«Dove sono le donne nella storia della letteratura?»[1]
La domanda, benché semplice, merita una risposta complessa, che porterà inevitabilmente a sollevare ulteriori interrogativi, a partire da «perché questa ‘esclusione delle donne’ dalla ricostruzione di un passato che si pretende ‘universale’?»[2]
Il dibattito sull’“apparente cancellazione di una [...] riflessione critica”[3] riguardo alla storia delle donne, la quale sembra essere inesistente, è ormai parte della vita quotidiana di ogni persona, si pensi alla diffusione del dibattito sulle quote rosa, o la recente mobilitazione seguita ad alcuni femminicidi che hanno avuto forte risonanza nella cronaca. Eppure, non sembra essere affatto penetrato nella scuola, infatti, le persone «nel loro percorso formativo [...] non incontrano le problematiche di genere se non attraverso il caso fortunato di qualche docente [...] che scelga individualmente di dare un taglio di genere alle proprie lezioni»[4]. Sembra dunque che sia lo stesso corpo docente ad essere inconsapevole delle cause ed effetti di questo legame tra l’apprendimento scolastico e la trasmissione di determinate norme su genere e rapporti di potere. «La scuola potrebbe e dovrebbe avere una funzione importante proprio nell’educazione al rispetto alla differenza e alla parità tra uomini e donne»[5], ma adottare un approccio di genere comporta molti cambiamenti profondi. La scuola ha il compito di trasmettere «sapere critico»[6] e per farlo necessita di ripensare e rivedere sotto mutati punti di vista dove affonda le sue radici, quale cultura e sistema di nozioni trasmette agli e alle studenti.
1. Considerazioni sulle Indicazioni nazionali ministeriali di letteratura italiana per i licei [7]
Persiste la necessità di riflettere nelle nostre scuole su come si diventa donne e uomini. La scuola deve affrontare il tema delle differenze di genere e lo può da più punti di vista.[8]
Benché non esistano più dal 2010, lo spettro dei “programmi ministeriali” perseguita ancora le scuole italiane, causando frustrazione tanto negli studenti e nelle studentesse, quando negli e nelle insegnanti, che devono scendere a patti con il peso della tradizione, degli standard richiesti agli esami di stato e ai test universitari e un metodo di approccio all’insegnamento radicato nella nostra scuola, il tutto mentre la loro “libertà” di insegnamento è, almeno a parole, saldamente difesa.
Con la “Riforma Gelmini”, proprio nel 2010, sono state infatti introdotte le Indicazioni Nazionali, che non sono dei veri e propri programmi, infatti specificano fin dalla Nota introduttiva che «non dettano alcun modello didattico-pedagogico»[9]. Dunque, «la libertà dell’insegnante e la sua capacità di adottare metodologie adeguate alle classi e ai singoli studenti sono decisive ai fini del successo formativo»[10] e a più riprese i e le docenti sono invitati e invitate a lasciare che le loro inclinazioni e sensibilità li e le guidino nell’insegnamento e nella loro proposta educativa. Come esplicitato nel testo, queste Indicazioni sono state redatte allo scopo di identificare uno “zoccolo comune”, «al fine di garantire il raggiungimento di alcune conoscenze e competenze comuni (anche al fine di fornire ad ogni studente gli strumenti culturali utili a esercitare la propria cittadinanza, ad accedere all’istruzione superiore, a poter continuare ad apprendere lungo l’intero arco della propria vita)». I contenuti, gli obiettivi educativi, le competenze trasversali sono organizzati in “nuclei fondamentali” interdisciplinari e mirati, costruendo un percorso che copre l’intero corso di studi. Nel documento, inoltre, si dà molta importanza a «competenze di natura metacognitiva (imparare ad apprendere), relazionale (sapere lavorare in gruppo) o attitudinale (autonomia e creatività)», all’ «ambiente scolastico [che] rappresenta un campo privilegiato per esercitare diritti e doveri di cittadinanza», e infine all’ «autonomia scolastica» che dovrà «adottare le strategie più consone». Insomma, queste Indicazioni prefigurano una scuola a tutto tondo, che si preoccupi di formare gli e le studenti per la vita, non di una piatta trasmissione di nozioni; si legge infatti nel testo:
La rivendicazione di una unitarietà della conoscenza, senza alcuna separazione tra “nozione” e sua traduzione in abilità, e la conseguente rinuncia ad ogni tassonomia. Conoscere non è un processo meccanico, implica la scoperta di qualcosa che entra nell’orizzonte di senso della persona che “vede”, si “accorge”, “prova”, “verifica”, per capire. Non è (non è mai stata) la scuola del nozionismo a poter essere considerata una buona scuola. Ma è la scuola della conoscenza a fornire gli strumenti atti a consentire a ciascun cittadino di munirsi della cassetta degli attrezzi e ad offrirgli la possibilità di sceglierli e utilizzarli nella realizzazione del proprio progetto di vita.
