La storia letteraria del diluvio è un vero diluvio di storie.
In tutte ricorre il topos del sovvertimento dell'ordine naturale e un ‘nocciolo mitico’ che, come ricostruito da Hermann Usener (1834-1905), sta in quel motivo centrale «del dio che viene portato dalle acque chiuso in un'arca e che poi approda sulla cima di un monte».[1]
Caspar Wanderdrossel in L’isola del giorno prima di Umberto Eco raccoglie fossili, esplora «i territori d’oriente per ritrovare qualcosa sulla cima del monte Ararat», non smette di fare «calcoli accuratissimi su quelle che potevano essere le dimensioni dell’Arca, tali da consentirle di contenere tanti animali (e, si noti, sette coppie per ciascuno), e al tempo stesso di aver la giusta proporzione tra parte emersa e parte immersa», in modo da fronteggiare i «marosi, che durante il Diluvio non dovevano esser frustate di poco conto».[2]
Riaffiora in Caspar la figura di Athanasius Kircher (1602-1680), uno degli ultimi rappresentanti dell'enciclopedismo seicentesco, che nell’Arca Noe (1675) aveva tentato di conciliare le nuove scoperte biologiche, geografiche ed evolutive con le tradizioni testamentarie sul Diluvio universale.
Negli studi sei e settecenteschi sui fossili imperava la ‘teoria diluvialista’, che conferiva alla catastrofe biblica del diluvio la creazione delle masse rocciose, la configurazione della terra secondo la conformazione attuale, la derivazione di tutti i fossili dalle conchiglie e dai pesci.
Il naturalista Niccolò Stenone, già nel XVII secolo, si sarebbe però chiesto “perché spesso si trovano conchiglie lontano dal mare, a volte incastonate nella roccia sulla cima delle montagne?”[3] E Alan Cutler, raccontando in La conchiglia del diluvio l’atto di nascita della geologia moderna, nota come Stenone, concentrando i suoi studi sulle sovrapposizioni degli strati geologici, sarebbe arrivato a capire che quella stratificazione poteva fornire all’uomo una possibile ‘cronologia’.
Cambia profondamente proprio con Niccolò Stenone il modo di vedere la Natura, non più statico ma dinamico, e nel corso del Settecento, grazie alle ulteriori scoperte paleontologiche e allo sviluppo della strumentazione scientifica, la teoria diluvialista sarebbe stata ancor più messa in discussione: dove sarebbe defluita l’acqua del diluvio? E le piante, come avevano potuto sopravvivere?
L’introduzione del concetto di mutazione delle specie con Lamarck farà tramontare progressivamente il diluvianesimo negli ambienti scientifici, fino alla definitiva scomparsa con l’evoluzionismo di Darwin.
Fin qui, una fulminea sintesi del diluvianesimo fra il XVII secolo e il XIX secolo, utile solo per far capire a una classe quanto possano essere state in anticipo sui tempi le ‘dubitazioni’ di Leonardo da Vinci, «discepolo della sperienza»[4], che già all’inizio del Cinquecento confutava la tesi che la presenza di fossili marini sui monti fosse dovuta alla portata catastrofica del Diluvio universale: «Della stoltizia e semplicità di quelli che vogliano che tali animali fussi in [t]ali lochi, distanti dai mari, portati dal diluvio».[5]
Nel Codice Leicester (dal 1980 noto anche come Codice Hammer) Leonardo si chiede «perché sono trovate l’ossa de’ gran pesci e le ostriche e coralli e altri diversi nichi e chiocciole sopra l’alte cime de’ monti marittimi, nel medesimo modo che si trovan ne’ bassi mari»[6] e argomenta che «se li nichi fussino stati portati dal torbido diluvio, essi sarian misti, separatamenti l’un da l’altro, infra ‘l fango, e non con ordinati gradi, a suoli, come alli nostri tempi si vede».[7]
Le confutazioni teoriche a partire dai nichi, cioè dalle conchiglie fossili, origina dai rilevamenti fatti direttamente in montagna, al mare o lungo il corso dei fiumi:
Tu ài ora a provare, come li nicchi non nascano, se non in acque salse, quasi tutte le sorte; e c[o]me li nichi di Lombardia ànno 4 livelli; e così è per tutti, li quali sono fatti in più tempi; e questi sono per tutte le valli, che s’abboccano alli mari.[8]
Raccolta di scritti e disegni dal 1504 al 1508, il Codice Leicester è determinante per capire come Leonardo s’ispirasse al corpo umano per cogliere le cicliche trasformazioni del globo terracqueo, quasi fosse un organismo vivente. Le terre emerse si sarebbero trovate in tempi remoti in fondo ai mari. L’erosione delle piogge e dell’acqua avrebbe trascinato in mare grandi quantità di sedimenti e, per compensazione e bilanciamento dei processi erosivi, le montagne sarebbero emerse dalle acque, conservando al loro interno animali marini fossilizzati. Tutto questo confuta l’interpretazione del trasporto dei fossili sulle sommità dei monti per opera del Diluvio universale e anche l’immutabilità del mondo dalla Creazione narrata nella Genesi.
