Gianpaolo Missorini - Rosella Postorino, Mi limitavo ad amare te

 

Indichiamo come possibile testo di lettura in classe un recente romanzo di Rosella Postorino, secondo classificato allo “Strega” del 2023, che può offrire importanti spunti di riflessione e agganci al presente (l’orizzonte tragico della guerra Russo-Ucraina) e stimolare coscienza e consapevolezza, con gli strumenti dell’identificazione e dell’empatia – che sono la grande risorsa del racconto letterario.

Quando la guerra incrocia la grande narrativa, quello che ne deriva è un’opera struggente, un dialogo a quattro voci sul tema del male e dell’abbandono. La Storia attraversa le nostre vite, le travolge e le cambia radicalmente, l’unica soluzione diviene allora trovare conforto e solidarietà in coloro che hanno vissuto le nostre stesse sventure. È quello che fanno i protagonisti dell’ultimo romanzo di Rosella Postorino, un’analisi straziante e impietosa delle guerre della ex Yugoslavia negli anni Novanta del secolo scorso.

 

Mi limitavo ad amare te (Feltrinelli, 2023) è la storia di quattro bambini serbi, che a causa della guerra sono costretti ad abbandonare la propria patria e le rispettive famiglie per giungere in Italia, in cerca di una nuova vita. Senadin (Sen) è il personaggio che più di tutti desidera voltare pagina, accettando a braccia aperte i genitori adottivi, Mari e Matte, e sposandone pienamente ideali e principi. Il fratello minore, Omar, è invece legato alla madre biologica in modo viscerale. E’ convinto che sia ancora viva e che prima o poi si ricongiungeranno. Per questo non comprende la “passività” e la resa di Sen di fronte alla famiglia adottiva e alle istituzioni italiane, con la quale invece lui tende a scontrarsi in modo brusco, senza cercare un dialogo. È segretamente innamorato di Nada, un’altra bambina fuggita da Sarajevo, separata dall’amato fratello maggiore Ivo, coscritto in guerra. Nada, tuttavia, prova qualcosa di più forte, e di non ricambiato, per Danilo, ragazzo di quattordici anni, molto maturo per la sua età, costretto anche lui a separarsi dalla madre Azra, dal padre e soprattutto dalla sorellina Jagoda. I quattro arrivano insieme in Italia, tuttavia Danilo rimane a Rimini, mentre Sen, Omar e Nada vengono trasferiti a Monza. Dopo alcuni anni, i due fratelli vengono adottati, mentre Nada continua la sua vita all’orfanotrofio delle suore, sempre in contatto con Danilo e Omar. Gli anni passano e mentre Sen diventa sempre più un figlio “modello”, tanto più Omar sente di non appartenere a quel mondo, desiderando solo riabbracciare la madre e Sarajevo.

Danilo cresce e studia giurisprudenza a Bologna, diventando avvocato al fine di battersi per i diritti degli orfani di guerra e per la ricerca delle loro famiglie in Serbia. Presto rincontrerà Nada, con la quale vivrà un’intensa ma breve storia d’amore, interrotta da un soggiorno ‘Erasmus’ di lei a Vienna. Nada è sempre più sola, ha un figlio, Nino, avuto da Danilo, ma ha preferito tenere il giovane all’oscuro della paternità. Ha sfruttato la sua dote nel disegno per divenire grafica pubblicitaria, mentre nel tempo libero scrive e illustra storie per bambini, con protagonista il suo Nino.

Danilo, Omar e Nada si rincontrano nel 2011, quasi vent’anni dopo essersi incontrati per la prima volta, ora adulti con vite tanto diverse e piene di problemi: Danilo ha tuttavia trovato la madre di Omar e Sen, e grazie alla sorella Jagoda, l’ha messa in contatto con lui. Finalmente il bambino abbandonato, ora un pregiudicato di ventisette anni, potrà realizzare il sogno di rivedere la madre che tanto ha amato.

 

La trama si divide in quattro blocchi narrativi (1992-3, 1995-6, 1999-2000, 2010-2011) corrispondenti a quattro diversi periodi dell’esistenza dei protagonisti, che da bambini e ragazzi diventano adulti. Di conseguenza il romanzo entra di diritto nella categoria del romanzo di formazione, in quanto i personaggi cambiano, evolvono, si rapportano in modo differente fra di loro e con gli altri personaggi presenti nell’universo narrativo del romanzo, assumono atteggiamenti che rivelano le loro insicurezze e i loro desideri, le loro angosce e aspirazioni.

