Elena Bittasi - Poesia per musicam

Un percorso di didattica del testo poetico attraverso l’ascolto musicale

 

1. La musica “classica” nella scuola secondaria di secondo grado, tra appelli e assenze

 

Le esperienze che mi accingo a descrivere sono state presentate nel laboratorio didattico da me condotto nella giornata inaugurale delle attività dell’ADI-SD Lombardia, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano (6 settembre 2024). Tale laboratorio ha costituito una stimolante occasione di confronto sulle tematiche trattate, da cui sono emerse riflessioni e spunti che hanno contribuito ad arricchire il presente contributo.     
Utilizzare la cosiddetta musica classica[1] come mediatore didattico potrebbe sembrare, a prima vista, una scelta controcorrente. Questo genere musicale, infatti, viene percepito comunemente come un patrimonio per pochi iniziati, poiché un diffuso pregiudizio vuole che possa fruirne solo chi possiede delle competenze specialistiche. Anche se gli interventi ministeriali volti a legittimarne l’importanza in ogni ambito della scuola italiana non sono stati pochi né privi di implicazioni,[2] la musica è una grande assente nei curricoli educativi, soprattutto nella scuola secondaria di secondo grado, dove risulta sostanzialmente confinata negli istituti frequentati da chi ha intenzione di formarsi professionalmente come musicista. Si ha quindi la percezione di un ambito artistico destinato prevalentemente agli addetti ai lavori e, in sostanza, di una forma d’arte sideralmente lontana dal mondo degli adolescenti.

Tale distanza affonda le proprie radici anche in una più ampia difficoltà culturale: in Italia, infatti, manca una vera e propria cultura dell’ascolto. Ogni giorno siamo saturati da una quantità così elevata di stimoli sonori che fatichiamo a orientarci nel mare di suoni in cui siamo immersi, interiorizzando un’abitudine a ‘sentire’ più che ad ‘ascoltare’. Di conseguenza, riesce sempre più difficile lasciare spazio al silenzio per predisporci all’ascolto, un argomento su cui sono stati invitati a riflettere anche i candidati dell’Esame di Stato del 2024 nella traccia B3 della prima prova scritta.[3]

Inoltre, occorre osservare che non è semplice verbalizzare la musica, ossia darne una descrizione mediante le parole. Come ha sottolineato Giuseppina La Face, la musica «si fonda su un linguaggio povero di denotazione: il che la priva in larga misura delle potenzialità referenziali della letteratura, oltre che delle arti figurative. Da questa doppia differenza derivano ostacoli difficili da sormontare sul piano della descrizione, del commento e dell’interpretazione critica».[4]

Tuttavia, un ascolto consapevole e, soprattutto, gratificante può essere realmente alla portata di tutti, anche in percorsi di apprendimento – come quelli in cui ho insegnato e insegno tuttora - dove non vi sono discipline curricolari afferenti all’ambito musicale. Inoltre, nel corso della mia attività didattica ho potuto constatare che l’ascolto musicale, oltre che costituire di per sé un significativo arricchimento culturale, può rivelarsi anche una preziosa risorsa per affinare le competenze di analisi del testo poetico e le risorse espressive dei nostri alunni, come cercherò di mostrare mediante nelle seguenti proposte, di cui è necessario sintetizzare brevemente i presupposti musicologici.

 

2. Musica e parole: alcune premesse

 

Com’è noto, secondo l’estetica della ricezione ogni testo presenta dei margini di indeterminatezza che il lettore colma con i contenuti del proprio immaginario.[5] Anche il compositore che traspone in musica una lirica può essere incluso in una peculiare categoria dei lettori: egli instaura con i testi un rapporto estremamente creativo, con il quale è molto stimolante confrontarsi anche in classe.   

L’interazione tra musica e poesia può avvenire, tuttavia, in modalità molto differenti tra loro. Innanzitutto si può dare il caso di coloro che Stefano La Via definisce «artefici di melodia», ossia coloro che scelgono «di impiegare la parola come mero pretesto per intonare melodie autosufficienti, […] in associazione a un testo verbale tanto irrilevante da poter essere liberamente omesso, storpiato, o anche sostituito con un altro».[6] In altri casi, le parole possono prendere vita dalle impressioni suggerite dalla musica: ad esempio Mogol, uno dei più noti autori della canzone italiana, ha chiarito che nell’ambito della sua attività creativa prima nasce la musica e poi seguono le parole.[7] Viceversa, Arnold Schönberg, uno dei padri della musica dodecafonica novecentesca, affermava di avere composto la musica di molti dei suoi Lieder «dall'inizio alla fine» ispirandosi «soltanto al suono delle prime parole del testo», senza preoccuparsi «di come si svolgessero i fatti contenuti nella poesia», salvo scoprire successivamente di «non avere mai reso maggiore giustizia al poeta».[8] Altre volte, invece, la musica è semplicemente un vettore neutro di testi, come avveniva nella prassi del “cantar ottave”, in cui i versi di poemi come la Gerusalemme liberata di Tasso venivano intonati su medesime melodie.[9] Vi sono, poi, compositori che sostengono la necessità di una stretta interazione tra parola e musica, nella quale sia la parola a detenere un ruolo preminente (tra loro può essere annoverato anche Claudio Monteverdi, di cui ci occuperemo fra poco).    
Tuttavia, anche nel caso in cui il musicista riconosca un ruolo dominante alla parola nel suo processo compositivo, è opportuno essere sempre molto cauti nel vagliare l’interazione tra musica e versi, per non cadere nella trappola di un’analisi semplicistica che assegna alla musica il mero compito di tradurre in suoni una poesia realizzando, di fatto, una «duplicazione del testo da parte della musica».[10] Sulla scorta di queste premesse, possiamo ora soffermarci sulla prassi didattica.

