Federica Fioroni - Tra “vicino” e “altrove”: la narrazione ipnotica di Emilio Salgari

Potere della narrazione / Romance/novel – Romanzo d’appendice / Avventura – Personaggi / Dialoghi / Ultime edizioni

Potere della narrazione

Secondo studi recenti, chi usufruisce di una narrazione può andare incontro a un cambiamento profondo nella propria esperienza della realtà, entrando in una sorta di stato alterato della coscienza che può essere paragonato all'induzione ipnotica e alla trance [1]. Per quanto non vi sia un definitivo accordo della comunità scientifica su tale tipo di condizione psichica, potremmo dire che qualcosa di simile alla trance – o comunque a un stato di immersione – è quello che prova il lettore di Emilio Salgari di fronte al potere evocativo di certe pagine. Lo stile dello scrittore si connota per l'alto tasso di figuralità, che si estrinseca non solo nell'uso di una retorica accrescitiva di iperboli e ipotiposi, mettendoci nelle condizioni di "vedere" di più, ma anche nel largo uso dell'enumerazione, la quale dà vita a elenchi di luoghi, artefatti, profumi, cibi, all'insegna di una sorta di nevrosi classificatoria che più tardi troveremo ad esempio in Gadda. Il cronotopo esotico dei romanzi salgariani – dalla Malesia, all'Africa, ai Caraibi – è dunque immaginosamente inventato dallo scrittore a partire da un repertorio di animali, piante e oggetti eccentrici che egli per tutta la vita catalogò nei suoi taccuini d'appunti; si allestiscono così scenari e atmosfere che il lettore deve esperire con i cinque sensi per distaccarsi dall'hic et nunc quotidiano ed immergersi in un fantasmagorico storyworld [2].

 

Romance/novel

 

Emerge pertanto una caratteristica cruciale della narrativa di Salgari ossia la continua oscillazione tra due tendenze contrastanti: da una parte il movimento centrifugo verso un altrove che diviene regno della fantasia e del meraviglioso; dall'altra l'abitudine a descrivere con la maggior precisione possibile l'infinita varietà del reale, quasi si volesse disegnare una mappa in scala 1:1, nell'illusione che il mondo possa essere ricondotto a un sistema in sé conchiuso e controllabile.
Più in generale, l'opera di Salgari, che a lungo è rimasta ai margini della letteratura ufficiale, bistrattata dalla critica e guardata con diffidenza dalla pedagogia, può essere interpretata nella giusta luce se vista in relazione alla dicotomia romance/novel. Dopo il Seicento il romance, indicante una narrazione di eventi fuori dall'ordinario, appartenenti a un orizzonte fantastico o comunque lontano da quello quotidiano, ha un'esistenza marginale, in quanto viene spodestato dal novel, il romanzo della tradizione realistica, che propone una narrazione verosimile, del tutto immersa nella realtà concreta. Il romance dunque subisce nel Sette-Ottocento una rifunzionalizzazione cioè viene relegato in quella zona di sottoletteratura abbandonata dagli adulti e lasciata ai bambini (letteratura per l'infanzia) e agli adulti delle classi popolari (letteratura d'appendice) [3]. 
I romanzi di Salgari, che di fatto sono al crocevia tra queste due sottocategorie, rappresentano in un certo senso un importante baluardo della resistenza del romance, un modo narrativo imprescindibile proprio perché dà voce a temi quali l'utopia, la fantasia, la magia, l’emozione, l'ignoto, l'irrazionale [4]; il ruolo della marginalità nella cultura occidentale risulta poi tanto più cruciale se si pensa che esso, dato il carattere circolare del processo di scarto dei prodotti letterari, consiste nel «confermare l'ordine attraverso il vuoto d'ordine, la ragione attraverso la pazzia, la legge attraverso la irregolarità, [...] la consapevolezza critica dell'animale adulto ed educato attraverso l'incoscienza romanzesca vissuta da ignoranti, fannulloni e bambini» [5]

