Gianpaolo Missorini - Ilaria Gaspari, La reputazione

Guanda, Milano, 2024

 

Il nuovo romanzo di Ilaria Gaspari, La reputazione, si presta come un testo particolarmente spendibile nelle scuole superiori, grazie alla scorrevolezza di lettura e alla limpidezza della prosa, ottenute mediante un registro medio, seppure ricco e colto in diversi punti (l’autrice fonde citazioni letterarie e filosofiche a un lessico quotidiano), utile quindi per un lavoro di arricchimento della lingua dei discenti; alla trama avvincente, nata dall'unione della narrativa contemporanea a elementi del giallo e del moderno true crime; infine alle riflessioni storico-sociali che comporta, in primis il tema della calunnia e dello stereotipo razziale nella società moderna. Si potrà proporre la lettura a diversi gradi: nel corso del biennio, quando si studiano la narratologia e i diversi generi letterari, come esempio di narrativa; oppure durante la quinta superiore, sia per offrire alle classi un campione di romanzo contemporaneo, sia per illustrare, in ottica di interdisciplinarietà, la storia italiana degli anni '80.

Rosa nella copertina ma noir nei contenuti, questo romanzo racconta una Roma decadente e chiusa, così lontana dallo scintillio della Dolce Vita e dai locali di via Veneto, dal turismo di massa e dalle vacanze romane di Audrey Hepburn. Siamo negli anni ’80, quelli del Canaro della Magliana, e Barbara, eterna laureanda in filosofia con una tesi sul corpo in Husserl, trova impiego come commessa presso Joséphine, boutique di alta moda nel ricco quartiere Parioli. Si trova così a contatto con l’eccentrica proprietaria, Marie-France, donna raffinata quanto misteriosa, la quale decide presto di spostare la collezione di abbigliamento verso una linea per adolescenti. Dopo che una ragazzina, che spesso aveva frequentato Joséphine, scompare senza lasciare traccia, il negozio e i suoi addetti precipitano in un’oscura spirale di odio e maldicenze.

Un connubio tra narrativa storica, crime novel e romanzo psicologico, La reputazione gioca magistralmente le sue carte per incantare il lettore e portarlo a scoprire che cosa si celi dietro l’apparente calma placida delle sue pagine, costellate di citazioni filosofiche, raffinata haut couture e personaggi intriganti. Su tutti spicca Marie-France, donna francese non più così giovane, ma neppure “fuori dai giochi”, attenta alla cura maniacale dell’abbigliamento e delle acconciature. Materna chioccia verso le sue giovani impiegate, cela in sé un triste passato di diva del cinema mancata e la presenza/assenza della figlia Corinna, così lontana dal suo ideale etereo di perfezione. In chiusura del capitolo quattro, la figlia viene nominata per la prima volta di sfuggita, rivelando come Marie-France non le ebbe mai perdonato di essere “nata brutta”. Così si apre il capitolo cinque, intitolato Joséphine:

Non esistono donne brutte, solo donne pigre, diceva Marie-France guardando le clienti uscire dal negozio ringalluzzite dalle spese, dai complimenti e dai sorrisi che lei aveva dispensato trasfigurando coscione cellulitiche, sovrabbondanti come buccellati, in voluttà di forme – amava ripetere – burrose, seni piatti in sicuri indizi di sofisticata eleganza, capelli spenti in algidi biondi freddi; citava non so più quale dei suoi idoli, forse Coco Chanel, forse Flaubert, faceva poca differenza. Adorava infilare nei discorsi quelle frasi rubacchiate ai libri, rimestare fra massime e arguzie che distribuiva come caramelle – aveva citazioni adatte a ogni circostanza, ne faceva un tratto di civetteria. Anche per questo la frase di Giosuè a proposito di Corinna mi aveva lasciata perplessa: possibile che fosse davvero brutta e non semplicemente pigra?[1]

