Lucia Olini - La dolorosa storia di Tancredi e Clorinda

 

Lucia Olini

 

La dolorosa storia di Tancredi e Clorinda

 

 […]...nel fortissimo campo di tensioni che si è aperto nella cultura, nella letteratura, nella stessa vita politica e religiosa del Cinquecento Tasso si va come collocando al centro, nell'ansiosa ricerca di punti di equilibrio sottilissimi e difficili, la cui momentanea seppur luminosa conquista (il caso della Liberata appunto) lo costringerà a pagare, fra l'altro anche sul piano personale ed umano, prezzi altissimi.[1]

 

1. Attualizzare e storicizzare, un delicato equilibrio.

Affrontare in classe il poema sulla prima Crociata appare oggi una scelta difficile, per le implicanze molteplici che può generare l’inevitabile attualizzazione (pratica ormai familiare a molti studenti e spesso sollecitata), quando questa venga realizzata senza il necessario, contemporaneo, distanziamento. La prima operazione da compiere, cioè, è una corretta contestualizzazione storico-culturale, come per ogni opera letteraria, e come l’esperienza didattica ci ha abituati a fare sistematicamente. Tale storicizzazione rischia però, per l’opera del Tasso, di relegarla in una lontananza quasi incolmabile, per la sua appartenenza a un contesto ideologico ormai improponibile. Può venire in aiuto allora l’intertestualità, può soccorrere cioè fare appello all’intento tassiano di scrivere la nuova Eneide dell’Europa cristiana tardo-cinquecentesca, come il verso incipitario dichiara in modo inequivocabile[2]. Il poema del Tasso rivela, in questa luce virgiliana, lo spessore problematico e meditativo che si cela sotto l’intento celebrativo, che pure il poeta non disconosce.

Un altro aspetto dell’opera dal quale non prescindere per progettarne la lettura in classe è il suo carattere aperto: benché il testo che leggiamo sia in sostanza quello che lo scrittore ha concluso nel 1575 e rivisitato fino al 1577, la Gerusalemme liberata è un vero laboratorio, destinato a non risolversi mai, dal momento che mai il poeta è giunto a licenziare il lavoro con un imprimatur, se non con l’approdo alla Conquistata, che è opera del tutto diversa, nella quale le tensioni e le contraddizioni che percorrono la Liberata non trovano risoluzione ma vengono semplicemente obliterate. Ne dà conto, nella precisa ricostruzione delle vicende compositive, Corrado Bologna:

 

In tutti i sensi e lungo un asse diacronico esteso, dunque, la struttura testuale della Liberata è indefinitamente  aperta; anzi, a rigore di termini non esiste forse neppure un solo testo del poema in quanto ultimativa, indefettibile volontà d’autore: dal momento che mai il Tasso diede prova di ritenere compiuto il suo lavoro (tutto sommato neppure con quella dichiarazione, così poco perentoria, che nel 1575 accennava alla fine del lavoro, alla quale seguì infatti una ripresa immediata della riscrittura).[3]

 

E ancora:

 

La storia del libro che si svolge dopo la Liberata è, in realtà, storia d’un altro libro.[4] 

 

Il rovello creativo del Tasso si esplicita non solo nella sua inquieta ricerca poetica, ma anche nel bisogno ossessivo di giustificare la sua opera, di darne conto ai censori, e di illustrarne le ragioni negli scritti teorici. Già dalla metà degli anni Sessanta il poeta lavora ai Discorsi dell’arte poetica, indispensabili per capire il suo intento di rifondazione dell’epica moderna; la stesura e la revisione del poema sono testimoniate dalle numerose lettere, con le quali invia parti del testo ai revisori spiegandone lo sviluppo e il senso. In alcune di queste lettere è preannunciata anche una Allegoria del poema, che vedrà le stampe solo nell’edizione Bonnà che esce a Ferrara nel 1581, sulla quale si basano le edizioni moderne più affidabili[5]. Tale Allegoria conferisce alla struttura del poema un impianto platonico, secondo il quale l’esercito cristiano rappresenta l’animo umano e i tre principali guerrieri, Goffredo, Tancredi e Rinaldo, incarnano rispettivamente l’anima razionale, quella concupiscibile e quella irascibile. A questa configurazione corrisponde l’interpretazione stessa del poema come un cosmo unitario e leggibile, quella bellissima immagine del poema come «picciolo mondo» dipinta nel secondo dei Discorsi dell’Arte Poetica.[6]

La materia magmatica entro la quale il poeta vive il suo tormento trova quindi una felice sintesi nella combinazione, nel tessuto della Liberata, di unità e varietà, in quella unità mista che permette il verosimile anche in presenza del soprannaturale, di un soprannaturale, s’intende, rigorosamente incardinabile nelle categorie cristiane.[7]

 