Eppure, durante un periodo di tirocinio durato 150 ore, svolte in un liceo lungo lo scorso anno scolastico (2022-23), ho incontrato un ambiente scolastico ben diverso, limitato fortemente dalla burocrazia, dalle scadenze e dagli standard di conoscenze necessari per i test universitari. Molto diversa è anche la scuola descritta da Ciummei Corduas, in cui prende forma un paradosso che pone le donne (studenti e insegnanti) in secondo piano, nonostante la tradizione che vede la scuola come un ambiente “femminile”[11]. Inoltre, scorrendo obiettivi formativi e contenuti per i corsi di letteratura italiana si incontrano termini come “fondamentale” e “imprescindibile” in riferimento ad autori da conoscere, nonostante più volte si sia declamata l’importanza dell’autonomia, delle differenze sociali e territoriali nella costruzione dei programmi di studio. Se infatti in prima istanza vengono elencati gli obiettivi formativi più importanti (valore della lettura, legame con la letteratura, padronanza della letteratura, autonomia interpretativa, lettura attiva, attenzione alla classicità), successivamente sono elencati gli autori da conoscere, in relazione al loro contesto storico. Scrivo gli autori, perché tra tutti quelli citati, è presente una sola autrice: Elsa Morante[12], «eccezione che conferma la regola»[13] come notava già Sapegno nel 2014, con disilluso sarcasmo. Analizzando questo fenomeno, Ciummei Corduas riconosce lo schema che definisce “segregazione formativa”[14], che agisce su più piani dell’apprendimento: contenuti, ambiente, tempo ecc.
È evidente come dell’educazione a “competenze relazionali” faccia parte anche la prospettiva di genere, eppure, nelle Indicazioni nazionali non compare nulla rispetto a ciò[15]. È necessario tenere a mente che la soluzione non è aggiungere all’elenco qualche nome femminile[16]: il cambiamento deve coinvolgere, così come esplicitano le Indicazioni nazionali, l’intero sistema scolastico, dalle relazioni tra docenti e tra docenti e studenti, alla costruzione dei programmi di studio e dei libri di testo, mirando a ripensare un sapere (e la sua trasmissione) che non può più passare per neutro, lasciando il giusto spazio alle istanze di chi vuole fare della scuola uno spazio di apprendimento totale, anche in prospettiva di genere. Alcuni spunti utili provengono dall’analisi di Ciummei Corduas, in cui suggerisce di porre al centro gli aspetti relazionali e professionalizzanti, abbandonando la “dimensione impiegatizia”[17] della scuola, che spesso lascia che sia la burocrazia a prendere il sopravvento sull’importante ruolo educativo.
