Einaudi, Torino 2015
Classi di riferimento: 2°-3° anno di scuola secondaria superiore
Sinossi: In una Sicilia imbarbarita e isolata dal resto del mondo, la dodicenne Anna sopravvive e si prende cura del fratellino Astor dopo che un’epidemia micidiale, detta La Rossa, ha sterminato tutti gli adulti e continua a uccidere anche i ragazzi appena giungono alla pubertà. La lotta per la sopravvivenza è feroce e costituisce per la protagonista un terribile percorso di formazione, in cui però diventare adulti pare molto più una minaccia e un capolinea che un obiettivo.
Premessa: affinare competenze, conoscenze e soft skills con la lettura
La Raccomandazione del Consiglio EU del 22 maggio 2018 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente distingue, com’è noto, otto competenze-chiave (alfabetica funzionale, multilinguistica, matematico-tecnico-scientifica, digitale, personale e sociale con capacità di imparare a imparare, di cittadinanza, imprenditoriale e infine di consapevolezza ed espressione culturale), tra cui è abbastanza scontato che la lettura promuova le conoscenze «verticali» relative all’area umanistica e alla multidisciplinarità e le competenze «trasversali» di cittadinanza, che includono l’interesse e la formazione nell’ambito dell’arte, della cultura e della società.
È a queste che, fuor di didattichese (ah, le antilingue di Calvino!), è rivolta la prima parte di questa proposta di lettura di Anna di Niccolò Ammaniti: un romanzo che da un canto consente una riflessione multidisciplinare e multimediale; dall’altro, si attanaglia in una nobile e antica tradizione letteraria, cioè il tema della «peste» e delle sue conseguenze sociali, da Tucidide a Lucrezio a Boccaccio a Manzoni a Poe a Camus, rinviando nel contempo alla riflessione di dolorosa immediatezza sull’attuale pandemia.
L’attenzione del Consiglio e del Parlamento dell’Unione Europea, e di conseguenza dell’intero sistema di istruzione nazionale e internazionale, tuttavia, in questi anni si è focalizzato anche sul valore dei soft skills, ovvero quelle capacità personali non necessariamente cognitive, «necessarie per la realizzazione personale, la salute, l’occupabilità e l’inclusione sociale», nonché per realizzare uno «sviluppo sostenibile», attento ai diritti umani e alla promozione di una cultura pacifica, non violenta e rispettosa delle diversità culturali. Perciò, conclude il documento citato, «l’apprendimento non formale e informale svolge un ruolo importante per lo sviluppo delle capacità interpersonali, comunicative e cognitive essenziali, quali il pensiero critico, le abilità analitiche, la creatività, la capacità di risolvere problemi e la resilienza[1], che facilitano la transizione dei giovani all’età adulta, alla cittadinanza attiva e alla vita lavorativa». Sono anche queste capacità trasversali, che possono essere affinate – come mostriamo nel terzo paragrafo – con una lettura meno istituzionalizzata sul piano del metodo e dei contenuti, ma più libera e soggettiva, che faccia appello all’empatia e all’emozionalità degli studenti, i quali, ragionando sul testo, potranno trovare qualche chiave di interpretazione e di espressione delle inquietudini e degli interrogativi di questo tormentato presente, in cui gli adulti, spesso non meno spaventati e insicuri di loro, stentano a offrire solidi punti di riferimento.
Multimedialità e confronti pop
Devo ammettere che sono stata indotta a leggere Anna dalla visione dell’omonima serie televisiva (2021: disponibile su Sky e Now TV), che lo stesso Ammaniti ha tratto dal proprio romanzo, la cui ambientazione distopica aveva e ha inquietanti consonanze con la successiva pandemia da Covid.
Il soggetto si presta dunque ottimamente a più ordini di riflessione, in particolare in una classe terza: da quello sociologico e personale sugli effetti della pandemia, al parallelo con il Decameron, al confronto tra le modalità comunicative di media diversi.
In effetti, il romanzo è, come prevedibile, meno icastico e visionario dello sceneggiato, in cui sono tra l’altro più evidenti gli aspetti da «favola nera» che caratterizzavano soprattutto il «primo» Ammaniti, quello «cannibale» per intenderci di Branchie (1994) o Fango (1996), con propaggini fino a Che la festa cominci (2009): ad esempio, nella serie assume maggior rilievo la figura della «principessa malvagia», dall’antifrastico nome di Angelica, la quale celebra una sorta di culto dell’alta moda e di X Factor, suoi punti di riferimento culturale prima della catastrofica epidemia; la crudeltà barbarica dei riti da lei imposti si materializza in immagini di indubbio vigore, mentre la «principessa buona» Anna subisce – a differenza che nel romanzo – addirittura una mutilazione, molto simile peraltro a quella del protagonista del fumetto Daybreak, ideato nel 2006-2008 da Brian Ralph[2] e ripreso nell’omonima serie Netflix del 2019[3], opere che condividono con la storia di Ammaniti l’ambientazione (un mondo apocalittico in cui sono morti tutti gli adulti) e l’umorismo macabro.