 

3. Quando l’oratione è signora della musica: i madrigali di Claudio Monteverdi      

L’attività proposta può trovare spazio sia al primo che al secondo biennio di contesti scolastici differenti. Negli scorsi anni ho avuto modo di realizzare questo tipo di percorso sia nei licei, sia negli istituti tecnici e professionali, a conferma del fatto che la musica classica non sia così elitaria come generalmente si suppone - e nemmeno quella barocca, della quale uno degli esponenti più significativi è Claudio Monteverdi (1567-1643), autore dei brani che ci accingeremo ad ascoltare in classe. 
Com’è noto, Monteverdi svolge la propria attività in ambienti radicalmente diversi sotto il profilo artistico e socioculturale.[11] Egli, infatti, dopo un primo apprendistato a Cremona, sua città natale, presta servizio nella Mantova dei Gonzaga; si trasferisce poi nella libera Repubblica di Venezia dove, fino alla morte, è maestro di cappella della Repubblica di san Marco. Mentre a Mantova il musicista è un soggetto subordinato inserito nella fastosa macchina di corte, nella Serenissima è dotato di potere contrattuale ben più rilevante e si inserisce in un vivace mercato artistico orientato anche dai gusti del pubblico pagante. Monteverdi è essenzialmente un autore di musica vocale e fornisce un contributo decisivo al genere del madrigale. In letteratura con questo termine si designa un tipo di componimento, caratterizzato da uno schema metrico definito, costituito da due o tre terzine seguite da un distico; in musica, invece, con ‘madrigale’ si indica un genere vocale che ha conosciuto una enorme fortuna dal Trecento fino al Settecento, vivendo la sua stagione di massimo splendore tra il Cinque e il Seicento.[12]
Nei madrigali Monteverdi interpreta il rapporto tra musica e poesia in modo nuovo rispetto ai suoi predecessori: la musica, lungi dall’essere una semplice veste sonora dei versi, ne fornisce un’interpretazione in grado di mettere in luce i contrasti che in essi trova espressione. È dunque il testo a sollecitare le risorse del compositore: nell’appendice ai suoi Scherzi musicali del 1607,[13] Monteverdi afferma tramite la penna del fratello Giulio Cesare che la vera arte «per signora del armonia pone l’oratione» ed è dunque la parola poetica a risultare dominante rispetto al segno sonoro. Tale visione artistica segna una svolta rispetto alla prassi precedente, definita nella stessa sede come «prima prattica», individuando un nuovo approccio compositivo, una «seconda prattica» che Monteverdi elabora dispiegando una grande varietà di soluzioni compositive, destinate a rinnovare profondamente il genere del madrigale. Infatti, come osserva Stefano La Via, ciò che cambia non è «tanto la finalità ultima dell'espressione poetico-musicale, quanto i mezzi esegetici e tecnico-compositivi tramite cui realizzarla: […] si passa ad una sempre più diretta e dinamica imitazione di molteplici stati d'animo, fra loro non solo diversi ma diametralmente opposti».[14]  
Per comprendere quanto incisiva sia stata l’evoluzione del genere nel percorso monteverdiano, ci basterà ascoltare l’incipit di tre madrigali del compositore:

  • Baci soavi e cari, dal Primo libro dei madrigali (1587): opera di un Monteverdi ventenne, è un brano nel solco delle consuetudini musicali coeve, ossia una composizione polifonica, nella quale le voci si intrecciano in un ordito compatto.
  • T’amo, mia vita, dal Quinto libro dei madrigali (1695): si colgono, fin dai primi istanti, due novità di rilievo, cioè lo sfaldamento della trama polifonica e l’introduzione di strumenti come sostegno armonico alle voci (il cosiddetto “basso continuo”).
  • Il combattimento di Tancredi e Clorinda, dall’Ottavo libro dei madrigali (1638): non si tratta di un brano destinato a un ensemble vocale, ma quasi di una scena di melodramma, accompagnata, oltre che dal basso continuo, dagli archi.

Di quanto detto fin qui a proposito di Monteverdi e della sua poetica, ai nostri alunni basteranno pochi ed essenziali cenni: è fondamentale focalizzare il più possibile il lavoro sul testo e sulla musica in esame, senza eccedere in informazioni ridondanti che si tradurrebbero inevitabilmente in sovrastrutture nozionistiche.


4. Amore e metafore: Chiome d’oro 

 

Ci concentreremo sull’analisi di Chiome d’oro, una canzonetta adespota trasposta in musica da Claudio Monteverdi nel suo Settimo libro di madrigali (1619). Illustrerò dapprima un possibile percorso di base, destinato a una classe seconda del primo biennio come attività di potenziamento di analisi del testo poetico. Essa si potrà svolgere, pertanto, dopo che gli alunni avranno già dimostrato di possedere le conoscenze necessarie per la piena comprensione di questa tipologia testuale, come ad esempio il computo delle sillabe metriche, la tipologia di versi e rime, le figure retoriche di significato, suono, posizione (nonché le abilità necessarie per il loro riconoscimento).          A seconda del contesto didattico e del possesso degli opportuni prerequisiti, il docente può decidere di svolgere le attività descritte nel secondo biennio, ad esempio in un modulo dedicato alla poesia secentesca.       
   È opportuno che gli alunni ricevano copia cartacea di Chiome d’oro, in modo che possano svolgervi direttamente le attività richieste e le proprie annotazioni. Ecco il testo:     

Chiome d'oro, bel tesoro,      
tu mi leghi in mille modi      
se t'annodi, se ti snodi.