Certamente, le Indicazioni Nazionali invitano i e le docenti ad inserire e approfondire anche autori e autrici non elencati o elencate, ma, sul piano concreto, quante e quanti insegnanti di letteratura italiana riescono ad aggiungere autrici ai loro programmi o prevedono dei percorsi educativi di genere?[18] Per rispondere alla domanda, ho consultato i programmi svolti di letteratura italiana nei Documenti del 15 maggio di 12 licei (pubblici e paritari) del comune di Bologna, per un totale di 84 classi quinte. È emerso che appena 12 classi (ca. 10%) hanno affrontato almeno un’autrice in un capitolo o in un percorso dedicato (una di queste nell’ambito di educazione civica), di cui nessuna continuativamente; 5 classi (ca. 4%) hanno letto integralmente almeno un’opera di un’autrice, mentre 3 classi (ca. 2,5%) ne hanno inserite in liste di letture a scelta durante l’anno scolastico, più 4 classi (ca. 3,5% del totale, o un terzo delle classi che hanno affrontato autrici) che oltre ad aver affrontato almeno un’autrice (per questo non sono contate in questa categoria), hanno anche svolto letture integrali, per 2 classi obbligatorie e per le altre 2 inserite in liste di letture a scelta; infine 25 classi (21%) hanno accennato (citata nel contesto storico o con la lettura di un brano) autrici, di cui 14 (ca. 12%) hanno letto solamente Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni di Madame de Staёl, che compare anche nei programmi svolti di altre classi, ma affiancata da altre autrici. Già con un piccolo campione, limitato sia geograficamente che qualitativamente (presenta solamente i licei), il quadro si fa molto chiaro. Tuttavia, non è necessario scoraggiarsi: dando uno sguardo all’ambiente letterario del nostro paese, si scopre una realtà del tutto diversa. Se, infatti, la scuola rimane così incerta sulla letteratura femminile, i principali premi letterari italiani danno largo spazio alle opere di autrici. Ecco l’elenco delle opere finaliste delle edizioni del 2023 di alcuni influenti premi: premio Strega, 4 autrici su 5; premio Bancarella, 3 autrici su 6; premio Campiello, 3 autrici su 5; premio Viareggio Rèpaci, 2 autrici su 9, entrambe nella categoria Poesia; premio Andersen, 17 autrici su 33, 1’autrice su 3 per il Miglior libro mai premiato.
Insomma, la letteratura che insegna la nostra scuola, almeno in prospettiva di genere, non ha niente a che vedere con la letteratura di oggi[19]. Non solo, in realtà, come dimostra Sanguineti in Per una nuova storia letteraria (2022), in cui capitolo dopo capitolo restituisce a molte autrici traguardi e primati, oltre a presentare una Storia della letteratura italiana (1772-1782), scritta dal gesuita Tiraboschi, in cui non solo sono antologizzate numerose autrici, ma di cui si scrivono altresì parole di lode e stima. Tuttora, però, «qualunque riflessione critica [...] dipende ancora in gran parte dalle iniziative dei singoli docenti»[20] e studenti, che stretti dalla morsa delle impellenze scolastiche difficilmente riescono a deviare dai binari già consolidati delle Indicazioni nazionali. Un limite da tempo riconosciuto nella scuola italiana, come evidenziato anche da Sgavicchia, che già nel 2015 notava che «l’approccio di Genere, come metodologia del fare e disfare e rifare i testi della tradizione e del canone pone non pochi problemi quando in ambito accademico si incontra, come avviene in Italia, con una solida e collaudata pratica di indagine e di interpretazione dei testi letterari»[21]. Non c’è spazio per progetti educativi che riescano a fornire uno sguardo ampio sulla letteratura femminile, a parte alcuni esempi virtuosi che ho incontrato anche io tra le classi quinte bolognesi, riuscendo a intrecciarsi con l’insegnamento tradizionale. Oltre alla conoscenza delle teorie espresse in questi decenni in merito all’educazione di genere a scuola, mancano gli strumenti pratici[22], mentre quelli disponibili fanno fatica a diffondersi ed affermarsi, anche se gli ultimi anni hanno visto un miglioramento in tal senso (è inopportuno aprire qui il dibattito sulla legittimità di antologie riservate alle sole autrici, altra forma di segregazione, seppur intesa ad una maggiore visibilità femminile; fortunatamente, anche le raccolte e i manuali misti stanno fiorendo).
2. La differenza insegna
Lo sguardo di genere in letteratura [...] può fornire un’importante chiave di accesso ai testi e alla loro complessità, restituendo loro quella dimensione dinamica e ambivalente di prodotti umani vivi che ci riguardano, piuttosto che di capolavori morti da adorare.[23]
Nel suo saggio, Lo sguardo di genere interroga la letteratura, Sapegno definisce lo sguardo di genere in pedagogia come un «processo teso ad acuire la propria percezione e approfondire una sfera di conoscenza della vita, osservare criticamente e concentrarsi sull’elemento delle relazioni»[24]. Vari elementi saltano all’occhio in questa definizione: prima di tutto il termine processo, infatti, l’apprendimento (e la trasmissione di conoscenze, anche implicite) è determinato tenendo conto della sua dimensione temporale, a lungo o breve termine; dopodiché la definizione coinvolge prima la dimensione introspettiva della crescita di una persona, il rapporto che ogni persona ha con sé stessa e la propria vita, e infine l’aspetto relazionale.