Nel Codice Leicester Leonardo ancora conserva un’idea di mondo come organismo, stabilendo analogie fra le montagne e le ossa, l’acqua e il sangue venoso, la terra e la carne, una metafora, secondo Martin Kemp,[9] dell’universalità del corpo umano nel contesto del corpo del mondo che trova nella Gioconda la sua espressione più compiuta. Come bene indica questo passo:
Adunque potrén dire la terra avere anima vigitativa e che la sua carne sia la terra, li suoi ossi sieno gli ordini delle collegazioni de’ sassi di che si compongano le montagne, il suo tenerume sono li tufi, il suo sangue sono le vene delle acque, il lago del sangue che sta ditorno al core è il mare oceano, il suo alitare è il crescere e decrescere del sangue pelli polsi, e così nella terra è il frusso e rifrusso del mare, e il caldo dell’anima del mondo è il fuoco ch’è infuso per la terra[10]
Leonardo spera che lo studio dei movimenti liquidi e delle modificazioni sulla superficie terrestre ad opera dell’acqua gli consenta di capire i meccanismi organizzativi di tutta la Natura.
Addirittura, ipotizza nel Codice Leicester che i processi erosivi possano aver messo in comunicazione il Mediterraneo con il «mare oceano» e, per il conseguente abbassamento del livello delle acque, molte terre sarebbero emerse, mostrando sia le sedimentazioni rocciose, dipinte da Leonardo nella Vergine delle Rocce, sia le conchiglie («nichi») e i coralli:
Vedesi in nelle montagnie di Parma e Piacentia le moltitudini di nichi e coralli intarlati, ancora appiccicati alli sassi, de’ quali quand’io facevo il gran cavallo di Milano, me ne fu portato un gran sacco nella mia fabbrica da certi villani[11]
Studi di idrodinamica, disegni e misurazioni scientifiche di aerodinamica abbondano nel Codice Leicester, tanto che sono ipotizzabili molti percorsi didattici, a cominciare dal Laboratorio didattico sull’acqua realizzato dal Museo della Scienza di Firenze.
Possediamo sul Diluvio una nota, che riportiamo in un file a parte il testo,
contenuta in tre fogli del più famoso dei codici leonardeschi, il Codice Atlantico, la cui denominazione deriva dal formato dei fogli normalmente utilizzati per gli ‘atlanti’ geografici e su cui sono stati incollati i disegni di Leonardo. Il Codice Atlantico, conservato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, raccoglie scritti e disegni elaborati di un quarantennio, dal 1478 al 1519, e tratta argomenti di geografia, matematica, meccanica, anatomia, architettura, botanica e biologia.
Sintatticamente nella nota sul Diluvio prevale una costruzione di tipo paratattico che privilegia la coordinazione rispetto alla subordinazione e il larghissimo uso della congiunzione «e», che svolge la sua funzione di connettivo per eccellenza all’interno del periodo (ma anche in apertura di periodo). Le ragioni scientifiche vanno sempre a confliggere con quelle della Genesi (7, 17-22), per cui Leonardo trascrive i dubbi che lo assalgono.
Basterebbe il passo finale per evidenziarli, laddove egli si chiede come i «dieci gomiti sopra al più alto monte dell'universo» raggiunti dall’acqua sarebbero potuti andare via per far riemergere le terre:
Dubitazione. Movesi qui un dubbio, e questo è se 'l diluvio venuto al tempo di Noè fu universale o no; e qui parrà di no per le ragioni che si assegneranno. Noi nella Bibbia abbiàn che il predetto diluvio fu composto di quaranta dì e quaranta notte di continua e universa pioggia, e che tal pioggia alzò dieci gomiti sopra al più alto monte dell'universo; e se così fu che la pioggia fussi universale, ella vestì di sé la nostra terra di figura sperica, e la superfizie sperica ha ogni sua parte equalmente distante al centro della sua spera; onde la spera dell'acqua trovandosi nel modo della detta condizione, elli è impossivile che l'acqua sopra di lei si mova, perché l'acqua in sé non si move, s'ella non discende. Addunque l'acqua di tanto diluvio come si partì, se qui è provato non aver moto? E s'ella si partì, come si mosse, se ella non andava allo insù? E qui mancano le ragion naturali, onde bisogna per soccorso di tal dobitazione chiamare il miracolo per aiuto, o dire che tale acqua fu vaporata dal calor del sole.[12]
Il dettato della Genesi presenta per Leonardo un paradosso rispetto alle leggi naturali e all’estensione geografica, ma l’affrancamento della Rivoluzione scientifica dalla teologia sarebbe avvenuto lentamente nei due secoli successivi e avrebbe preteso un costo: quello della vita di molti ‘scienziati’.
