[…] tu che ti leghi per la vita e per la morte, quasi t’identifichi con le cose che fai. Ma vedi, tu appunto hai questo dono di ricondurre ad unità gli elementi più disparati […]. Tu senti che il mondo è fatto a pezzi, che le cose da tener presente sono moltissime e incommensurabili tra loro, però con la tua lucida e affezionata ostinazione riesci a far tornare sempre i conti.[1]
Queste parole di Italo Calvino a Elsa Morante, in una lettera datata 2 marzo 1950, definiscono una prospettiva interessante dalla quale guardare all’opera di Morante, perché esprimono già, più di trent'anni prima della pubblicazione di Palomar, il disperato e fallimentare tentativo di ricondurre a ordine il disordine, che animerà il personaggio eponimo del libro e Calvino stesso.
Con la medesima stupefatta ammirazione con cui Calvino guarda all’opera di Morante, il presente lavoro di ricerca, incentrato in modo particolare sul libro di poesia Il mondo salvato dai ragazzini, nasce da un’esigenza, legata all’insegnamento della letteratura italiana nella scuola secondaria di secondo grado, e da un’occasione, fornita da un invito, quello dell’ADI-SD MARCHE, a condurre un laboratorio sull’opera di Morante, dal titolo Il “mondo salvato dai ragazzini”: Elsa Morante contro la Storia, all’interno del Convegno “La guerra non ha volto di donna”, che si è svolto a Senigallia il 3 Settembre 2024.
L’esigenza che accomuna entrambe le esperienze è la risposta alla domanda: perché trattare l'opera di Elsa Morante a scuola? Una scrittrice, va subito detto, che è ben presente nei manuali scolastici (del resto unanimemente acclamata come un caposaldo della letteratura del Novecento), ma che appare essere spesso interpretata in modo riduttivo.
Riteniamo pertanto che la proposta potrà essere utile, da un punto di vista critico più generale, a mettere in discussione il “canone” come criterio di ammissibilità di un autore all’interno di percorsi didattici improntati su un impianto principalmente storico. In effetti le uscite editoriali di Morante sono sistematicamente in controtendenza rispetto al contesto letterario di riferimento e, quindi, difficilmente ascrivibili ad un canone: Menzogna e sortilegio, pubblicato nel 1948, si presenta, nell’immediato dopoguerra caratterizzato da un forte impegno politico-ideologico, come un romanzo di stampo ottocentesco. La storia, pubblicato nel 1974, ricostruisce il romanzo dell’impegno alle soglie del postmoderno.
Nel quadro di una produzione letteraria così configurata, dunque, perché parlare del mondo salvato dai ragazzini?
Innanzitutto, perché esce, presso l’editore Einaudi, il 4 maggio del 1968, in concomitanza con i fatti parigini e, secondo il parere di Goffredo Fofi, è uno dei tre libri attraverso cui è ancora possibile capire il ‘68, insieme a Lettera a una professoressa dei ragazzi di Barbiana e a Contro l’università di Guido Viale.[2]
Inoltre, è importante fare conoscere questo testo agli studenti perché è un libro di pace, un inno alla felicità contro la morte, una denuncia della disintegrazione nell’era atomica, che Morante chiama «irrealtà».
Nel percorso didattico su Elsa Morante, proprio perché lei non amava affatto parlare della propria vita e tacciava di pettegolezzo qualsiasi tentativo di cercare tracce di biografismo nella sua opera, rispettando questo suo atteggiamento, si offriranno solo le coordinate biografiche necessarie a collocare storicamente la sua figura di scrittrice.
Elsa Morante nasce a Roma il 18 agosto 1912. Giovanissima scrive poesie, fiabe e racconti, molti fra i quali pubblicati nel «Corriere dei piccoli», e «I diritti della scuola».
Nel 1936 incontra Alberto Moravia, già famoso col romanzo d’esordio, Gli indifferenti (1929): si sposeranno nel 1941, per poi separarsi dopo 26 anni, senza mai divorziare. Dopo l’8 settembre 1943, con l’intensificarsi della persecuzione antisemita e della repressione tedesca, Moravia e Morante decidono di lasciare Roma per Napoli. Si fermano nel paesino di Sant’Agata, presso Fondi, dove si rifugiano fino alla fine della guerra.
Nel dopoguerra, a Roma, attorno alla rivista «Nuovi Argomenti», fondata da Moravia, tra gli amici della coppia figurano alcuni tra i principali autori del Novecento: Attilio Bertolucci, Giorgio Bassani, Sandro Penna, Giorgio Caproni, Giacomo Debenedetti, Pier Paolo Pasolini, poi Emilio Cecchi, Goffredo Fofi, Cesare Garboli.