Come si vede, c’è materiale in abbondanza per proporre in classe (anche in una seconda liceo) un lavoro preliminare alla lettura del romanzo, volto a promuovere sia capacità critiche sia l’interesse degli studenti: si può ad esempio far compiere una ricerca sull’ipotetico ipotesto (il fumetto Daybreak, per ora pubblicato solo in inglese) e analizzarne forme espressive e messaggio, per poi confrontarlo con la rappresentazione di una società costituita solo da ragazzini nelle convenzioni di genere piuttosto banali della serie americana (fantascienza post-apocalittica, commedia sentimentale adolescenziale, sitcom comica e citazionista), e infine nella formulazione più ricca e articolata del prodotto televisivo italiano.
L’aspetto che emerge maggiormente dal confronto è la «serietà» di Ammaniti, i cui rimandi alla cultura pop non hanno certo intento ludico, ma di polemica e critica della società contemporanea: ad esempio, ai programmi della televisione-spazzatura, punti di riferimento vacui e ormai del tutto assurdi di Angelica, una ragazzina ricca e viziata, cresciuta senza vera attenzione dei genitori, si contrappone il «quaderno delle cose importanti» che Anna ha ricevuto dalla sua mamma, attestazione tangibile di una volontà di continuare ad educare i figli e a guidarli anche oltre la morte. Inoltre, se anche in Anna – sia romanzo che serie – è abbozzato un amore adolescenziale (tra Anna e Pietro), questo diventa simbolo di un’humanitas che resiste come affetto e generosa dedizione all’altro anche quando l’umanità va verso l’estinzione. Ciò consente un’apertura ottimistica di Ammaniti sul futuro di Anna e Astor (e con loro dell’umanità intera), a cui il miracolo di una possibile salvezza (l’amuleto trovato, il cielo rosato, il volo di farfalle) si può dischiudere solo nell’amore e nella solidarietà, nel continuare il cammino tenendosi per mano:
Uscirono da sotto la saracinesca con ai piedi un’Adidas e una scarpa vecchia e si avviarono ciabattando […]. Il sole era scomparso dietro i palazzoni grigi, ma il cielo, in basso, ne tratteneva il rossore. Una farfalla si levò da un carrubo galleggiando in aria controvento […]. Poi ne arrivò un’altra e un’altra ancora, fino a che furono avvolti da centinaia di ali che riempirono la via come una nevicata gialla e nera […]. Davanti al casello Astor si fermò, tese la gamba e si guardò la scarpa. - E se una sola non funziona? Anna gli diede la mano e disse: - Non importa (pp. 303s.).
Assume così valore ambivalente l’incipit, ambientato quattro anni prima della narrazione principale e apparentemente slegato da essa: vi vediamo un bambino piccolissimo uscire da un ospedale in cui non è sopravvissuto nessuno, per essere «afferrato e portato via» in un sole abbagliante da un uomo «insaccato dentro una spessa tuta di plastica». A prima impressione, si tratta solo di un’anticipazione della morte e della devastazione che seguiranno nel libro, e che potrebbero non aver risparmiato neanche l’operatore sanitario, ma non si può escludere un’allusione a una possibilità di salvezza in quei laboratori scientifici di cui Anna e Astor sono alla ricerca e che forse, nel «continente», hanno trovato la cura alla Rossa.
Il modello boccacciano
All’inizio della storia, Anna ed Astor vivono isolati, fuori città, in uno spazio campestre che è un po’ rifugio e un po’ prigione, tanto che Astor alla prima occasione ne evade. Al di fuori, preme un mondo pericoloso e ostile:
Dopo un centinaio di metri la ragazzina s’immerse nell’ombra fresca di un bosco di querce. Secondo Anna quel bosco era magico, l’incendio non era riuscito a bruciarlo, era arrivato al limitare, lo aveva assaggiato e aveva lasciato perdere. Tra i tronchi fitti il sole chiazzava di macchie dorate il mando d’edera e le rose canine che avviluppavano una recinzione fatiscente. Dietro il cancello il sentiero affogava tra cespugli di bosso che nessuno aveva più potato. Su un pilastro di cemento si riconosceva appena una scritta: «Podere del gelso» (p. 34).