2. La Gerusalemme liberata tra epica e romanzo. I personaggi alle soglie della modernità.

In questa unità nella varietà risiede il fascino che dà vita al poema e ai suoi personaggi, estraendoli dalla fissità epica e ponendoli in evoluzione: i personaggi del Tasso, quasi contagiati dalle inquietudini del loro autore, non restano ipostatizzati in un quadro stabile e rassicurante, ma, dotati di una vita sotterranea che a tratti si manifesta con prepotenza, esorbitano dall’ordine prestabilito del mondo, attraversano i confini che separano bene e male, cristiani e infedeli, e conquistano la psicologia contraddittoria della modernità romanzesca. Nel momento in cui il Tasso si ingegna per ridare al mondo ricondotto all’ordine dalla Controriforma una rinnovata voce epica, apre la strada anche alla dissoluzione dell’epica stessa, che verrà poi ricomposta in quell’opera imponente ma illeggibile che l’autore vorrà consegnare ai lettori come definitiva.

Sul piano della fruizione didattica quindi la strada praticabile per rendere interessante la lettura del testo mi pare quella della selezione, all’interno di esso, delle vicende individuali, variamente intrecciate. Ciò implica anche la scelta di una curvatura tematica, in quanto molti dei personaggi acquistano vita e si animano quando, nel mezzo della Crociata, incontrano l’Amore, pietra d’inciampo rispetto alla dedizione epica alla causa bellica, ma anche elemento strutturante della complessa tessitura semantica del testo, come sottolinea Gian Mario Anselmi:

 

Aspetto cardine dell’utopia tassiana, che colloca éros al centro di un discorso altro rispetto al mondo del perenne confligere: anche éros, però, nasce e si sviluppa come conflitto, come opposizione, è esso stesso la cartina di tornasole che fa emergere le lacerazioni che dividono, fin nella loro intimità soggettiva, i vari personaggi.[8]

 

Il caso forse più affascinante è quello di Tancredi, non solo per il suo destino di amante infelice così dolorosamente segnato da un esito tragico, ma anche per le relazioni entro le quali si snoda il suo percorso. La vicenda di Tancredi è inoltre emblematica di una singolare circostanza, che nella Liberata ricorre nella storia di entrambi gli eroi principali dell’esercito cristiano: sia Tancredi che Rinaldo, infatti, amano o sono amati da donne che appartengono al campo avverso,[9] quasi a dimostrazione che l’amore è terreno dinamico, sul quale si generano conflitti profondi. È Amore insomma che conferisce un viatico verso la modernità ai personaggi tassiani:

 

Ma in quella frontiera d’Amore ogni distinzione perde il senso contingente, si spalanca l’abisso delle intermittenze del cuore, si dipana la storia della mutazione profonda delle coscienze. Per la prima volta, superando in ciò lo stesso modello virgiliano, i personaggi di un poema eroico hanno una compiuta vita interiore, si modificano, sono a tutto tondo: anche in questo Tasso, pur nel solco del poema eroico, ne va dissolvendo gli statuti fondanti, aprendo la strada che conduce per un verso al melodramma e per l’altro alla moderna narrativa.[10]

 

Un’ultima considerazione prima di entrare nel vivo del lavoro sul testo: ogni grande opera letteraria offre varie porte di ingresso, compito del docente, anche per fronteggiare la frammentazione antologica, è trovare dei percorsi che, pur attraverso letture di minime porzioni, possano restituire un’idea dell’opera nel suo complesso. Seguire la vicenda di un personaggio, e di Tancredi in particolare, può fornire delle chiavi di accesso efficaci a farsi almeno un’idea di che cosa sia la Gerusalemme liberata.

 

3. Tancredi e Clorinda: una prima ricognizione

Il lavoro si può articolare in varie successive tappe, con compiti da assegnare all’intera classe o a gruppi. Innanzitutto è necessario raccogliere lungo il testo del poema tutte le occorrenze dei personaggi di Tancredi e Clorinda. Tale compito può essere affidato agli studenti: l’utilizzo di comuni strumenti digitali rende l’operazione molto semplice.[11] 

Il quadro d’insieme rivela che Tancredi e Clorinda campeggiano nella prima parte del testo; nel canto XII Clorinda esce di scena morendo; la vicenda però ha un epilogo fondamentale nel XIII, il canto nel quale Tancredi sfida gli incanti diabolici della foresta di Saron e ne esce sconfitto. Dopo il canto XIII il primo piano viene occupato da altri e vediamo riapparire Tancredi solo verso la fine del poema, quando ormai la guerra si sta concludendo con la vittoria dei cristiani: Tancredi a quel punto ritorna perché a lui spetta il compito di  uccidere in duello Argante.