Candidette perle elette,
se le rose che coprite
discoprite, mi ferite.

Vive stelle che sì belle
e sì vaghe risplendete,
se ridete m'ancidete.

Preziose, amorose,
coralline labbra amate,
se parlate mi beate.

O bel nodo per cui godo!
O soave uscir di vita!
O gradita mia ferita!


Dapprima inviteremo gli alunni a leggere i versi a voce alta individualmente, strofa per strofa. Questo passaggio è fondamentale: infatti la lettura espressivo-letteraria, come è stata definita da Silvia Blezza Picherle,[15] non solo evidenzia la corretta comprensione di quanto letto ma va al cuore del testo poetico, alla sua intrinseca condizione di essere suono - che esige anche da parte del lettore di «liberare nell’aria il verso, trovare la sua forma sonora».[16]       
Dopo la lettura e una prima decodifica del contenuto, possiamo iniziare il lavoro sul significante linguistico, svolgendo le consegne indicate a seguire. Se il numero degli alunni lo consente, esse si possono assegnare a gruppi, che si concentreranno su aspetti differenti del testo:         

Strofe e versi 
a. Quale tipo di strofe e di versi si trova nella poesia in esame?     
b. I versi sono parisillabi o imparisillabi?    
c. La posizione degli accenti è regolare?     
d. In quale tipo di strofa si articola il testo?

Rime  
a. È possibile riconoscere uno schema fisso di rime?          
b. Quale tipo di rima è possibile individuare, in prevalenza?          
c. Ci sono rime interne e al mezzo?

Timbro delle vocali   
a. Quante volte ricorrono le vocali di ciascun timbro? (es. Quante “a” si trovano nella prima strofa, quante “e”, etc.)              
b. C’è una prevalenza nel timbro delle vocali toniche?       

Sulla base delle osservazioni degli alunni, si noterà che la poesia è articolata in terzine di ottonari, dunque in versi parisillabi. Quest’ultimo dettaglio è particolarmente importante ai fini di una trasposizione musicale: ad esempio, la regolarità di accentazione risulta necessaria nei generi musicali connessi alla danza. Le rime seguono uno schema fisso, in cui è prevalente la rima baciata (secondo lo schema ABB CDD EFF GHH ILL) ma si può osservare la presenza, in ogni strofa, di rime al mezzo (modi/annodi, coprite/discoprite, etc.) e di rime interne (annodi/snodi, discoprite/ferite, etc.). È possibile notare una prevalenza di “e” e di “o” nelle sillabe toniche; in particolare, nella prima e nell’ultima strofa appare privilegiata la “o” – vocale la cui emissione in genere viene considerata nel canto più spontanea.[17]         
 Sulla scorta di questa prima ricognizione, ora possiamo chiedere alla classe se, nel complesso, la configurazione metrica del testo suggerisce un andamento statico oppure danzante e se il suono creato dalle rime e dal timbro delle vocali toniche determina un’impressione di tristezza, oppure di gioia. In genere le osservazioni dei ragazzi convergono verso le seconde opzioni ma, in ogni caso, è importante chiedere sempre precisi riscontri testuali per argomentare le osservazioni fornite.       
 A questo punto è possibile iniziare un esame più approfondito del significato veicolato dal testo. Saranno sempre gli alunni, opportunamente guidati, a ricostruirne il senso. Innanzitutto, ci si può chiedere di chi si parla nella poesia e quante persone ‘abitino’ i suoi versi: la donna amata, da una parte, e l’amante che la ammira, dall’altra. I ragazzi saranno, poi, invitati a individuare quali elementi della figura femminile sono descritti dal poeta e, infine, se si tratta di dettagli fisici o morali.           
Si potrà appurare facilmente che in questa lirica la donna è, sostanzialmente, corpo. Nel testo in esame tutti gli elementi dell’aspetto sono descritti mediante una figura retorica prevalente che gli alunni potranno riconoscere facilmente, ossia la metafora. Meno facile è decodificare in modo univoco ciascuna delle metafore presenti nel brano perché, se l’immagine delle «chiome d’oro» rimanda immediatamente ai capelli biondi e quella delle «vive stelle» agli occhi, meno agevole è attribuire un significato alle «candidette perle elette», che coprono e scoprono rose nascoste. Di che cosa si può trattare? Forse delle guance, forse dei denti: tale ambiguità non è rara in poesia perché nel sistema di associazioni che si delinea in questo ambito letterario talvolta non c’è una corrispondenza perfetta tra figurato e figurante.[18]    
In ogni caso comprendiamo che la donna grazie alla sua bellezza è in grado di donare all’amante piacere e felicità; possiede però anche un potere temibile in quanto può “ferire” e “uccidere”, come emerge dalla seconda, dalla terza e dall’ultima strofa. Tuttavia, la presenza di queste immagini non suggerisce il compiersi di un vero dramma. Siamo ben lontani dal tormento descritto come una devastante malattia spirituale e fisica da cui l’uomo dovrebbe fuggire con tutte le proprie forze provandone vergogna, secondo una rappresentazione ricorrente già a partire dalla letteratura antica.[19] Dalle metafore di Chiome d’oro non trapela sofferenza, ma una sottile voluptas dolendi che si stempera in un’impressione di sensuale leggerezza e appagamento, anche grazie agli ossimori «soave uscir di vita» e «gradita […] ferita» posti nell’ultima strofa (vv. 14-15).          
 Anche la sonorità del tessuto verbale svolge una funzione semantica: l’andamento danzante degli ottonari e la melodiosa diffrazione dei suoni in rima ci suggeriscono che il poeta non voglia descrivere un reale tormento interiore, come se la musicalità assorbisse e, in un certo senso, neutralizzasse anche il senso dei versi. Proprio per questo aspetto, alla lirica in esame si adattano le considerazioni che Giovanni Getto ha formulato a proposito della poesia di Gabriello Chiabrera, al quale l’ignoto autore di Chiome d’oro mostra apertamente di ispirarsi, sia per le caratteristiche metriche dei versi, sia per il loro contenuto: «a quel modo che vicende e cose sfumano in musica, una musica fatta di vezzeggiativa letizia, così in musica si dissolvono anche i sentimenti»;[20] e anche quando «i contenuti indicano malinconia, la realtà lirica non muta il suo fondamentale tono di ridente grazia e di frizzante giocondità».[21]

