Leonardo Sciascia è stato sicuramente uno degli scrittori più importanti della seconda metà del ‘900 italiano, una figura imprescindibile per chi voglia leggere gli eventi degli anni di piombo e del periodo dell’esplosione della violenza mafiosa. L’opera dello scrittore siciliano abbraccia molteplici forme di espressione intellettuale – la letteratura, il giornalismo, il saggio, il romanzo saggio; Un mondo dunque, quello sciasciano, caratterizzato da una grande eterogeneità, in un pluralismo stilistico che ha indotto, in una parte della critica, un’interpretazione caleidoscopica e frantumata dell’attività letteraria dell’autore di Racalmuto. Una parcellizzazione che si è data, a seconda dei casi, in base a criteri cronologico-storicistici o secondo questioni di genere e media narrativi. Per queste ragioni, l’impegno civile che scaturisce dagli scritti Leonardo Sciascia non è inquadrabile in alcuno schema identitario o ideologico.
Seguendo, però, una metodologia di analisi tematica possiamo inquadrare meglio l’unità e la linearità del pensiero di Leonardo Sciascia in tutti i suoi risultati. La letteratura, la storia, il giornalismo e la politica sono sintetizzati in un substrato culturale e ideologico che sottende tutta la riflessione intellettuale. In questo senso il tema della giustizia, e tutti i motivi che ne danno rappresentazione, si propongono come un perfetto collante – forse più efficace rispetto ad altri importanti temi, come ad esempio la mafia – per saldare insieme tutti i tasselli del mosaico sciasciano. Il problema della corretta amministrazione della giustizia è in Sciascia rintracciabile già all’altezza del 1969, ed è personificato da uno dei più celebri personaggi dello scrittore racalmutese, il capitano Bellodi. Andando avanti con gli anni, il tema giudiziario fa capolino in molti importanti romanzi di Sciascia: come ad esempio, senza alcuna pretesa di esaustività, ne Il contesto, Todo modo e Una storia semplice.
Parallelamente, l’autore siciliano porta avanti la sua critica nelle sue ricostruzioni storico-narrative e negli articoli giornalistici: in libri come La strega e il capitano e 1912+1, l’affresco della giustizia si serve di due processi del passato per dare degli importanti exempla sulla moderna concezione del diritto; persino in un saggio come La scomparsa di Majorana – che ricostruisce il caso della scomparsa di un noto fisico siciliano ai tempi del fascismo – Sciascia non si fa sfuggire l’occasione di indugiare sull’analisi di un caso giudiziario che aveva coinvolto la famiglia Majorana prima della scomparsa dello scienziato; negli scritti pubblicati sulle colonne di vari giornali – come ad esempio il «Corriere della Sera» o la «Gazzetta del Mezzogiorno» – e di numerose riviste, l’autore di Racalmuto cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica su alcuni importanti temi giuridici e di salvaguardia del diritto.
La parabola di Leonardo Sciascia ha però anche una traiettoria politica – la militanza prima comunista poi radicale – che però lo scrittore affronta con uno spirito da antipolitico, e con posizioni spesso considerate eretiche o oltremodo polemiche. Da politico, Sciascia mantiene saldi i valori che lo hanno accompagnato nella riflessione intellettuale e nella produzione letteraria: l’uso della ragione, del dubbio, devono essere sempre il faro di chiunque gestisca la cosa pubblica. Una posizione che da molti è stata definita come laica e scevra da ogni fanatismo, ma che rivela, a ben guardare, un intimo senso di religiosità e di sacralità, una religiosità dai tratti illuministici e liberali, che ha come punti di riferimento figure come Manzoni, Verri, Beccaria, Montaigne e Voltaire.
E’ questo il forte milieu culturale da cui si genera l’azione politica di un uomo che in molto casi ha ricoperto un ruolo scomodo e che ha generato vivaci polemiche: come avvenne al tempo delle discusse posizioni assunte dallo scrittore al tempo delle leggi speciali per il terrorismo e delle norme sul pentitismo, alle quali il politico siciliano si oppone fermamente.