Rispetto al modello del Decameron, però, i due bambini non escono da questo riparo idilliaco preparati ad affrontare l’esterno da narrazioni che abbiano offerto loro punti di riferimento etici e sociali: anzi, Astor accetta di seguire i Blu proprio perché si è accorto che i racconti con cui Anna cercava di proteggerlo, distogliendolo da uscire, erano falsi. Come dire che la realtà – anche la più atroce – non si può affrontare da un hortus conclusus, ma andandole incontro e contro, anche se solo un’educazione attenta ai valori della persona (e non alle cose, come nel caso di Angelica o dei gemelli Michelini) può far fiorire il senso di umanità di cui però, a quanto pare, la natura non è altrettanto generosa con tutti.
In ogni caso, è pur sempre un libro che salva in più occasioni i due fratellini: il quaderno lasciato loro dalla madre che, non a caso, include un preciso testamento per la figlia maggiore: «Anna, tu devi insegnare a leggere anche ad Astor, così potrà consultarlo da solo» (p. 44). Però il sapere del libro non è definitivo ma provvisorio, e dovrà perciò essere continuamente aggiornato con l’esperienza ed il buonsenso: «Le regole cambieranno e io posso solo immaginarle. Sarete voi a correggerle e a imparare dagli errori. L’importante è che usiate sempre la testa» (ivi). Infatti Anna, verso la fine del romanzo, decide di cominciare a riempire le 32 pagine lasciate in bianco dalla madre con le proprie osservazioni, anche se c’è da chiedersi se ci saranno ancora lettori, visto che i bambini più piccoli, abbandonati da anni, ormai non sanno più neanche parlare e lo stesso Astor rifiuta perfino di leggere i cartelli stradali.
In effetti, a differenza di Boccaccio, in Ammaniti la salvezza non sta nel ritorno alla civiltà o nella sua rifondazione, ma nella conservazione dell’umanità FUORI della civiltà e nell’ostinata affermazione del valore della vita, poco importa quanto a lungo essa venga concessa e a quali condizioni:
… avvertiva che la vita è più forte di tutto. La vita non ci appartiene, ci attraversa. La sua vita era la medesima che spinge uno scarafaggio a zoppicare su due zampe quando è stato calpestato, la stessa che fa fuggire una serpe cotto i colpi della zappa tirandosi le budella. Anna, nella sua inconsapevolezza, intuiva che tutti gli esseri di questo pianeta, dalle lumache alle rondini, uomini compresi, devono vivere. Questo è il nostro compito, questo è stato scritto nella nostra carne. Bisogna andare avanti, senza guardarsi indietro, perché l’energia che ci pervade non possiamo controllarla, e anche disperati, menomati, ciechi continuiamo a nutrirci, a dormire, a nuotare contrastando il gorgo che ci tira giù (p. 156).
Ed è stata in fin dei conti la forza di questo messaggio a indurmi a proporre agli studenti una lettura del romanzo che non fosse solo «letteraria», cioè di attraversamento di modelli e strutture, ma anche fortemente «empatica», ovvero mezzo per far emergere ed affrontare emozioni e paure relative non solo all’adolescenza, ma anche alla peculiare contingenza storica della pandemia.
Pensiero critico, intelligenza emotiva e mente creativa: gli esiti della lettura
Per questo, al posto della tradizionale recensione – che tra l’altro si presta a redazione spesso poco personale, se non direttamente al plagio – ho proposto, a partire dalla lettura del romanzo, di svolgere una riflessione soggettiva sul tema della paura e del coraggio nell’adolescenza. Ne riporto alcuni esiti, a mio parere interessanti per le conclusione cui le studentesse sono autonomamente giunte sui temi della paura e del coraggio, della maturazione e della responsabilità, della necessità di guida e della fiducia nell’esperienza degli adulti, della solitudine, del senso di inadeguatezza, della resilienza e del valore della vita.