 

Romanzo d’appendice

 

Nello specifico, la fortuna della narrativa salgariana si fonda su alcuni elementi che si ripetono pressoché invariati nell'ambito dell'intera opera e su cui è importante soffermarsi, visto che essi ne costituiscono in un certo senso le istruzioni d'uso, fornendo il codice di lettura. Preliminarmente, occorre ricordare che nella prosa di finzione post-manzoniana si afferma una morfologia da “romanzo d’appendice” (esemplata dalla produzione di Francesco Mastriani, Carolina Invernizio e Emilio Salgari) in cui si assiste a una reviviscenza dell'intreccio, che, divenuto enfatico e ridondante, adesca il lettore con elaborate strategie di tessitura evenemenziale, lo tiene avvinto nelle spire della curiosità e della suspense per poi obbligarlo a correre verso il dénouement; nel contempo prende corpo una nuova retorica della temporalità, basata non più sull'accadimento singolo e irripetibile, ma su una congerie di fatti minuti i quali collidono in combinazioni inesauribili [6]. Si assiste dunque a trattamento meccanicistico del plot, caratterizzato da una carambola di trovate e colpi di scena, un uso ipertrofico del capovolgimento e del riconoscimento (aristotelicamente, peripeteia e anagnorisis) unito all'abbondante ricorso alla suspense, originariamente motivata anche dalla pubblicazione a puntate che doveva mantenere desto l'interesse del lettore. 
Sulla letteratura d'appendice ha gravato a lungo la condanna della critica, ma di recente sono emerse posizioni che ne sottolineano il valore, prima di tutto da un punto di vista narratologico:

«solo leggendo il romanzo d'appendice, e da piccoli, si imparano i meccanismi classici della narrativa – quali si manifestano allo stato puro, spesso svergognatamente, ma con una travolgente energia mitopoietica» [7]

Se allora Umberto Eco ricostruisce la tassonomia dell'agnizione o riconoscimento, una delle strategie più antiche della narrativa, nella compagine di feuilleton come Les mystères de Paris (1842-1843) di Sue, Le Comte de Monte-Cristo (1844-1846) di Dumas, Le forgeron de la Cour Dieu (1869) di Ponson du Terrail, un procedimento simile potrebbe essere applicato all'opera salgariana, caratterizzata da un'analoga superfetazione di tecniche feuilletonistiche – a titolo esemplificativo basti ricordare che, nell'epilogo del Corsaro Nero, Honorata, la fanciulla di cui il protagonista è innamorato, si rivelerà essere la figlia del suo più acerrimo nemico, il duca fiammingo Wan Guld, governatore di Maracaybo, già responsabile della morte dei fratelli del Corsaro. 
Dunque, anche l'opera di Salgari può essere intesa come una “miniera d’oro” narratologica, in quanto, smontandone il congegno, vi si trovano esemplificati i meccanismi cruciali dello storytelling.

 

Avventura

 

A livello tematico, il caposaldo della narrazione salgariana è l'avventura, che ha anche il merito di compensare il ruolo ridotto dell'irrazionalismo e del fantastico nella letteratura italiana, per cui il desiderio di evasione dei lettori trova appagamento nella fuga nell'esotico proposta dall'opera di Salgari. La dimensione dell'avventura guadagna per la prima volta alla letteratura un pubblico vastissimo, diffondendosi in ogni strato di popolazione – basti pensare alle oltre 80.000 copie del Corsaro Nero vendute in breve termine dalla sua uscita in volume nel 1899, in un'Italia in cui la percentuale di analfabetismo era ancora elevatissima [8] –, proprio perché consente al lettore di vivere per procura un'esistenza ipotecata dai paradigmi ingenui del fiabesco. Tra l'altro la ciclicità della narrativa salgariana dà al lettore l'illusione che l'avventura sia per così dire infinita, prolungandosi anche al di là del destino dei singoli personaggi, come avviene nel Ciclo del Corsaro Nero, una pentalogia divisa in un'iniziale trilogia, comprendente Il Corsaro Nero (1898), La regina dei Caraibi (1901) e Jolanda, la figlia del Corsaro Nero (1905), a cui fa seguito una dilogia costituita da Il figlio del Corsaro Rosso e Gli ultimi filibustieri, entrambi del 1908. Così, nella struttura ciclica l'azione si estende dal "Corsaro Nero" Emilio di Roccanera, signore di Valpenta e di Ventimiglia, a Jolanda, nata dall'amore tra il Corsaro Nero e Honorata, fino ad arrivare agli ultimi due romanzi, incentrati sulle vicende dei figli del Corsaro Rosso.