Questo processo si può chiaramente instaurare in qualsiasi disciplina, ma il suo valore e le sue potenzialità sono immensi nel dialogo sulla letteratura, che spinge all’esposizione personale e all’immedesimazione. Importanti per la riuscita di questo meccanismo, come vedremo più avanti, sono la conversazione e il contatto interpersonale, in modo da influenzare non solo ciò che viene insegnato, ma anche e soprattutto come questo avviene, dando la giusta considerazione anche ai significati del linguaggio e delle relazioni, prestando attenzione anche a ciò che passa sotto silenzio. L’autrice infatti nota come le modalità di discorso sul corpo e la sessualità siano «spie per decodificare il modello di società e umanità che un testo letterario più o meno direttamente promuove e rafforza»[25]: i messaggi impliciti trasmettono i rapporti di potere e si consolidano nella formazione degli e delle studenti. Come preannunciava Spender[26], la scuola basata sulla “neutralità” dei saperi e dei ruoli, finisce per trasmettere, nel modo in cui viene vissuta, categorie definite. Focalizzandosi in particolare sull’insegnamento della letteratura, anche contemporanea, come emerso dai programmi svolti e dalle Indicazioni nazionali, è chiaro che nelle aule si insegna un elenco di autori, appartenenti alla categoria di quelli che hanno ottenuto (o a cui è stato concesso?) il merito di apparire nel canone letterario, che scrivono opere inserite in categorie definite generi letterari, in una serie di categorie temporali definiti secoli o decenni ecc.[27]
Dunque, adottare uno sguardo di genere nell’insegnamento della letteratura permetterebbe, lasciando trasparire le relazioni tra i soggetti che partecipano alla trasmissione di un testo letterario (dall’autore o autrice, all’insegnante, allo o alla studente), di far emergere punti di vista e percezioni della realtà molto diversi tra loro, favorendo un’osservazione critica e un’autonomia interpretativa che metta al centro le sensibilità di ogni studente.
3. Adottare uno sguardo di genere nella didattica della letteratura
Per auspicare un cambiamento, occorre interrogarsi sulle questioni di fondo: quali sono i soggetti legittimati a esprimersi e attraverso quali meccanismi?
Inseguire interventi sul canone[28] che scalfiscono appena la superficie del problema è uno spreco di tempo, oltre che di risorse: è da ricercare una presa di consapevolezza, partire dai testi lasciando che siano le esperienze e le emozioni a trasparire[29]. Per farlo, le autrici hanno trovato lo strumento perfetto: la biografia e l’autobiografia. Molto flessibili e malleabili, sono strumenti utili alla concretizzazione di opere appartenenti a generi molto diversi tra loro (forme narrative, forse?). La biografia e l’autobiografia sono, per loro definizione, funzionali alla trasmissione di esperienze: raccontare la realtà che viene percepita, i ricordi, le sensibilità, una narrativa utile al racconto del diverso. Non sorprende che la scelta delle autrici sia così spesso ricaduta su queste, visto come la lotta principale che svolgono è proprio quella per «raggiungere la propria identità»[30]. Grazie alla “tendenza paradigmatica”, cioè la capacità di costruire e trasmettere modelli, e alla facilità “di consumo”[31], che dimostrano larga diffusione anche tra un pubblico non accademico, le biografie appaiono uno strumento perfetto di impegno politico, tant’è che Gamberi le definisce “narrative della responsabilità”[32]. Raccontarsi, soprattutto nel romanzo femminile nel ‘900, ha permesso alle opere femminili di sfuggire alla “storia nell’ombra”[33], gettando luce sulla complessità che non sempre è opportuno suddividere in categorie nette. Nel dipanare in un romanzo l’espressione di una soggettività, la sfera privata, confino più o meno metaforico delle donne, entra in contatto con quella politica, aprendo una fessura, la quale, grazie alla sovrapposizione di esperienze e relazioni, permette di «far vivere l’altro in sé»[34], secondo un patto che prevede l’«insufficienza del documento a dire la verità di un’esistenza»[35], lasciando alla narrazione il compito di cucire i dettagli della vita raccontata. Interessante, riguardo a questo, è la commistione di generi per infanzia, ragazzi e adulti che si trova nella narrativa delle donne nel secolo scorso, spia della ricerca di nuovi schemi interpretativi della società e del suo racconto.
