Maria Rosa Pantè - Sul filo del cambiamento: un percorso ragionato (con la partecipazione straordinaria di Giorgio Barberi Squarotti)

1. Metamorfosi dall’umano all'animale / 2. Metamorfosi dall’umano al vegetale / 3. Metamorfosi dall’umano al minerale / 4. Metamorfosi dall’umano al mondo astronomico / 5. Metamorfosi dall’umano agli elementi naturali /

La metamorfosi è un cambiamento. Nell'etimologia della parola c'é il termine greco morfé cioè “forma”, dunque essa è, in primo luogo, un mutamento della forma, dell’aspetto, che spesso, però, porta con sé anche un mutamento dell'essenza, del comportamento, della natura più profonda.
Il critico Giorgio Barberi Squarotti[1], riguardo al tema della metamorfosi su cui lo interrogavo per averne consigli, pensieri, suggestioni, mi ha suggerito che:

“è bene mettere qualche ordine, per quanto sia possibile, in un argomento che lo rifiuta e, anzi, è mutevole di continuo (…) Mi vengono in mente molte domande: e Dante? E Adone trasformato in pappagallo a opera del Marino? E Vitangelo Moscarda nelle ultime pagine di Uno, nessuno, centomila? e Alcione e il cervo e il centauro? Circe? E Laura e il lauro e Dafne e l’Aura?”

Davvero molte domande sorgono di fronte ai cambiamenti, che per antonomasia sono “metamorfici” e dunque non ordinabili; tuttavia, per tentare una semplificazione, avanzerei una domanda particolare: la metamorfosi è meglio prima o dopo? Per essere più precisi: “è meglio per l'umano diventare inumano o per l'inumano divenire umano?”
Ciascuno può dare una risposta istintiva o ragionata, condizionata naturalmente da come si sente nella sua forma umana.
Anche gli scrittori hanno tentato delle risposte, talvolta in modo esplicito, più spesso tra le righe.

Esistono molteplici esempi e possibilità di metamorfosi. Per semplicità in questo percorso saranno escluse: le trasformazioni solo interiori (le conversioni); quelle che coinvolgono mostri o altri esseri di fantasia; quelle che riguardano il divino.
Mi occuperò dunque dell'ambito: umano, animale, minerale, vegetale e naturale.
Pur avendo ristretto il campo, gli esempi di metamorfosi sono in letteratura innumerevoli e dunque ho operato una scelta. Non c’è stato alcun limite né di genere, né di tempo; i testi, però, appartengono tutti alla cultura e alla storia del mondo occidentale.
Prima di iniziare la piccola “rassegna” vorrei citare ancora un’ utile indicazione di Giorgio Barberi Squarotti, nonostante rischi così di smontare il mio percorso sul nascere; d’altro canto la sua riflessione è fondamentale per farsi un’idea più ampia del fenomeno proteiforme della metamorfosi. Il critico così dunque mi scrive:

“Ci sono anche le metamorfosi che hanno un’esemplarità autonoma, assoluta, priva di ragioni (come dire?) morali. Quelle dei poemi cavallereschi e dell’ Adone sono tali. Credo che siano le più difficili da affrontare”.

A mo’ di esempio cito Ariosto: la trasformazione di Astolfo in mirto ad opera della maga Alcina, che appunto così si liberava degli ex amanti.
L’invito è di non razionalizzare troppo, di “non sistemare situazioni e autori secondo categorie”. Purtroppo io nel percorso ho catalogato alcune forme, ma l’invito di Barberi Squarotti deve essere alla base di ogni riflessione sulla metamorfosi proprio per capire come ogni schematizzazione sia artificiosa e serva solo ad addomesticare un poco uno dei temi più “ribelli” della letteratura. Come in un rodeo, si cavalca il puledro imbizzarrito per un po’, fino a quando il puledro ci disarciona: e in questo sta il fascino di tale sport.

 

1. Metamorfosi dall’umano all'animale

Ovidio narra di Aracne che diviene ragno. La dea che la condanna, la salva dalla morte, ma a quale prezzo! Che avrà provato la fanciulla? Io ho immaginato la situazione in una poesia scritta alcuni anni fa.

