C'è un amore feroce e predatorio e al tempo stesso struggente e senza riposo: è quello dell'innamorato che attende "risposta", che non è corrisposto appunto e che solo nel conseguimento di chi ama trova felicità e placa un'ansia instancabile, almeno per un poco. La mancanza della "risposta", il diniego aprono un baratro, una irredimibile angoscia. I romantici dopo Petrarca hanno reso immortale questo terribile e meraviglioso rovello. Ma Dante ci aveva indicato un'altra strada, non facile eppure straordinaria: l'amore che non pretende risposta, che non ardisce anzi di avere risposta. L'amata è così incomparabilmente bella e affascinante e superiore che pare folle pensare che ti offra più di uno sguardo, di un sorriso, di un "cenno". Ma sono questo sguardo, questo sorriso, questo "cenno" che danno la felicità, sono anzi LA felicità. Non c'è angosciosa attesa di possesso predatorio, non può aver campo la gelosia rabbiosa e insana, non c'è mutazione effimera di capricci. "Tanto gentile e tanto onesta pare ...": il poeta è sazio al solo poter guardare la donna amata, la sua bellezza, il suo sorriso, il suo "cenno" ; l'incrocio appena complice di uno sguardo rendono grandissimo l'amore nella sua assoluta "gratuità" ( come poi ne La morte a Venezia di Mann/Visconti). Di più: la donna è totalmente consapevole del suo fascino ma non ne insuperbisce e lo offre con dolcezza e amabile seduzione con lo sguardo e l'adorabile conversare a chi ritiene pronto allo scambio disinteressato, a questo amore che è paradossalmente anche amicizia e affectus, dolcezza e pietas insieme (quella di Enea per Didone, quella di Desdemona per Otello nel primo Atto), condivisione dei molti che sono in noi coi molti che sono nell'altro senza alcuna feroce ansia di possesso o di pretesa di annullamento di sé nell'altro o viceversa. Dante è felice che tutti noti no la bellezza e la nobiltà di Beatrice, che mormorino di ammirazione nel vederla passa re, quasi "angelo venuto dal cielo a miracol mostrare"; il suo "cenno" quasi angelico (ovvero di una bellezza che è possibile comparare solo con la bellezza assoluta dell'angelo, "necessario", ci hanno insegnato anche Pasolini e Cacciari e Wim Wenders) che esalta ogni fibra del cuore di Dante è il "cenno" che rende ogni altro che la incontra più "nobile", più generoso. Dante non ne è geloso ma condivide questo straordinario dono e la sua felicità è la felicità di tutti quelli che sanno riconoscere nella donna amata da Dante la "Beatrice", la donatrice appunto di soave beatitudine al solo osservarla, attendendone il sorriso, lo sguardo. Potremmo tradurre nel linguaggio di oggi e aggiungere allo sguardo: il breve SMS o la mail inaspettata; ogni epoca ha la sua grammatica di "cenni" amorosi e "pietosi" insieme. Di questi tempi la via di Dante pare forse antica, improponibile: sarebbe secondo me gioioso riscoprirla, riscoprire il fascino sempre nuovo dei piccoli cenni che divengono cifre di un amore che non attende "ricompense" e trova nella donna amata quell’"altrove" di bellezza che Kant sapeva inattingibile dalle categorie della ragion pura e, noi potremmo aggiungere, dalla esclusività del desiderio di possesso. In quell’"altrove" amore e amicizia si incontrano e condividono il senso profondo del complesso esistere: e in questo dono laicamente beato il dolore buio che ci convive non scompare ma trova una luce che rischiara per un attimo di felicità il nostro duro esserci fra le cose spigolose nel mondo. Ogni tanto torniamo al Dante della Vita nova: il convulso fluire che ci martella troverebbe una sosta e l'amore una voce nuova per dirne senza affanni ma con il puro piacere di dirne.
Pubblicato il 14/03/2016