 

5. Dalla parola all’ascolto

 

A questo punto sorge spontaneo un interrogativo, che condivideremo con la classe: in che modo Monteverdi avrà trasposto in musica questi versi? Vi troveremo quella «ridente grazia» e «frizzante giocondità» che connotano il testo poetico? Dopo avere stimolato un clima di attenzione e di aspettativa, possiamo passare all’ascolto. In genere l’interpretazione che propongo è quella di Emma Kirkby e Judith Nelson, accompagnate da The Consort of Musicke sotto la direzione di Anthony Rooley, facilmente reperibile sul web e sulle piattaforme di contenuti musicali.           
Dopo l’ascolto possiamo invitare gli alunni a esprimere liberamente le loro prime impressioni. Poi, prendendo spunto da questo iniziale brainstorming, chiediamo di motivare i loro giudizi facendo riferimento a elementi specifici della musica. Per procedere alla comprensione delle strutture foniche ho ritenuto opportuno utilizzare categorie d’ascolto elementari che riconosciamo soprattutto in opposizione reciproca, come ad esempio le coppie antinomiche alto/basso, lento/veloce, pieno/vuoto. Si tratta di strutture nettamente connotate che, come evidenzia la teoria dell’organizzazione psicologica dell’ascolto musicale,[22] possono fungere da ‘segnali’ (cues) in grado di orientare la mente nell’esperienza della percezione sonora, in modo analogo a quanto avviene nel processo di decodifica delle strutture linguistiche. Poiché questo tipo di lavoro richiede la massima attenzione al dettaglio, è importante soffermarsi sull’analisi di un numero limitato di tali segnali, soprattutto se la classe non è abituata ad attività di ascolto.
Per facilitare il compito, nella fase iniziale possiamo guidare la classe proponendo delle domande costruite su alternative binarie, facendo ricorso anche a un lessico molto semplice, che progressivamente si farà più specifico e variegato: ad esempio, possiamo domandare se la musica è parsa ‘allegra’ oppure ‘triste’, ‘statica’ oppure ‘mossa’ - e per quali ragioni. Normalmente i ragazzi appaiono colpiti soprattutto dalla nitidezza dei motivi melodici e dal ritmo scandito, che conferiscono a Chiome d’oro un carattere gioioso e vivace, simile a una danza.        
 Cerchiamo ora di concentrarci proprio su quest’ultimo elemento. In genere viene percepita con immediatezza la regolarità della pulsazione ritmica del brano: chiediamo agli alunni di individuare dove essa si interrompe, facendo ascoltare di nuovo il brano. Si tratta solo di due punti, al v. 9 e al v. 15, in corrispondenza con le parole «m'ancidete» e «mia ferita». Ci interroghiamo, quindi, sul senso di questa sospensione e sui campi semantici a cui si accompagna nel testo, che risultano connessi alla metafora della ferita e della morte per amore. È innegabile che tale stasi ritmica costituisca un cue facilmente percepibile, che spicca per la sua diversità rispetto al contesto. Quale può essere, dunque, la sua funzione? Domandiamo ai ragazzi di formulare delle ipotesi e porle a confronto: ad esempio, si può scorgere una correlazione tra la sospensione del passo ritmico e i potenti effetti dell’amore sull’animo di chi ama.             
Tali riflessioni trovano un riscontro anche in altri aspetti della trasposizione musicale monteverdiana. Chiediamo agli alunni di ascoltare nuovamente il brano per individuare le parole o i sintagmi che Monteverdi sceglie di ripetere. Si osserverà che «se ridete m’ancidete» (v. 9) e «o gradita mia ferita» (v. 15) sono ripetuti per tre volte. Tali anafore spiccano nel tessuto musicale anche in virtù del fatto che le voci intonano più suoni su una medesima sillaba (in gergo tecnico, ‘melismi’). Questa scelta espressiva è presente anche in altri punti del madrigale dove assolve, di volta in volta, a una diversa funzione che indagheremo, sempre con metodo induttivo, insieme agli alunni. Si noterà poi che, in corrispondenza di «se ridete m’ancidete» e «o gradita mia ferita», i melismi sono realizzati in assenza della caratteristica pulsazione ritmica, come se – azzardiamo un’interpretazione - il vulnus amoris annullasse lo scorrere del tempo creando una dimensione ‘altra’ verso la quale ogni emozione converge e approda. Ciò che percepiamo, tuttavia, non è un’espressione di sofferenza; anche la smagliante cornice strumentale delle strofe poetiche delineata dai due violini allontana ogni fugace ombra di tormento.   
 Siamo dunque pronti per affrontare una questione cruciale: la musica collabora con la poesia o veicola significati differenti rispetto a essa? Nel caso di Chiome d’oro è piuttosto facile osservare che musica e poesia condividono un medesimo intento espressivo. Infatti, se da una parte è vero che l’amore è una passione ambivalente in cui il dolore si accompagna al piacere, secondo il ben noto topos risalente al fr. 130 V. di Saffo dove Eros è definito «dolceamaro», tuttavia i versi in esame e la musica di Monteverdi ci suggeriscono in modo del tutto analogo che a prevalere sia la spensieratezza lieve di un sentimento che trova il suo appagamento nella contemplazione della donna amata e in un contatto fisico maliziosamente alluso.            
Potrebbe sembrare scontato che musica e poesia procedano nella medesima direzione, ma non è così. Nella letteratura poetico-musicale si riscontrano numerosi casi in cui testo e musica presentano caratteri divergenti. Un esempio emblematico è offerto da alcuni Lieder di Schubert come Der Fischer, in cui la musica - sempre uguale nelle varie strofe del canto - scorre lieta mentre il testo, una ballata di Goethe, narra di una vicenda dalla conclusione funesta. Ne scaturisce un effetto di sconcertante straniamento, la cui interpretazione si rivela tutt’altro che immediata: Maurizio Giani ne ha proposto una lettura simbolica su più livelli, cogliendo nello scollamento tra testo e musica un possibile riferimento all’ineluttabilità degli eventi, al ritorno all’elemento naturale, oppure all’indifferenza della voce narrante.[23]     