Ionesco nella pièce teatrale Il Rinoceronte muta tutti gli abitanti di un paese in rinoceronti. In questo caso, grazie alla voce stessa dell’autore, si possono esplicitare due elementi interessanti riguardanti l’invenzione poetica: perché la scelta di trasformare una intera comunità in animali? Perché proprio il rinoceronte? Ionesco riporta un’esperienza vissuta a Norimberga nel 1936 dallo scrittore Denis de Rougemont:

«Attendendo Hitler i presenti stavano già dando segni di impazienza, quando, in fondo a una via e rimpiccolito dalla distanza apparve il Fürher circondato dal suo seguito. Lo scrittore vide la folla, progressivamente travolta da una specie di isterismo, acclamare con frenesia l'uomo sinistro. L'isterismo si spandeva, avanzava con Hitler come una marea. Sulle prime Denis de Rougemont rimase sbalordito di fronte a questo delirio. Ma quando il Fürher si avvicinò e tutti, intorno a lui, furono contagiati dal generale isterismo, lo scrittore si accorse che quel furore cercava di impadronirsi anche di lui, che quel delirio "l'elettrizzava". Stava per soccombere a quella magia, quando qualcosa salì dal profondo del suo essere, opponendosi alla tempesta collettiva.
Si sentiva a disagio, spaventosamente solo in mezzo alla folla; aveva resistito ed esitato allo stesso tempo. Poi sentendosi "letteralmente" drizzare i capelli in testa, capì ciò che significa Orrore Sacro. In quel momento non era il suo pensiero a resistere, non erano le argomentazioni che gli venivano in mente; era la sua "personalità" che si ribellava. Ecco: probabilmente il punto di partenza del "mio" rinoceronte. (…) Il toro? No: troppo nobile. L’ippopotamo? No: troppo molle. Il bufalo? No: i bufali sono americani, nessuna allusione politica… Il rinoceronte! Vedevo finalmente il mio sogno materializzarsi, concretizzarsi, diventare realtà, massa. Il rinoceronte! Il mio sogno!»[2]


Simile a questo è uno dei casi più noti di metamorfosi in letteratura: quello del protagonista dell’omonimo racconto di Franz Kafka, trasformato, per ragioni inesplicabili, in uno scarafaggio.

 

2. Metamorfosi dall’umano al vegetale

Ancora Ovidio narra di Filemone e Bauci, mentre ne La pioggia nel pineto Gabriele D’Annunzio descrive la donna che l’accompagna “fatta quasi virente”:

Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe”[3].


In questo tipo di metamorfosi rientra la vicenda di Pier delle Vigne che Dante descrive in Inferno, XIII ispirandosi alla triste storia di Polidoro tratta dall’Eneide di Virgilio, libro III. .
Mentre in Ovidio (Filemone e Bauci) e in D’Annunzio il passaggio da umano a vegetale è un premio perché la natura è percepita come percorsa dal divino, divina ed eternatrice, e dunque benefica (i due, infatti, divengono grandi e folti alberi), in Dante (Pier delle Vigne) la metamorfosi è una punizione, una condanna: lo testimonia la descrizione dei dannati come alberi contorti, aggrovigliati, inquietanti. Il divino non percorre la natura, ma in qualche modo la usa deformandola, diviene figura della condanna di peccato e peccatore: il suicida si priva del corpo in vita e per l’eternità. È l’esatto opposto della vicenda di Filemone e Bauci.
In “mezzo” sta Virgilio: il giovane e innocente Polidoro viene ucciso e dal suo sangue sparso nascono arbusti; la natura, neutra, non è altro che simbolo dell’efferatezza d’un delitto.
Il già citato Ariosto, invece, prende la forma di questa metamorfosi (Astolfo trasformato in mirto, come Polidoro e come Pier delle Vigne), ma le toglie ogni tragedia, ogni sensazione di morte e significato morale, piuttosto le dona, pur nella situazione tutt’altro che piacevole, la levità cavalleresca d’una avventura erotica finita male.

 

3. Metamorfosi dall’umano al minerale

Nel mito, i personaggi impietriti per il dolore sono molti; interessante è tra le altre la figura della moglie di Lot in Genesi, 19, 23-26:

«Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Zoar, quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo. Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale»

A questa trasformazione, narrata in modo quasi marginale e così laconico, da farne risaltare l’assurdità e la tragicità, cerca di dare delle risposte la poetessa polacca Wislawa Szymborska[4]

 

4. Metamorfosi dall’umano al mondo astronomico

I Dioscuri Castore e Polluce sono fratelli gemelli di Elena e Clitemnestra; della loro sorte il mito racconta due versioni. Nati dall’unione della madre Alcmena con Zeus, sotto le spoglie del marito, e dall’unione nella stessa notte col marito: l’uno era immortale, l’altro mortale. Non potendo reggere alla divisione, provocata dalla morte, invocarono gli Dei, Zeus ebbe pietà di loro e fece sì che mentre un giorno moriva un gemello, il giorno dopo moriva l’altro, insomma morivano un giorno per uno. L’altra versione invece è quella della trasformazione, narrata tra gli altri anche da Euripide, raro caso di metamorfosi presente in una tragedia.
Dall’Elena di Euripide:

ELENA: E i Tindàridi, vivono o non vivono?
TEUCRO: Sono morti, e non son: la fama è duplice.
ELENA: O me tapina! E quale è la piú certa?
TEUCRO: Ch'astri sian divenuti, e Numi, dicono.
ELENA: É bello questo ch'or mi dici….[5]


La chiusa di Elena evidenzia che la metamorfosi in astri è sempre positiva, perché toglie al mortale il suo grande fardello, appunto la mortalità.