La battaglia culturale e politica di Leonardo Sciascia investe anche altri temi giuridici, come ad esempio la responsabilità dei giudici e la carcerazione preventiva. Sciascia pone pesanti interrogativi etici all’amministrazione della giustizia italiana degli anni di piombo. Una voce isolata in un clima di scrosciante unanimismo, dettato dalla grande risonanza mediatica che in quegli anni ricevevano i processi a terroristi e mafiosi.
La critica e la polemica sciasciana si servono, come abbiamo sottolineato, di differenti mezzi e strumenti espressivi, ma sono sempre filtrate attraverso la letteratura e l’immaginazione letteraria: il fatto di cronaca può ad esempio essere spiegato attraverso una rilettura manzoniana – come avviene in un famoso articolo sul caso Tortora, uscito sul «Corriere della Sera» il 3 agosto 1985, che reca il titolo redazionale Nella canonica di don Abbondio di soppiatto (vd. Appendice – Testo 1). Oppure si pensi a come la denuncia del carattere corrotto e dogmatico dell’ingranaggio giudiziario italiano, abbia trovato espressione nella forma di un noir molto sui generis come Il contesto (vd. Appendice – Testo 2). Questo ci dice molto di come lo scrittore siciliano si sia posto rispetto all’analisi intellettuale dei fatti del suo presente: egli porta avanti il suo impegno civile su determinate tematiche sempre osservando la società e i fenomeni storici con gli occhi dello scrittore, dell’uomo di lettere.
L’opera sciasciana infatti – nella complessità dei suoi esiti stilistici e tematici – è sempre vettore di una critica della società contemporanea che ricorre alle forme stranianti della letteratura, ma senza mai perdere di vista le coordinate dell’impegno civile. La letteratura in Sciascia ha pertanto il ruolo di bucare il velo di Maya della realtà, cercando, tramite l’immaginazione e l’immagine letteraria, di giungere alla verità, resa irriconoscibile dall’ipocrisia, dal luogo comune, dalla disabitudine del pensiero critico. Un’operazione di questo tipo è rintracciabile nella riflessione sciasciana sul caso Tortora e sul tema della giustizia. Lo scrittore di Racalmuto cerca, osservando i fatti giudiziari attraverso il prisma caleidoscopico della letteratura, di riportare nel dibattito pubblico una nozione di verità per ciò che riguardava il caso dell’amico presentatore. Questa ricerca di verità non investe solo il “particulare” del processo napoletano alla NCO (Nuova Camorra Organizzata), ma si generalizza nella critica e nella denuncia dei malfunzionamenti della macchina giudiziaria italiana.
Leonardo Sciascia è uno dei tanti autori del Novecento italiano che hanno uno spazio marginale nel canone scolastico. Un destino che lo scrittore siciliano condivide con molti altri intellettuali – come ad esempio Pasolini, Calvino, Fenoglio, Gadda o Moravia solo per citarne alcuni – che hanno avuto enorme successo e riconoscibilità presso l’opinione pubblica, tra il pubblico, e che hanno segnato fortemente con la loro presenza il dibattito culturale degli anni del secondo dopoguerra. Sono autori – in particolare Sciascia, Calvino, Vittorini e Pasolini – che hanno avuto un ruolo importantissimo nell’analisi dei fenomeni storico-sociali del loro tempo: il cambiamento antropologico e l’avvento della società di massa, la Guerra Fredda, il terrorismo italiano, la mafia e le zone grigie del potere. Nell’insegnamento scolastico della letteratura italiana l’ostracismo nei confronti di questi autori viene perpetrato soprattutto per ragioni di tempo: i tempi dell’insegnamento sono serrati e spesso gli insegnanti di italiano delle superiori si ritrovano al quinto anno potendo solamente lambire Svevo, Pirandello o Montale, operando una selezione – sempre a perdere – tra gli autori del Novecento che ne esclude inevitabilmente la maggior parte.