 

6. Ascoltare la musica, cercare le parole

 

L’ analisi proposta di Chiome d’oro è certamente esile e alquanto grossier nell’ottica di chiunque svolga attività di ricerca nel complesso ambito del rapporto tra musica e parole. Tuttavia, al di fuori dei licei musicali, nel contesto della scuola secondaria di secondo grado - dove le classi non possiedono, o hanno smarrito, le competenze musicali di base - la costruzione di un’attività didattica efficace richiede inevitabilmente un’opera di selezione e di adattamento di metodi e contenuti. Questo implica anche la necessità di rideclinare gli obiettivi didattici della nostra attività passo dopo passo, poiché non possiamo immaginare a priori quali saranno le reazioni degli alunni nell’approccio a una musica tanto diversa da quella che ascoltano ogni giorno. Dobbiamo essere disposti, quindi, ad accettarle senza giudicarle, cercando di trasformarle in un perno per lo sviluppo seguente del lavoro e valorizzandone, in modo induttivo, l’apporto personale e creativo.           
Solitamente i ragazzi sono molto curiosi di fare lezione in modo diverso dal solito: a volte, quando i soprani monteverdiani iniziano a cantare, sfugge qualche risata ma in genere le classi collaborano volentieri a quello che considerano una sorta di inusuale esperimento. Si tratta senza dubbio di una prova impegnativa ma stimolante, sia per i docenti sia per i discenti. Infatti, come osserva Maurizio della Casa riferendosi alla musica, «poiché l'arte è caratterizzata dall'ambiguità, dalla pluralità dei significati […] attraverso la pratica artistica e i giovani acquisiscono la capacità di confrontarsi con ciò che è differente, mutevole, inatteso. Accettano l'idea che non tutto ha risposte certe standardizzate, e che spesso si debbono considerare più prospettive».[24]      
 Cercare risposte, naturalmente, significa cercare anche le parole adatte per formularle. Sotto questo profilo, lavorare con la musica ha ricadute estremamente positive nell’acquisizione delle competenze linguistiche. Infatti, verbalizzare la musica costituisce una sfida non solo per chi la presenta ma anche per chi la ascolta, perché deve effettuare una conversione tra differenti codici espressivi individuando i mezzi linguistici più appropriati.[25] Come si è visto nella descrizione del percorso svolto, inizialmente gli allievi sono guidati a interpretare il brano utilizzando una strategia facilitante, ossia l’uso di semplici alternative binarie predisposte dall’insegnante. Tuttavia, man mano che l’attività procede, è bene invitare la classe a trovare termini sempre più specifici per argomentare le proprie affermazioni, ponendo particolare attenzione a richiedere sempre un riscontro preciso negli elementi del testo e della musica.         
 L’obiettivo è superare quella tendenza alla percezione epidermica del testo - qualsiasi tipologia di testo - che purtroppo riscontriamo quotidianamente nel nostro lavoro d’aula. Immersi nella cultura dei like e delle emoticon, infatti, riesce sempre più difficile dare un nome a ciò che si prova ed esplorare le sfumature delle parole che rappresentano la nostra vita, precludendo di fatto la possibilità di leggere anche noi stessi.[26]         

7. Leggere, ascoltare, comprendere la bellezza: un percorso di educazione civica       

 

