Lucia Principi - Al di là della frontiera, migranti di ieri e di oggi

Leggere Alessandro Leogrande in classe: percorso interdisciplinare sulla migrazione

 

Il mio intervento ripercorre l’attività didattica interdisciplinare che ho proposto alla classe 5A ITIS indirizzo Elettronica ed Elettrotecnica dell’I.I.S. Laeng-Meucci di Castelfidardo (AN), a partire dal saggio La frontiera di Alessandro Leogrande (Feltrinelli, 2015).

L’idea del percorso è nata durante l’incontro organizzato dall’ADI Marche, sezione didattica, ad ottobre 2023, dal titolo Il coraggio di stare sulla frontiera, durante il quale il relatore, lo scrittore Angelo Ferracuti, nel delineare la figura di Alessandro Leogrande, ha raccontato il mestiere del reporter, sottolineando come il reportage sia una scrittura democratica e corale, un’esperienza di resistenza civile e cittadinanza attiva.

Ispirata dalle parole di Ferracuti, ho deciso di proporre ai miei studenti il testo La frontiera, scritto da Leogrande all’indomani del naufragio di Lampedusa del 2013, nel quale l’autore riporta i resoconti di persone che hanno attraversato i confini per raggiungere l'Italia e riflette sul significato profondo di espressioni come “frontiera”, “viaggio”, “indifferenza”.

Mi sono prefissata due intenti specifici:

- proporre un esercizio di empatia, per consentire ai ragazzi di mettersi nei panni di chi affronta una migrazione, comprendere a fondo le ragioni del viaggio e riflettere sulla propria storia;

- incoraggiare una riflessione critica di carattere storico, ovvero confrontare i flussi migratori del passato, che hanno visto gli italiani protagonisti, con quelli presenti e, contestualmente, analizzare le responsabilità del colonialismo occidentale sulle migrazioni attuali.

La lettura del testo è stata inserita all’interno di una unità di apprendimento interdisciplinare di educazione civica,quindi il tema è stato analizzato con il contributo di diverse discipline, in particolare italiano, storia e inglese, e attraverso più canali comunicativi. L’intero percorso è stato sviluppato in un arco temporale di circa due mesi, per dare ai ragazzi il tempo di indagare l’argomento a piccoli passi, assumendo prospettive e punti di vista ogni volta diversi. Al termine, ciascun alunno ha realizzato una presentazione multimediale nella quale ha sintetizzato tutti i contenuti analizzati insieme e ha espresso i suoi giudizi personali.

Gli aspetti di forza dell’attività sono stati:

la possibilità di analizzare l’argomento da più punti di vista osservando materiali diversi (saggi e articoli di giornale, lettere, video, fonti materiali e iconografiche);

il continuo esercizio di comprensione del testo;

il confronto collettivo anche attraverso il resoconto di esperienze personali;

l’utilizzo degli strumenti informatici per reperire informazioni e ricostruire la geografia delle vicende.

 

Le criticità che ho riscontrato sono relative allo specifico contesto classe nel quale ho lavorato:

è stato necessario affiancare gli studenti in ogni fase del lavoro e quindi investire molto tempo per contestualizzare, spiegare, chiarire;

nonostante i numerosi stimoli proposti, alcuni studenti hanno fatto fatica a mettersi nei panni di chi ha una storia diversa dalla propria. D’altronde lo scrive anche Leogrande: «Ad apparirci spesso incomprensibili sono i frammenti di Storia, gli sconquassi sociali, le fratture globali che avvolgono le motivazioni individuali, fino a stritolare. Incomprensibili perché provengono letteralmente da “un altro modo”». [1]

 

Di seguito, la sintesi delle fasi del lavoro:

Come contenuto di innesco ho scelto un articolo pubblicato sulla rivista Internazionale a ottobre 2023 dal titolo Perché i naufragi nel Mediterraneo non fanno più notizia [2], nel quale l’autrice, prendendo come riferimento le stragi di Lampedusa (3 ottobre 2013), di Cutro (26 febbraio 2023) e di Pylos (14 giugno 2023), riflette sul modo distorto in cui reagiamo alle morti in mare.

Dopo aver letto l’articolo, ho girato alla classe la domanda che si pone la giornalista, ovvero: ci si può abituare al dolore degli altri? La risposta che è arrivata dai ragazzi è stata quasi automatica: sì, si può.

A questo punto è iniziato il nostro viaggio nell’argomento migrazioni.

Siamo partiti da una serie di attività legate al passato:

visita al Museo dell’emigrazione marchigiana di Recanati (AN) che presenta numerosi documenti materiali e audiovisivi dell'emigrazione marchigiana a cavallo tra Ottocento e Novecento;

ricostruzione, insieme all’insegnante di inglese, della storia di Antonio Meucci, un italiano costretto a emigrare in America, nonché l'inventore che dà il nome alla nostra scuola;;

ricerca, anche questa in collaborazione con l’insegnante di inglese, sull’isola di Ellis Island [3] che ha permesso anche di riflettere sui pregiudizi e sugli stereotipi con i quali gli expat italiani hanno dovuto fare i conti nel passato.

 

Piano piano ci siamo avvicinati al nostro presente:

intervista a conoscenti (familiari o amici) con esperienze migratorie e successiva condivisione delle storie in classe;

riflessione guidata sul lessico della migrazione: che differenza c’è tra le espressioni “migrante”, “clandestino”, “rifugiato”, “profugo” e quanto pesa l’accezione che l’opinione pubblica dà a queste parole [4];

visione del film Io capitano (M. Garrone, 2023) al cinema (attività organizzata dall’Istituto e condivisa con altre classi) e successivi momenti di approfondimento [5] anche attraverso la ricostruzione geografica del percorso dei giovani protagonisti attraverso My Maps;

focus sulla legislazione italiana: analisi dell’articolo 10 della Costituzione e, a seguire, lettura e commento di un articolo sul rinnovo del Memorandum Italia-Libia (febbraio 2023) [6].