I testi citati evidenziano, infine, un elemento che si coglie in absentia, in quanto mancano di grafie di stampo latino. In un’epoca in cui l’osmosi volgare-latino è diffusissima, quest’assenza conferma il tipo di formazione di Leonardo, priva di fondamenti umanistici e dello studio del latino:
Proemio
So bene che, per non essere io litterato, che alcuno presuntuoso gli parrà ragionevolmente potermi biasimare coll’allegare io essere omo sanza lettere. Gente stolta, non sanno questi tali ch’io potrei, sì come Mario rispose contro a’ patrizi romani, lo si rispondere, dicendo: «Quelli che dall’altrui fatiche se medesimi fan- no ornati, le mie a me medesimo non vogliano concedere». Diranno che, per non avere io lettere, non potere ben dire quello di che voglio trattare. Or non sanno questi che le mie cose son più da esser tratte dalla sperienzia, che d’altrui parola; la quale fu maestra di chi bene scrisse, e così per maestra la piglio e quella in tutt’i casi allegherò.[13]
Leonardo ammette di non essere un «litterato», ma «rigetta con forza l’accusa (non sappiamo se reale, o solo immaginata) di essere un ‘omo sanza lettere’, - puntualizza Carlo Vecce - cioè del tutto privo della possibilità di intendere i testi della tradizione antica, e non solo per ragioni linguistiche».[14] E Vasari forse eccede in complimenti, quando definisce Leonardo «il miglior dicitore di rime all’improvviso del tempo suo», affermazione contraddetta in un saggio di Carlo Dionisotti (1908-1998) del 1962, Leonardo uomo di lettere (che si può leggere integralmente a questo link: Dionisotti ), che rileva la sparuta presenza di poesie e di «versi spiccioli» tra gli scritti del Maestro. Meglio, a suo dire, sposare l’opinione di Francesco Flora (1891-1962), secondo cio la grandezza di Leonardo sia nell’aver scritto «la più verace prosa di concetti che la lingua italiana abbia avuto prima di Machiavelli».
Di grande interesse è nel Codice Leicester anche l’elencazione di sostantivi e verbi attinenti ai liquidi in movimento, compilata per poter emulare con la parola la potenza delle immagini:
Retrosi. Urtazioni. Confregazioni. Ondazioni. Rigamenti. Bollimenti. Ricascamenti. Ritardamenti. Scaturire. Versare. Arroversciamenti. Riattuffamenti serpeggianti. Rigore. Mormorii. Strepidi. Ringorgare. Ricalcitrazione. Flusso e riflusso. Ruine. Conquassamenti. Balatri. Spelonche delle ripe. Revertigini. Precepizi. Reversciamenti. Tumulto. Confusioni. Ruine tempestose. Equazioni. Equalità. Arazione di pietre. Urtamento. Bollori. Sommergimenti dell’onde superfiziali. Retardamenti. Rompimenti. Dividimenti. Aprimenti. Celerità. Veemenzia. Furiosità. Impetuosità. Concorso. Declinazione. Commistamento. Revoluzione. Cascamento. Sbalzamento. Conrusione d’argine. Confuscazioni [15]
La scelta di un promemoria lessicale tecnico e univoco (on line il Glossario leonardiano dell’archivio e-Leo), in vista di una nominazione più esatta per denotare le minuscole variazioni di ogni movimento acquatico, è il segno tangibile della ricerca di un linguaggio scientifico specifico e dell’importanza che questo assume nell’ambito della nuova Rivoluzione scientifica rinascimentale. In virtù anche del fatto, che molti di questi termini sono neologismi.
Per contestualizzare la lettura dei Diluvi di Leonardo basterebbe ricordare il pronostico di un nuovo diluvio nel 1524, studiato da Paola Zambelli,[16] e l’interesse di molti intellettuali all’inizio del Cinquecento per queste profezie, a cominciare dallo stesso Michelangelo, che dipinge proprio il Diluvio universale sulla volta della Cappella Sistina, o per citarne solo alcuni le Tavole del diluvio di Hieronymus Bosch al Museum Boymans Van Beuningen di Rotterdam (attribuito e datato ca.1514-1515) o il Diluvio universale della Loggia vaticana ad opera della bottega di Raffaello fra il 1518 e il 1519.