Nel 1959 Morante incontra a New York Bill Morrow, un giovane artista con cui stringe un’intensa relazione e che aiuta, insieme a Moravia, nell’organizzazione di diverse mostre in Italia, in Francia e negli Stati Uniti. Nel 1962 Morrow muore cadendo dalla finestra di un grattacielo. Questo tragico evento segnerà profondamente non solo la vita, ma anche l’opera di Morante.
L’autrice muore d’infarto a Roma, il 25 novembre del 1985. Le sue ceneri verranno sparse nel mare di Procida.
L’opera pubblicata da Elsa Morante è prevalentemente narrativa, ma puntellata da due libri di poesia, che ne scandiscono tre importanti, e diverse tra loro, stagioni letterarie:[3]
1948, Menzogna e sortilegio (romanzo) - premio Viareggio.
1957, L’isola di Arturo (romanzo)- premio Strega.
1958, Alibi (poesia).
1959-1962, lavora a Senza i conforti della religione, ma lo lascia interrotto.
1963, Lo scialle andaluso (racconti) - ripresa e selezione del precedente Il gioco segreto (edito da Garzanti nel 1941).
1968, Il mondo salvato dai ragazzini (poesia) - apertura sulla nuova stagione narrativa.
1974, La storia (romanzo).
1982, Aracoeli (romanzo).
1987, Pro e contro la bomba atomica (saggi, scritti di poetica).
Ci serviremo della pubblicazione di Alibi per un primo orientamento sul ruolo della poesia nell’opera di Morante rispetto alla totalità della sua produzione: è un testo, Alibi, che rivela una consonanza importante con la “poesia onesta” di Saba. Per cogliere per la postura che Morante si impone di avere nei confronti della poesia può essere utile fare riferimento possiamo alla presentazione della scrittrice premessa alla raccolta:
L’Autrice prega i lettori di perdonarle l’esiguo valore e peso di queste pagine. Essendo infatti, lei, per sua consuetudine (oltre che per sua natura e per suo destino) scrittrice di storie in prosa, i suoi radi versi sono, in parte, nient’altro che un’eco, o, se si voglia, un coro, dei suoi romanzi; e, in parte, nient’altro che un divertimento, o gioco, al quale essa ama talvolta abbandonarsi senza troppo impegno, per semplice piacere della musica.[4]
In questa prefazione Morante presenta, quindi, la sua poesia come genere minore, come gioco, come ristoro dalla vita: la minimizza, quasi ne fa una parodia, ma al tempo stesso se ne serve come chiave interpretativa, metanarrativa, dei suoi romanzi.
Ne deduciamo, dunque, che la poesia, nell’opera morantiana, mantiene una sua autonomia rispetto alla produzione narrativa: mentre Alibi chiude la stagione dei primi romanzi, Il mondo salvato dai ragazzini apre all’ultima fase della produzione morantiana e, infine, possiamo rilevare che nella poesia si ritrovano i grandi temi-chiave presenti anche nelle opere più conosciute: il rapporto tra realtà/irrealtà, il binomio oppositivo di derivazione weiliana di grace/pesanteur, la funzione e la definizione del “gioco” e della “parodia”, il tema dell’infanzia, interpretata come antidoto all’irrealtà e alla falsità della vita. A quesi possiamo aggiungere il tema del mito, adottato come luogo di piena realizzazione, e dell’amore, vissuto come passione totalizzante e come espressione di libertà, del ricordo e dell’altrove, cioè un tempo ed un luogo di fuga da una dimensione di vita deludente perché dominata dal conformismo; e infine il tema della storia, proposta come reiterata sopraffazione dei potenti sugli umili e sugli indifesi.
Nello stesso anno di pubblicazione di Alibi, il 1958, Nico Naldini cura la collana “Collezione di poesia” della casa editrice Longanesi, e pubblica, insieme a Morante, Pasolini con L’usignolo della Chiesa Cattolica e Penna con Croce e delizia.
Questa coincidenza, che suscita una certa attenzione nel mondo della critica e della poesia, è utile per far luce sul legame personale tra Pasolini e Morante, che saranno intimi amici fino alla rottura, che avverrà nel 1974, ma anche sulla consonanza poetica che li unisce: con Pasolini Morante condivide l’impegno, mentre Penna è il modello di leggerezza che Morante cerca e che lo colloca, come lei, lungo la linea sabiana. In effetti, mentre gli autori di «Officina» (Pasolini, Roversi, Leonetti) sono tra i primi a teorizzare una poesia caratterizzata da impegno civile e neosperimentalismo, la linea antinovecentista accomuna Sandro Penna e Elsa Morante: entrambi si riconoscono nell’esperienza poetica di Umberto Saba, si oppongono all’idea di poesia pura praticata dall’Ermetismo (per cui Pasolini aveva coniato la definizione di “novecentismo”) tramite una poesia caratterizzata da nitore, realismo, chiarezza, comunicatività; le tematiche affrontate sono principalmente autobiografiche, di analisi e riflessione sui propri sentimenti e sulla propria esperienza.
