Prima fra tutte Saffo / Essere e non essere/La luce della luna / La voce della luna e il suo odore / Stereotipi:gatti / L'inconscio e la luna / La luna smitizzata?Antiromantica? / La luna è femminile / La luna nera (o gialla) / La luna bianca / La luna è sensuale / Il rovesciamento: non c'è un femminile non c'è un maschile / A ognuno la sua magica cavalcatura
Plenilunio
Le stelle attorno alla bella luna
velano il volto lucente
quando piena, al suo colmo, argentea,
splende su tutta la terra.
È questa l'unica poetessa, del percorso proposto, che si trova "fuori tempo massimo". Un inizio inevitabile e dovuto sia per la bellezza della poesia sia perché il primo sguardo contemplativo, bastante a se stesso sulla luna è di una donna: Saffo (Lesbo VI sec. a.C.). Omero e gli altri autori, quando avevano scritto della luna, pur con notturni bellissimi, lo avevano fatto in modo "strumentale": la luna o era inserita in una metafora, in una similitudine ("come la luna"...) oppure, grande raffinatezza, era una descrizione mediata non della luna in sé, ma della luna raffigurata sullo scudo di Achille. Cioè una luna che solo gli dei possono descrivere dal vivo, gli dei e, appunto, una donna, la poetessa Saffo.
E ora entriamo nel percorso vero e proprio con alcune indicazioni di metodo.
Sono solo poetesse. Sono solo poetesse del Novecento. Sono solo poetesse di formazione occidentale.
Perché questa scelta?
1. Mi sono rivolta al solo mondo occidentale perché qui sono le nostre radici e questo è il nostro mondo, quello da cui partire per conoscere poi gli altri mondi, cosa indispensabile nella nostra società globalizzata. Bruttissima parola, meglio usare mondializzata.
2. Nel mondo occidentale la luna è certamente percepita come elemento, simbolo femminile. In molti miti e religioni la luna è divinità femminile, Selene è la dea lunare nella mitologia greca. La luna è legata alla simbologia femminile per via della ciclicità che molto ricorda la fisiologia della donna. Ma anche per la luce riflessa: la luna infatti risplende solo perché colpita dalla luce del sole. Ahimé questo è un modo di vedere che tradisce il maschilismo di certa tradizione. Anche se spesso per il poeta "maschio" la luna, proprio in quanto immagine femminile (madre, sorella, amante) è una confidente, è positiva, è, quella della luna, una luce cui abbandonarsi. Per le poetesse no, la luna per loro è fenomeno molto, molto più complesso e sfaccettato.
3. Per comprendere questo rapporto non sempre lineare tra le poetesse e la luna, la cronologia è molto importante. Sono queste tutte poetesse del Novecento, alcune ancora vive e vegete (alcune giovani, per fortuna, perché i poeti non son tutti morti e sepolti nei libri di scuola). Molte si sono suicidate in età giovanissima. La varietà è grande e spesso le poesie sono state scritte in età vicine a quelle degli studenti.
Sono nomi per lo più sconosciuti perché delle poetesse si parla poco, non si riesce a leggerle a scuola, non rientrano nei canoni degli autori da studiare e anche per questo la scelta di un percorso poetico tutto al femminile è insieme provocatorio e, si spera, utile ad ampliare la conoscenza del mondo poetico.
La cronologia è importante anche per altri motivi.
Il Novecento è stato secolo di grandi sconvolgimenti per il mondo occidentale: due guerre mondiali, l'olocausto e il nazismo, il comunismo e i gulag, la fine del comunismo, il '68, la grande rivoluzione della società che, non a caso, è partita proprio dal movimento femminista. Nel 1969 poi l'uomo per la prima volta mette piede sulla luna.