 

5. Metamorfosi dall’umano agli elementi naturali

La ninfa Aretusa viene trasformata in fonte. La metamorfosi in questo caso lascia spazio a più interpretazioni: Aretusa divenuta fonte si salva? In realtà no, giacché Alfeo, che la insegue per unirsi a lei, fuggiasca per preservare la propria verginità consacrata alla dea, ritorna fiume e si mescola a lei (come effettivamente avviene in terra di Sicilia a Siracusa, ove sgorga la fonte Aretusa, raggiunta dal fiume Alfeo: le metamorfosi spesso sono “spiegazioni” poetiche di fatti naturali). Però, chissà, forse Aretusa raggiunta dall’abbraccio di Alfeo avrà apprezzato, libera da giuramenti, il suo amore così forte da vincere una dea.

E viceversa ecco due casi emblematici:
Metamorfosi dal vegetale all'umano, il caso del Pinocchio di Collodi e dal minerale all'umano la statua di Pigmalione che prende vita, narrata da Ovidio (e ripresa sia pure sotto forma di mutamento del carattere e della personalità da Bernard Shaw in una commedia poi trasformata in musical di successo, My Fair Lady). In entrambi questi casi il passaggio dal vegetale e minerale all’umano implica una presa di coscienza di sé: Pinocchio da burattino manovrato da tutti può divenire persona e la statua diviene donna, si conosce grazie alla forza del sentimento d’amore. Collodi ci fa capire che è meglio essere persona; chissà invece per la statua di Pigmalione se conoscere l’amore, ma divenire mortale, sia proprio una ricompensa.

Se si osservano le metamorfosi dall'animale all'umano (e anche viceversa) si arriva a individuare un’altra distinzione tra metamorfosi, diciamo, semplici e doppie. Nel gruppo delle metamorfosi doppie in particolare risultano emblematiche:
1. quella asino – uomo – asino, asse portante della storia di Lucio nelle Metamorfosi di Apuleio, toccata anche da Shakespeare nella commedia Sogno di una notte di mezza estate, quando lo spirito Puck, trasforma un attore gradasso, Bottone, in un asino…

PUCK: e qui, io, profittando del momento,
gli calzo in testa una capoccia d'asino.
Subito dopo, il mio bel commediante
perché doveva rispondere a Tisbe,
esce fuori. I compagni, nel vederlo,
scappano come tante oche selvatiche
che scorgano il furtivo uccellatore,
o come se uno stormo di cornacchie
s'alzasse tutte insieme ad uno sparo,
starnazzando e gracchiando a perdifiato,
o svolazzando da spazzare il cielo
per ogni parte, folli di paura.[6]


2. quella cane - uomo – cane, concepita in modo del tutto originale dallo scrittore russo Bulgakov, che è in sé metafora d’un discorso politico, ma è anche un discorso sull’umano e l’animale e sui loro vicendevoli rapporti.

Il caso delle Metamorfosi di Apuleio è tra i più emblematici, fin dall’inizio, infatti il protagonista si ritrova in un mondo in cui tutto è soggetto a metamorfosi:

“E non c'era oggetto in quella città che a vederlo credessi che fosse proprio così come era, ma tutto mi sembrava mutato in un'altra forma per opera di funesti incantamenti: se inciampavo in un pietra, ecco un uomo pietrificato; gli uccelli che sentivo cantare, credevo che fossero anch'essi uomini a cui erano spuntate le penne; e gli alberi, che circondavano il pomerio, pensavo che avessero messo le foglie allo stesso modo; il getto delle fontane credevo che provenisse da corpi umani.”[7]

Una trasformazione inusuale è quella infine che tocca alla ninfa Eco: diviene pura voce, essenza e assenza (almeno quella fisica). Questo ho colto in un’altra mia poesia.

Ma perché avvengono queste trasformazioni?



