Claudia Mizzotti - Quando gli altri eravamo noi

Raccontare ai “nuovi italiani” altre migrazioni

 

Proposta nata nel marzo 2015 in occasione di un seminario ADI-sd che si è tenuto presso l’Università di Padova dal titolo «Letteratura a scuola, competenze per la vita». Alcuni contenuti in forma sintetica sono stati proposti nel capitolo Educazione interculturale, scritto con Lucia Olini e Carla Sclarandis, in Didattica della letteratura italiana. Riflessioni e proposte operative, a cura di Gino Ruozzi e Gino Tellini, Firenze, Le Monnier Università –   Mondadori education, 2020, p. 199-212. Una sistemazione più organica della materia (di cui qui si rende conto) è stata proposta in occasione del corso «Ritessere i fili. L’Estremo contemporaneo in classe», ciclo di webinar per la formazione dei docenti organizzato da una rete ADI-sd nella primavera del 2022.

 

Premessa

Questo contributo svolge una ricognizione su romanzi storici dedicati al tema delle migrazioni in uscita degli italiani a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Le opere sono state selezionate allo scopo di offrire uno strumento di lavoro per progettare percorsi di lettura utili a ricostruire, per via narrativa, scenari inediti per gli studenti e le studentesse che frequentano la Secondaria di II grado, ragazze e ragazzi che ignorano o sanno solo vagamente che l’Italia è stata a lungo terra di partenza prima di diventare luogo di arrivo o di transito. Lo scopo, allargando simultaneamente le categorie di spazio e di tempo, è quello di esplorare le relazioni fra passato narrato e presente vissuto e di riflettere sulle questioni sollevate dagli spostamenti umani a partire dalle migrazioni dei nostri connazionali.

La proposta si concentra su opere scritte nel tempo dell’Ipermodernità, ossia pubblicate a partire dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso, secondo la periodizzazione di Raffaele Donnarumma.[1] Mi sono mossa dunque nei territori dell’Estremo contemporaneo, ovvero fuori dal canone scolastico, nei boschi (e talvolta nelle sterpaglie) della narrativa circostante, considerando opere non solo poco sfruttate didatticamente, ma anche per lo più prive di un vaglio critico in senso tradizionale.

In aggiunta a questo, occupandomi di migrazioni mi avventurerò in un campo insidioso, stante la recente polemica sulla letteratura dell’impegno.[2] Walter Siti, nel suo pamphlet Contro l’impegno (Rizzoli, Milano 2021), contrasta l’idea di una letteratura edificante con finalità esplicitamente pedagogiche, latrice di valori etici orientati a “riparare il mondo” secondo un diffuso conformismo progressista, in nome del quale lo specifico letterario, che risiede nella forma, viene sacrificato non solo sull’altare del neoimpegno, ma anche alle ragioni commerciali degli editori o al narcisismo degli autori. Tematizzare la migrazione è rischioso, è segnale inequivocabile di una malsana tendenza al neoimpegno, sostiene Siti:

 

La versione oggi prevalente dell’engagement punta su un contenutismo tanto orientato sulla cronaca quanto angusto, con temi che non è difficile elencare: migranti, vari tipi di diversità, malattie rare, orgoglio femminile, olocausto, bambini in guerra, insegnanti eroici, giornalisti o avvocati in lotta col Potere, criminalità organizzata, minoranze etniche. […] L’etica soggiacente si può riassumere in postulati discutibili ma mai discussi: amore e brutalità si escludono, la lotta basta a sé stessa, ciò che puoi sognare puoi farlo, non mollare mai, l’odio nasce dall’ignoranza, la violenza è sempre da condannare, bellezza è verità, i bambini sono innocenti.[3]

 

 Del resto, un’altra autorevole voce della letteratura del nostro tempo, Michele Mari, dalle irriducibili tendenze postmoderniste, ha dichiarato:

 

La letteratura secondo me deve avere un suo linguaggio più vicino a quello del sogno che a quello dell’intervento consapevole, civile, morale, impegnato. Per esempio, per fare un discorso in termini di controprova, se tu mi chiedessi di dirti senza pensare entro un secondo un argomento sul quale non scriverei mai un libro, ti direi subito i migranti. L’antiletteratura è quello. Perché ci fanno una testa così tutti i giorni al telegiornale ergo, proprio ergo, quello non può diventare letteratura. Posso fare il volontario, l’infermiere, scrivere un saggio, ma non chiedetemi di fare letteratura a partire da quello.[4]

 

Nella discussione a distanza con gli autorevoli punti di vista sopra richiamati, desidero precisare circostanze, principi e criteri che mi hanno guidata nella formulazione della presente proposta.