Queste poetesse vivono la storia potentemente. Quel che agisce su di loro è la guerra e poi il movimento di liberazione della donna. Credevo che l'allunaggio avesse influito sulla percezione della luna, invece dalle poesie che ho letto, pare che questo non avvenga: la luna è sempre là, che qualcuno l'abbia raggiunta non influisce sulla sua valenza simbolica e nemmeno insozza la sua bellezza o intacca la sua potenzialità poetica. E questo è un bene.
Zanzotto parlò della luna violata, la donna in queste poesie spesso è violata come la luna e dunque dov'è la novità?
Che però femminile e lunare siano principi ben distinti, lo dice in modo netto la poetessa Vivian Lamarque (Tesero 1946), che anzi vorrebbe essere la luna di qualcuno.
Tutti in effetti vorremmo esserlo: essere la luna vuol dire infatti non solo brillare, ma essere in relazione, magari anche una relazione d'amore. Però noi luna non siamo.
Oh essere anche noi la luna di qualcuno!
Noi che guardiamo
essere guardati, luccicare
sembrare da lontano
la candida luna
che non siamo.
Come dice Vivian Lamarque la luna ha una luce che la fa ammirare, la luce della luna è un tema importante nella poesia, ma è anche uno dei motivi per cui la luna è femmina: luce bellissima, però luce riflessa.
Spesso è la luce che illumina la notte degli insonni, oltre che degli innamorati. In genere, come nelle poesie che seguono, questa luce non colpisce, ma si adagia come un mantello e dunque anche protegge, copre, accudisce.
Biancamaria Frabotta (Roma, 1946)
Di dormire con te non ho voglia
quando la luna giunge al primo quarto.
Un mantello fioco, casa per casa,
s'appoggia sugli insonni.
Bella è qui la sinestesia che coinvolge ben tre sensi: il tatto (mantello), l'udito e la vista nel termine "fioco" polisemico: fioca è una luce, fioco un suono...
Giovanna Bemporad (Ferrara 1928- Roma 2013) invece descrive tutto il corso della luna dal suo rosso sorgere al suo candore di luna piena. Alta nel cielo, rischiara "pianamente" l'orizzonte infinito, su tutto posa il suo velo, proprio questo velo fa immaginare chissà quale prodigio, nutre chissà quale illusione. È una luce che copre e nel frattempo scopre, che protegge, ma anche espone ai sogni, alle illusioni, all'attesa di un prodigio.
L'attesa, l'infinità della luce e dell'orizzonte fisico e mentale su cui la luna agisce, velando e disvelando è ben rappresentata dalla presenza degli enjambement (ce ne sono ben 5 su 11 versi), un ritmo quasi leopardiano si potrebbe dire, cfr. l'Infinito, senza tema di esagerare, infatti, Giovanna Bemporad dedica un'altra poesia sulla luna proprio a Leopardi. Ma attenzione siamo nel Novecento e la luna è respinta dalle luci artificiali, un'esperienza che chiunque abiti in un centro abitato può fare: la terra lacera illusioni che la luna ritesse!
Nasce la luna come rossa aurora
pianamente; rischiara illimitate
fissità d'ombre e alberi e campagne,
pura, dai globi elettrici respinta,
questa accorata solitaria. E sale
bianchissima, tra azzurre trasparenze,
l'arco del cielo, ritessendo il velo
delle illusioni lacerato in terra.
Nella sua grande luce meridiana
timidamente in me stanca rinasce
l'ingannevole attesa d'un prodigio.
In Patrizia Cavalli (Todi, 1947) la luna è quasi piena, pur non descrivendone la luce, la lascia intuire, è una luminosità che si indovina dinamica. Questa luna è piena di energia e dona energia nuova alla poetessa, che si sente (ironicamente) più magra e quasi ninfa sola e non del tutto sola, perché al cospetto della luna. E l'astro, come accade a tutti coloro che la sanno osservare, l'inebria.
(...)
C'era la luna, a destra, quasi piena,
i temporali a nord l'avevano schiarita,
oh estate! più che dolce, necessaria.