 

Personaggi

 

La dimensione avventurosa assume in Salgari connotazioni particolari, che ad esempio lo distinguono da Jules Verne. In quest'ultimo l'avventura, coniugandosi al tema – tipico della cultura positivistica – della scienza, è sempre rivolta al futuro, nella compagine di una narrativa che, al pari di quella di Herbert George Wells, si configura come «romance scientifico», preannunciando di fatto l'avvento della science fiction; inoltre in Verne il nuovo si manifesta in maniera corale e non ha bisogno di singoli personaggi quanto piuttosto di vari scenari. 
In Salgari, al contrario, «l'avventura richiede distanza, la distanza esotismo, l'esotismo azione, l'azione vittime ed eroi» [9], insomma letteratura ed eroismo tornano a essere complici l'uno dell'altra. Se da un lato i personaggi salgariani mostrano una certa semplicità di caratterizzazione psicologica, dovuta al sopravvento della prassi e del codice proairetico, dall'altra nel procedere dell'azione essi si rivelano eroi a tinte forti, che agiscono all'insegna dell'infrazione e dell'eccesso, dotati di energie e percezioni sovrumane, agitati da passioni elementari come onore, amicizia, amore, lealtà, ma soprattutto vendetta, sul modello di quell'impareggiabile giustiziere popolare che è il conte di Montecristo. Così gli eroi di Salgari (da Sandokan, a Tremal-Naik, al Corsaro Nero) diventano figure indimenticabili per l'immaginario collettivo, grazie anche alle numerose reincarnazioni intersemiotiche – dai film, alle serie televisive, ai fumetti, fino ad arrivare, all’interno della stessa televisione, all'onore della parodia con Giovanna, la nonna del Corsaro Nero(1961-1966) di Vittorio Metz o Sandogat (1976) di Mario Amendola e Bruno Corbucci con Franco Franchi, Ciccio Ingrassia e Daniela Goggi.
Forse il personaggio più amato dal pubblico e dall'autore stesso è il Corsaro Nero, un eroe appassionato e indomito, ma al contempo dolente e malinconico, che, dal ruolo di vittima, passa a quello di vendicatore al fine di ristabilire l'ordine, un obiettivo a cui è pronto a sacrificare tutto, persino la sua felicità, come si vede nel finale del primo romanzo, dove le sue lacrime disperate sanciscono la decisione di abbandonare la donna amata, in quanto figlia del suo nemico. A questa figura Salgari dà una forte connotazione autobiografica, se è vero che in una lettera inviata alla moglie Ida Peruzzi ci sono le medesime frasi che il Corsaro Nero rivolge a Honorata, come se nella storia d'amore finzionale, contrassegnata da lutto e passione, Salgari avesse riversato la dolente parabola del suo legame con Ida [10]. Nondimeno, nel finale della Regina dei Caraibi il Corsaro Nero finisce per cedere di fronte all'amore e al buon senso di Honorata, ma la struttura a staffetta dell'avventura fa sì che, nell'ultima opera del ciclo, Jolanda, figlia del Corsaro e di Honorata, inizi una nuova serie di peregrinazioni per impossessarsi dell'eredità materna, finché poi insieme a Morgan tornerà a Ventimiglia, trovando rifugio nella famiglia, con un movimento che segna il trionfo dell'amore sull'odio e la vendetta [11]. Prendendo spunto proprio da Jolanda, va sottolineata l'originalità delle figure femminili salgariane, condotte audacemente dallo scrittore nel territorio nuovo dell'avventura, di solito appannaggio esclusivo dei personaggi maschili [12], anche se, almeno nel caso di Jolanda, il percorso dell'eroina appare come una sorta di viaggio iniziatico che si svolge tra la normalità perduta e la normalità riconquistata nel momento in cui essa si reintegra in un nucleo familiare, assumendo il ruolo tradizionale di moglie.