Nello specifico, in Alibi, Morante fa uso di una lingua lirica, chiara, apparentemente facile, opposta alla formula ermetica e realizza, anche, un bilancio della stagione narrativa precedente, di cui riprende i temi principali, come l’amore, l’infanzia, il ricordo e sviluppa il tema dell’altrove, come elemento necessario per definire se stessi: l’io lirico si definisce attraverso l’altro (ad esempio l’uomo si definisce attraverso l’animale, la presenza attraverso l’assenza, il qui attraverso l’altrove).
Rispetto ad Alibi, che chiude una stagione narrativa importante e apprezzata da pubblico e critica, Il mondo salvato dai ragazzini si colloca ad apertura di una nuova, matura produzione narrativa, sulla direttrice tematica e concettuale che lega il mai concluso Senza i conforti della religione e La storia.
Il motivo per cui il libro viene associato ai movimenti studenteschi del 1968 – cui si faceva riferimento in apertura - è soprattutto legato alla terza parte della raccolta: La canzone degli FP e degli IM, e, in particolare, ad una parte di Agli IM, dedicata allo studente universitario Paolo Rossi, diciannovenne, morto il 27 aprile 1966 all'interno dell'Università La Sapienza di Roma in conseguenza di un pestaggio ad opera di studenti di estrema destra.
Il libro prevede una struttura tripartita che segue una linea evolutiva anti-tragica, quindi comica, in senso dantesco, iniziando dall’inferno della mancanza per concludersi nel tentativo di affermazione di una presenza. Le tre parti sono le seguenti:
1- Addio. Rappresenta l’esperienza individuale e iniziale e «può essere considerato la cantica infernale»:[5] il lungo addio all’amato le fa sentire il vuoto e anche la colpa di essere sopravvissuta; questa sezione rappresenta il superamento della posizione assunta dall’autrice nella raccolta di poesie precedente: infatti se Alibi era stato il tentativo di definire se stessi attraverso l’altro, l’altrove, Addio afferma che solo la mancanza e l’assenza sono possibili.
2- La commedia chimica. Rappresenta l’esperienza intermedia, «assume le sembianze di una fase purgatoriale»:[6] dimostra che per salvarsi non serve evadere nei “paradisi artificiali”, nell’alterazione della coscienza data dalle droghe, ma che la poesia, come via di salvezza, è nel mondo ed opera nel mondo, non fuori da esso.
3- Canzoni popolari. Rappresenta l’esperienza conclusiva, «l’approdo paradisiaco»:[7] si tratta di un progetto aperto, tenta di fare una proposta di realtà.
Per introdurre agli studenti la lettura del libro potrebbero essere utili alcune considerazioni su di esso fatte da Morante stessa e da due importanti critici, suoi cari amici.
Cesare Garboli sostiene che «Il mondo salvato dai ragazzini è un libro leopardiano: una storia privata, un romanzo autobiografico vissuto in termini universali»[8] ed anche un «libro delfiniano. Insieme a Delfini, la Morante è l’unico scrittore italiano che possieda il misterioso talento di armonizzare il massimo della grazia col massimo della disperazione».[9]
Morante, stessa, poi, chiama questo libro «un romanzo. Un memoriale»:[10] ma se il Mondo salvato dai ragazzini è un grande romanzo in versi, allora perché Morante non sceglie la forma romanzo? Forse per una questione linguistica: vuole trovare una lingua capace di portare alla massima tensione quella pesanteur di cui la forma poetica si fa carico.
Infine, Pasolini afferma che il Mondo è un «manifesto politico scritto con la grazia della favola, con umorismo, con gioia».[11]
Della raccolta, soprattutto da un punto di vista didattico, possiamo concentrarci sulla lettura di Addio e sulla parte terza, La canzone degli FP e degli IM. Di entrambe le sezioni si forniranno i testi in forma integrale o selezionata e li si analizzeranno da un punto di vista linguistico e stilistico, prima ancora che tematico.