E già più magra io ero
o mi sentivo, ninfa
quasi ardente anche se sola, non
sola veramente ero inebriata
La luce riflessa della luna vien detta da Antonia Pozzi (Milano 1912- 1938) faccia distolta dal sole, è l'unica luce che può persuadere il sonno. Solo la luce della luna in effetti si lascia contemplare.
Notte
Aggiorna sulla luna
e a noi persuade il sonno
questa faccia distolta dal sole,
la campagna profondata negli oceani.
Se la luce della luna è fenomeno sensibile, lo è molto meno la sua voce (per non parlare del suo odore). Forse solo i poeti possono udire (immaginare?) la voce della luna. Per Alda Merini (Milano 1931-2009) questa voce è urlo, è gemito: una luna dei dolori, quasi come una donna dei dolori.
In questa poesia ci sono molti degli stereotipi lunari: l'acqua, l'inconscio (la luna grava su tutto il nostro io), il chiaro di luna. Se la voce della luna è di tormento, ancora una volta è la sua luce chiara a indurre la poetessa, zingara, a fermarsi per un incontro d'amore.
La luna geme sui fondali del mare,
o Dio quanta morta paura
di queste siepi terrene,
o quanti sguardi attoniti
che salgono dal buio
a ghermirti nell'anima ferita.
La luna grava su tutto il nostro io
e anche quando sei prossima alla fine
senti odore di luna
sempre sui cespugli martoriati
dai mantici
dalle parodie del destino.
Io sono nata zingara, non ho posto fisso nel mondo,
ma forse al chiaro di luna
mi fermerò il tuo momento,
quanto basti per darti
un unico bacio d'amore.
Questa luna compagna della morte, l'odore di luna alla fine della vita, è però sempre ambivalente, ambigua. È testimone di una violenza, di una verginità femminile violata, forse della sua stessa verginità lunare sporcata, eppure la luna e la violenza lasciano dietro di sé la vita: una bambina, alla poetessa una figlia.
Il mio primo trafugamento di madre
Il mio primo trafugamento di madre
avvenne in una notte d'estate,
quando un pazzo mi prese
mi adagiò sopra l'erba
e mi fece concepire un figlio...
O mai la luna gridò così tanto
contro le stelle offese
né mai gridarono tanto i miei visceri
né il Signore volse mai il capo all'indietro
come in quell'istante preciso
vedendo la mia verginità di donna
offesa dentro un ludibrio.
La luna parla, la luna nella mente del poeta può arrivare a formare delle frasi che muovono l'aria della notte quieta e immobile, sono frasi che possono indicare indirizzi, rotte. Ma, secondo la poetessa Nicoletta Bidoia (Treviso 1968), sono rotte ancora incerte: si tratta pur sempre delle frasi della luna.
L'ora è immobile e niente si rivela.
(...)
Solo - ogni tanto - le frasi della luna,
in alto, oltre gli abeti, muovono l'aria
come indirizzi notturni, rotte incerte dei venti
e del tornare.
Che cosa dice la luna? Chissà, tra i molti simboli che la accompagnano e che uniscono lunare e femminile certo c'è un piccolo animale: il gatto. Il gatto esoterico e dunque vicino al potere delle streghe (povero gatto perseguitato), il gatto notturno come la luna...
Così ne scrivono due potesse.
Paola Lazzarini (Vercelli) offre un'immagine misterica del rapporto tra gatto e topo, il punto centrale è la luna. Con levità la poetessa da conto della caccia del gatto al topo, perhé questi rosicchia la luna, che forse a un topolino può anche parere una perfetta forma di formaggio.
Felinità
serica creatura del silenzio
mistica di luce fredda
guaritrice e veggente
nemica giurata dei topi
che rosicchiano la luna
La luna è la compagna che guida il gatto (e la poetessa insieme a lui) in questo mondo e nell'altro.
Il manto tigrato a lisca di pesce, sul capo lo scarabeo
segno regale.
Lettore infallibile del sole
cercatore con bussola cosmica
hai trovato la strada di casa,
chiaroveggente amico
della dea lunare
traghettatore d'anime.