  1. L’esperienza mi suggerisce di limitare la lettura di storie di migrazioni attuali soprattutto se affidate alla penna di autori che si fanno portavoce di un punto di vista che non coincide con la loro esperienza.[5] Il mio tentativo è quello di raffreddare il tema caldo, di sottrarlo all’urgenza dell’oggi e di sospendere un giudizio frettoloso e manicheo, che potrebbe essere surrettiziamente polarizzato per effetto delle opinioni mainstream. Delocalizzando nello spazio e allontanando nel tempo il discorso sulle migrazioni si possono, invece, recuperare scenari del passato per costruire una memoria culturale in grado riflettersi sulle dinamiche del presente e di immaginare quelle future:[6] si tratta di offrire la possibilità ai discenti di sperimentare forme di rappresentazione che consentano di cogliere la differenza fra “eventi” e “strutture” ricorsive, fra “spazio di esperienza” e “orizzonte di attesa”.[7]
  2. Non sono certo sorda alla necessità di “educare con la letteratura”: la letteratura, in particolare attraverso le forme narrative, è strumento fondamentale per la conoscenza della realtà e per la formazione etica e civile, come già quasi vent’anni fa aveva affermato con forza Marta Nussbaum[8] e come oggi affermano i teorici della biopoetica.[9] Attraverso la lettura si possono efficacemente perseguire obiettivi come esercizio della cittadinanza, costruzione di un’identità individuale e collettiva, moltiplicazione degli sguardi, ossia abitudine alla complessità piuttosto che alla semplificazione, aggiustamenti di prospettiva, scatti di conoscenza. Remo Bodei nel saggio Immaginare altre vite molto insiste sul fatto che le letture, spazi privilegiati dell’immaginazione e dell’esperienza riflessa, «spalancano nuovi mondi, ossigenano la mente, inoculano idee, passioni, sensazioni che altrimenti sarebbero precluse o ci resterebbero inconcepibili, sfuocate o fraintese».[10] Come sostiene Mario Vargas Llosa, «gli effetti socio-politici della letteratura si manifestano in maniera indiretta e molteplice, attraverso i comportamenti e le azioni dei cittadini la cui personalità i romanzi hanno contribuito a modellare».[11] Già Leonardo Sciascia, autore attento agli eventi politico-culturali del suo tempo, riteneva che «è così che si scopre una verità storica [. . .] nelle pagine di un romanzo, non in una dotta analisi, bensì grazie ad una descrizione romanzata».[12] Le opere letterarie, meglio del saggio e dell’inchiesta, raggiungono del resto un vasto pubblico, riescono a volte anche scuoterne la coscienza; attraverso le storie si possono produrre delle risposte etiche da parte dei lettori utili nella costruzione delle comunità a venire.[13]
  3. Inevitabile conseguenza di quanto finora detto, è l’abbandono del modello trasmissivo del sapere letterario: la musealizzazione della letteratura, la costruzione di un canone segregazionista per qualità, per nazionalità, esclusivo quanto a disciplina, mi sembrano pratiche quanto mai nocive, non tanto e non solo per il futuro degli studi letterari, ma soprattutto per la formazione dei “nuovi italiani”. «Attenersi ad una finalità patrimoniale» della letteratura, rinunciare «ad una attivazione della letteratura come modalità di accesso tipica del mondo»[14] significa fare di essa un sapere morto, inerte e inutile. Fra letture contemporanee e letteratura intesa come profilo storico di autori del canone accompagnato dal consueto corredo antologico di testi deve esserci un dialogo continuo e fecondo, via maestra per realizzare un’efficace integrazione fra verticalità (storicità) ed orizzontalità (varietà e complessità del presente).[15] Ciò potrà avvenire tramite un «metodo contrappuntistico»,[16] che non trascuri gli snodi fondamentali dello sviluppo del discorso letterario e che, nel contempo, si apra alle manifestazioni più recenti, riguadagnando forse così giovani alla lettura, al contatto diretto, piacevole e fecondo con i testi anche in forma di opere integrali. Leggere è il presupposto per individuare e riconoscere modelli, sviluppare confronti, fuori e dentro la letteratura, e quindi formulare giudizi competenti e informati non solo sulla letteratura, ma soprattutto sulla realtà. Abituare i giovani a interrogare i testi senza pretendere risposte immediate, ma complicando il quadro e accettando l’opacità[17] è una grande sfida educativa.
  4. Nella costruzione dell’immaginario l’accostamento di fonti alte (la letteratura consacrata) e di fonti basse (le alte tirature, la letteratura di genere e di consumo) è la regola, non l’eccezione. Così come la sotterranea ma vasta diffusione di pregiudizi di tipo razzista è in altri tempi avvenuta attraverso accorte quanto discutibili operazioni che saldavano “minore e maggiore” in campo culturale propiziando un’accettazione, prima emotiva che razionale, di immagini, stereotipi e mappe mentali,[18] allo stesso modo la mitopoiesi entro cornici narrative che tengano auspicabilmente in debito conto il rapporto dialettico fra etica ed estetica può offrire risorse preziose per rinegoziare visioni del mondo, per avviare processi emotivi e riflessivi, per ridimensionare e abbattere certi miti, non solo per costruirli, come ha recentemente dimostrato Yves Citton.[19]