Sapegno, infatti, evidenzia come il romanzo femminile sia importante per individuare «nodi significativi»[36] atti a condurre il confronto tra scrittura degli uomini e delle donne e da questo lavorare sulle emozioni che il testo vuole suscitare. L’analisi del testo prende il via da ciò che esso provoca in ogni studente e insegnante, dalle corde che tocca nelle relazioni, non dalla ricerca di formalità o tecnicismi (che certo rendono più fruibile e stimolante la lettura di un testo), ma con lo scopo di capire (e insegnare a farlo) in che modo parla a ciascuna persona, ricercare nel testo letterario l’esperienza viva. Biografia e autobiografia incarnano la «testimonianza di esclusione e azione»[37]: il racconto di sé come racconto dell’altro, utilizzando un genere che ridefinisca sé stesso ogni volta che è scritto, raccontare per sfuggire al silenzio e al conformismo che piegano le esperienze.
A riprova della resistenza che l’accademia italiana oppone ad un mutamento in questa direzione, sta il fatto che la critica letteraria di genere ancora non ha trovato termini adatti ad esprimere i propri concetti[38], ed è logico che i sintomi di questa tendenza si riversino nella scuola, allora, deve essere compito della scuola stessa insegnare a riconoscerli e discuterli in modo critico.
4. Cercare la relazione per sottrarsi alla neutralità
Oltre ad agire sul metodo di insegnamento, applicare uno sguardo di genere alla disciplina porta con sé una serie di conseguenze non solo nei contenuti, ma anche nella metodologia. Commentando alcuni studi, Gamberi spiega come l’educazione al genere passi attraverso una “pratica irriflessa”[39], sia cioè conseguenza di stereotipi e visioni semplicistiche che guidano, inconsapevolmente o non, gli e le insegnanti nei loro rapporti con studenti maschi e femmine[40]. Infatti, sostiene, il “curriculum nascosto” – così definisce ciò che viene insegnato indirettamente, al di là delle nozioni apprese – filtra attraverso le relazioni, mostrando determinati modelli di genere, al punto che «sono messaggi impliciti che trasmettono simbologie basate sul genere»[41], e quindi caratteristiche e ruoli di potere. Il modo in cui ci si comporta in classe, la quantità di attenzioni che si rivolge a gruppi di studenti piuttosto che ad altri, ma anche i rapporti tra il personale e il modo in cui viene vissuto il luogo della scuola sono tutti elementi, insieme a tanti altri, che oltre a portare forti significati sociali, li trasmettono e consolidano nelle abitudini degli e delle studenti (oltre che delle persone adulte che frequentano o che lavorano nella scuola).
Allo stesso modo, è altrettanto importante «osservare quello che si dice, quanto quello che si tace»[42], a cui non si guarda. I saperi possiedono una presunta neutralità universale, impossibile da raggiungere nella nostra società, costituita da soggetti individuali. e «riconoscere il carattere sessuato della relazione»”[43] educativa, condotta anch’essa da soggetti non neutri, è l’unico modo per sottrarsi a questo ordine imposto e falso. Agli e alle insegnanti è richiesto di mettersi in gioco in prima persona e prendere posizione: compiere le proprie scelte educative in modo da favorire la relazione e il dialogo valutando caso per caso, creare un ambiente in cui è possibile instaurare una trasmissione di conoscenze critiche che decostruisca la falsa neutralità della cultura, espressione dell'ideologia e del punto di vista del gruppo sociale che l’ha dominata e plasmata.