Nella Canzone degli FP e degli IM il binomio-tema realtà/irrealtà si configura come un doppio campo semantico a cui assegnare una serie di significati correlati: agli FP pertiene il campo semantico della realtà, a cui vanno associate la vera felicità, la grace, la fiducia nella vita, l’inermità, la libertà, l’autenticità, la giovinezza (dei ragazzini, appunto). Agli IM, al contrario, pertiene il campo semantico dell’irrealtà, a cui vanno associati la vera infelicità, una sorta di felicità malriuscita di cui si dice:
l’infelicità dei Felici Pochi è
più felice assai che non la felicità
degli Infelici Molti!
La felicità degli Infelici Molti
non è allegra! Non è mai allegra![12]
poi anche la pesanteur, il sistema di morte contro la pienezza della vita, il dominio del forte sul debole, l’omologazione, il conformismo, la rinuncia ad esprimere se stessi, la vecchiaia.
Da questo sistema binario possiamo ricavare, lungo il tracciato interpretativo di Graziella Bernabò,[13] alcune riflessioni sul ruolo del poeta:
Tali considerazioni sono state condivise da Morante in alcuni scritti di poetica (qui, Il poeta di tutta una vita), pubblicati nel 1987 insieme al discorso, scritto nel 1965 e poi letto al teatro Carignano di Torino (in seguito al Manzoni di Milano e all’Eliseo di Roma) Pro o contro la bomba atomica, incentrato sul ruolo del poeta nell’era atomica. In esso Morante dirà che
lo scrittore (che vuol dire prima di tutto, fra l’altro, poeta) è il contrario del letterato. Anzi una delle possibili definizioni giuste di scrittore per me sarebbe addirittura la seguente: un uomo a cui sta a cuore tutto quanto accade, fuorché la letteratura.
Allora non c’è dubbio che il fatto più importante che oggi accade, e che nessuno può ignorare, è questo: noi abitanti delle nazioni civili del Secolo Ventesimo, viviamo nell’era atomica. [...] si direbbe che l’umanità contemporanea prova l'occulta tentazione di disintegrarsi. [...] Eccola: l’arte è il contrario della disintegrazione.[15]
In effetti Il mondo salvato dai ragazzini è, per alcuni aspetti, inclassificabile rispetto ai canoni della letteratura; a parte la prosa, esclusa per volontà autoriale, c’è tutto: verso, poesia, grafica, teatro. Ma risponde, comunque, alla definizione che Morante dà del romanzo nel saggio Sul romanzo, scritto per la rivista «Nuovi Argomenti» nel 1959 e ora in Pro o contro la bomba atomica, secondo cui il romanzo sarebbe la restituzione dell’immagine dell’universo reale colto nella sua interezza. Poiché, inoltre, il romanzo indaga il rapporto dell’autore con la realtà, esso non è mai irreale ma sempre portatore di significati e, quindi, non è mai neutro, è sempre politico.
In sostanza Il mondo fa i conti con la modernità intesa in senso politico, antropologico e letterario, anche perché arriva alla fine di due decenni, a partire dall’immediato secondo dopoguerra, in cui, nel mondo occidentale, la funzione stessa della letteratura viene sistematicamente messa in dubbio: rispetto al male del mondo, che ha conosciuto il suo carattere assoluto in Auschwitz, la risposta della neoavanguardia sarà (in linea di massima) nel segno del disimpegno, l’anti-poesia, l’anti-comunicazione. Al contrario Morante, come Pasolini e «in assonanza con la lezione della Beat Generation»[16] non accetta il disimpegno e afferma la necessità dell’impegno, ma lo fa con una strategia differente da Pasolini, con la “parodia” e con il “gioco” (che sono due termini morantiani).
In che consiste la parola-tema “parodia” (che è anche il sottotitolo della sezione del libro Serata a Colono e sarà parola ricorrente non solo nella poesia ma anche nei romanzi (Aracoeli)?
Da un punto di vista etimologico la parodia consiste nel «canto vicino o parallelo»,[17] mentre in senso più ampio consiste in una riscrittura che abbassa il livello del modello a cui fa riferimento, a volte, ma non sempre, con finalità comiche (caricatura). In uno scritto privato Morante racconta che dopo il lutto dell’amato Bill Morrow, dopo due anni torna a vivere, ma il suo non è un vero vivere, è una «specie di parodia dei gesti di quando vivevo. Mettere in ordine carte, muoversi, mettere dischi come negli intervalli di quando scrivevo romanzi»;[18] quindi la parodia è sempre legata alla sfera della non-vita o dell’irrealtà.[19]
Dunque, nell’opera morantiana, quale funzione viene assegnata alla parodia? Quella di invertire la direzione del testo, quindi di sovvertire; in questo senso essa assume la stessa funzione del gioco, cioè quella di vedere ciò che non va del mondo e rovesciarlo per meglio comprenderlo, quella di ribellarsi.