 

Dialoghi

 

Conformemente a quanto avviene nella maggior parte dei feuilleton, si assiste a una notevole importanza dei dialoghi, a cui in genere si ricorre per ragioni legate agli obiettivi di comunicazione di massa della paraletteratura: in primo luogo i dialoghi hanno il vantaggio di essere eminentemente leggibili, nel senso visivo del termine, garantendo dunque una rapidità di lettura; in secondo luogo lo showing dialogico porta alle estreme conseguenze l'illusione mimetica, per cui pare annullarsi la distanza tra il lettore e i personaggi, percepiti con l'intermediazione del loro idioletto [13] . 
A questo proposito si può sottolineare che i personaggi di Salgari parlano l'italiano manierato e grondante di pathos del melodramma, come si può notare ad esempio in questo scambio di battute tra Honorata e il Corsaro Nero nell'epilogo del primo romanzo:

«Ebbene» diss'ella «Uccidetemi! Il destino ha voluto che mio padre diventasse traditore e assassino... uccidetemi, ma voi, colle vostre mani. Morrò felice, colpita dall'uomo che ho immensamente amato».
«Io!...» esclamò il Corsaro, indietreggiando con ispavento. «Io!... No... no... colpire voi... No, non v'ucciderò... guardate!...»
 (p. 368).

Come è stato sottolineato anche di recente [14], il genere melodrammatico ha una notevole influenza sull'opera salgariana e in ciò risiede un altro dei motivi del suo fascino, se è vera la tesi sostenuta nel libro di Peter Brooks sull'immaginazione melodrammatica, in cui si mostra come più il linguaggio del romanzo moderno si fa teatrale, e inalbera il vessillo delle iperboli e delle ipotiposi, più riesce a parlare il linguaggio dell'inconscio [15].



Ultime edizioni

 

A ragion veduta la casa editrice Einaudi rende omaggio a questo scrittore, veronese d'origine ma torinese d'adozione, ripubblicando la trilogia iniziale del Ciclo del Corsaro Nero [16]– una scelta editoriale motivata anche dalle cause esterne e contingenti delle ricorrenze, ossia il centenario della morte dell'autore nonché i centocinquanta anni dell'unità d'Italia, tanto più significativi se si pensa che Salgari è uno degli scrittori che maggiormente hanno contribuito a diffondere un comune linguaggio d'uso e un immaginario in cui riconoscersi. Nell'elegante introduzione – seguita da una postilla bibliografica ragionata – di Luciano Curreri, il quale ha di recente curato insieme a Fabrizio Foni gli atti del convegno internazionale di Liège sulla produzione salgariana degli ultimi anni [17], appare condivisibile, inter alia, l'invito a riscoprire Salgari al di fuori di interpretazioni eccessivamente intellettualistiche, tanto più che, dal punto di vista della ricezione, il romance chiede proprio questo che al lettore: di abbandonarsi alla storia, di identificarsi e lasciarsi appassionare da essa [18].
È infine doveroso ricordare l'uscita, sempre per i tipi di Einaudi, di un'altra opera dedicata a Salgari ovvero il ritratto narrativo di Ernesto Ferrero, il quale, oltre a sfatare del tutto il falso mito – peraltro alimentato dall'autore stesso – di un Salgari "lupo di mare", che avrebbe trasposto nelle sue opere l'esperienza di una vita trascorsa sulle navi, vede in lui un eroe della scrittura, che, emulo dei flaubertiani Bouvard e Pécuchet, si è dedicato incessantemente alla stesura di una produzione sterminata (circa ottanta romanzi e centocinquanta racconti, con un ritmo di almeno tre romanzi all'anno, senza contare le traduzioni e le collaborazioni giornalistiche), rimanendo inchiodato alle sue vie d'inchiostro [19]. La figura e l'opera di Salgari diventano così un lascito imprescindibile per chiunque intenda dedicarsi con serietà e probità da artigiano al difficile mestiere di scrivere.