La letteratura si presta esattamente a fare questo: costruisce relazioni tra i testi, significati e significanti, in cui la narrazione permette di trasmettere conoscenze ed emozioni. La letteratura porta a prendere una posizione, costringe a scegliere, e a costruire quindi un ambiente di libertà in cui ogni soggetto possa trovare lo spazio per esprimersi. Diventando protagonisti, agli e alle studenti è permesso agire da soggetti attivi a loro volta e l’approccio allo studio letterario “a partire da sé”[44] lascia che possano riappropriarsi di temi e linguaggi, tanto nella lettura, quanto nella scrittura, controparte fondamentale della disciplina. È opportuno prestare molta attenzione a questa riappropriazione: è grazie all’autonomia di scoperta e interpretazione che i testi studiati diventano vivi nell’interazione con ogni studente, oltre a evitare che il punto di vista dell’insegnante, sebbene in buona fede, di genere o qualsiasi altra natura, sia a sua volta imposto agli e alle studenti. Insomma, la letteratura è una lente ottimale attraverso cui concretizzare lo sguardo di genere, ma richiede che anche il linguaggio si adatti e ne consenta il cambiamento. Esso è uno «strumento capace di riflettere la cultura e i rapporti di potere all’interno della società»[45] e gioca un ruolo decisivo: governa le conversazioni, i rapporti e la vita nell’ambiente scuola, è cardine nell’insegnamento della letteratura, nella sua analisi e nella sua storia, grazie alla sua capacità di rappresentazione della realtà, rendendolo un importante veicolo di informazione sulla percezione del mondo e dell’altro.
5. Il linguaggio strumento di riconoscimento
Tutte le considerazioni fatte finora rimarrebbero sospese se non fossero veicolate e supportate da un linguaggio in grado di ricoprire questo ruolo. Infatti, evidenzia Giuliani nel suo saggio Filosofia, linguaggio e genere, è proprio il «riconoscimento veicolato dal linguaggio»[46] che attualmente garantisce lo sviluppo del soggetto a uno solo dei generi, ma che viene usato dalle autrici per permettere alle donne il “riconoscimento” una con l’altra. Sintomo del “femminicidio culturale” e della “storia nell’ombra” di cui sopra è infatti l’impossibilità per le studenti di riconoscersi in quello che studiano e in quello che è richiesto loro di sapere poiché ritenuto importante. Il linguaggio della scuola non coinvolge la storia femminile, l’esperienza femminile persino, pertanto, come possiamo chiedere loro di comprendere e diventare parte di questo stesso meccanismo?[47] Al linguaggio, anche se in questa sede è sufficiente riferirsi limitatamente alla scuola, è «necessaria la riflessione delle donne: [...] senza sarà difficile vincere la lotta contro l’inesprimibile alla quale lo condanna il mancato riconoscimento della differenza»[48]. La scuola risulta un luogo ideale per permettere la sperimentazione del linguaggio, soprattutto nel contesto della letteratura, di cui è la concreta materia che la compone, per esplorare nuove realtà che emergono e come si adatta il linguaggio ad esse.
Questo viene affrontato anche da Cecilia Robustelli in uno scritto del 2014 in cui, dopo una breve rassegna dei manuali scolastici di grammatica, sono commentate alcune evoluzioni linguistiche e le resistenze che vi si oppongono. L’autrice si concentra in particolar modo sulle formazioni del genere grammaticale femminile, sfatando alcuni miti e ribadendo la legittimità della forma in quanto “regolare estensione”[49] e non una deviazione dalla norma. Come già citato nelle pagine precedenti, anche Robustelli ribadisce la natura approssimativa del dibattito, data la tenace resistenza della maggior parte dell’ambiente scolastico al cambiamento, e, in questo caso specifico, all’uso del femminile. In particolare sono tre le motivazioni che l’autrice trova più spesso nella sua opposizione, che ritengo possano essere utili per interpretare la resistenza alla variazione del canone, poiché frutto dello stesso schema: la “bruttezza” della forma femminile o addirittura la sua scorrettezza, come si resiste all’abbandono del canone ritenuto “giusto” e delle usuali categorie di merito; segue l’uso “neutro” del maschile, come “neutra” è la trasmissione della conoscenza; infine il maschile plurale “inclusivo”, che ricorda la faciloneria con cui nella storia letteraria italiana (e certamente non solo) si sono incluse soltanto le voci maschili in rappresentanza di tutte le altre.
Conclusioni
Ebbene, come concludere un discorso tanto ampio, incorniciato per di più in un contesto di studi, quello degli studi delle donne e di genere, ancora in larga parte aperto, inesplorato?