Prima di affrontare la rilevanza dei canti XII e XIII nella vicenda di Tancredi e Clorinda, varrà la pena far presente agli studenti che il Tasso stesso attribuisce al canto XIII una centralità, ma rispetto all’intera vicenda del poema, circostanza che, se pure non è direttamente connessa con la storia dei due personaggi, merita attenzione. Nella lettera con la quale accompagna la spedizione a Scipione Gonzaga del canto X, il 27 aprile 1575, Tasso così precisa:

 

Voglio però che sappia, che questa è più tosto metà del quanto, che de la favola; perch’il mezzo veramente de la favola è nel terzodecimo, perché sin a quello le cose de’ cristiani vanno peggiorando: son mal trattati ne l’assalto; vi è ferito il capitano; è poi arsa la lor machina, ch’era quella che sola spaventava gli nemici; incantato il bosco, che non se ne possono far de l’altre: e sono in ultimo afflitti da l’ardore de la stagione, e da la penuria de l’acque, e impediti d’ogni operazione. Ma nel mezzo del terzodecimo le cose cominciano a rivoltarsi in meglio: viene, per grazia di Dio, a’ prieghi di Goffredo la pioggia; e così di mano in mano tutte le cose succedono prospere.[12]

 

Il canto XIII dunque è la vera chiave di volta di tutta la storia che, non va dimenticato, ricostruisce una guerra nella quale si affrontano non solo gli eserciti degli uomini, ma anche le potenze soprannaturali del cielo e dell’inferno.[13]

Acquisite le coordinate della vicenda, il lavoro didattico può procedere dividendo la classe a gruppi e assegnando a ognuno di essi un diverso compito di approfondimento. Si potrà investigare, soffermandosi sulle tappe cruciali della storia tragica, la natura dei due personaggi, e si potrà poi mettere il testo a confronto con importanti rielaborazioni pittoriche e musicali che ne sono state date. 

 

 

4. Clorinda: la scoperta della propria identità.

Un gruppo potrà dedicarsi all’indagine del personaggio di Clorinda. Se Clorinda sembra riproporre, al suo primo apparire, l’antico tòpos della donna guerriera, personaggio presente nella letteratura già nell’antichità, dal mito delle Amazzoni[14] alla virgiliana Camilla, il Tasso, sin dalla prima comparsa, contrassegna la sua eroina con la marca dell’ambiguità tra l’essere e l’apparire:

     

 Mentre sono in tal rischio, ecco un guerriero

      (ché tal parea) d'alta sembianza e degna;

      e mostra, d'arme e d'abito straniero,

      che di lontan peregrinando vegna.

      La tigre, che su l'elmo ha per cimiero,

      tutti gli occhi a sé trae, famosa insegna.

      insegna usata da Clorinda in guerra;

      onde la credon lei, né 'l creder erra.[15]

 

Clorinda non è ciò che appare. Se ogni personaggio incarna anche un tema, quello di Clorinda è l’identità.[16] In più circostanze questo viene fatto capire al lettore, fino all’acme nel canto XII, quando la guerriera giunge alla morte, che, ricollocandola nel mondo dal quale proveniva, ne suggella la salvezza e sublima l’amore di Tancredi in una dimensione spirituale.

Come per ogni eroe che si rispetti, anche per Clorinda l’emblema identitario sono le armi; prolettica di un esito funesto è dunque la sua scelta di indossare, per compiere insieme ad Argante l’impresa notturna fuori da Gerusalemme, non la propria armatura, bianca e dunque troppo visibile, ma una funesta armatura nera.[17] La preparazione dell’impresa vede aumentare l’angoscia di Arsete, l’eunuco che ha cresciuto Clorinda e la ama come un padre; infine, in un ultimo disperato tentativo di dissuaderla dalla pericolosa sortita, egli le rivela quanto le aveva fino a quel momento tenuto nascosto.[18] Clorinda così scopre non solo di essere figlia di genitori cristiani, ma anche di essere figlia bianca di genitori neri: l’ambiguità e il conflitto di appartenenze sono dunque segnacolo distintivo del personaggio, che trova esplicita evidenza semantica nella ‘esclusione’ che lascia Clorinda, nel caos seguito all’incendio della torre, fuori da Gerusalemme: l’esclusione dalla Città Santa ancora nelle mani degli infedeli prelude al suo rientro nel mondo cristiano attraverso il battesimo, con il quale Tancredi «a dar si volse / vita con l’acqua a chi co’l ferro uccise».[19]

Il lavoro puntuale sul testo dovrebbe condurre gli studenti a raccogliere tutte le evidenze che manifestano la rilevanza del tema identitario nella caratterizzazione del personaggio, così come a individuare gli aspetti di ambiguità insiti nella scrittura tassiana, nella quale spesso il non detto è più significativo di quanto viene esplicitato; la indagine sul personaggio di Clorinda è l’occasione dunque per affinare le capacità interpretative attraverso un esercizio di lettura attenta alla dimensione connotativa del linguaggio.[20]

 