Quest’esclusione avviene anche per ragioni di opportunità: la letteratura italiana del secondo Novecento – tralasciando gli esiti della letteratura dei primi anni del nostro secolo e della più stretta contemporaneità – ha impegnato per molti anni la critica in un tentativo di storicizzazione difficoltoso e che ha prodotto risultati non univoci. Per questa difficoltà nello storicizzare il Novecento – a causa della sclerotizzazione dei vari “ismi” e degli influssi di una letteratura ormai globalizzata – e nel renderne i risultati letterari fruibili a un pubblico di studenti adolescenti, la didattica della letteratura italiana ha scelto la via della sottrazione. Da sottolineare è anche il fatto che a questa sottrazione didattica se ne accompagni un’altra: infatti l’ostracismo del secondo Novecento dalle aule delle scuole investe anche i programmi di storia, che normalmente vengono conclusi con la fine della Seconda Guerra Mondiale e con l’analisi dei prodromi della Guerra Fredda. Personalmente, penso che queste due importanti esclusioni dai programmi scolastici non possano essere superate se non congiuntamente, e penso anche che questo processo di rinnovamento sia necessario e doveroso. Sarebbe infatti possibile prevedere un insegnamento di italiano che comprenda un’unità didattica opera su Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia, senza avere come contraltare un insegnamento di storia che preveda almeno un’introduzione alla storia del fenomeno mafioso? La risposta a questa domanda e per forza di cose negativa: una didattica così impartita risulterebbe straniante, non contestualizzata e dunque di poco efficace fruizione.
La parabola conclusiva della scrittura di Leonardo Sciascia abbraccia con la sua esperienza intellettuale uno dei periodi più importanti del secondo dopoguerra italiano: gli “anni di piombo”, con l’esplosione del terrorismo brigatista e il rapimento di Aldo Moro, e gli anni delle grandi guerre di mafia e del cambio di regime in seno alla “cupola” di Cosa nostra. Per queste ragione una rivisitazione dello scrittore siciliano in chiave didattica potrebbe aprire nuovi spazi di insegnamento – anche congiunto con la didattica della storia – e creare nuovi orizzonti di senso per l’analisi critica, da parte degli studenti, dei fatti del recente passato italiano.
L’opera dello scrittore racalmutese potrebbe anche essere funzionale alla didattica della letteratura italiana, della storia, ma anche della filosofia e del diritto, in virtù dello stretto rapporto che l’autore intrattiene con autori del calibro di Manzoni, Verri, Beccaria, Montaigne o Voltaire.
L’insegnamento di Leonardo Sciascia a scuola avrebbe anche delle ragioni di economicità e di sostenibilità: infatti la brevitas di alcuni scritti sciasciani – come, a titolo di esempio, dei romanzi Todo modo, Il contesto e A ciascuno il suo – li rende perfettamente atti a percorsi didattici fondati sulla lettura integrale del testo. Come già sottolineato, la grande eterogeneità degli esiti stilistici sciasciani ritrova una sua linearità nell’analisi tematica; per questa ragione l’opera di Sciascia risulta funzionale anche alla costruzione di unità didattiche tematiche: facilmente, ad esempio, si potrebbe immaginare un’unità tematica su Sciascia e il tema della giustizia, magari congiungendo gi insegnamenti di italiano e di diritto, laddove possibile.
Queste sono, a mio avviso, le principali direttrici didattiche che possono orientare l’insegnamento dell’opera dello scrittore siciliano. La produzione di Leonardo Sciascia è un tesoro di valori civili e letterari pronto per essere restituito alle nuove generazioni, un volano per la riflessione su importanti temi sociali e per la formazione del pensiero critico degli studenti.
Sciascia, Manzoni, l’Illuminismo
La letteratura e l’azione politica di Leonardo Sciascia sono generate da un forte e riconoscibile milieu culturale e filosofico: alcuni dei principali modelli sciasciani sono infatti gli illuministi francesi e italiani. A ragione pertanto si potrebbe definire Sciascia come un “neo-illuminista”. Tutta la riflessione dello scrittore di Racalmuto su importanti tematiche come il diritto, l’Inquisizione o la tortura prende le mosse dall’influenza delle letture giovanili di Voltaire, di Montesquieu, di Verri o di Beccaria. Anche lo stretto rapporto che Sciascia intrattiene con il Manzoni si inserisce in questo medesimo orizzonte culturale e filosofico: il grande autore lombardo viene in soccorso allo scrittore siciliano con la sua opera come storico e come letterato, e viene utilizzato per portare avanti le posizioni neo-illuministe di Sciascia sulla giustizia, sui nuovi metodi di tortura e di sopruso illiberale nello Stato di diritto.