La paura è quell’emozione che fa parte di tutti noi, ed è una sensazione di disagio che molte persone non accettano, mentre molte altre ne vengono sovrastate. Per me la paura ti fortifica, avere paura di qualcosa ti aiuta a vedere le cose come sono nella realtà e non come nell’immaginazione [...]. Io ho una paura che mi tormenta, ovvero quella di rimanere da sola e di perdere tutte le persone che amo. […] La famiglia è la cosa più importante per molte persone: è come una rete di salvataggio se stai per precipitare, è un porto sicuro dove non aver paura, ma allo stesso tempo può essere la cosa peggiore che possa capitare avere una famiglia amorevole e affettuosa, perché quando i tuoi cari moriranno, lasceranno un enorme buco nero nel cuore delle persone ancora in vita [...]. (G. Barboni)
Secondo me la paura è uno di quei sentimenti che sono inevitabili per la sopravvivenza, perché senza paura saremmo soggetti a scelte sbagliate [...]. Soprattutto nell’ultimo anno ognuno di noi ha avuto molta paura di quello che sarebbe potuto succedere nelle nostre vite, e quindi il romanzo Anna ci rispecchia molto [...]. La paura di crescere, anche se in forme diverse, è presente anche nelle nostre vite, soprattutto quando hai diciassette anni e sei molto vicina alla tua vita adulta e devi compiere delle scelte che ti porteranno a delle responsabilità […]; crescendo dobbiamo capire che può essere controllata e cercare di non permetterle di comandare la nostra vita: anzi, è nostro compito domarla e saperla dosare. (G. Gamberini)
L’adolescenza è notoriamente un periodo di grandi cambiamenti e di trasformazioni, che portano con sé grandi paure e grandi entusiasmi e manifestazioni di coraggio e forza. Questo periodo coincide con le prime volte. Si provano infatti i primi amori, avvengono le prime mestruazioni, le prime insicurezze in se stessi, si inizia a stare bene anche da soli, ci si scontra spesso con i genitori, si incomincia a portare l’occhio sulle conseguenze delle azioni, si imita la moda che la società impone, si ascoltano le canzoni del momento, si affrontano abbandoni di amici e fidanzati. L’adolescenza è un viaggio che inizia con tanti pianti, incomprensioni, insicurezze, stati di solitudine e altri di ribellione; ma al termine di esso, ci rendiamo conto della sua fondamentale importanza per la nostra formazione e maturazione. Alla fine di questa fase sappiamo chi siamo [...]. Anche nel romanzo di Ammaniti “Anna”, questi temi traspaiono in maniera chiara. Si tratta, infatti, di un vero romanzo di formazione, nel corso del quale la ragazza comprende chi è, e giunge ad una piena maturazione. […]. Anna è riuscita a mettere da parte la sua paura per mostrare coraggio, soprattutto nei confronti di suo fratello. Appare forse eccessivamente severa imponendogli regole che gli impediscono di vivere il vero mondo che li circonda, ma [...] riesce così a salvare Astor. Si rende però conto che le regole della madre non le servono più, perché è ormai arrivata ad un'età in cui può aggiungerne di nuove, crearsi le proprie per sé, ed è proprio in quella fase che si diventa adulti. Diventare grandi significa infatti riconoscersi delle responsabilità ed assumersele; e anche afferrare la consapevolezza della propria fragilità, della sofferenza che inevitabilmente si incontra nel vivere, della solitudine che fa parte della vita, e anche affrontare il pensiero della morte. (F. Mazzone)
[…] L’amore per il fratello è sicuramente una qualità di Anna, ma questo la spinge anche a mentirgli per proteggerlo dai pericoli. Quando si ama molto qualcuno si fa l’errore di dirgli bugie per il suo bene, ma parte del crescere è capire che non è necessario mentire per mantenere al sicuro qualcuno, anzi, le bugie hanno l’effetto opposto: allontanano le persone che amiamo.
Infine una lezione importante che ho imparato dal libro è quella di seguire i consigli degli adulti, perché essi ci guidano nella crescita, esperienza che loro hanno già vissuto. Così Anna si affida, dopo la morte della madre, ad un quaderno che quest’ultima le ha lasciato e che contiene le istruzioni per sopravvivere alla pandemia. (V. Corciulo)
[…] Leggendo questo romanzo, è impossibile non rimanere affascinati e stupiti dalla personalità di Anna. Gli aspetti che più la caratterizzano sono proprio il coraggio e la tenacia: pur essendo molto giovane e sicuramente addolorata dalla terribile tragedia che lei e il piccolo Astor stanno vivendo, appare estremamente forte e non si arrende di fronte alle difficoltà. «Negli ultimi quattro anni di vita Anna aveva sofferto e superato dolori immensi, folgoranti come l’esplosione di un deposito di metano e le stagnavano ancora nel cuore». È solo una bambina, eppure ha dovuto superare la morte dei suoi genitori, le persone più care al mondo, precipitando in «una solitudine così sconfinata e ottusa da lasciarla idiota per mesi». Ma nonostante tutto, non la sfiora mai l’idea di farla finita, di suicidarsi, perché «avvertiva che la vita è più forte di tutto» [...]. Sembra quasi assurdo che una bambina di circa tredici anni possa affermare ciò dopo tutto quello che ha dovuto affrontare da sola. Quante volte le persone pensano di soffrire, di essere giunti al limite anche per cose estremamente banali e futili, mentre altri, come Anna, pur avendo vere motivazioni per cui essere afflitti, trovano sempre la forza di rialzarsi, di non mollare e reagire! Per questo infatti chiunque dovrebbe prenderla come esempio e ispirarsi a lei. (G. Massari)
Durante il periodo pandemico il silenzio ha assordato le nostre piccole camere, illuminate dalle fioche luci di lampada o dal tenue chiarore mattutino.