Nella scuola secondaria di secondo grado al secondo biennio gli alunni accedono allo studio di contenuti e discipline, come la storia della letteratura e dell’arte, che permettono di collocare l’esperienza dell’ascolto musicale lungo un «asse storico-contestuale»; in virtù di esso la musica può essere considerata anche «nella sua trama storica, nei suoi rapporti con il contesto, come parte integrante e significativa della cultura e delle sue trasformazioni nel tempo»,[27] svolgendo al medesimo tempo anche un’importante funzione di raccordo.     
 Perché, allora, non utilizzarla in un percorso di Educazione Civica?[28] Come sappiamo, l’Educazione Civica è un insegnamento di natura prettamente trasversale, poiché la pluralità degli obiettivi di apprendimento e delle competenze attese non sono circoscrivibili a una sola disciplina. Propongo, dunque, un breve percorso su bellezza e identità femminile nel Seicento, come riflessione a corollario dell’obiettivo 5 dell’Agenda 2030. Com’è noto, esso riguarda la parità di genere, che si propone di «raggiungere l’uguaglianza di genere e l’empowerment di tutte le donne». L’attività è rivolta a una classe quarta, in quanto provvista dei necessari prerequisiti storici e letterari (in primo luogo, la conoscenza della letteratura barocca), nonché della maturità richiesta per affrontare in modo più consapevole problemi di carattere sociale.      
 Procediamo svolgendo le attività descritte a proposito di Chiome d’oro, quindi ritorniamo al testo poetico: abbiamo osservato che della donna amata appare essenzialmente come corpo, poiché l’attenzione del poeta si focalizza solo su dettagli fisici. Chiediamo ai ragazzi di ricapitolare quali sono e se la descrizione segue un ordine preciso. Si noterà che essa procede dai capelli e giunge alle labbra; lo sguardo si focalizza sul viso, rappresentato dall’alto verso il basso secondo le tipiche consuetudini della descriptio femminile, che induce l’osservatore a guardare a capite ad calcem, dalla testa ai piedi, soffermandosi in prima istanza sui capelli.[29] 
 A questo punto possiamo far riflettere gli alunni sui topoi connessi alla rappresentazione femminile invitandoli a recuperare le conoscenze acquisite tramite lo studio della letteratura. Si noterà come, dai trovatori ai petrarchisti, viene delineato con poche variazioni lo stesso ritratto di donna, caratterizzato da carnagione chiarissima, labbra rosse e, soprattutto, capelli biondi. Si tratta di un canone descrittivo[30] cristallizzatosi dopo il Mille, presente soprattutto nella poesia amorosa di genere ‘alto’ il cui modello indiscusso è Petrarca, che ne fissa in via definitiva i caratteri principali. Ed è proprio Petrarca a ridurre il numero delle parti del corpo destinate a essere oggetto di poesia, mettendo in primo piano il viso (capelli, occhi, guance, bocca) e rivolgendo minore attenzione a collo, seno e mano; il poeta aretino, inoltre, stabilisce gli elementi di comparazione di riferimento per i colori del corpo, come la rosa per il rosso, l’oro e l’ambra per il giallo[31].        
 L’attenzione per tali elementi permane anche nel Barocco. Tuttavia, come sappiamo, durante questa epoca «è del poeta il fin la meraviglia» e in funzione di tale obiettivo gli autori scelgono anche di parodizzare o trasgredire al canone di matrice petrarchesca. Gli esempi sono infiniti: i nostri alunni hanno modo di osservarlo partendo da testi noti e meno noti, come Sembran fère d’avorio in bosco d’oro di Anton Maria Narducci, La bella schiava di Giovan Battista Marino, oppure i sonetti de La Tersicore, o Scherzi e paradossi poetici sopra la beltà delle donne, nei quali Alessandro Adimari elogia l’inconsueta bellezza di donne segnate da vecchiaia, infermità, difetti fisici di ogni genere.      
Una visione non convenzionale della bellezza femminile, soprattutto in rapporto ai suoi scopi, è quella delineata da Margherita Costa (1600 ca. – post 1657):       

Deve la donna bella esser sagace
A non amar un sol amor per volta.
Chi ama un solo amor non ha mai pace             
E dai più sarà tenuta stolta.
Provar per un sol cor l’ardente face,
viver per un sol ben da sé disciolta,
obbrobrio è tal, che non si può scusare,
se non col dir colei vuol impazzare. 

[…]

Più d’uno e più di duo veder languire,                    
e poter dir, da me nessun la scampa,
è tal gioir ch’ogni altra cosa atterra  
e sol poca beltà fa poca guerra.        
L’osservar lealtà, l’osservar fede                              
È vana opinion, folle pazzia,                                             
ch’altri si pone in testa e non s’avvede                       
del proprio errore e della sua follia.[32]          