Per il momento, per quanto gli strumenti odierni presentino “arretratezze scandalose”[50] e nonostante l’apparente immutabilità dei programmi scolastici in un mondo in continuo cambiamento, l’idea migliore sembra quella di appropriarsi di un “uso sovversivo”[51] degli strumenti a disposizione, i quali sono anche i più adatti a raggiungere un numero più alto di persone (in ambito nazionale, almeno). Il canone e la tradizione esistenti, infatti, sono un’ottima occasione per affrontare in aula il tema della costruzione di questi strumenti e avviare la riflessione critica e decostruzionista: porre l’attenzione sul linguaggio, scoprire le domande che di solito rimangono taciute, aprire il dialogo, rafforzare le relazioni, strumento ultimo di trasmissione di categorie sociali, pregiudizi e rapporti di potere.
Nella scuola del genere è importante, per docenti e studenti, esporsi in prima persona, mettersi in gioco con le proprie posizioni e contraddizioni (anch’esse, infatti, possono essere occasione per un confronto educativo), toccare con mano l’esperienza delle altre persone coinvolte nel dialogo. Diventa oggetto di studio l’osservazione e la comprensione delle metodologie e dei criteri di composizione dei testi usati e dei programmi insegnati, apprendendo i contenuti del corso e la cornice di relazione che sottostanno a quel sapere. La letteratura, è stato discusso, si prefigura come strumento efficace e di facile comprensione: la letteratura viva, dei molteplici punti di vista e soggettività.
Dunque, la scuola del genere abbandona la ricerca dell’universalità per scendere alla singolarità, ponendosi come luogo di trasmissione delle differenze, secondo una visione pluralistica della società come “confronto tra diversi valori, bisogni, culture”[52].
Dunque, può esistere una scuola del genere?
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11 giugno 2024
[1] A. Chemello, Il salto di Mary Carmichael. Riflessioni su trent’anni di studi e ‘revisioni’ in M.S. Sapegno, I. De Bernardis, A. Perrotta (a c. di), Critica clandestina? Studi letterari femministi in Italia, Atti del convegno, Sapienza Università di Roma, 3-4 dicembre 2015, Sapienza Università Editrice, 2017, pp. 26-27.
[2] Ibid.
[3] M. S. Sapegno, Scuola ed educazione al genere in M. S. Sapegno [b] (a c. di), La differenza insegna. La didattica delle discipline in una prospettiva di genere, Carocci, 2014, p. 8.
[4] Ivi, p. 7.
[5] Ivi, p. 10.
[6] Ivi, p. 8.
[7] MIUR, Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento concernenti le attività e gli insegnamenti compresi nei piani degli studi previsti per i percorsi liceali, 2010.
[8] G. Ciummei Corduas, Il MIUR e la difficile parità, in Sapegno [b], cit., p.51.
[9] MIUR, Indicazioni nazionali per i percorsi liceali cit., p. 10.
[10] Id., Profilo educativo culturale e professionale dello studente (allegato A al Regolamento dei licei), 2010.
[11] Ciummei Corduas, cit., pp. 47-48.
[12] MIUR, Indicazioni nazionali per i percorsi liceali cit.
[13] Sapegno, Lo sguardo di genere interroga la letteratura, cit., p. 97.
[14] Ciummei Corduas, Il MIUR e la difficile parità, cit., p. 48.
[15] Tuttavia, occorre sottolineare alcuni esempi virtuosi come i documenti prodotti in seno al Progetto POLiTe, per approfondimenti e altri esempi di operazioni statali nella scuola per la parità di genere, cfr. Ciummei Corduas, cit., pp. 48-50, in cui si accenna anche alle Indicazioni Nazionali.
[16] D. Spender, Invisible women. The schooling scandal, Writers and Readers Publishing cooperative society, 1982, p. 148; inoltre, Sapegno, Scuola ed educazione al genere, cit.; per alcuni esempi di percorsi “sulla Donna” tanto diffusi quanto inefficaci, se sospesi in un sistema che funziona in tutt’altro modo, cfr. Sapegno, Lo sguardo di genere interroga la letteratura, cit.
[17] Ciummei Corduas, cit., p. 51.
[18] Anche Sapegno lamenta la relegazione di questi temi all’iniziativa individuale di docenti e studenti, cfr. Lo sguardo di genere interroga la letteratura, cit.
[19] Riguardo alla letteratura e ai giovani, cfr. Sapegno, Lo sguardo di genere interroga la letteratura, cit., pp. 95-96.
[20] M. Coppola e S. Sabelli, Insegnare genere e “razza”: eredità coloniali e nuove prospettive, in Sapegno [b], cit., p. 35.