Proprio nel tentativo di creare un ponte fra questo mondo e l'altro io (Maria Rosa Panté Borgoseia, 1961) ho scritto, quando la mia gatta è morta, parole lunari. In questo caso luna, donna, gatto e poesia si tengono per mano.
Vanamente ho tentato un necrologio
La mia gatta, poesia pura,
si bagnava di luna e sognava
versi armoniosi: erano le fusa!
Già nella poesia di Alda Merini era balenato un io su cui grava la luna e infatti tra i simboli più significativi, legati al femminile e al lunare, c'è l'acqua, che rimanda al ventre, alla madre. Ecco l'inconscio, siamo in piena psicanalisi, ma nella forma poetica e dunque fatta di intuizioni e di domande. Come bene scrive la poetessa Donatella Bisutti (Milano 1948) in questa lirica brevissima: piccola, preziosa metafora.
Nel cielo
La luna si fa interrogativo
Nella poesia che segue, sempre di Donatella Bisutti, i mostri sepolti nel nostro sé risalgono quando la luce del sole si fa lunare e la luna ha qualcosa di indefinito, di spettrale in questo suo essere pallida e biancastra, non la luminosità del plenilunio, ma una luce che permette ai mostri di farsi alfine vedere. Anche la pancia del pesce evoca l'inconscio ed è dello stesso colore della luna! In poesia il rapporto è reso dalla figura retorica della similitudine.
Canto Dell'Acqua
Mondo equoreo arboreo
trasmigrazione dalla terra al mare
(...)
lontani dal cielo lontani dalla luce difformi e mostruosi
senza proporzione né grazia sfilano i mostri sepolti nel fondo
del nostro sé e da lì risalgono quando la luce del sole si fa lunare
e la luna è un disco pallido e biancastro come la pancia del
pesce che porta il suo nome
Le poetesse sanno anche uscire dalla visione drammatica della luna e persino da una sua visione romantica e troppo forse abusata in poesia (e non solo).
Wislawa Szymborska (Komik 1923 - Cracovia 2012) ci informa che in un'epoca politica nulla resiste, tutto diventa politico anche la luna. Una luna che continua a brillare nel cielo, ma non è più cosa lunare, il che potrebbe sottindendere che un oggetto poetico e romantico in sé... è ormai cosa politica.
Chissà se possiamo pensare qui un riferimento al tema della corsa allo spazio, un altro dei fronti su cui si combattè la guerra fredda tra USA e URSS. Roba di un secolo fa!
Figli dell'epoca
Siamo figli dell'epoca,
l'epoca è politica.
Tutte le tue, nostre, vostre
faccende diurne, notturne
sono faccende politiche.
(...)
Perfino per campi, per boschi
fai passi politici
su uno sfondo politico.
Anche le poesie apolitiche sono politiche,
e in alto brilla la luna,
cosa non più lunare.
Lo sguardo ironico della poetessa polacca sa cogliere anche il miracolo della nuvoletta che vela la luna. Una luna qui che appare pesante. E basta un aggettivo a un grande poeta per creare una nuova immagine di un oggetto pur poetico e di antica tradizione come è la luna. Diafana? Delicata? Fanciulla? Macché: pesante!!!
La fiera dei miracoli
Un miracolo fra tanti:
una piccola nuvola svolazzante,
che riesce a nascondere una grande pesante luna.
Un'altra poetessa dell'Est europeo la russa Marina Cvetaeva (Mosca 1892 - Elabuga 1941) invece in un solo verso toglie l'aura romantica alla luna, basta ringraziare un uomo per gli atti d'amore non fatti, tra cui una non passeggiata sotto la luna e la luna perde la sua connotazione romantica, ma acquista una possibilità poetica in più.
Sono contenta che voi siate ammalato non di me
(...)
per le nostre non-passeggiate sotto la luna,
(...)
per il fatto che voi siate ammalato -ahimé!- non di me,
per il fatto che io sia ammalata - ahimé!- non di voi.