Nessuno meglio di Margherita Costa poteva sapere cosa si prova stando al centro degli sguardi (spesso non benevoli) degli altri, dato che era una cantante che attiva nei teatri d’opera di Italia, Francia e Germania. Ed era anche una scrittrice versatile, capace di trattare da una prospettiva consapevole e critica le difficoltà vissute dalle donne, come la violenza, l’abbandono, la povertà, la solitudine.[33] Durante il Barocco per gli scrittori (uomini) la bellezza è fulcro di un ampio spettro di emozioni che procedono dall’ammirazione al tormento, dal godimento alla consapevolezza della sua caducità. Costa, invece, consapevole che la donna nella società del suo tempo è prima di tutto un corpo, lo considera in modo strumentale. Con sguardo realistico e spregiudicato, la poetessa utilizza la bellezza come strategia per affermarsi, trasformando lo stereotipo tipicamente misogino della volubilità femminile in un mezzo per sopravvivere.   
Come afferma Véronique Nahoum-Grappe, per la donna «trattenere lo sguardo dell’altro è una delle condizioni che rendono possibile lo scambio sociale»,[34] consentendole di svolgere un ruolo attivo in una società dove le sue opportunità di azione sono limitate in ogni ambito. Si tratta, in ogni caso, di un momento circoscritto e destinato a destinato a svanire in tempi brevi. Infatti, «la bellezza occupa lo spazio particolare del tempo infinitamente fuggevole della percezione estetica. Durante questo evento tutto resta in sospeso»:[35] è quell’istante che riusciamo a cogliere anche nell’ascolto di Chiome d’oro quando, nella trasposizione musicale dell’ultima strofa di testo, il profilo della melodia si smaterializza prima nel vocativo «O», poi nei melismi collocati sulla sillaba tonica del termine «ferita». Terminato questo istante di sospensione, la donna perde ogni suo potere e, salvo casi eccezionali, deve tornare nell’ombra.     
Rivolgere lo sguardo al presente risulta, a questo punto, quasi spontaneo: quali narrazioni, elaborano l’idea di bellezza? Com’è cambiata tale idea nell’era della comunicazione istantanea, condivisa e globalizzata? E ancora: quali stereotipi intervengono nella costruzione dell’identità femminile, oggi? La classe può formulare risposte a questi interrogativi suddivisa in gruppi tramite un webquest. Per una visione d’insieme più completa è opportuno assegnare a ciascun gruppo di lavoro un’indagine relativa a un ambito differente, come ad esempio la pubblicità, la saggistica, la cronaca, la musica. L’obiettivo finale può essere la realizzazione un compito di realtà, come la produzione di un podcast: ogni gruppo contribuisce con una puntata.
 Anche volendo circoscrivere la nostra indagine al solo ambito musicale, il materiale è infinito. In contesti adatti per sensibilità e maturità si può anche affrontare l’ascolto e la discussione di una delle canzoni più disturbanti degli ultimi anni, Mi piace del trapper Tony Effe. Il testo di Mi piace ripropone il motivo della capigliatura femminile (bionda, mora o rossa non importa, in rapporto agli scopi del protagonista) nel contesto di una rappresentazione cruda e reificante della donna. La domanda che sorge immediata è se i ragazzi conoscano effettivamente il testo della canzone. Si tratta di un aspetto non banale, come mostra anche la documentazione online di un’interessante attività didattica dedicata alla connessione tra canzoni e violenza di genere, svolta dall’Istituto di Istruzione superiore “Corridoni - Campana” di Osimo, conclusasi con un sondaggio su due canzoni dichiaratamente sessiste, Auto tedesca di Paky ed Ego di Icy Subzero:[36] a proposito della prima, una percentuale consistente degli alunni (41,9%) dichiara di non conoscerne il testo ma la apprezza principalmente per il suo ritmo. In effetti le parole, pur essendo chiaramente percepibili, risultano assorbite dal ritmo ipnotico del groove e quasi depotenziate nella loro carica semantica.  
È forse anche per questa ragione che, come evidenzia lo stesso sondaggio, molti alunni non percepiscono nelle due canzoni il pericolo di un incitamento alla violenza di genere. Educare a un ascolto critico e consapevole assume dunque un’importanza cruciale, in quanto fornisce agli studenti gli strumenti per riconoscere le implicazioni dei linguaggi in cui sono immersi e la portata del loro impatto, a livello individuale e sociale: tale consapevolezza costituisce una chiave efficace per contrastare in modo efficace la normalizzazione di stereotipi nocivi, promuovendo una vera cultura del rispetto e della parità.

 

 Bologna, 11 giugno 2025

 

 


[1] Per comodità utilizzerò il sintagma “musica classica” nell’accezione più comunemente diffusa, al di fuori del suo contesto storico di afferenza. Per un’agile discussione di questa espressione, si veda almeno Paolo Somigli, La musica classica va a scuola. Idee e percorsi operativi per la scuola primaria, Milano, FrancoAngeli, 2025, in particolare il cap. 2.1, Musica classica: cos’è, pp. 29-33.

[2] Per una sintesi relativa ai recenti provvedimenti normativi che riguardano la musica nelle scuole pubbliche italiane di diverso ordine e grado, rinvio a Luca Aversano, Musica e scuola in Italia: le recenti disposizioni legislative (1999-2019), «Musica Docta», 9 (1), 2019, pp. 67–76; https://doi.org/10.6092/issn.2039-9715/10181.

[3] Le tracce sono reperibili al link: https://www.miur.gov.it/documents/20182/0/P000_ORD24.pdf/c2960099-37e0-772e-c816-36560e30a7f8?t=1718798989666

[4] Giuseppina La Face, Traducimi la musica in parole: una sfida didattica e divulgativa, «Musica Docta», 5, 10, 2020; https://doi.org/10.6092/issn.2039-9715/11941.

[5] Cfr. Wolfgang Iser, L’atto della lettura, Bologna, Il Mulino, 1987. Una sintesi efficace del punto di vista di Iser si può leggere anche in Anna Gerratana, Il ruolo del lettore nell’estetica della ricezione e nelle teorie postmoderne, in «BAIG IV», gennaio 2011, pp. 25-34.

[6] Stefano La Via, Poesia per musica e musica per poesia. Dai trovatori a Paolo Conte, Roma, Carocci Editore, 2018, p. 43. Si tratta di un testo imprescindibile per comprendere in modo approfondito e capillare le dinamiche dell’incontro tra poesia e musica; per la questione in oggetto si veda, in particolare il cap. 3, Poesia per musica per poesia, generi, forme e tipologie d’interazione. Alla monografia di La Via rimando anche per la vasta bibliografia.

[7] Le affermazioni di Mogol sono riportate in Massimo Privitera, Il canto delle parole. Il meraviglioso incontro di musica e poesia, Lucca, LIM, 2024, p. 51. Il testo di Privitera, dal taglio espressamente divulgativo, può costituire un primo approccio alle tematiche in esame.

[8] Arnold Schönberg, Il rapporto con il testo, in Luigi Rognoni, La scuola musicale di Vienna. Espressionismo e dodecafonia, p. 388, Torino, Einaudi, 1966.

[9] Cfr. Maurizio Agamennone (a cura di), Cantar ottave. Per una storia culturale dell'intonazione cantata in ottava rima, Lucca, LIM, 2017.

[10] Le insidie di questo approccio ‘onomasiologico’, evidenziate dal semiologo musicale Jean-Jacques Nattiez, sono sintetizzate nell’intervento di Rossana Dalmonte, Musica e parole, in Enciclopedia della musica, II, Il sapere musicale, Torino, Einaudi, 2002, p. 195.

[11] Per un’esauriente analisi della vita e della produzione monteverdiana nella bibliografia in lingua italiana è tuttora di riferimento la monografia di Paolo Fabbri, Monteverdi, Torino, EDT, 2018.

