Leggo su una piattaforma social l’anteprima di un incontro che si terrà al festival della letteratura di Mantova e mi colpisce il titolo “La scuola siede tra passato e futuro”. Lo propone una storica, Vanessa Roghi, che da anni si occupa con grande intelligenza di scuola: tra i suoi saggi più recenti la monografia su Gianni Rodari[i], e quello da poco uscito su Mario Lodi.
Ripeto tra me la frase “La scuola siede…” Intanto mi dico: la scuola finisce a giugno eppure in questo periodo non si parla altro che di scuola. Da un lato, per le urgenti misure legislative: il decreto-legge 36 convertito in legge con l’approvazione definitiva il 29 giugno scorso, che viene difeso dal Ministro dell’Istruzione per le “novità” sul percorso di formazione dei docenti (qui l’intervento sul Corriere della Sera) e per il medesimo motivo su molti fronti contestato.
E poi ci sono i “sempiterni” esami di stato a campeggiare sui media, con il ritorno della prova scritta di italiano. Lascio ad altri interventi[ii] le disquisizioni se Nedda fosse verista, se il “femminil lamento” fosse del treno o del telegrafo, (comunque sia, avrebbero ben da lamentarsi, le studentesse ma anche gli studenti, non trovando mai testi di scrittrici, tra le proposte…), o se sia un dato interessante il fatto che un quarto dei candidati abbia svolto la traccia argomentativa che trattava dei social.
Cerco piuttosto di distanziare lo sguardo e mi soffermo sul modello delle prove, che deriva da anni di lavoro serrato e di discussioni infinite. Proprio così, quelle prove che oggi sembrano scodellate innocentemente, svolte da studenti stressati, corrette da commissioni sfinite e poi chiuse in ceralacca e abbandonate nelle “cantine” delle scuole hanno una lunga storia. Era il 1998 quando si riformarono le prove d’esame abolendo per l’italiano le distinzioni tra ordini di scuola e introducendo la tipologia dell’analisi testuale e quella del saggio breve. Si trattava di far scendere dal tetto la cordata di un pool di esperti che producesse una ondata di rinnovamento ai piani inferiori. La tipologia A rifletteva il nuovo approccio didattico basato sulla centralità del testo; la tipologia B si concentrava sulle regole dell’argomentazione, fornendo i materiali su cui costruirla e distinguendo tra saggi e articoli giornalistici. Furono tenuti nelle scuole molti corsi di aggiornamento e si portò a compimento un lavoro sotterraneo capillare.
Tutto è stato di nuovo ridiscusso a partire dal 2015 (con applicazione nell’esame di stato del giugno 2019) quando, al saggio breve da costruire su più brani dati, venne sostituita dalla cosiddetta commissione Serianni la modalità di un unico, più lungo testo di partenza (su più opzioni: Tipologia B) con domande di comprensione e di interpretazione, e una coda di elaborazione personale. Si ritenne in questo modo di ovviare all’ “effetto patchwork”, a rischio banalizzazione, del modello precedente e ci si avvicinò alla struttura delle prove Invalsi di italiano. L’analisi del testo (tipologia A) invece restò invariata.[iii]
Tutte le scuole superiori a maggio producono prove comuni di simulazione per gli studenti dell’ultimo anno. Un patrimonio enorme, che resta “segreto” e inutilizzato negli anni successivi, mentre potrebbe essere una banca dati importante, anche per i corsi di formazione docenti. Infatti, siamo sicuri che, in quanto docenti, sappiamo costruire una prova scritta? Durante l’anno le prove vanno misurate sul programma e sul percorso che si sta svolgendo, ne sono una tappa importantissima, da prevedere il più possibile al momento della programmazione individuale o condivisa. Non è più il tempo di quel pur bravo professore bolognese che, nell’adeguata stagione, puntualmente assegnava il tema in classe “Panettone o Pandoro?” e con quello consacrava il voto del trimestre. Dunque perlomeno dalla fine degli anni novanta è stata necessaria una formazione specifica, che alcuni docenti avranno fondato su letture e ricerca individuale, e molti altri avranno condotto attraverso dei corsi.
Ma la memoria si sfolla, ci ricorda Montale, e questo laborioso percorso l’abbiamo dimenticato un po’ tutti, nelle scuole come al Ministero. Associazioni come il CIDI, il GISCEL hanno lavorato e prodotto corsi e volumi sulla scrittura, che evidentemente ha la sua origine nella scuola primaria; e l’ADI ha dedicato negli anni, nella sinergia tra universitari e docenti di scuola superiore, e la presenza di sezioni didattiche territoriali ADI sd, corsi e convegni anche su questo aspetto. Anche alcune case editrici illuminate hanno pubblicato atti e risultati di ricerche mirate (penso ai “Quaderni della Ricerca” Loescher, ad esempio); Paolo Bollini redasse per l’INDIRE la proposta – per quell’epoca rivoluzionaria, e infatti tale restò - di un curricolo trasversale di scrittura che prevedeva per tutto il quinquennio ore dedicate alla produzione scritta, tenute da docenti di discipline diverse. Ho l’onore di conservare il manoscritto in una cartellina blu. La convinzione è che lavorare per far scrivere i ragazzi è comunque un esercizio prezioso per i docenti: si tratta di competenze specifiche che il docente deve possedere e mettere in campo per arrivare a formulazioni chiare, precise, corrette, aderenti al metodo svolto, e a richieste non ambigue, ma anche aperte ed accoglienti agli “attesi imprevisti”;[iv] intendendo quella parte di elaborazione personale (e a me piacerebbero anche forme di riscrittura!) che consente allo studente di far reagire le conoscenze raggiunte con la propria sensibilità e cultura.