Il modello di Montaigne – con la riflessione degli Essais su temi come la tolleranza religiosa e la pena di morte – nonostante l’appartenenza a un altro contesto rispetto a quello rappresentato dai Lumi, viene anch’esso utilizzato da Sciascia per rilanciare la sua riflessione neo-illuminista su importanti temi sociali.
In una prospettiva di didattica della letteratura italiana connessa alla didattica delle altre materie umanistiche, lo stretto legame che Sciascia intrattiene con i suoi modelli può creare nuovi e importanti orizzonti di senso e nuove linee didattiche.
Prendiamo ad esempio in prima istanza il caso del Manzoni. Lo scrittore siciliano è stato uno dei più importanti manzonisti del secolo scorso e l’eco degli scritti dell’autore lombardo risuona in gran parte della letteratura e dell’analisi storico-giornalistica sciasciana. Leonardo Sciascia intesse una rete di rimandi intertestuali che riescono a connetterlo con l’opera manzoniana e con il suo ethos, con l’obiettivo di rivolgersi al suo presente tramite le parole e il pensiero del grande scrittore milanese, con un modus operandi che tra l’altro ha chiare radici nello stesso modello manzoniano. Manzoni, ne I promessi sposi, racconta una storia ambientata nel diciassettesimo secolo con l’obiettivo di fornire importanti exempla morali ed etici agli uomini del suo tempo. Sciascia, nelle sue ricostruzioni storico-narrative – come ad esempio La strega e il capitano, 1912+1, La scomparsa di Majorana o I pugnalatori – utilizza il medesimo procedimento manzoniano: tramite una narrazione che rimane sempre fondata sulla fonte, sul documento storico, ma che ha anche spiccati tratti finzionali, lo scrittore cerca di mettere in contatto passato e presente, cercando di dare importanti insegnamenti morali ed etici su determinate tematiche. Prendiamo ad esempio La strega e il capitano. In questo libro il rimando a Manzoni è esplicito: infatti la narrazione prende le mosse da una citazione tratta dal capitolo XXXI dei Promessi sposi, in cui il Manzoni cita brevemente il caso di Caterina Medici, la protagonista del libro sciasciano, una donna accusata dal suo padrone, il senatore Luigi Melzi, di essere una strega e condannata a morire arsa viva. Il libro è intessuto di importanti tematiche storico-sociali: a partire dal fanatismo e dalla furia cieca dell’Inquisizione che, una volta esaurita la lotta all’eresia religiosa, cercava di cambiare i costumi della società che erano considerati deteriori. In questo contesto storico si inserisce la lotta alla stregoneria e il caso di Caterina Medici che Sciascia racconta nel suo libro. Altri temi portanti dell’opera sciasciana sono l’esecrazione della tortura utilizzata come metodo per estorcere delle confessioni agli imputati e il tema della pena di morte, connesso alla tematica della grave responsabilità della classe giudicante nello stesso ambito della condanna a morte.
Didatticamente, La strega e il capitano ha molti pregi: uno studio di questo libro può infatti aiutare lo studio di un importante fenomeno storico come quello dell’Inquisizione romana, in particolare nel passaggio dalla lotta all’eresia religiosa alla guerra contro i costumi della società che la Chiesa considerava eversivi. Oltre allo studio dell’Inquisizione, l’opera sciasciana può anche essere utilizzata per analizzare il controcanto filosofico del fanatismo religioso cattolico: la tolleranza religiosa e la condanna della pena di morte e della tortura in Montaigne e le riflessioni sui medesimi temi di alcuni illuministi italiani come i fratelli Verri e Cesare Beccaria; in particolare, Sciascia cita, nel capitolo primo de La strega e il capitano, alcune opere del conte Pietro Verri, come ad esempio la Storia di Milano o le Osservazioni sulla tortura.