Noi siamo rimasti lì, fermi, immobili, ad ascoltare interminabili lezioni che, seppur interessanti, perdevano ogni vigore. Schermi, microfoni e pixel in movimento hanno scandito le nostre giornate, sempre più vuote e sempre più uguali, quasi come se qualcuno si fosse divertito a fotocopiare giorni tutti identici.
Ci siamo, quindi, sentiti un po’ tutti come Anna in questo periodo, protagonista del recente romanzo di Niccolò Ammaniti: disperati e soli. Poi, come ben ci insegna Anna, l’istinto di sopravvivenza prevale e lo sconcerto lascia il posto alla consapevolezza di doversi adeguare alle sfide che la vita ci propina ogni giorno. In fin dei conti siamo tutti entità dinamiche in continua evoluzione.
Chi più degli adolescenti rispecchia tale concetto? Il loro corpo subisce numerose trasformazioni, mutamenti che, spesso, lasciano un senso di inadeguatezza e di malessere.
Specialmente le ragazze sperimentano quello stesso terrore e imbarazzo che prova la protagonista del romanzo quando giungono le prime mestruazioni: in un mondo avverso dove la morte colpisce chi entra nell’età adulta, questo segno di fertilità è visto come presagio funesto.
Se volessimo tuttavia analizzare più nel profondo la vicenda, potremmo presumere che l’angoscia della “Rossa” non sia altro che la proiezione di quell’innata paura di diventar grandi, di dover affrontare tutti i guai e le responsabilità che ne conseguono.
La cura, infatti, per questa strana malattia sembrerebbero essere un paio di Adidas, quasi come se per sopravvivere all’età adulta fosse necessario rimanere aggrappati a certe speranze, convinzioni, ossessioni e fantasie giovanili, in modo da lasciare intatto in ognuno di noi quel fanciullo che ci sprona ad andare avanti nonostante le innumerevoli avversità e gli ostacoli che la vita stessa ci pone davanti.
Fulcro del romanzo, quindi, è il viaggio che la protagonista intraprende alla ricerca di una soluzione che possa porre fine all’epidemia, che si diffonde senza lasciar scampo a chi cresce. Possiamo dunque considerare tale viaggio come la scoperta tipicamente adolescenziale di sé, ma anche del mondo e della realtà circostante.
Inoltre, specialmente all’inizio del libro, ciò che colpisce l’attenzione del lettore è il senso lampante di solitudine, raffigurata nitidamente dall’autore: questo vissuto emotivo è molto comune tra i più giovani, ma deve essere uno stimolo e un punto di partenza per conoscere meglio noi stessi, per apprezzare quella forza che appartiene a ciascuno e che, come Anna, dobbiamo essere in grado di tirar fuori per non arrenderci mai di fronte alle avversità della vita.
Altra emozione tipicamente adolescenziale è l'inquietudine, quel senso di incertezza che avvolge tutto: sarà giusto quello che sto compiendo? Sarà la scelta più adeguata quella che sto percorrendo o me ne pentirò amaramente? Cosa c’è che non va in me?
Il sentirsi fuori luogo o fuori posto, il senso di inadeguatezza accomuna in modo universale noi giovani: ciò non fa che amplificare la solitudine esistenziale di ogni uomo. In fin dei conti, come ben comprende Anna, prima o poi rimaniamo tutti soli, ma non bisogna abbattersi, perché la vita rimarrà sempre più forte dei tormenti e delle emozioni negative: dobbiamo dunque lasciarci trasportare dalla sua irruenza e, senza esitazione, continuare il nostro percorso di crescita che, per quanto simile a quello altrui, resterà sempre personale e tipico del vissuto di ciascuno. (S. Pagnozzi).
15 febbraio 2022
[1] In questo paragrafo la Raccomandazione dimentica la capacità di cooperare e l’autoregolamentazione, certo non meno importanti, ma comunque elencate precedentemente.
[2] Cf. https://www.fumettologica.it/2018/08/daybreak-fumetto-netflix-ralph/
[3] Cf. https://ilibrideglialtri.com/2019/11/19/daybreak-la-fine-del-mondo-non-e-poi-la-fine-del-mondo/