonora, socchiudendo gli occhi, quasi per non vedere il rossore di lui, — di' a tuo padre che non se ne dia pensiero.
Eleonora, incinta del molto più giovane, ottuso e povero di lei, Gerlando, è costretta a sposarlo. I genitori di lui vogliono assicurare al figlio la dote, anche dopo la morte di lei, e lei nel dialogo rassicura il ragazzo, ma prova anche un senso di fastidio, quasi di pudore per il rossore di lui. Gerlando è così tardo da non avere nemmeno forse consapevolezza del suo rossore, questa consapevolezza è della moglie.
Il pudore al posto di un altro porta a considerare anche il rossore
Per procura
Verga, I malavoglia
Intanto don Michele per non perdere i suoi passi, aveva gettato gli occhi su di Lia, la quale si era fatta una bella ragazza anche lei, e non aveva nessuno che le stesse a guardia, tranne la sorella che si faceva rossa per lei, e le diceva: - Rientriamo in casa, Lia. Sulla porta non ci stiamo bene ora che siamo orfane.
A ben pensarci è forse l'uomo a dover arrossire, ma secondo l'ottica dell'epoca e di Verga, Lia dovrebbe provare pudore di sé e farsi rossa, dovrebbe addirittura forse non farsi vedere. Poiché Lia invece e per carattere e per vicende familiari, gradisce di essere ammirata, la sorella maggiore Lena, una Lucia del verismo siciliano, arrossisce per lei. E ancora ecco che il pudore non è da tutti e quindi nemmeno il rossore. E il pudore che fa arrossire piace agli scrittori: i personaggi che arrossiscono sono quelli più amati o quanto meno scritti con più simpatia.
Rimanendo a Verga, arrossisce la povera contadina Nedda come arrossisce l'aristocratica Bianca, nel Mastro don Gesualdo: in sostanza pare non esserci differenza sociale ed economica nel rossore legato al pudore.
Resta però una sorta di pregiudizio geografico. Nella novella di Pirandello Donna Mimma, proprio Donna Mimma, l'ostetrica del paese, si trova scalzata da una "piemontesa", che oltretutto ha il diploma. Ecco cosa dice di lei, l'ostetrica siciliana:
Pirandello, Donna Mimma
Viene a sapere, poco dopo, che quella svergognata lí è andata a trovarlo a casa, col fratello. Certo per raccomandarsi. Chi sa che moine gli avrà fatto, come le sanno fare codeste forestieracce sbandite che nelle grandi città del Continente hanno perduto il santo rossore della faccia...
Il rossore non solo è onesto, ma addirittura santo!
Per quali pudori arrossisce un uomo? Secondo la letteratura naturalmente.
Onore
Dante, Divina Commedia
Dante fa arrossire persino S. Pietro, il rossore di collera e vergogna, un rossore per procura, prende S. Pietro quando pensa ai privilegi immeritati dei Papi che usano proprio il sigillo con l'immagine dell'Apostolo per sancire queste frodi. (Paradiso XXVII 52-54)
né ch'io fossi figura di sigillo
a privilegi venduti e mendaci,
ond'io sovente arrosso e disfavillo.
Ariosto, Orlando Furioso
Canto XX, ottava 130
Zerbin di questo tal vergogna sente,
che non pur tinge di rossor la guancia,
ma restò poco di non farsi rosso
seco ogni pezzo d'arme ch'avea indosso.
Povero Zerbino, il simpatico e umano principe di Scozia, perché tanto arrossisce? Un rossore iperbolico, che dovrebbe infuocare non solo lui, ma persino le armi che indossa. All'apparenza il motivo è che Zerbino è stato sconfitto da una donna, ch'egli credeva uomo, essendo il nemico nascosto dall'armatura. Ma la situazione è ancora più complessa. Zerbino è vittima di una burla atroce, architettata dalla maga e guerriera Marfisa. È lei che sconfigge Zerbino, ma l'oggetto del contendere è la bellezza di una donna, che viaggia con Marfisa, è una vecchia agghindata da giovane. Nella contesa chi perde si terrà proprio lei, la donna anziana che così vestita pare "una bertuccia". Zerbino è sconfitto e si tiene la vecchia, Zerbino pare la vittima e in parte lo è. Ma nel suo rossore e nel suo rapporto con la vecchia c'è un po' di misogina, c'è anche la comica situazione della vecchia che deve essere saziata sessualmente dal giovane, come già in Aristofane.
Canto XXII, ottava 90
Via se ne va Ruggier con faccia rossa
che, per vergogna, di levar non osa:
gli par ch'ognuno improverar gli possa
quella vittoria poco glorïosa
Ad arrossire, sempre per questioni d'onore, è un altro cavaliere che piace ad Ariosto: cioè Ruggiero. Il motivo è che vincere con un aiuto (l'aiutino, la spintarella) come capita a Ruggiero in questa situazione per lui non vale: lo fa vergognare. Ne prova rossore e pudore, davvero onesti verrebbe da dire. I versi dell'Ariosto sono una bella lezione per tutti coloro che cercano aiutini miracolosi. Siamo infatti nel Canto della rottura degli incanti a cominciare dal Palazzo di Atlante.