(Salvador Dalì)
Dove però la luna assume contorni davvero femminili è nelle poesie di due poetesse che furono amiche fra loro, che si suicidarono entrambe, uccise dalla depressione, che furono americane. Anne Sextone e Sylvia Plath.
La luna e la donna sono solo nel titolo della poesia di Anne Sexton (Newton, 1928 – Weston,1974), tutta la lirica invece gioca su una totale immedesimazione, ma mai detta esplicitamente. La luna è descritta in modo simbolico, metaforico e al tempo stesso preciso, reale. Una luna che si relaziona con l'uomo, che si fa anche inquisire (viene in mente il "che fai tu luna in ciel?" leopardiano).
Che si tratti della luna satellite che ha subito, o sta per subire, l'allunaggio? La lirica è contenuta in una raccolta pubblicata proprio nel 1969. Chissà certo l'uomo tuta, l'uomo che inevitabilmente passerà sulla luna può essere l'astronauta. Ma è anche l'uomo che "passeggia" sulla donna, la donna garage, la donna luna. Le immagini dell'uomo: lanciarazzi, freddo freddo non sono lusinghiere. La luna e la donna cantano un canto che suona doloroso.
Canto di luna, canto di donna
Vivo di notte,
mi sento morire la mattina,
vecchia lampada dall'olio consunto,
pallida ossuta emunta,
nessun prodigio o strabilianza.
Io sono malconcia e sfigurata
ma tu nell'armatura sei possente
e devo predispormi al tuo passaggio.
Io fui sempre una vergine
vecchia e butterata.
Prima che il mondo fosse io fui.
Son stata arancia dai pori dilatati
color carota e grassa sfatta,
contemplata dagli attoniti
ho lasciato calare le mie O crettate
sui mari di Venezia e di Mombasa.
Sul Maine mi sono riposata.
Come un jet nel Pacifico sono precipitata.
Sul Giappone fui spergiura.
Ho lasciato che il pendolo oscillasse,
la mia borsa rigonfia, la mia luce
dorata, dorata intermittenza
su voi tutto baluginasse.
Così se devi inquisirmi, fallo.
Dopotutto non sono artefatta.
Lungamente ti ho guardato,
d'amor panciuta o vuota
mostrando senza fine le mie fasi alterne
a te, a te mio freddo freddo
uomo tuta.
Tu devi solo chiedere, e te lo concederò.
E' praticamente garantito,
tu marcerai su me in me caserma.
Oh vieni veleggiando, vieni veleggiando
o tu lanciarazzi
o tu terrapieno
o tu progettatore.
Sigillerò la beltà del mio grand'occhio,
quartier generale di un distretto,
casa di un sogno.
Sylvia Plath (Boston1932 - Londra 1963) è la poetessa più corposa del percorso perché lei spesso usa la simbologia lunare, spesso si riferisce alla luna, spesso la descrive nei suoi versi.
La luna è sempre uno spirito donna, quasi sempre è uno spirito negativo. Quella di Sylvia Plath non è una luna stereotipata e consolatoria, forse perchè nulla per la poetessa era consolatorio.
Primo ritratto di luna – femmina. La poesia è giocata sulla metafora strutturale della rivale (del titolo) che è una luna. Il punto è come la Plath vede la luna: di un sorriso e di una bellezza che annichiliscono. La luna, come la rivale, umilia i suoi sudditi, una luna che quindi sottomette. La visione della luna e la visione della rivale sono ormai totalmente mescolate, anche attraverso la figura retorica della personificazione, infatti la luna ha una bocca a O. E così alla fine anche la rivale, come la luna, subisce la vendetta della poesia: sono infatti ridicole entrambe di giorno, alla luce, nella vita quotidiana, reale.
La rivale
Se sorridesse, la luna somiglierebbe a te.
Tu fai lo stesso effetto:
di un qualcosa di bello ma che annichilisce.