 

A proposito delle vicende migratorie nazionali

Le storie di italiani che andavano a cercar fortuna all’estero fanno parte di un passato dimenticato, a volte rimosso, ma il suo recupero non deve produrre una semplice archeologia della memoria: rovesciare il punto di vista è un esercizio non semplice ma salutare, che la letteratura favorisce con l’effetto straniante generato dalle narrazioni in cui gli antenati sono presentati come “altri” rispetto a noi.[20] Se le pagine dei giornali raccontano di come l'Italia rappresenti la Terra Promessa di tanti uomini, donne e bambini extracomunitari migranti forzati,[21] contemporaneamente, tanto per complicare il quadro, è in atto un nuovo movimento dall'Italia, soprattutto di giovani, migranti economici o expat.[22] Insomma, la situazione dell’Italia è quella di un importante crocevia migratorio, i processi di migrazione in entrata e in uscita sono una costante della vicenda peninsulare, caso di studio ideale per verificare che il paradigma della migrazione ci caratterizza come specie, come hanno efficacemente spiegato scienziati esperti di meccanismi evolutivi.[23]

Non mancano nel canone scolastico, o negli autori che talvolta vi si insinuano, opere o spunti sull’argomento, anche se molto spesso il fenomeno migratorio rimane sullo sfondo, tuttavia non potrei aggiungere nulla a una materia che è stata già oggetto di censimento e di vaglio critico, e in alcuni casi pure sperimentata in sede didattica.[24] Per questo, e per segnalare ai miei studenti, tanto abituati a pensare gli scrittori come cari estinti, che la letteratura continua ad essere prodotta da uomini e donne in carne e ossa, scelgo di prendere in considerazione solo opere la cui genesi si situa negli ultimi venticinque anni, a partire dall’opera che dà il titolo a questa relazione: un’inchiesta di Gian Antonio Stella pubblicata nel 2002, L'orda, con eloquente sottotitolo Quando gli albanesi eravamo noi (Rizzoli, Milano 2002). Con il sostantivo “albanesi”, attraverso l'artificio retorico della sineddoche, l'autore indica tutti i migranti che hanno individuato come  approdo del loro viaggio della speranza proprio quell'Italia che non molti decenni prima, al contrario, ha visto i propri figli partire verso un futuro migliore, verso mete più o meno vicine, o delle Americhe (Stati Uniti e paesi dell'America latina come Brasile e Argentina) o dell'Europa (Svizzera, Germania, Belgio e Francia), o ancora verso l'Australia e l’Africa, in quest’ultimo caso soprattutto nell'ambito delle “avventure” coloniali e postcoloniali, o infine rimanendo entro i confini nazionali nell’ambito della migrazione interna. Stella scrive:

 

Oggi raccontiamo a noi stessi, con patriottica ipocrisia, che eravamo “poveri ma belli”, che i nostri nonni erano molto diversi dai curdi o dai cingalesi che sbarcano sulle nostre coste, che ci insediavamo senza creare problemi, che nei paesi di immigrazione eravamo ben accolti o ci guadagnavamo comunque subito la stima, il rispetto, l'affetto delle popolazioni locali. Ma non è così. […] Non è così. Non c'è stereotipo rinfacciato agli immigrati di oggi che non sia già stato rinfacciato, un secolo o solo pochi anni fa, a noi.