Oltre all'onore militare c'è anche l'onore legato alla paternità. Essere orgogliosi del figlio soprattutto del figlio maschio sarebbe bello, ma, come scrive Nievo, non sempre si può:
Nievo, Le confessioni di un italiano
Il Conte, udendo quella voce piagnucolosa soffocata dalle pieghe delle vesti donde usciva, si voltò a vedere cos'era; e mirando il figliuol suo intanato colla testa come un fagiano, non ebbe piú ritegno alla stizza, e diventò rosso piú ancor di vergogna che di collera.
Il brano è interessante perché chiarisce come il rossore sia sintomo di molte emozioni, di molti sentimenti; e in effetti non è detto che sia facile provare un solo bel sentimento alla volta, anzi si provano speso insieme e non è poi semplice districarli. Nemmeno per il cervello, che ci fa arrossire: di pudore, di stizza, di vergogna, di rabbia e persino di piacere...
Denaro
Rubare non fa arrossire, ma essere riconosciuti come ladri sì, almeno così è per Vanni Fucci. Secondo Dante la sua vergogna è trista perché legata a una colpa e forse anche perché Vanni Fucci come s'è detto non arrossisce per la colpa, ma per il fastidio di essere osservato. E anche per questo motivo il poeta lo colloca all'inferno (XXIV 130-132):
E 'l peccator, che 'ntese, non s'infinse,
ma drizzò verso me l'animo e 'l volto,
e di trista vergogna si dipinse
Goldoni, Le avventure della villeggiatura
SABINA:
Perché lasciarlo? Un galantuomo senza l'oriuolo, specialmente in campagna, fa cattiva figura.
FERDINANDO:
È vero, se sapessi come fare... Arrossisco di non averlo. Andrei quasi a posta a pigliarlo.
C'è il rossore, il pudore di non possedere qualcosa che tutti hanno. Rossore legato al denaro, come simbolo del possesso. In Goldoni, e siamo alle soglie del mondo borghese, consumatore e capitalista, il nostro mondo, il protagonista arrossisce perché NON ha una cosa, in questo caso l'oriuolo, l'orologio.
Talvolta forse sarebbe meglio arrossire perché si ha troppo, ma non di questo scrive Goldoni!
Erotico
In primo luogo v'è il rossore romantico. Ne scrive Foscolo, è interessante che parli di estasi amorosa, di un sentimento spirituale quasi mistico, proprio il poeta che è stato tra i più grandi e conclamati seduttori della nostra letteratura. Jacopo Ortis esprime il momento romantico dell'amore, il pudore che fa arrossire quando si mostrano dei sentimenti troppo intimi, troppo profondi, come il rapimento di fronte alla fanciulla amata. Un fanciulla che per giunta sta suonando l'arpa e canta le strofette di Saffo che proprio Jacopo aveva tradotte. Insomma una vera dichiarazione d'amore che divinizza il giovane. Già nel Dolce Stil Novo l'amore per la donna divinizzava il poeta, il rapimento passava per la vista, qui è la musica, la poesia a elevare l'innamorato. In una concezione laica però il rapimento non si dona a Dio, lo si nasconde, dev'essere un fatto privato, se no farebbe arrossire di pudore.
Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis
Io mi fermava, lì lì, senza batter palpebra, con gli occhi, le orecchie, e i sensi tutti intenti per divinizzarmi in quel luogo dove l'altrui vista non mi avrebbe costretto ad arrossire de' miei rapimenti.
Pirandello, La Buon'anima
Bartolino Fiorenzo cercava, cercava... Ma la timidezza gl'impediva d'escogitar carezze nuove.
Cioè, ne escogitava, tra sé e sé, anche di arditissime, ma poi, bastava che la moglie nel vederlo diventar rosso rosso gli domandasse: — Che hai? Addio, gli sbollivano tutte! (3 dicembre)
Talvolta l'uomo, come più spesso la donna, arrossisce nel momento erotico, ma non di fronte alla donna, si tratta sempre d'una competizione tra virilità a farlo arrossire, è la vergogna di sentirsi all'altezza. Infatti Bartolino, il protagonista della novella, arrossisce dei suoi pensieri erotici perché sua moglie è già stata sposata. È vedova d'un uomo che l'ha forgiata a sua immagine e somiglianza, un uomo di cui tiene il ritratto nella casa in cui ora abita col secondo marito, Bartolino appunto. Bartolino è perseguitato dallo sguardo del primo marito, sente la competizione, il suo rossore è dunque rivolto all'uomo, che continua a sfidarlo, anche e soprattutto sul piano erotico.
Il rossore che deriva dal pudore non è un fenomeno semplice, ci sono rossori quasi inspiegabili persino a chi li prova. Rossori davvero inutili e rossori che fanno paura.