Tutti e due siete dei grandi scroccatori.
La sua bocca a O si accora sul mondo;
(...)
Anche la luna i suoi sudditi umilia,
ma di giorno è ridicola.
Secondo ritratto femminile della luna, ci arriva, Sylvia Plath, per gradi. La luna è bianca, questa è una osservazione normale, ma è bianca come una nocca. Ora la similitudine acquisisce contorni nuovi e inquietanti, la nocca della mano è bianca quando la mano è chiusa a pugno. E infatti questa luna è terribilmente arrabbiata. Una luna che governa le maree, una luna contraddittoria quieta e disperata. Questa luna non ha risposte, non è una porta, ma una faccia.
Forse è la faccia della madre della poetessa La luna è mia madre, una madre senza tenerezza, senza dolcezza, senza possibilità di salvezza (non è Maria, cioè la Madonna). Ha vesti azzurre la luna, oppure Maria? entrambe forse, da queste vesti azzurre che evocano un cielo terso o l'immagine classica della Madonna, proprio perché la luna è la madre della poetessa si liberano animali notturni in genere considerati negativamente (e a torto): gufi e pipistrelli. Questa luna è distante, Sylvia diventa qui leopardiana. La luna è lontana, ma non è nemmeno più l'astro bello che nutre illusioni: è brulla e desolata.
La luna e il tasso
Insomma, non riesco a vedere dove andremo a finire.
La luna non è una porta. È una faccia per diritto di nascita,
bianca come una nocca e terribilmente arrabbiata.
Si trascina dietro il mare come un delitto oscuro; è quieta
con lo squarcio ad O di completa disperazione. Io abito qui.
(...)
L'albero di tasso punta in alto. Ha un profilo gotico.
Gli occhi si levano oltre lui e trovano la luna.
La luna è mia madre. Non è dolce come Maria.
Le sue vesti azzurre liberano piccoli pipistrelli e gufi.
Come vorrei credere nella tenerezza -
(...)
La luna non vede nulla di ciò. È brulla e desolata.
Ed il messaggio dell'albero di tasso è oscurità -
oscurità e silenzio.
La luna è madre anche in Il sorgere della luna, una madre ossuta, che ricorda un po' la morte, ma anche l'essenza delle cose. Il bianco qui è un colore quasi funebre, forse per il rimando alle carni bianche ridotte a ossa bianche. C'è anche un riferimento alla donna e ai suoi cicli nelle bacche viola che buttano sangue, da questo sangue però in contrasto alla ossa bianche e da un ventre – bianco – può nascere una nuova vita. La luna è madre, la luna è la poetessa, la luna è la donna.
(...)
Lucina, madre ossuta, che fatichi
tra le orbite di stelle bianche, il tuo volto
di candore riduce la carne bianca a osso bianco,
tu che trascini alle calcagna il nostro antico padre,
con la barba bianca, stanco. Le bacche sono viola
e gettano sangue. Il ventre bianco può ancora maturare.
Anche nella poesia Olmo la luna è personificata, il rapporto con Sylvia Plath è sempre controverso. Pare una lotta, una lotta ancora tra due femmine? La luna è sterile, la poetessa no. Questa volta la poetessa ha la meglio, può permettersi di liberare la luna, ma da dove, dal suo inconscio? Dai suoi versi? Però la luna è cambiata, diminuita e piatta. La luna o un'altra donna? Oppure lei stessa?
(...)
Ora mi rompo in pezzi che volano intorno come clave.
Un vento di tale violenza
non tollera neutralità: devo urlare.
Anche la luna è spietata: vuole trascinarmi
crudelmemte, lei che è sterile
Il suo splendore mi folgora. O forse l'ho catturata.
La lascio andare. La lascio andare
diminuita e piatta, come dopo un intervento radicale.
Come mi possiedono e mi colmano i tuoi brutti sogni.