Un gran lavoro di ideazione, di previsione e di adattamento a quel che poi effettivamente avviene in aula, che i docenti non dovrebbero delegare o considerare con fastidio e che dovrebbe prevedere un’onda lunga: preparare gli studenti a qualsiasi traccia venga assegnata “dall’alto” all’esame di Stato. Sono convinta che una prova comune sia benemerita e necessaria e che siano utili delle attività di rilevazione e di campionatura, a fianco delle classiche OCSE PISA. Oltretutto le prove di italiano mantengono, pur labilmente, la traccia di quel lavoro “svolto e distrutto” sulle cosiddette “terze prove”, che nella riforma del 1998 dovevano proprio fondarsi sulla condivisione di un tema comune tra docenti di discipline diverse. Oggi in molte scuole le simulazioni di prima prova sono ancora fruttuosamente create in collaborazione tra docenti di italiano ma anche di storia, di filosofia, di arte, di economia e di materie scientifiche. Non è dunque il caso di “abbattere” la prova scritta, ma di rinforzare le competenze degli insegnanti e favorire il lavoro cooperativo, perché essa sia uno strumento efficace, anche ai tempi del metaverso.
Mi accorgo che il paesaggio che vado tratteggiando assomiglia molto a quello che vedeva il Duca d’Auge[v] dalla torre. Rovine. E i fiori blu, dove sono? Perché ogni volta dimentichiamo la strada fatta e ripartiamo da zero? Perché il Ministero non valorizza le elaborazioni passate e non crea o ri-crea gruppi di esperti disciplinari in attività permanente di collaborazione, mettendo a dialogo tra loro docenti tra primarie e secondarie e creando una piattaforma di materiali da condividere? Anche le facoltà di Lettere ne sarebbero positivamente coinvolte, visto che la prova scritta è generalmente prodromo dell’esame di Letteratura Italiana e spesso si svolgono corsi preparatori.
“La scuola siede tra passato e futuro.” Nessun movimento, in quel “siede”; mentre insegnare è un verbo di movimento. Vedo davanti a me una austera “cadrèga” con lo schienale alto e i braccioli, e ai due lati due compunti e silenziosi granatieri; il signor Passato e il signor Futuro. Nessun dialogo tra loro. Non sarà il caso di provocarlo, questo dialogo, di creare le condizioni perché non solo i nuovi assunti, ma tutti i docenti in servizio riannodino il filo che dà senso d’appartenenza al proprio lavoro e li fa operare con consapevolezza delle radici e dell’orizzonte atteso? Non dimentichiamo il lavoro svolto, usiamolo per andare avanti.
Ah, dimenticavo! “La scuola siede tra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi” è una citazione importante: sono parole di Don Milani.[vi]
18 luglio 2022
[i] Nella vasta bibliografia di Vanessa Roghi troviamo per Laterza Lezioni di fantastica. Storia di Gianni Rodari, 2020; Il passero coraggioso, Cipì, Mario Lodi e la scuola democratica, 2022; La lettera sovversiva. Da don Milani a De Mauro, il potere delle parole 2007 ; per Einaudi Ragazzi, Voi siete il fuoco, Storie e storia della scuola, 2021.
[ii] Su laletteraturaenoi.it i commenti di Romano Luperini, Luisa Mirone, Stefano Rossetti e altri alle tracce assegnate il 22 giugno scorso.
[iii] Sullo stesso sito laletteraturaenoi.it, al tag “esami di stato”, vari articoli (Lucia Olini, Cristina Nesi, Mario Ambel…) che danno conto delle trasformazioni nel tempo delle prove. Sulla tipologia A in particolare, si veda la presentazione alla fiera Didacta di Lucia Olini sul sito compita.it
[iv] Paolo Perticari, Attesi imprevisti, Bollati Boringhieri 1996
[v] Raymond Queneau, I fiori blu, traduzione di Italo Calvino, Einaudi 2014
[vi] Don Lorenzo Milani, “Lettera ai giudici”,1965, in Lettera ai cappellani militari. Lettera ai giudici, a cura di S. Tanzarella, Il Pozzo di Giacobbe, 2017