[12] Per un inquadramento del genere si rinvia almeno a Paolo Fabbri (a cura di), Il madrigale italiano, Torino, Einaudi, 1992; Stefano La Via, ‘Madrigale’ e rapporto fra poesia e musica nella critica letteraria del Cinquecento, «Studi musicali», XIX (1990), pp. 33-40.

[13] Dichiarazione della lettera stampata nel quinto libro de suoi madrigali, in Claudio Monteverdi, Scherzi musicali a tre voci, Venezia, Ricciardo Amadino, 1607.

[14] Stefano La Via, L’espressione dei contrasti fra madrigale e opera, in Storia dei concetti musicali. Espressione, forma, opera, a cura di Gianmario Borio e Carlo Gentili, Roma, Carocci, 2008, p. 35.

[15] Per il valore della lettura espressivo-letteraria e le modalità in cui si esplica, si rinvia a Silvia Blezza Picherle, Formare lettori, promuovere la lettura: riflessioni e itinerari narrativi tra territorio e scuola, Milano, FrancoAngeli, 2015.

[16] Mariangela Gualtieri, L’incanto fonico. L’arte di dire la poesia, Torino, Einaudi, 2022, p. 5.

[17] Ringrazio per l’informazione Alessio Tosi, tenore, docente di canto rinascimentale e barocco presso il conservatorio di Mantova

[18] Cfr. Alessandra Paola Macinante, «Erano i capei d’oro a l’aura sparsi». Metamorfosi delle chiome femminili tra Petrarca e Tasso, Quaderni di «Filologia e critica», XXIII, Roma, Salerno Editrice, p. 15.

[19] Per una storia di questo topos, si veda Massimo Ciavolella, La «malattia d’amore» dall’Antichità al Medioevo, Roma, Bulzoni, 1976.

[20] Giovanni Getto, Il Barocco letterario in Italia, Bruno Mondadori, 2000, p. 120.

[21] Ibid.

[22] Vedi Irène Deliège, Similarity Perception ↔ Categorization ↔ Cue Abstraction, in «Music Perception: An Interdisciplinary Journal», Vol. 18, 3, 2001, pp. 233-243. Per un’agile sintesi delle ricerche e delle teorie sulla percezione musicale, è utile Irène Deliège, La percezione della musica in Enciclopedia della musica, a cura di J.-J. Nattiez, vol. II: Il sapere musicale cit., pp. 335-334.

[23] Maurizio Giani, «DIESE EINLADENDE TRAUER...». La recezione musicale di una ballata goethiana, «Il Saggiatore musicale», 3, 2, 199, pp. 273-323.

[24] Maurizio Della Casa, in Giuseppina La Face Bianconi e Maurizio Della Casa, Musica e cultura a scuola, «Il Saggiatore musicale», 10, 1, 2023, p. 125.

[25] Riguardo a questo obiettivo in rapporto all’ascolto musicale si leggano le considerazioni di Giuseppina La Face, La trota fra canto e suoni. Un percorso didattico, «Il Saggiatore musicale», 12, 1, 2005, pp. 77-123.

[26] Per una riflessione sulle molteplici valenze della lettura e il loro rapporto con l’esperienza didattica si raccomanda il contributo di Emanuela Bandini e Linda Cavadini I docenti e la lettura, al link https://laletteraturaenoi.it/2024/11/05/il-convegno-di-ln-le-relazioni-2-i-docenti-e-la-lettura/.

[27] Maurizio Della Casa, cit., p. 126.                      

[28] Per una discussione sul ruolo cruciale della musica in questo ambito, si veda Giuseppina La Face – Lorenzo Bianconi, Il mandato intellettuale dei musicologi nella costruzione della cittadinanza europea. «Musica Docta», 3, 1, 2013, https://doi.org/10.6092/issn.2039-9715/4046.     

[29] Alessandra Paola Macinante, «Erano i capei d’oro a l’aura sparsi», cit., p. 11.

[30] Giovanni Pozzi, Codici, stereotipi, topoi e fonti letterarie, in Intorno al codice'. Atti del III convegno dell'Associazione Italiana di Studi Semiotici. Pavia 26-27 settembre 1975, a cura della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Pavia, Firenze, 1976, pp. 42-43.

[31] Id., Il ritratto della donna nella poesia d’inizio Cinquecento e la pittura di Giorgione, «Lettere Italiane», 31,11, 1979, p. 7.

[32] Margherita Costa, Bella Donna di scherzo alle Donne belle, ne La chitarra, Francoforte, 1638, canto 41.

[33] Un’articolata indagine sulla figura di Margherita Costa e la sua produzione è fornita dai contributi raccolti in «altrelettere», vol. 10, 2021 (sezione 1: Atti del convegno su Margherita Costa I, a cura di Daniela De Liso, Maria Di Maro, Valeria Merola) e «altrelettere», vol. 12, 2023 (sezione 1: Atti del convegno su Margherita Costa, II, a cura di Daniela De Liso, Maria Di Maro, Valeria Merola), accessibili online rispettivamente ai link https://www.altrelettere.uzh.ch/issue/view/259 e https://www.altrelettere.uzh.ch/issue/view/318.

[34] Véronique Nahoum-Grappe, L’estetica: maschera tattica, strategia o identità velata, in Storia delle donne in Occidente, a cura di Georges Duby e Michelle Perrot, vol. 3 (Dal Rinascimento all’età moderna, a cura di Natalie Zemon Davis e Arlette Farge), Roma-Bari, Laterza, tr. it., 1997, p. 110.

[35] Ibid., p. 114.

[36] La descrizione completa dell’attività è reperibile al link https://www.corridoni-campana.it/pagine/violenza-genere-canzoni.