 

Quest’ultima attività ci ha permesso di avviare la riflessione sulle azioni politiche attuate dall’Italia per affrontare le sfide legate alle migrazioni e di arrivare a formulare la fatidica domanda pensata in continuità con quella posta all’inizio del percorso: quanto siamo responsabili delle attuali migrazioni?

Per rispondere al quesito, ho finalmente introdotto il testo di Leogrande. Dopo una panoramica generale sul testo e sull’autore, abbiamo letto il capitolo 8 del saggio, che si intitola Fantasmi coloniali. Siamo partiti da una frase significativa: «Visto dalla riva nord del Mediterraneo, il colonialismo è un mostro riposto con cura nello sgabuzzino». [7]

Il capitolo ci ha permesso di ripercorrere in modo critico le vicende coloniali italiane, argomento che i ragazzi conoscevano già perché affrontato in storia all’inizio dell’anno. Nel dettaglio, Leogrande cita l’obelisco di Dogali, monumento situato ancora oggi a Roma, inaugurato il 5 giugno 1887 in occasione della festa dello Statuto albertino, che celebra i soldati, definiti “eroi”, morti nella battaglia di Dogali. Stiamo parlando di una delle prime azioni militari del colonialismo italiano nel Corno d’Africa, nello specifico in Eritrea, uno degli ultimi atti del governo Depretis. Si tratta dell’ennesimo monumento che dimostra quanto sia breve la nostra memoria storica: a pochi anni dai moti risorgimentali, i dominati di ieri volevano dominare su qualcun altro.

Ho chiesto alla classe di cercare online l’obelisco in questione. Nessuno di noi lo conosceva o si ricordava di averlo visto, nonostante i numerosi soggiorni a Roma. Lo stesso Leogrande, nel suo saggio, ammette di non averlo mai osservato attentamente e, una volta giunto al suo cospetto, rimane sorpreso dalla «totale indifferenza della gente che vi cammina o vi staziona attorno [...] Nessuna delle persone che si è arenata davanti ai leoni o alle lapidi sa qualcosa della storia del monumento, di ciò che commemora, di ciò che nega, di ciò che rimuove». [8]

Procedendo nella lettura del capitolo ci siamo imbattuti nella descrizione del penitenziario di Nocra, realizzato dagli italiani nel 1887 per imprigionare oppositori e detenuti politici. Leogrande racconta che sulle macerie dei lager italiani, rimasti in funzione fino al 1941, oggi sorgono le prigioni dalle quali scappano molti dei migranti che arrivano in Italia. Colpisce, ad esempio, che alcune delle torture praticate  nelle carceri eritree abbiano il nome italiano, come “ferro” per indicare le manette, oppure “otto” per descrivere la forma del corpo quando le braccia sono legate dietro la spalla. [9]

Abbiamo di nuovo cercato online alcuni dati che ci permettessero di comprendere la situazione attuale in Eritrea e abbiamo paragonato l’antico campo di concentramento di Nocra alle attuali prigioni libiche mostrate nel film Io capitano e descritte nelle cronache contemporanee.

In questa maniera siamo riusciti a chiudere il cerchio, comprendendo quanto la nostra storia sia legata a quella di chi scappa dal proprio Paese e quanto sia aleatoria la frontiera che, quotidianamente, erigiamo per definire la differenza tra “noi” e “loro”.

Scrive sempre Leogrande:

Come se la storia fosse un enorme banco da macellaio in cui si finiscono per riprodurre gesti, tic mentali, azioni, rituali già segnati dai vincitori di ieri. Come se ogni liberazione, alla fine, non conducesse ad altro che a impugnare un coltello e a stare dall’altra parte del banco. [...] L’odio è un sentimento mimetico. [10]

 

Il rischio è che anche l’empatia lo diventi, per questo è stato importante, per me, dedicare del tempo ad esercitarla.  

 

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[1] A. Leogrande, La frontiera, Milano, Feltrinelli, 2015, p. 14.

[2] A. Camilli, Perché i naufragi nel Mediterraneo non fanno più notizia, in «Internazionale», 3 ottobre 2023. Link all'articolo.

[3] Su Ellis island: Italiani verso le Americhe: l'emigrazione nei primi del '900, Rai Cultura, Il Tempo e la Storia, 30 maggio 2017 (Link al video); A. Sala, Ellis Island, l'isola degli immigrati, in «Storica National Geographic», 14 aprile 2023 (Link all'articolo); materiale in lingua inglese: Link al sito Ellis Island Foundation.

[4] Il sito dell’UNHCR offre alcuni spunti didattici, tra i quali segnalo la sezione: Insegnare il tema dei rifugiati / Le parole contano. Link kit di strumenti per gli insegnanti creato dall’UNHCR.

[5] “Io Capitano”, Mamadou che ha ispirato il film: “Prima si salvano le persone e poi si discute”, a cura di «Fanpage.it», 30 gennaio 2024. Link al video.

[6] Memorandum Italia-Libia: Roma aumenta i finanziamenti per respingere i migranti verso le galere di Tripoli, Khoms, Misurata, Bani Walid, in «La Repubblica», 2 febbraio 2023. Link all'articolo.

[7] A. Leogrande, La frontiera, cit., p. 80.

[8] A. Leogrande, La frontiera, ivi, pp. 83-84.

[9] A. Leogrande, La frontiera, ivi, pp. 85-87.

[10] A. Leogrande, La frontiera, ivi, p. 94.