Interessante e straziante è come Sylvia Plath rappresenta la luna nella poesia Orlo, perché questa è l'ultima poesia che la Plath scrisse prima di suicidarsi a 37 anni.
Orlo è un confine ed è l'orlo che definisce e chiude un lato, un vestito. La donna è perfetta quando è morta. La luna, ancora una luna-osso che evoca la morte e invita all'essenziale, è abituata allo spettacolo della fine, ma forse non è così indifferente, anche se la poetessa l'invita a non essere triste, le sue macchie nere crepitano e tirano, come contorcendosi, come piangendo sulla sorte della donna. Interessante è come le poetesse del Novecento usino della conoscenza più precisa della luna in modo poetico e originale. Le conoscenze infatti alimentano sempre lo spirito del poeta.
La donna è infine perfetta.
Il suo corpo
Morto porta il sorriso del compimento
(,,,)
La luna non ha nulla di cui essere triste,
fissando dal suo cappuccio di osso
è abituata a questo tipo di cose.
Le sue macchie nere crepitano e tirano.
E dunque la luna è ambivalente, certo influisce sullo stato d'animo degli esseri viventi, non solo degli esseri umani, ma chissà, anche lei forse risente di quanto da lassù vede sulla terra. E cambia colore...
In Donatella Bisutti, nella poesia Canto dell'Oscurità, la luna irrequieta diventa un panno nero sulla gabbia dell'uccello. (…)
Quando la luna è irrequieta
un panno nero ricopre la gabbia dell'uccello
E nella poesia di Anna Achmatova (Odessa 1889 - Mosca 1996) è gialla, la luna che osserva la poetessa, una donna sola, malata, disperata. La luna non è piena, ha il cappello sulle ventitrè, e non è indifferente, entra dalla finestra nella casa desolata.
Placido scorre il placido Don,
gialla luna entra nella casa,
entra col cappello sulle ventitrè,
vede l'ombra la gialla luna.
Questa donna è malata,
questa donna è sola,
il marito nella tomba, il figlio in prigione.
Pregate per me.
Secondo Antonella Anedda (Roma 1955) nella poesia Siedi davanti alla finestra, la luna non può esserci scudo e difesa dalla disperazione, la luna può solo mettere di fronte alla verità: di se stessi? Della vita e della natura che segue il suo corso? La luna è tramite, traduzione di misteri tra l'uomo e l'universo. Tra l'uomo e la sua disperazione.
Guarda, ma accetta la disperazione:
c'è verità nella luna che sale
eppure non si alza a scudo sul dolore
si traduce –
come ho appena tradotto il libro aperto verso il muro –
Talvolta anche nel mondo poetico femminile rifluisce l'antica idea della luna, mondo altro, ma consolatorio, ma amico, ma bianco, cioè puro, positivo, sognante.
Così la Cvetaeva nella lirica D'inverno, la luna scende chiara ed è immagine di pace, di quiete, di dolcezza, è una luna speciale, mediata, la luna scritta nelle anime dei poeti e dei libri.
(...)
Già è sorta la falce d'argento,
il tuo bavero la neve
di stelle ha ricoperto.
(...)
La luna scende chiara nelle anime
dei libri e dei poeti,
Per Maria Pia Quintavalla (Parma 1952) la luna è non solo figura femminile e consolatoria, la luna è vicina, una sorella, credula dunque più innocente di noi, più libera di noi incatenati, noi divenuti sonagliere al tempo.
(...)
sotto il cielo che fila dalle nubi,
a sera forma la luna
più vicina, e credula sorella.
Non sai che trattenerci è il tuo mestiere,
mentre noi non possiamo farlo a te,
legati a ritmi di catene
sonagliere al tempo
La luna è sensuale e profondamente donna e, nel momento dell'amore, la poetessa, Alda Merini, è la luna stessa, una luna bianca che però, metafora nella metafora, si schiude come un fiore, grazie al sorriso dell'uomo amato. La donna è luna, la luna è fiore: miracoli dell'amore.