In una prospettiva didattica invece più letteraria, un rapido incontro degli studenti con La strega e il capitano può avere grande utilità nella spiegazione dei meccanismi reconditi della più grande opera del Manzoni: ad esempio potrebbe aiutare gli studenti a comprendere come il romanzo storico manzoniano, anche se ambientato in un’epoca diversa da quella in cui scrive l’autore, cerchi di fornire importanti exempla etico-morali alla società.
Infine, La strega e il capitano potrebbe essere un libro funzionale all’insegnamento scolastico alla luce dell’esiguità in termini di pagine dell’opera, che la rende perfettamente atta alla strutturazione di unità didattiche opera, proponendo dunque la lettura integrale del testo.
Anche un allontanamento dalla pubblicistica letteraria sciasciana potrebbe rivelarsi portatore di interessanti innovazioni didattiche nell’insegnamento scolastico dell’opera del Manzoni e de I promessi sposi. Il modello manzoniano è infatti onnipresente anche negli articoli che Leonardo Sciascia pubblica sulle colonne di vari quotidiani e riviste, in un gioco continuo di rimandi tra letteratura e cronaca che genera e conferisce nuovi significati e valori all’opera del grande autore milanese. Un esempio di questa pratica ce lo offre il famoso articolo sul caso Tortora che porta il titolo redazionale Nella canonica di don Abbondio di soppiatto, uscito sul «Corriere della Sera» il 3 agosto 1985. In questo scritto Sciascia, adducendo l’exemplum manzoniano della notte degli imbrogli per prendere le parti dell’amico presentatore, critica la pars mediatica favorevole a Tortora accusandola di solleticare la pancia dell’opinione pubblica facendo radicalizzare il conflitto fra innocentisti e colpevolisti. Il ragionamento di Sciascia è sottile in questo articolo: per lo scrittore siciliano i media innocentisti, scampanando una facile retorica populista, fanno apparire presso l’opinione pubblica il conduttore ligure come un colpevole, proprio come doveva risultare Renzo nel momento in cui Don Abbondio aveva iniziato a suonare le campane della sua chiesa per chiedere aiuto. Ebbene Renzo, come Tortora, era innocente e Sciascia con il suo articolo dà un’importante lezione su quanto le percezioni degli individui e dell’opinione pubblica possano essere influenzate dal contesto in cui si generano. Un insegnamento siffatto di uno dei più importanti passi de I promessi sposi potrebbe avere pertanto un ruolo importantissimo, non solo come mero nozionismo ma per contribuire alla formazione del pensiero critico degli studenti.
Un’altra opera del Manzoni amatissima da Leonardo Sciascia è stata la Storia della colonna infame. In quest’opera – che ritrae la storia di un processo a dei presunti untori ai tempi della peste di Milano del 1630 – sono presenti tutti i principali temi civili e filosofici affrontati dallo scrittore siciliano nella sua riflessione intellettuale: il fanatismo religioso che porta le persone a credere a superstizioni di ogni sorta, il tema della responsabilità dei giudici, il tema della tortura e della chiamata in correità di altri imputati dettata dalle sofferenze della prigionia. Ne Il contesto – uno dei più celebri romanzi gialli di Sciascia, uscito nel 1971, che tratta anche importanti questioni riguardanti il tema della corretta amministrazione della giustizia – Leonardo Sciascia cita, anche se non esplicitamente, l’opera manzoniana nel famoso dialogo che il protagonista, l’ispettore Rogas, intrattiene con il presidente della Corte Suprema Riches. Durante questo incontro, il giudice che presiede la Corte suprema e l’ispettore diventano simboli di due concezioni opposte di giustizia: la giustizia dei dogmi e delle forme immutabili, chiusa in se stessa e autoreferenziale; e la giustizia guidata dalla ragione, dal dubbio e dalla ricerca della verità. Tutto il dialogo ruota intorno al concetto di errore giudiziario, la cui esistenza viene progressivamente negata dal presidente della Corte Suprema. La Storia della colonna infame e il grave errore commesso dai giudici del processo agli untori nei confronti del Piazza e del Mora, vengono utilizzati da Riches per giustificare la ragion d’essere di una giustizia carnefice, che, come una divinità ancestrale, deve essere essere continuamente nutrita di sacrifici umani per mondare la società dal crimen, dal peccato. Un insegnamento congiunto de Il contesto e della Storia della colonna infame potrebbe essere foriero di una più profonda comprensione delle importanti questioni etiche, morali e filosofiche poste dal Manzoni agli uomini del suo tempo e riprese da Leonardo Sciascia nel continuo dialogo tra passato e contemporaneità.