C'è un proverbio che dice "chi si loda si imbroda". Niente è più difficile da esercitare, senza essere fraintesi, dell'autostima. Eppure l'autostima è necessaria a una vita equilibrata. È legittimo dare a ciascuno la possibilità non solo di mettere in mostra le proprie capacità, ma anche di lodarsi senza parere arrogante o superbo o comico. Senza dover arrossire.
Lo sostiene con forza e con sapienza psicologica Leopardi nello Zibaldone.
Considerate indipendentemente e in se stessa, la lode di se medesimo. Anche dopo formata una società (giacchè prima non esisteva l'amor di lode), qual cosa più conforme alla natura, più dolce a chi la pronunzia, qual cosa a cui lo spirito sia più spontaneamente e potentemente inclinato, qual cosa meno dannosa a' nostri simili, qual piacere insomma più innocente, e qual premio più conveniente alla virtù, o all'opinione di lei? Eppur l'assuefazione ce la fa riguardare come un vizio da cui l'animo ben fatto naturalmente rifugga, come un desiderio di cui bisogni arrossire (e qual cosa ha ella in se stessa e per natura, che sia vergognosa?), come contrario al dovere della modestia, che si suppone innato, e non lo è punto (1741)
Ma Leopardi individua un'altra eventualità: la vergogna di arrossire di vergogna.
Leopardi, Zibaldone [2611]
Nessuna cosa è vergognosa per l'uomo di spirito nè capace di farlo vergognare, e provare il dispiacevole sentimento di questa passione, se non solamente il vergognarsi e l'arrossire.
Ancora più immediata è la Deledda
Deledda, Canne al vento
Efix abbassò un momento la testa: arrossiva e aveva vergogna di arrossire…
Esiste in effetti una malattia, chiamata eritrofobia, che è proprio la vergogna di arrossire. Viene trattata persino chirurgicamente, agendo sui capillari, ma per lo più psicologicamente.
Antonia Pozzi, ancora lei, intitola una poesia Rossori. Ci aspetteremmo di nuovo riferimenti al sentimento amoroso, l'idea di una giovanetta che arrossisce davanti a un uomo, invece la situazione è nuova nella letteratura, ma forse frequente nella vita.
Il rossore della Pozzi è quello di una persona apparentemente superiore nei confronti di una persona inferiore. Si arrossisce quasi di sentirsi superiori o di parere tali. Perché alla fin fine si arrossisce di essere diversi. La Pozzi arrossisce davanti a un gruppo di bambini di montagna; lei poetessa e donna di città, vorrebbe quasi essere come loro. Lei fatica ad aprire la serratura, potrebbe essere una metafora della vita?, i bambini invece non faticano affatto. Dunque, forse la gente "comune" nella vita fatica meno del poeta, come l'albatros di Baudelarie..
È l'ora di tornare. La sera
discende quieta in grembo alla valle.
(…)
Ma davanti al cancello
del mio giardino
un grappolo di bimbi
attende il mio ritorno.
Per guardarmi,
per guardarmi bene da vicino,
per vedere com'è fatta
questa cosa curiosa che son io.
Me li trovo davanti all'improvviso,
che mi fissano, dritti,
senza scomporsi:
e di colpo sento
che ho io di loro assai più vergogna
che non essi di me.
(...)
Ed ecco, vorrei essere come loro,
piccina, povera, oscura,
più vicina alla loro piccolezza,
e non aver da dire
la paroletta benevola
che suona male,
non aver da sorridere
con le labbra dure
che si aprono male...
(...)
Ma quando devo infilare
la chiave nella toppa
e chiudere
con armeggìo sgarbato,
mi sento morire, mi sento morire di vergogna
davanti ai loro occhi tondi di passeri
che mi guardano di là dalle sbarre;
davanti alle loro animette
di passeri liberi, (...)
(Pasturo, 6 aprile 1931)
L'esortazione è di un giovane, a suo tempo, Giacomo Leopardi:
Leopardi, Zibaldone 1330
Non è mai sgraziato un fanciullino che si vergogna, e parlando arrossisce, e non sa stare nè operare nè discorrere in presenza altrui.
Arrossire non è brutto, non sta male, non fa male.
Arrossire di pudore dimostra una grande capacità nei giovani, che a quanto pare nella nostra epoca, molti adulti hanno perduto: la capacità di provare il sentimento della vergogna.
Che il pudore sia obsoleto si nota anche nel fatto che pochi paiono arrossire nei romanzi del dopoguerra. La parola rossore è davvero ottocentesca, e l'arrossire di pudore s'è in gran parte perduto.
C'è un'eccezione interessante, "La canzone del sole" musica di Lucio Battisti parole di Mogol. Parole come al solito in Mogol ottocentesche e per ispirazione e per misoginia... infatti il rossore dell'innocente fanciulla si smorza quando ormai è diventata una donna, e diventare donna pare negativo in sé e per sé.
Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi
le tue calzette rosse
e l'innocenza sulle gote tue
due arance ancor piu' rosse
E così dell'onesto pudore a volte non restano né il pudore, né, ahi noi, l'onestà.
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Aretino Pietro, Dialogo nel quale la Nanna insegna alla Pippa sua figliola a essere puttana
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Pubblicato il 16/12/2013