5. Tancredi: l’emergere perturbante dei fantasmi interiori

Un altro gruppo potrebbe concentrarsi su Tancredi, e in particolare sul canto XIII, del quale si è già sottolineata la funzione strutturale imprescindibile. La vicenda di Tancredi qui si misura con un altro tòpos tradizionale, anch’esso trattato dal Tasso con originalità, benché nel testo vengano intessuti raffinati richiami intertestuali, a Virgilio e a Dante innanzitutto. Si tratta del tòpos della selva, luogo di smarrimento e di mistero. La penetrazione di Tancredi nella selva di Saron incantata dal mago Ismeno avviene attraverso tre passaggi: inizialmente egli, nonostante «il fero aspetto e ‘l gran romor del tuono e del tremoto», vince la trepidazione e «trapassa» (XIII, 33), a questo punto si apre davanti ai suoi occhi improvvisamente «la città del foco», che esplicita la natura infernale della selva. Tasso dà voce al discorso interiore di Tancredi di fronte a questo spettacolo: il paladino esita, si rende conto di dover fronteggiare ostacoli di fronte ai quali poco valgono le armi, tuttavia la responsabilità verso il suo esercito prevale e così balza dentro al fuoco («dentro saltovvi», ott. 35); il fuoco si dissolve, sostituito da nuvole e oscurità, che però immediatamente si dileguano. A quel punto Tancredi «mette securo il piè ne le profane soglie» (ott. 37) e inizia ad esplorare la selva. Sembra dunque avere la meglio sugli incanti, ma quando giunge in una radura circolare al centro della quale si trova un imponente cipresso, inizia un’altra fase: il cipresso porta impressi dei versi che diffidano il visitatore dal violare la tranquillità dei morti. Tancredi, già turbato dall’atmosfera inquietante, alla fine tenta di dissolvere gli incanti colpendo l’albero con la spada; l’albero sanguina e dalla corteccia offesa esce una voce, che si palesa come quella di Clorinda e lamenta la violenza con la quale il guerriero infierisce nuovamente anche sul misero tronco nel quale la morte l’ha rinchiusa: «Dopo la morte gli aversari tuoi, crudel, ne' lor sepolcri offender vuoi?» (XIII, 42). A questo punto Tancredi «va fuor di sé», cede e abbandona la selva sconfitto.

La semplice ricostruzione della vicenda, per quanto accurata, non esaurisce l’interrogazione del testo, scopo del lavoro didattico; gli studenti dovranno chiedersi qual è il significato della selva, di questa selva. Per capirlo è importante tener presente che essa si presenta diversa a ognuno dei guerrieri che tentano di espugnarla: l’esperienza della selva risulta per tutti un incubo che dà voce ai personali fantasmi interiori. E dunque in Tancredi, ancora «fievole in amore», la selva fa riemergere il trauma appena consumatosi e per niente affatto risolto:

     

      Cosí quel contra morte audace core

      nulla forma turbò d'alto spavento,

      ma lui che solo è fievole in amore

      falsa imago deluse e van lamento.

      Il suo caduto ferro intanto fore

      portò del bosco impetuoso vento,

      sí che vinto partissi; e in su la strada

      ritrovò poscia e ripigliò la spada.[21]

 

«Il meraviglioso – ha scritto Ezio Raimondi- sgorga dai labirinti della coscienza, dalla funzione simbolica della topologia onirica dell’evento».[22] La selva del canto XIII si configura dunque, ben prima della nascita della psicoanalisi, come fotografia del caos della psiche, come perturbante oggettivazione dei terrori dell’inconscio.[23]

L’analisi dell’esperienza di Tancredi nel canto XIII fornisce un’ulteriore conferma della centralità strutturale del canto, in una relazione ambivalente con il modello virgiliano e cioè con la catabasi di Enea del VI libro:

 

[…] l’avventura dei crociati nella foresta della magia diabolica equivale a una discesa agli inferi, tanto più significativa allorché la si confronta con quella di Enea di cui vuole essere una trasposizione. Ma il rito iniziatico dell’Eneide comporta un processo di rinnovamento che giunge al suo termine, nella terra degli Elisi, dopo un ciclo di prove della coscienza infelice, mentre nella Gerusalemme l’iniziazione s’arresta, l’ostacolo non viene superato: prevale il disordine e l’impuro, che solo Rinaldo potrà rimuovere più tardi.[24]

 

6. Clorinda e Tancredi nella pittura e nella musica.

Un altro gruppo potrà dedicarsi ad alcune intersezioni di grande suggestione. La Gerusalemme liberata sin dai primi anni della sua diffusione ha dato luogo a innumerevoli trasposizioni pittoriche. Il gusto scenografico, la sensibilità drammatica e la singolare capacità del poeta di rappresentazione visiva hanno reso l'opera una fonte inesauribile di ispirazione per gli artisti figurativi.

Suggerisco solo qualche spunto, da integrare con l’eventuale collaborazione di docenti di arte.