Sciascia, la mafia, il terrorismo
L’insegnamento di Leonardo Sciascia a scuola – sempre considerando la produzione dello scrittore nella sua complessità, e considerandone gli esiti letterari, giornalistici e saggistici – potrebbe avere anche importanti implicazioni nell’analisi di due fenomeni storici centrali nella seconda metà del secolo: il terrorismo politico degli anni ‘70-‘80 e il fenomeno mafioso. In un’ottica di didattica della letteratura italiana sempre più connessa con la didattica delle altre scienze sociali – in particolare della storia e della filosofia – lo studio degli scritti dell’intellettuale siciliano su queste due tematiche storiche potrebbe aiutare a superare anche la scarsa attitudine dei programmi di storia delle superiori e delle medie a superare l’angusto limite cronologico della Guerra Fredda, e provare a trattare un periodo storico – quello, appunto, della seconda parte del ventesimo secolo – che offrirebbe importanti spunti agli studenti per comprendere meglio il mondo e il contesto storico in cui vivono, nelle sue dinamiche politiche, sociali ed economiche.
In questo senso l’opera sciasciana si propone come un perfetto collante tra le varie discipline, proprio in virtù della poliedricità intellettuale dello scrittore siciliano.
Analizziamo in prima istanza il fenomeno terroristico. Durante gli anni di piombo e nel momento di massima tensione tra Stato italiano e gruppi eversivi, Leonardo Sciascia è eletto al Parlamento italiano e poi al Parlamento Europeo; una condizione che permette allo scrittore di Racalmuto di condurre un’analisi dei fatti storici da un punto di vista molto alto. Sciascia è protagonista in uno dei momenti che più hanno sconvolto l’Italia dalla fine della Seconda Guerra Mondiale: il rapimento e l’uccisione del presidente della democrazia cristiana Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. In quegli anni Leonardo Sciascia è eletto alla Camera dei Deputati nelle liste del partito radicale e fa parte della prima commissione d’inchiesta parlamentare sul caso Moro. Da questa esperienza vede la luce, nello stesso 1978, il saggio L’affaire Moro. Un libro scritto a caldo, ma non un instant book, meno che mai un panphlet. Mentre molti giornalisti si affannavano ancora a definire il presidente democristiano come un pazzo uscito di senno, riducendo il dramma umano e politico del caso a una cronaca superficiale, Sciascia analizza le lettere di Moro con gli strumenti più raffinati della critica letteraria e dell’analisi psicologica. Coglie così gli oscuri rimandi e le comunicazioni allusive che il recluso rivolge dalla prigione del popolo ai suoi compagni di partito.
In una prospettiva di insegnamento della letteratura italiana connesso a quello della storia, una analisi del rapimento di Aldo Moro tramite la rilettura sciasciana de L’Affaire Moro potrebbe non solo essere utile per superare uno dei tanti ostracismi della didattica della storia italiana, ma anche essere un volano per una riflessione sulla complessità dei fragili equilibri politici italiani negli anni di piombo e anche, allargando il campo, per una analisi della difficile situazione geopolitica mondiale durante la Guerra Fredda.