    • per salvare e ricompensare (Filemone e Bauci)

 

    • per punire (Aracne)

 

    • per rendere onore e immortalità (Dioscuri, D’Annunzio)

 

    • per burla (Shakespeare)

 

    • per purificare (L'asino d'oro)

 

    • per diventare un essere umano (Pinocchio)

 

    • infine per svelare la realtà (Bulgakov, Kafka, Ionesco: nei due ultimi autori il procedimento seguito per disvelare i meccanismi della realtà politica e sociale sono simili e opposti: in un caso un solo individuo diviene animale, nell’altro un solo individuo resta persona)

 

Il pregio maggiore, forse addirittura l’unico, della metamorfosi da umano a inumano è la preservazione dalla morte, che può essere solo procrastinata come nel caso di Aracne o addirittura vinta come nel caso dei Dioscuri trasformati in astri.
Il passaggio contrario, cioè da inumano a umano, avviene più raramente da elementi eterni, o considerati tali, come gli astri, piuttosto:

 

    • da ciò che non ha vita: pietra

 

    • da ciò che non ha autonomia: un burattino

 

    • da ciò che ha una vita inferiore, cioè meno diritti e soprattutto un’intelligenza diversa: asino, cane.

 

Vi è un'altra trasformazione che però non rientra nell'indagine ma che deve essere citata e cioè da umano maschile a umano femminile e viceversa (l’indovino Tiresia, Orlando di Virginia Woolf).
Considerando le diverse trasformazioni, l’esito cui hanno portato e il motivo per cui sono avvenute, si può forse dare una risposta al quesito iniziale.
Risposta che poi dipende sempre da dove si nasce, da come ci si sente in una dato momento, dal fatto che a porsi questa domanda probabilmente sono solo gli esseri umani, gli altri accontentandosi saggiamente di essere quello che sono.

Cesare Pavese scrive, ne L’uomo-lupo (Licaone) dei Dialoghi con Leucò:

«SECONDO CACCIATORE: A sentirti parrebbe che quello del lupo sia un alto destino.
PRIMO CACCIATORE: Non so se alto o basso, ma hai mai sentito di una bestia o di una pianta che si facesse essere umano? Invece questi luoghi sono pieni di uomini e donne toccati dal dio – chi divenne cespuglio, chi uccello, chi lupo. E per empio che fosse, per delitti che avesse commesso, guadagnò che non ebbe più le mani rosse sfuggì al rimorso e alla speranza, si scordò d’esser uomo. Provan altro gli dei?»[8]


D’altra parte:

"Come dice il bottaio protagonista del dialogo del Gelli[9], a malgrado di tutti i mali degli uomini è meglio essere uomo che animale (o pezzo di legno). Lo proclama l’elefante, il più intelligente degli animali, nell’opera del letterato della prima metà del ‘500”.

Con queste sagge parole conclude il suo accompagnamento al mio percorso Giorgio Barberi Squarotti.
In sostanza conviene lasciarci con una risposta di buon senso, alla fine è meglio che ognuno resti ciò che è.

 

Note:


[1]Nella sterminata bibliografia dell’emerito professore, tra gli studi su Dante, sul barocco, su Pascoli, sulla poesia del Novecento, citiamo solo le sue opere più recenti: G. Barberi Squarotti, Le cortesie e le audaci imprese: moda, maghe e magie nei poemi cavallereschi, Manni, 2006, e Id. La letteratura instabile: il teatro e la novella fra Cinquecento ed età barocca, Santi Quaranta, 2006.

[2]Eugene Ionesco, Il Rinoceronte, Torino, Einaudi 1964. Il brano è riportato sul libretto di sala della messa in scena del Teatro Eliseo, accessibile anche al link: http://www.apriteilsipario.it/archivio/panoramica9900/schede/sch244.htm

[3]Gabriele D’Annunzio, La pioggia nel pineto, in Alcyone, Milano, Garzanti, 2006.

[4]Wislawa Szymborska, Grande numero, Milano, Scheiweiller, 2006 (trad. P. Marchesani).

[5]Tra le traduzioni si veda quella di Umberto Albini: Euripide, Elena -Ione, Milano, Garzanti, 2003. Il testo tradotto da Ettore Romagnoli, qui riportato, è accessibile al link: http://www.filosofico.net/euripidelena42.htm

[6]W. Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate, in Tutto il teatro, , Roma Newton Compton 2001, trad. P. Ojetti

[7]Apuleio, Metamorfosi, libro II, Milano, Mondadori, 1988 (trad. M. Cavalli).

[8]Cesare Pavese, Licaone, in Dialoghi con Leucò, Torino, Einaudi, 1999.

[9]Giovan Battista Gelli, Ragionamenti di Giusto bottaio da Firenze, Torino, UTET, 1968.