La tragica vicenda di Tancredi e Clorinda è stata resa in immagini, tra gli altri, da Domenico Tintoretto.[25]

Interessante è anche lo studio delle incisioni realizzate da Bernardo Castello per l’edizione illustrata della Gerusalemme liberata pubblicata a Genova da Girolamo Bartoli nel 1590.[26]

Oltre alla pittura, anche la musica ha trovato ispirazione nel poema tassiano. Imprescindibile è l’opera di Claudio Monteverdi, che, oltre agli altri testi, musicò nel 1624 a Venezia il Combattimento di Tancredi e Clorinda.[27] Nel madrigale di Monteverdi la musica offre un’interpretazione sorprendente e raffinata del testo: consigliabile potrebbe essere, laddove sia possibile, anche l’osservazione della partitura, dalla quale si evince la cura con la quale il musicista restituisce attraverso il suo linguaggio il ritmo e l’intensità drammatica del testo poetico.

Un’interpretazione molto suggestiva del Combattimento di Tancredi e Clorinda si può ascoltare nell’album Beyond the sea,  prodotto nel 2009 dal gruppo musicale interculturale dei Radiodervish.

 

7. Conclusione

Se la vicenda tragica di Tancredi e Clorinda possiede una sua compiuta autonomia, confermata dagli echi che ha avuto e continua ad avere anche al di fuori dei confini della letteratura, essa si àncora in profondità nel tessuto semantico del poema, fornendo un esempio emblematico della duplice dimensione della scrittura tassiana, che innesta sul percorso narrativo orizzontale e prevedibile (per lo meno relativamente alla vicenda storica della Crociata) degli affondi problematici che mettono in crisi una lettura in chiave edificante e ideologicamente determinata. Sotto le ottave del poema sembra scorrere un secondo testo, la cui forza dirompente si accampa nei meandri della coscienza, nelle alchimie misteriose dei sentimenti. L’ortodossa celebrazione della guerra santa, nel fervore che accompagna la vittoria di Lepanto, trova un controcanto in questa dimensione sotterranea, che affiora a tratti come un richiamo dal fascino ancora irresistibile per un lettore pensoso, che voglia lasciarsi sedurre dagli incanti della letteratura: 

 

Il conflitto bellico centrale, tra Cristiani e Pagani, rinvia per un verso a un conflitto cosmico, tra forze celesti e infernali e per l'altro a un vero e proprio conflitto antropologico tra eroi ed eroine dalla diversa "natura" fino a profonde lacerazioni psicologiche che segnano irrimediabilmente i singoli protagonisti nella loro stessa anima. E in questa rete si collocano ulteriori giochi di "opposizioni", tra Città e Selva, ad esempio, tra Ragione e Labirinto, tra Fede e Piacere, tra Magia nera e Magia bianca.[28]

 

 

27 aprile 2021

 



[1] G. M. Anselmi, Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, Le opere, II. Dal Cinquecento al Settecento, Torino, Einaudi, 1993, p. 630.

[2] «Certo, non si può intendere e interpretare la tecnica compositiva della Gerusalemme, con la sua interna tessitura drammatica, se non si ha presente il dialogo, sottile e tenace, che essa intrattiene con l’universo verbale dell’Eneide. Il lettore a cui si appella la voce epica moderna sdoppiando attraverso di lui la propria immagine è in primo luogo un lettore virgiliano in possesso di un codice bilingue per poter percepire questa dialettica intertestuale del simile e del diverso e per ricavarne alla fine un nuovo significato, cioè un complesso di connotazioni che appartengono al dizionario delle forme e delle loro implicite valenze culturali. Poema della maturità, dell’espressione comprensiva, secondo il fervido giudizio di T. S. Eliot, l’Eneide offre una tastiera ricchissima di combinazioni e di rapporti strutturali, con valori diversi ma coesistenti, specie a chi come il Tasso ammira ed esplora da scrittore l’"arte perfetta” di Virgilio», E. Raimondi, Poesia come retorica, Firenze, Olschki, 1980, p. 86. Raimondi, individuando nella tessitura strutturale del poema tassiano un’intersezione tra modello epico e modello tragico, ricostruisce l’importanza del sottotesto virgiliano.

[3] C. Bologna, Rime d’amore, «epos» cristiano, censura, follia: il «caso» Tasso, in Tradizione testuale e fortuna dei classici, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, VI, Teatro, musica, tradizione dei classici, Torino, Einaudi, 1986, p. 729.

[4] Ibidem.

[5] La tormentata vicenda editoriale è ricostruita da G. M. Anselmi in Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, cit., pp. 631 e ss.

[6] «…giudico che da eccellente poeta (il quale non per altro divino è detto se non perché, al supremo Artefice nelle sue operazioni assomigliandosi, della sua divinità viene a partecipare) un poema formar si possa nel quale, quasi in un picciolo mondo, qui si leggano ordinanze d’eserciti, qui battaglie terrestri e navali, qui espugnazioni di città, scaramucce e duelli, qui giostre, qui descrizioni di fame e di sete, qui tempeste, qui incendii, qui prodigii; là si trovino concilii celesti ed infernali, là si  veggiano sedizioni, là discordie, là errori, là venture, là incanti, là opere di crudeltà, di audacia, di cortesia, di generosità; là avvenimenti d’amore, or felici or infelici, or lieti or compassionevoli; ma che nondimeno uno sia il poema che tanta varietà di materie contegna, una la forma e la favola sua, e che tutte queste cose siano di maniera composte che l’una l’altra riguardi, l’una a l’altra corrisponda, l’una da l’altra o necessariamente o verisimilmente dependa: sì che una sola parte o tolta via o mutata di sito, il tutto ruini.», Discorsi dell’Arte Poetica, a cura di E. Mazzali, Torino, Einaudi- Ricciardi, 1977, pp. 41-42.