La mafia siciliana è ritratta in moltissime pagine sciasciane ed è un tema che attraversa trasversalmente la produzione letteraria, giornalistica e saggistica dello scrittore racalmutese. Sciascia è un fine conoscitore e studioso del fenomeno mafioso: ‘’Cosa nostra viene analizzata profondamente, dalle origini del banditismo, passando per le sue mitizzazioni narrative (come la setta dei Beati Paoli), sino a giungere alla cronaca dei fatti della contemporaneità degli anni ‘80, con l’esplosione delle guerre di mafia. A titolo di esempio occorre citare alcuni importanti articoli di Sciascia pubblicati su vari quotidiani: in primis l’articolo I Beati Paoli, uscito sul «Corriere della Sera» il 28 novembre 1970 (vd. Appendice – Testo 3). in cui il giornalista siciliano analizza i prodromi del fenomeno mafioso nel XVIII secolo durante la dominazione spagnola della Sicilia; con il pezzo intitolato I nipoti di Don Vito, pubblicato sempre sulle colonne del «Corriere della Sera» il 25 agosto 1982 (vd. Appendice – Testo 4), Sciascia analizza i mutamenti in atto nella mafia siciliana degli anni ‘80 partendo dal breve racconto della biografia di Don Vito Cascio-Ferro, potente padrino di Cosa nostra agli inizi del ‘900; nel famosissimo articolo che porta il titolo redazionale I professionisti dell’antimafia – entrato nell’immaginario più per le polemiche che ne sono seguite che per il contenuto del pezzo – il giornalista siciliano analizza la storia della mafia ai tempi del fascismo e del prefetto Cesare Mori (vd. Appendice – Testo 5). Questa rapida disamina di questi tre scritti sciasciani ci rende la completezza e la complessità – anche storiografica – della riflessione sciasciana sul tema della mafia.
La mafia è un fenomeno anche politico, ha sempre avuto a che fare con il consenso e lo ha sempre orientato. Sarebbe importante dunque, per un insegnamento scolastico della storia della mafia che sia quanto più completo possibile, analizzare anche i rapporti sociali, politici ed economici che hanno permesso a ‘Cosa nostra’ di proliferare e divenire incontrollabile. Sarebbe importante sensibilizzare gli studenti su queste tematiche, anche se di difficile comprensione, per stimolarne il pensiero critico in merito al controllo che la cittadinanza deve operare nei confronti del potere. Sciascia in questo senso cerca, attraverso la letteratura e la fiction letteraria, di far luce sulle zone grigie in cui il potere, non solo politico, si intorbida in rapporti inappropriati di connivenza, quando addirittura non direttamente di correità, con mafiosi e prestanomi. Un esempio pratico potrebbe essere rappresentato dalle numerose pagine de Il giorno della civetta in cui la focalizzazione del romanzo abbandona il capitano Bellodi e le sue indagini, per spostarsi nelle stanze del potere romano, stanze in cui serpeggia un sentimento di profonda angoscia per il rischio che le inchiesta siciliana investa i rapporti tra mafiosi e politici, anche di alto livello. Il tema dei rapporti tra potere e mafia viene ripreso anche in numerosi articoli giornalistici sciasciani (vd. Appendice – Testi 6 e 7). Un esempio può essere l’articolo Il maresciallo e Sua Eccellenza pubblicato sul «Corriere della Sera» il 16 febbraio 1986. In questo articolo Sciascia analizza gli inquietanti rapporti, emersi durante il dibattimento di un procedimento a latere del maxiprocesso a Cosa nostra, che collegavano il defunto giudice Pizzillo ad alcune cosche di mafia (vd. Appendice – Testo 8)..
Una corretta alimentazione di un dibattito con gli studenti su importanti tematiche e fenomeni storici come la mafia e il terrorismo può avere importanti ricadute non solo nell’acquisizione di informazioni e dati di conoscenza, ma anche nel produrre efficaci competenze, nello sviluppo del pensiero critico e nell’educazione alla cittadinanza attiva dei discenti. La produzione letteraria, saggistica e giornalistica di Leonardo Sciascia su questi due importanti temi storiografici potrebbe essere funzionale, anche e soprattutto in chiave interdisciplinare, per regolare una corretta esposizione degli studenti a questioni di importanza capitale per la loro comprensione del mondo che li circonda.
11 giugno 2024