[21] S. Sgavicchia, Fare disfare rifare il Genere. Prospettive metodologiche per la Ricerca e per la didattica, in L’italianistica oggi: ricerca e didattica, atti del XIX congresso dell’ADI (Associazione degli Italianisti), Roma, 9-12 settembre 2015, a c. di Alfonzetti B., Cancro T., di Iasio V., Pietroboni E., p. 3;
[22] Sulla scarsa circolazione di opere di pedagogia di genere, cfr. Robustelli, Genere, grammatica e grammatiche in Sapegno [b], cit., pp. 65-66.
[23] M. S. Sapegno, Lo sguardo di genere interroga la letteratura, cit., p. 102.
[24] Ivi, p.98.
[25] Ivi, p. 99.
[26] D. Spender, cit., pp. 140-149, sulla scuola incapace di uscire dalle categorie “neutralità” e “obiettività” e pertanto responsabile di trasmettere categorie sociali divisive.
[27] Su canone e merito, J. L. Bertolio [a], Canone e merito: un binomio fatale, «La Ricerca», numero 24, 2023.
[28] Il ‘canone’ è, naturalmente, il prodotto della critica e delle opere che lo costruiscono e che lo plasmano: cambia nel tempo e rispecchia i valori intellettuali e politici del contesto in cui è calato; è, insomma, diretta espressione delle priorità del gruppo sociale che in un dato momento produce sapere.
[29] A tal proposito, cfr. T, Marino, Gender, fiction e uso sociale della letteratura, «Gentes», anno III n. 3, dicembre 2016 e C. Gamberi, Ripensare la relazione educativa in ottica di genere, in Sapegno [b], cit., pp. 14-22.
[30] Marino, cit., pp. 182-183
[31] E. Brilli, Nuovi soggetti e vecchi paradigmi. Una ricognizione sulle biografie di donne (Italia, 1995-2005) in A. Ronchetti e M. S. Sapegno, Dentro/Fuori Sopra/Sotto. Critica femminista e canone letterario negli studi di italianistica, Ravenna, Longo Editore, 2007, p. 142
[32] C. Gamberi, Riflessioni sulle scritture dell’Io fra studi di genere e post-coloniali in Sapegno, De Bernardis, Perrotta, cit., p. 119.
[33]Marino, cit., pp. 182-183.
[34] Brilli, cit., p. 148.
[35] Ivi, p. 147.
[36] Sapegno, Lo sguardo di genere interroga la letteratura, cit., p. 102.
[37] Sgavicchia, cit., p. 4.
[38] Sulle traduzioni incerte, cfr. Marino, cit., p. 181.
[39] Gamberi, Ripensare la relazione educativa, cit., p. 10.
[40] Per approfondimenti pedagogici sul valore del silenzio e delle attenzioni rivolte a determinati gruppi di studenti cfr. Spender, cit., pp. 67-76 e 97-117, punto che l’autrice sottolinea lungo tutta la sua argomentazione e F. Giuliani, Filosofia, linguaggio e genere in M. S. Sapegno [b], cit. pp. 23-28.
[41] Sapegno, Lo sguardo di genere interroga la letteratura, cit., p. 96.
[42] Ibid.; riguardo alla falsa neutralità dei saperi cfr. capitolo I.2 e I.3.
[43] Gamberi, Ripensare la relazione educativa, cit., p. 17.
[44] M. di Giacomo, A. Perrotta, R. D. Toti, Insegnare la letteratura italiana con uno sguardo di genere in Sapegno, De Bernardis, Perrotta, cit., p. 219.
[45] Gamberi, Ripensare la relazione educativa, cit., p. 19, sull’importanza di raggiungere un’eguaglianza formale sia nei contenuti che nei linguaggi, di concentrarsi sul loro ruolo nella società della scuola e sull’insufficienza di agire solo sui contenuti, senza considerare le relazioni.
[46] Giuliani, cit., p. 27.
[47] Amaramente, è spiegato come questo è possibile in Spender, cit.
[48] Giuliani, cit., p. 27.
[49] Robustelli, cit., p. 62.
[50] A. Perrotta e M. S. Sapegno, A dieci anni da Cambridge in Perrotta e Sapegno, cit., p. 4.
[51] West, cit., p. 36.
[52] De Majo, cit., p. 57.