La parodia usa gli stessi mezzi della neoavanguardia (lo sperimentalismo) per dire il contrario della neoavanguardia, e cioè che la poesia è una via per esprimere il vero, rinnovando la connessione tra poesia e verità (torna ancora l’eco della poesia onesta di Saba).
In che consiste la parola-tema gioco?
Nel Mondo, dal punto di vista stilistico il gioco è gioco linguistico, sovvertimento delle regole della poesia tradizionale, consiste nelle iperboli, nella disposizione delle parole in forma grafica, nella tessitura metrica e ritmica giocata su versi iperlunghi e versicoli, nel dialogo con il bianco tipografico della pagina, nell’uso fantasioso dei segni di punteggiatura, nell’alternarsi di caratteri maiuscoli e minuscoli.
Dal punto di vista tematico il libro si conclude con questi versi che un coro (il cinese e la sua compagnia) rivolge a Hitler, Goering e Goebbels dicendo loro che anche la loro fine sarà prossima e che la loro guerra
ALLA FINE
IN SOSTANZA E VERITA’
NON POTEVA ESSERE STATA MAI, PURE QUELLA,
NIENT’ALTRO CHE
UN GIOCO.[20]
Questa parola farà da ponte con La storia (il cui titolo originario, ricordiamolo, era Tutto uno scherzo), perché gli uccelli che, nella radura sul lungotevere in cui Useppe andrà a giocare con il suo cane, gli canteranno lo stesso ritornello.
Quindi, il gioco morantiano non è mai senza senso, non è mai il gioco/sovvertimento di chi non crede più a nulla e allora butta tutto all’aria, il gioco è lo strumento attraverso cui gli FP (o chi solidarizza con loro) svelano l’insensatezza del mondo ed hanno, tuttavia, il coraggio di proclamare la ricerca della felicità.
A chi spetta, infine, rovesciare il potere dell’irrealtà, denunciare la sopraffazione e, affermare, altresì, l’irrinunciabile volontà di reagire al dolore e cantare la bellezza della vita, la volontà, dunque, di “salvare il mondo”? Sicuramente ai ragazzini, che incarnano la forza disarmante del contropotere, a Papageno, protagonista dell’amato Flauto magico, con cui Mozart ci ricorda che la salvezza, l’emancipazione dalle tenebre, viene dal basso e non dall’alto, a Useppe, la vittima sacrificale tutt’altro che inerme e, infine, al poeta, il più ragazzino dei ragazzini, per cui scrivere è sempre un atto pubblico, politico, proprio perché un gioco.
[1] I. Calvino, A Elsa Morante, in Lettere 1940-1989, a cura di L. Baranelli, Milano, Mondadori, 2000, pp. 271-273.
2 G. Fofi, Prefazione, in E. MORANTE, Il mondo salvato dai ragazzini e altri poemi, Torino, Einaudi, 2012, p. VII.
[3] M. Carmello, La poesia di Elsa Morante. Una presentazione, Roma, Carocci, 2018, p. 21.
[4] E. Morante, Prefazione a Alibi, in Opere, Milano, Mondadori, 1988, p. 1373.
[5] E. Porciani, Elsa Morante, la vita nella scrittura, Roma, Carocci, 2024, p. 217.
[6] Ibidem.
[7] Ivi, p. 225.
[8] C. Garboli, Il gioco segreto. Nove immagini di Elsa Morante, Milano, Adelphi, 1995, p. 151.
[9] Ivi, p. 152.
[10] E. Morante, Nota introduttiva a Il mondo salvato dai ragazzini, Torino, Einaudi, 1971.
[11] P. Pasolini, Il mondo salvato dai ragazzini, in «Tempo», XXX, 35, p. 12.
[12] E. Morante, Il mondo salvato dai ragazzini, Torino, Einaudi, 1968, p. 143.
[13] G. Bernabò, La fiaba estrema. Elsa Morante tra vita e scrittura, Roma, Carocci, 2023, p. 160.
[14] E. Morante, Pro o contro la bomba atomica e altri scritti, Milano, Adelphi, 1987, p. 35.
[15] Ivi, p. 97 e ss.
[16] E. Porciani, Elsa Morante, cit., p. 214.
[17] C. D’Angeli, Leggere Elsa Morante, Roma, Carocci, 2003, p. 34.
[18] Ibidem.
[19] ivi, p. 35.
[20] E. Morante, Il mondo salvato dai ragazzini, cit., p. 243.
14 novembre 2025