Pubblicato il 17/07/2012

 

Note:


[1]E. Del Castello e C. Casilli, L'induzione ipnotica: manuale pratico, Milano, Franco Angeli, 2008; B.W. Sturm, The "Storylistening" Trance Experience, «Journal of American Folklore», 113. 449, pp. 287-304, 2000.

[2]A. Faeti, La valle della luna, in E. Beseghi (a c. di), La valle della luna. Avventura, esotismo, orientalismo nell’opera di Emilio Salgari, Firenze, La Nuova Italia, 1992, p. 59.

[3]Ph. Ariès, Padri e figli nell'Europa medievale e moderna, trad. it., Roma-Bari, Laterza, 1968.

[4]M. McKeon, The Origins of the English Novel 1600-1740, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 1987.


[5]G. Celati, Finzioni occidentali. Fabulazione, comicità e scrittura, Torino, Einaudi, 1986, p. 42.

[6]S. Calabrese, Intrecci italiani. Una teoria e una storia del romanzo (1750-1900), Bologna, Il Mulino, 1995, p. 160.

[7]U. Eco, Io sono Edmond Dantès!, in Id., Costruire il nemico e altri scritti occasionali, Milano, Bompiani, 2011, p. 266.

[8]B. Traversetti, Introduzione a Salgari, Roma-Bari, Laterza, 1989, p. 105.

[9]C. Ossola, Salgari nel mar della scrittura, «Il Sole 24 Ore», 14 agosto 2011, p. 41.

[10]A. Faeti, Emilio e i suoi fratelli della costa, in Id., Gli amici ritrovati. Tra le righe dei grandi romanzi per ragazzi, Milano, Rizzoli, 2010, p. 230.

[11]G. Piccinini, Gli ultimi gentiluomini di ventura, in E. Beseghi (a c. di), La valle della luna. Avventura, esotismo, orientalismo nell’opera di Emilio Salgari, Firenze, La Nuova Italia, 1992, p. 

[12]Beseghi, Jolanda e le altre. Figure femminili nell'opera di E. Salgari, in Id. (a c. di), La valle della luna. Avventura, esotismo, orientalismo nell’opera di Emilio Salgari, Firenze, La Nuova Italia, 1992, p. 124.

[13]D. Couégnas, Paraletteratura, trad. it., Firenze, La Nuova Italia, 1997, p. 81.

[14]S. Satragni Petruzzi, Salgari e il melodramma. Gli echi dell'Opera nell'opera di Salgari, Roma, Il cubo, 2011.

[15]P. Brooks, L'immaginazione melodrammatica, trad. it., Parma, Pratiche, 1985.

[16]Emilio Salgari, Il ciclo del Corsaro Nero. Il Corsaro Nero, La regina dei Caraibi, Jolanda la figlia del Corsaro Nero, Introduzione di L. Curreri, Torino, Einaudi, 2011, pp. XXVIII-1136

[17]L. Curreri e F. Foni (a c. di), Un po' prima della fine. Ultimi romanzi di Salgari tra novità e ripetizione (1908-1915)Atti del Convegno internazionale di Liège, 18-19 febbraio 2009, Roma, Luca Sossella, 2009. 

[18]P. Zanotti, Il modo romanzesco, Roma-Bari, Laterza, 1998, p. 18.

[19]E. Ferrero, Disegnare il vento. L'ultimo viaggio del capitano Salgari, Torino, Einaudi, 2011.