Il romanzo ha come sfondo storico e politico la guerra che sconvolse la Bosnia-Erzegovina tra il 1992 e il 1995, trattando in particolare il tema degli sfollati e degli orfani di guerra; Rossella Postorino, in particolare, si riferisce al bombardamento dell’orfanotrofio di Bjelave, nel luglio 1992, dopo il quale quarantasei bambini giunsero in Italia per trovare una sistemazione. L’autrice ha dichiarato di aver iniziato a scrivere il romanzo nel 2019, dopo aver contattato gli orfani del ’92 ed aver seguito le loro tracce fino a Sarajevo.

 

Oltre alla guerra, matrice del male universale e genesi delle vicende dei quattro protagonisti, il racconto potrebbe offrire interessanti spunti di riflessione in classe sui  rapporti umani: tra fratelli (Omar e Senadin oppure Nada e Ivo),  tra genitori e figli (la madre, che Omar cercherà per tutta la vita, e i genitori italiani che invece rifiuta con rabbia); la relazione complicata tra Azra e Danilo (che quest’ultimo comprenderà solo dopo la sua tragica fine) e tra gli stessi orfani, accomunati da un destino amaro e da un avvenire pieno di rimorsi e dubbi. A ciò si collega l’ampio spazio dedicato al senso di solitudine e di abbandono di Nada, verso il fratello, la madre e lo stesso Danilo, e ancora la tematica dell’adozione, che non appare qui come un generico e ammirevole gesto di generosità e solidarietà umana, ma come un rapporto complesso e problematico, in cui aspirazioni e desideri, sensi di colpa e ripensamenti si mescolano in un gioco intricato: la gioia della madre adottiva, che ha a lungo desiderato un figlio, si confronta con il pensiero costante che quella gioia è figlia della violenza della storia e delle circostanze che la madre naturale ha subito, innestando un meccanismo velenoso, in cui la madre adottiva si misura quotidianamente con la consapevolezza che la propria gioia è inversamente proporzionale al dolore della madre naturale, alla irreparabilità della sua condizione.

Un aspetto, quest’ultimo, che ci conduce all’argomento centrale del romanzo; quello della maternità, articolato in una varietà di toni e di contesti tragici: madri che abbandonano i figli a causa della guerra, madri che partoriscono in mezzo ai bombardamenti, o che accolgono orfani da terre straniere, o madri che si tolgono la vita perché sentono di aver perso ogni motivo per vivere.

 

La lettura del romanzo offre all’insegnante importanti occasioni di riflessione che si legano alle soluzioni tecnico-narrative adottate. Non con l’intento (Dio non voglia…) di fare della lettura un ‘laboratorio’ di analisi narratologica, ma per costruire una lettura empatica e consapevole, in cui la scelta dell’autrice di raccontare la storia da più punti di vista, consente, tramite la focalizzazione multipla, di vedere i fatti in modo differente, di sentire le emozioni diverse che sconvolgono negli anni i protagonisti.

L’ampio utilizzo del discorso diretto libero e soprattutto di un flusso di coscienza costante, rivela momenti ricchi di pathos ed emotività, dove i pensieri si accavallano e si sovrastano, accesi da ardori, rabbia e amore. Lo stile del romanzo è lirico e scarno allo stesso tempo, non si sofferma sulle descrizioni fisiche e psicologiche dei personaggi, riservando tuttavia alcuni spazi alla fotografia degli ambienti e dei paesaggi, utili a creare un’atmosfera che renda l’idea di che cosa viene raccontato. Il presente dei fatti narrati è spesso scandito da flashbacks più o meno lunghi sul passato dei protagonisti, che non confondono però l’andamento cronologico dell’intreccio.

In conclusione, Mi limitavo ad amare te è un romanzo che permette di informarsi su fatti, che per quanto a noi vicini, tendono a sfuggire alla Storia e contemporaneamente di vivere tramite gli occhi e la mente dei suoi protagonisti le situazioni angosciose che sono costretti a vivere gli orfani di guerra. Nell’età presente, travagliata dal conflitto russo-ucraino, si crea un triste quanto necessario parallelo con le vicende narrate, dimostrando come la guerra sia purtroppo una costante piaga della storia dell’uomo e che a pagarne le conseguenze siano sempre gli innocenti.

“Nessun dolore. Una specie di solletico, di vento. Un fiotto vermiglio che macchia la porta. Rintocchi di sangue che gocciola sulle mattonelle, una pozza larga, più rossa dei gerani. La percezione vaga di uno scarto, di una massa che si riduce appena, un ingombro che si contrae nello spazio in modo infinitesimale – se non fosse il mio corpo nemmeno lo saprei, ma è il mio peso nel mondo, da quel momento, a cambiare. Per questo lo so.” (p. 196).

 

 

11 giugno 2024