Il mio uomo è uguale al Signore
il mio uomo è uguale agli dèi
(...)
ma se il mio uomo sorride
io torno a fiorire e divento una bianca luna
che si specchia nel mare.
Proprio quando pareva definito che la luna fosse femminile e viceversa, ecco la poesia di Antonia Pozzi a rovesciare le carte in tavola e gli astri nel cielo. Si parla sempre dimamore, ma il carattere dell'uomo è più lunare e la poetessa si identifica invece col sole che abbaglia e che anche è coperto dalle nuvole.
Però ancora non basta: l'amore fonde e confonde e così la luce che risulta è quella insieme del sole e della luna e con questi versi conclude Antonia Pozzi: So cosa significa amore / quando il giorno muore, la rima unisce amore e morte: le due grandi forze che governano la vita. La poesia trasferisce nella tecnica dell'enjambement il continuo sconfinare dell'amore fra lui e lei, fra la luce del sole e della luna.
Tu la notte io il giorno
Tu la notte io il giorno
tu con le tue stelle e la luna
silenziosa
io con le mie nuvole ed il
sole abbagliante
(...)
La luna e il sole sono due
amanti rapidi e fugaci
e non siamo più io e te
siamo noi fusi insieme
nella completezza della luce
fioca
ondeggiante come la marea
in eterna corsa...
So cosa significa amore
quando il giorno muore
La luna, le donne, la poesia. La luna luogo fantastico ove volare, ove trovare un mondo rovesciato, e migliore, la luna che si raggiunge non tanto con un'astronave quanto con l'ippogrifo... oppure, cosa molto femminile, con un animale meno titolato, persino spesso ingiustamente dileggiato e preso a simbolo di una vuota femminilità. Gabriella Sica (Viterbo 1950) ci indica questa strabiliante cavalcatura, che voli e ci porti, noi donne, tutte sulla luna: una bianca, soffice, oca!
Gabriella Sica (
Vorrei sulla groppa d'una di voi salire
come altri a cavallo dell'ippogrifo,
(...)
fino a incontrare la candida luna
e i cieli così lontani dalle cose agre.
Che male fa credere a un prodigio
se anche la poesia è un po' magia
(...)
Vorrei con voi amiche oche volare.
Concludo con due piccole note:
1. Trattandosi di poetesse del Novecento, si possono trovare sul web video di quasi tutte loro mentre leggono i loro stessi versi. Sarebbe una bella esperienza sentire il poeta che legge la sua poesia (perché, mi raccomando, la poesia va letta sempre a voce alta!), e nel caso delle poetesse americane sarebbe anche una lezione multidisciplinare!
2. Si tratta di un percorso femminile, ma la poesia non ha sesso, non ha età, non ha segni particolari se non essere poesia, infatti c'è, tra le poetesse, un filo rosso, un poeta davvero lunare che è Giacomo Leopardi. Sulla luna a cavallo dell'oca ci potremmo portare anche lui!
Bibliografia in ordine di citazione
Saffo, Alceo, Anacreonte, Liriche e Frammenti, Einaudi Torino 1971
Vivien Lamarque, inedito in http://www.italian-poetry.org/lamarque.htm
Biancamaria Frabotta, La testa leggera, in La pianta del pane, Mondadori, Milano 2003
Giovanna Bemporad, Esercizi, Garzanti Milano 1980
Patrizia Cavalli, Pigre Divinità e Pigra Sorte- Einaudi Torino 2006
Antonia Pozzi, Tutte le opere, Garzanti, Milano 2009
Alda Merini, Vuoto d'amore, Einaudi Torino 1991
Alda Merini, La presenza di Orfeo - La Terra Santa, Libri Scheiwiller, Milano 2005,
Nicoletta Bidoia, L'obbedienza, LietoColle, Como, 2008
Paolo Lazzarini, Gatti in cerca di casa, Edizioni Mercurio Vercelli, 2007
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Pubblicato il 24/09/2014