La vicenda viene narrata in prima persona da Barbara, che a tratti può ricordare uno dei tanti inetti della letteratura: non porta a termine gli studi, non ha una relazione fissa, intrappolata in un continuo tira e molla con Marcello, né un impiego di prospettiva, viene da una famiglia di professionisti ma ha scelto il percorso filosofico. E’ un’eterna sognatrice, osserva dall’esterno ciò che accade intorno, senza veramente farne parte, vive un confronto costante con l’altro, con chi invece “riesce”, che siano le sue belle colleghe, Marta e Micol, le giovani e petulanti clienti del negozio o la stessa Marie-France, modello maturo e punto di riferimento. Nonostante la relazione senza orizzonti con Marcello, Barbara non riesce a staccarsi definitivamente, nemmeno quando le telefona per una pizza, perché anche quella è meglio che rimanere da soli, che accaparrarsi gli ultimi piatti ad una tavola calda. Oppure perché forse, nel profondo, entrambi hanno qualcosa in comune.

Il mondo di noi non si curava, e nella terra di nessuno della notte che seguì eravamo insieme ed eravamo soli. Indovinavo che mi voleva per stanchezza, io lo volevo per disperazione; non mi aggrappai al mozzicone del suo desiderio già spento, aspettai semplicemente che si estinguesse. Non aveva finito la tesi nemmeno lui. Il che, per qualche ragione, mi consolò; come se mi avesse aspettata, come se anche a lui in quel momento il futuro fosse precluso quanto pareva precluso a me. Non era vero, il futuro non aspetta solo perché procrastiniamo, ma ero giovane e scema e avevo bisogno di crederlo.[2]

La presenza del personaggio di Giosuè, ebreo omosessuale e braccio destro di Marie-France, permette di affrontare il tema della calunnia, nodo centrale del romanzo. Infatti, si diffonde presto la fake news che la boutique sia un luogo centrale per la “tratta delle bianche” e per la prostituzione minorile, dove le ragazzine vengono adescate con l’inganno nei camerini. L’ignoranza e la chiusura mentale dell’opulenta borghesia romana, gettano un’ombra su Marie-France e le sue impiegate, che a lungo andare mina la sicurezza delle stesse, con minacce e atti di vandalismo verso il negozio. La vicenda, si legge in una nota dell’autrice, si ispira a un fatto di cronaca avvenuto a Orléans nel 1969 e indagato in un saggio da Edgar Morin, quando alcuni negozi cittadini, in mano a proprietari ebrei, furono accusati di essere al centro dei rapimenti di giovani donne.

Nella parte conclusiva del romanzo, dopo un terribile incendio che ha devastato il negozio, una folla di curiosi si riunisce in strada. Ora che il fuoco purificatore ha rimosso la presenza maligna di Joséphine, le persone possono finalmente parlare liberamente, possono esprimere a gran voce ciò che da tempo circolava nei sussurri e nelle maldicenze dette all’orecchio.

La gente era ancora lì fuori, il chiacchiericcio entrava a onde. Ora che non eravamo più sotto i loro occhi si sentivano liberi di parlare.

Correvano parole sussurrate da settimane, dalle labbra dell’uno all’orecchio di un altro. Ora però le voci si impennavano, salivano.

Scomparse, bianche, aghi, sottomarini.

Il borbottio cresceva come il motore di un tram che si carica. Il tram delle voci sfondava la vetrina, ci si infilava nelle orecchie. Marie-France aveva le labbra bianche, seduta dietro la cassa.

Arrivava l’eco di parole che avevo sentito dai miei amici.

Giudei.

Rabbini.[3]

 

Piacevole sorpresa nel mondo della narrativa contemporanea, il romanzo di Ilaria Gaspari è fortemente raccomandato a chi è appassionato di cronaca nera e di gialli ma anche a chi è alla ricerca di una prosa colta ed elegante, a cornice di una trama avvincente, capace di stupire e far riflettere su un tema sempre attuale: la maldicenza.

 

 

 


[1] I. Gaspari, La reputazione, Guanda, Milano, 2024. P. 48.

[2] Ivi, pp. 91-92.

[3] Ivi, p. 284.