[7] Uno studio del meraviglioso tassiano, al bivio tra tradizione romanzesca, recupero dei classici, e istanze controriformistiche, è offerto da G. Baldassarri, «Inferno» e «cielo». Tipologia e funzione del  «meraviglioso» nella  «Liberata», Roma, Bulzoni, 1977.

[8] G. M. Anselmi, Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, cit., p. 646. Il Leopardi, fine lettore del Tasso, in una nota pagina dello Zibaldone, dopo aver disquisito dei personaggi omerici, così scrive a proposito di Goffredo: «Da questi discorsi si raccoglie essere un sostanziale e capitale (benchè non avvertito) difetto della Gerusalemme, che il suo principale Eroe, o quello che tale doveva essere, non solamente non riesca per niuna parte amabile, ma il suo carattere e le sue azioni sieno state espressamente delineate e composte in modo ch’ei non dovesse riuscire amabile, o senza l’intenzione di renderlo tale; essendosi il Tasso contentato di farlo ammirabile e fra tutti sommamente (insieme con Rinaldo) stimabile, e straordinario per qualità solamente stimabili»; Goffredo, simile a Ulisse, appare al Leopardi «un uomo incapace affatto di passioni, privo affatto d’illusioni, tutto ragione, austerissimo ne’ costumi, nelle azioni, nella disciplina militare o civile o privata ec. nelle [3604] massime di morale, di condotta ec. austero verso se e verso gli altri, verso i soggetti ec. irreprensibile in ogni cosa, grave, malinconico, e quasi tristo e accigliato ec. ec. Non so, dico, se il lettore della Gerusalemme lasci di concepire nel suo secreto, se non odio, pure una certa mal conosciuta, mal distinta, non confessata alienazion d’animo ed avversione per Goffredo», Zibaldone di pensieri, a cura di G. Pacella, Milano, Garzanti, 1991, vol. secondo, p. 1883.

[9] Tancredi, come è noto, si trova al vertice di un triangolo amoroso, disperatamente innamorato di Clorinda e vanamente amato da Erminia; Rinaldo è vittima della seduzione di Armida, la relazione con la quale nella Liberata, dopo la ‘purificazione’ dagli incanti di matrice diabolica, giunge a un esito felice.

[10]  G. M. Anselmi, Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, cit., p. 647.

[11]  Questa prima ricognizione potrebbe essere assegnata a tutta la classe, in modo che tutti gli studenti si facciano un quadro completo della vicenda dei due personaggi. Schematicamente queste sono le tappe delle comparse in scena di Tancredi e Clorinda:

-   il guerriero, già preda del suo «vano amor», appare nel primo canto, all’ott. 9, quando Dio volge il suo sguardo al campo cristiano; la Crociata è iniziata da sei anni, e le operazioni militari sono in stallo;

-   ancora nel primo canto (ott. 45-49), tutti i guerrieri cristiani sono poi passati in rassegna quando l’esercito si appresta a raggiungere Gerusalemme: qui si narra l’origine del vano amore di Tancredi;

-   Clorinda appare per la prima volta nel secondo canto (ott. 38-46), mentre in Gerusalemme stanno per essere giustiziati Olindo e Sofronia; Clorinda chiede ed ottiene per loro la grazia dal re Aladino;

-   nel III canto (ott. 21-28) Clorinda e Tancredi si affrontano in duello; quando la guerriera perde l’elmo che occultava la sua identità Tancredi resta impietrito; propone alla amata-nemica un singolare patto, ma l’arrivo intempestivo di un drappello di soldati interrompe il dialogo; uno dei guerrieri cristiani sopraggiunti ferisce poi Clorinda, provocando l’ira incontenibile di Tancredi;

-   nel VI canto (ott. 26-27) Argante sfida a duello i cristiani, Tancredi viene designato per affrontare l’infedele. Ma, mentre si avvicina al campo di battaglia, vede improvvisamente in posizione defilata Clorinda. Egli sembra quasi dimenticare il Circasso e la battaglia che lo attende;