Non è da escludere che Leonardo abbia visto durante il suo soggiorno a Roma il diluvio dipinto nella Cappella Sistina (completato nel 1510 e reso visibile nel 1512) da Michelangelo, che interpreta il racconto della Genesi, mettendo in primo piano il dolore e lo sconvolgimento dei corpi umani e sullo sfondo Noè, rinchiuso nell’Arca della salvezza e quasi insensibile alla vista di tante vite stroncate.
Proprio nel fatidico anno 1524, quando ormai Leonardo è morto, Machiavelli scrive un canto carnascialesco sul diluvio, il Canto de’ romiti, ironizzando sui pronostici di «ogni Astrologo, e Indovino».
Rispetto al pericolo degli uomini che vivono nella città della valle, i frati e i romiti, che vivono negli alti gioghi dell’Appennino, si sentono indenni dalla minaccia del diluvio e rivolgono alle donne graziose l’annuncio di «un lieto carnovale». «Così la tragedia si tramuta in commedia, il dolore in gioia, la tristezza in ilarità, il diluvio d’acqua in diluvio d’amore».[17]
Del resto, anche nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (II,5), Machiavelli, analizzando le ragioni che determinano la perdita della memoria storica di avvenimenti lontanissimi nel tempo, individua, tra le cause di tale perdita, una serie di causa naturali (egli parla di «cause che vengono dal cielo»), in cui sono proprio i ‘diluvi’ (ma, si noti bene il plurale: non “il” Diluvio) quelli che hanno gli effetti distruttivi più radicali. Eventi che Machiavelli presenta come estranei a ogni disegno e volontà superiore: fenomeni naturali, di imprevedibile ricorrenza:
Quanto alle cause che vengono dal cielo, sono quelle che spengono la umana generazione, e riducano a pochi gli abitatori di parte del mondo. E questo viene o per peste o per fame o per una inondazione d'acque: e la più importante è questa ultima, sì perché la è più universale, sì perché quegli che si salvono sono uomini tutti montanari e rozzi, i quali, non avendo notizia di alcuna antichità, non la possono lasciare a' posteri.[18]
Giugno 2021
[1] H. Usener, Le storie del diluvio, a cura di I. Sforza, Brescia, Morcelliana, 2010, p. 101 (il saggiouscì originariamente nel 1899).
[2] U. Eco, L’isola del giorno prima, Milano, Bompiani, 1994, pp. 243-244.
[3] L’informazione è tratta da A. Cutler, La conchiglia del diluvio Milano, Il Saggiatore, 2007 (ed. orig., 2003), p. 16.
[4] Così si autodefinisce in Leonardo da Vinci, Codice Atlantico, f. 520r.
[5] Id., Codice Leicester, f. 10r.
[6] Ivi, f. 20r.
[7] Ivi, f. 8v.
[8] Ivi, f. 36r.
[9] Cfr. M. Kemp, Le lezioni dell’occhio. Leonardo da Vinci discepolo dell’esperienza, Milano, V&P, 2004.
[10] Leonardo da Vinci, Codice Leicester, f. 34r
[11] Ivi, f. 9v
[12] Id., Codice Atlantico, 418a; in Scritti, a cura di C. Vecce, Milano, Mursia, pp. 173-174.
[13] Ivi, c. 327v; in Scritti, cit., p. 191.
[14] C. Vecce, “Scritti letterari” di Leonardo da Vinci, in Letteratura Italiana Einaudi. Le Opere, a cura di Alberto Asor Rosa, Torino, Einaudi, 1992, vol. I, p. 6.
[15] Leonardo da Vinci, Codice I, ff. 71r e 72v
[16] Cfr. P. Zambelli, Fine del mondo o inizio della propaganda? Astrologia, filosofia della storia e propaganda politico-religiosa nel dibattito sulla congiunzione del 1524, in Scienze e credenze occulte, livelli di cultura, Convegno internazionale di Studi (26-30 giugno 1980), Firenze, Olschki, 1982, pp. 291-368.
[17] P. Sabbatino, Il Diluvio universale di Michelangelo, i dubbi di Leonardo, l’apocalisse interiore di Bruno, in La letteratura italiana e la nuova scienza. Da Leonardo a Vico, a cura di S. Magherini, Milano, FrancoAngeli, 2017, p. 98.
[18] N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, a cura di G. Inglese, Milano, Rizzoli, 1984, p. 308