-   Argante si spazientisce, e un altro guerriero cristiano, Ottone, risponde al suo richiamo e inizia la battaglia. Tancredi, punto nell’onore, vuole recuperare il suo ruolo, ma Ottone non rinuncia alla battaglia. Quando però Argante si appresta a finirlo oltraggiando ogni consuetudine di cortesia, Tancredi interviene in preda al furore e inizia una terribile battaglia, che viene interrotta, con cruccio di entrambi, al sopraggiungere della notte. Così si lasciano con la promessa di riprendere l’indomani. Interviene però l’episodio di Erminia (canto VI), che esce dalla città indossando le armi di Clorinda, per recarsi a curare Tancredi ferito. Viene vista da un drappello di cristiani che la incalzano. Tancredi stesso, informato del fatto, si muove per cercar di raggiungere la falsa Clorinda, viene così fatto prigioniero nel castello di Armida (canto VII), dove, impossibilitato a tornare ai suoi compiti, si rammarica punto da onore ed amore (VIII, 50);

-   i cavalieri prigionieri di Armida vengono liberati da Rinaldo (canto X) e tornano al campo;

-   riprendono i combattimenti. Argante e Clorinda ottengono dal re Aladino il permesso di organizzare una sortita notturna per incendiare la torre d’assedio dei cristiani (XII, 1-6);

-   per compiere l’impresa, Clorinda non indossa le sue consuete armi, ma un’insolita armatura nera. Arsete, l’eunuco che accompagna Clorinda e che l’ha cresciuta con amore paterno, ha avuto presagi funesti, e non vorrebbe che la guerriera intraprendesse quella sortita. Per dissuaderla le racconta la storia della sua nascita, fino a quel momento rimasta celata a Clorinda (XII, 18-40);

-   Argante e Clorinda escono da Gerusalemme per compiere l’impresa; quando ritornano verso la città incalzati dai cristiani, Argante riesce a rientrare, mentre Clorinda resta fuori (XII, 42-48);

-   a questo punto arriva il grande duello con Tancredi, uno degli episodi culminanti dell’intero poema (XII, 51-64). Dopo aver inconsapevolmente ferito a morte l’amata, Tancredi, su richiesta della guerriera, la battezza, e Clorinda muore (XII,  65-69); Tancredi, «in sé mal vivo e morto in lei ch’è morta», viene salvato dall’arrivo, casuale, di un drappello di guerrieri cristiani che lo riportano nel campo, rinviene e si dispera per la tragedia irreparabile che ha ormai segnato la sua vita; parlando a se stesso si rammarica di essere rimasto in vita; distrutto dal dolore, cade in una profonda prostrazione, dalla quale tentano di sollevarlo le parole di Piero l’Eremita; Clorinda gli appare in sogno, «di stellata veste cinta», e lo consola; egli infine fa costruire all’amata un sepolcro degno (XII, 70-99);

-   dopo lungo travaglio Tancredi si desta consolato e si lascia curare; visita poi assiduamente la tomba dell’amata e si augura di essere presto seppellito con lei. L’andamento del testo sembra promettere un ritorno di Tancredi alla sua precedente vita, attraverso un lento ma graduale processo di rassegnazione, addolcito da pensieri edificanti.  Ma le cose non sono così semplici: nel canto XIII Goffredo manda i guerrieri cristiani a tentare di espugnare la selva di Saron, che il mago Ismeno ha incantato, per impedire ai cristiani di accedervi e dunque di procurarsi il legname per ricostruire le macchine belliche. Nessuno però riesce nell’impresa. Viene infine il turno di Tancredi, che sfida gli incanti della selva, riuscendo a penetrarne le zone più esterne (XIII, 32-40), quasi la scorza di un involucro, al cui cuore lo attende però uno sconvolgente incontro con il regno dei morti: la voce di Clorinda, che dall’oltretomba si fa sentire quando Tancredi colpisce un cipresso isolato al centro di una radura, atterrisce il paladino, che, pieno di sgomento, «va fuor di sé»;  si ritira e riferisce al pio Goffredo il fallimento (XIII, 41-49);

-   dopo la inquietante avventura nella selva incantata, Tancredi esce di scena fino al canto XVIII, riappare cioè quando si avvicina la conclusione della guerra e, nel canto XIX, chiude la partita con Argante, uccidendolo in duello (ott. 26), e portando a termine così la sua specifica missione; nel canto XIX riappare Erminia, che insieme a Vafrino cura Tancredi ferito; troviamo da ultimo Tancredi convalescente dentro la città ormai in mano dei cristiani nel canto XX.

[12]  Le lettere di Torquato Tasso disposte per ordine di tempo e illustrate da Cesare Guasti, Firenze, Le Monnier, 1854-55, I, p. 68.

[13]  Sulla rilevanza di questa asimmetria insiste Ezio Raimondi, che analizza con singolare acutezza la semantica strutturale del poema, mettendone a confronto la partitura, oltre che con quella dell’Eneide, anche con i cinque atti di una tragedia, e dando rilievo a questo decentramento: «Per riconoscimento […] dello stesso scrittore il centro della Gerusalemme coincide con il canto tredicesimo, al di fuori del punto mediano del testo, che comporterebbe invece due parti eguali di dieci unità ciascuna. Proprio perché viene espressamente segnalata, la divergenza deve essere importante sotto l’aspetto strutturale, e infatti essa presuppone una simmetria soppressa e trasgredita, con un confronto da parte del lettore tra una misura prevista e una funzione realizzata secondo un altro tempo. La sequenza asimmetrica produce allora una tensione e uno sforzo mentre lo squilibrio viene risolto da un movimento a sorpresa. […] resta ancora da dire che il principio dinamico della simmetria deformata, e se si preferisce, della sprezzatura architettonica, si afferma anche all’interno del canto tredicesimo, dal momento che la transizione dal negativo al positivo, dai ‘chiostri de la morte’ al ‘refrigerio’ della pioggia, ha luogo tra le ottave 70 e 72, che determinano di nuovo, dislocate come sono verso la fine, due quadri a tempi discordi, l’uno lento, diffuso, l’altro veloce, contratto al modo di un allegro», E. Raimondi, Poesia come retorica, cit., pp. 90-91.

[14] Sul tema La guerra delle donne, in relazione al proprio romanzo Limbo, ma a partire dal mito delle Amazzoni, segnalo l’intervento di Melania Mazzucco al Festival del classico il 28 novembre 2020.

[15] Gerusalemme liberata, II, 38.

[16] Va detto per completezza che il tema dell’identità e della natura ambigua o ancipite dei personaggi non è limitato alla sola Clorinda, ma riguarda anche l’altra protagonista femminile che si relaziona con Rinaldo, e cioè Armida, la cui doppia identità, di maga e/o di donna, si risolve, a causa dell’inaspettata lacerazione amorosa, con un abbandono del mondo stregonesco infernale.

[17] La questione dell’armatura acquista rilevanza anche nell’episodio dell’uscita di Erminia da Gerusalemme alla ricerca di Tancredi nel canto VI. Erminia, per poter, uscire dalla città, indossa le armi di Clorinda. Questo travestimento genera l’equivoco a causa del quale Tancredi, inseguendo la falsa Clorinda, viene fatto prigioniero da Armida.

[18]  Gerusalemme liberata, XII, 18-40.

[19] Gerusalemme liberata, XII, 68.

[20] Non è sfuggito agli studiosi, in tutto l’episodio, il processo di sublimazione dell’éros che il Tasso lascia emergere dalle ambivalenze del linguaggio: valga ad esempio emblematico la «trafitta vergine» dell’ott. 65.

[21] Gerusalemme liberata, XIII, 46. Non è certo casuale che a sgominare gli incanti della selva sia destinato Rinaldo, ma solo quando avrà completato il suo percorso di fortificazione interiore, tanto che saprà riconoscere l’inganno dell’ombra di Armida che pure a lui si presenterà (XVIII, 19-38).

[22] E. Raimondi, Poesia come retorica, cit., p. 108.

[23] «Il lettore moderno, giunto davanti a Tasso, è come se  riconoscesse un orizzonte familiare, come se  avvertisse la presenza di un mondo nuovo, e questo mondo in larga misura gli risultasse il proprio. Con la personalità tassesca la psiche erompe sulla scena, conquistando il primo piano», R.Luperini, P. Cataldi, L. Marchiani, La scrittura e l'interpretazione, Palermo, Palumbo, 1997, 3, p. 90.

[24] E. Raimondi, Poesia come retorica, cit., p. 111. Una conferma della funzione strategica dell’Eneide (e non solo) nella costruzione di questo canto, anche da G. Baldassarri: «Era soprattutto disponibile nel Tasso, sia pure sotto la garanzia della definizione ideologica e “verosimile” insieme di un illusionismo di matrice diabolica, alla riproposizione, nel grande episodio del XIII della Liberata, del tema della morte e del sangue, della selva piena di orrendi prodigi: un luogo innaturale di incontro fra i vivi e i morti, una sorta di non volontaria e temuta nékuia dove al descensus si sostituisce la direzione orizzontale, ma non meno inquietante, dell’“addentrarsi”; dove infine il recupero virgiliano-dantesco del portento della pianta che parla e versa sangue […] pare avvenire in una dimensione essa stessa patetico-orrorosa che legge, qui come altrove, Virgilio alla luce dei poemi post-virgiliani, offrendo una metafora unitaria, anche se per ragioni ideologiche provvisoria in termini strutturali, della vita e della morte e insomma del tema dell’amore e della guerra, che nel sangue, nella morte e nella sconfitta trovano qui il loro punto di giunzione», Il sonno di Zeus. Sperimentazione narrativa del poema rinascimentale e tradizione omerica, Roma, Bulzoni, 1982, p. 57.

[25] Tancredi battezza Clorinda, olio su tela del 1585, custodito presso il Museum of Fine Arts di Houston

[26] Molte immagini sono facilmente reperibili in rete.

[27] Anche di quest’opera sono reperibili molte esecuzioni in rete, non sono necessarie indicazioni precise, ma andrà lasciata agli studenti la ricerca, accompagnata, se mai, da un confronto di diverse interpretazioni anche sceniche.

[28]  G. M. Anselmi, Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, cit., p. 636.