 

Stella con piglio giornalistico descrive nel volume il fenomeno dell’anti-italianismo negli Stati Uniti, con numerose citazioni di fonti coeve e di studi assai documentati;[25] come scriveva «The New York Times» del 5 marzo 1882,

 

Non c’è mai stata una classe così bassa e ignorante tra gli immigrati che si sono riversati qui come gli italiani. Rovistano tra i rifiuti nelle nostre strade, i loro bambini crescono in luridi scantinati, pieni di stracci e ossa, o in soffitte affollate, dove molte famiglie vivono insieme, e poi vengono spediti nelle strade a fare soldi nel commercio di strada.[26]

 

Lo stesso Stella, proseguendo la sua indagine, pubblica successivamente il libro-inchiesta Odissee: italiani sulle rotte del sogno e del dolore,[27] in cui tante storie di connazionali in viaggio sulle rotte dell’Atlantico sono portate a galla, scongiurando il naufragio della memoria e facendo affiorare un quadro storico forse scomodo, ma con il quale è necessario confrontarsi.

I libri di Stella, giornalista sensibile ai cambiamenti sociali, accompagnano il rinnovato interesse che nei mezzi di informazione e nell’opinione pubblica è riservato ai flussi migratori, non più dall’Italia, ma verso l’Italia. Si osserva, parallelamente alle inchieste e agli studi storici,[28] un sensibile incremento nella pubblicazione di romanzi che raccontano vicende legate agli italiani in fuga dalla miseria che offriva loro il nostro paese alcuni decenni fa,[29] segnale della sensibilità degli scrittori, testimoni responsabili del loro tempo, per i temi civili, la memoria culturale e la riscrittura della storia rimossa: se “scrivere è un atto politico”,[30] nel caso specifico lo sarà quello di rendere evidente il ripetersi di un meccanismo della storia in cui le parti sono destinate ciclicamente ad invertirsi, nell’ambito di una tendenza alla mescolanza di storia e letteratura tipica della narrativa degli anni zero.[31] I libri che presenterò offrono un campione delle tendenze della narrativa dell’Estremo contemporaneo: vi compaiono infatti le categorie critiche del romanzo neostorico (finzionale, non-finzionale o autofinzionale, ma anche oggetti narrativi non identificati, romanzi di genere, romanzi inchiesta, spesso fra loro ibridati). In questa sede non potrò che limitarmi a una modalità descrittiva delle opere esaminate con alcune suggestioni interpretative, talora rinviando a percorsi didattici e di lettura già pubblicati seguendo un criterio geografico, quello delle destinazioni delle migrazioni narrate.

 

Emigrare negli Stati Uniti

Sono quasi quattro milioni gli italiani che fra il 1880 e il 1915 approdano negli Stati Uniti. Quasi il 70 per cento di essi proviene dalle regioni meridionali, e per tutti l'impatto con il nuovo mondo si rivela difficile fin dai primi istanti: ammassati negli edifici di Ellis Island, o di qualche altro porto come Boston, Baltimora o New Orleans, gli immigrati, dopo settimane di viaggio, affrontano l'esame, a carattere medico e amministrativo, dal cui esito dipende la possibilità di mettere piede sul suolo americano. La severità dei controlli fa ribattezzare l'isola della baia di New York «isola delle lacrime».

Nel 2003, l’anno successivo alla pubblicazione dell’inchiesta L’orda di Stella, Melania G. Mazzucco vince il Premio Strega con il romanzo Vita:[32] attraverso la vicenda dei due emigranti ragazzini, Vita e Diamante (il nonno paterno della scrittrice), si ricostruisce una storia familiare che si configura innanzitutto come ricerca delle radici, come cammino verso un’identità più salda. Difficile distinguere la ricostruzione storica dall’invenzione romanzesca nei continui sconfinamenti di entrambe entro la cornice di auto-fiction: nella primavera del ‘97 Mazzucco viene invitata a tenere una conferenza per l’inaugurazione di una sezione di letteratura italiana alla Library of Congress di Washington. Proprio in quei luoghi, che furono teatro dell’epopea familiare, la scrittrice sente affiorare il ricordo di racconti di casa: «si segue insomma la quête dell’autrice, che è anche un personaggio alla ricerca, come gli altri, del suo destino, della sua storia», come scrive Paola Liberale in un contributo didattico che propone quattro diversi percorsi interpretativi della lettura del romanzo: sull’apprendistato ed i riti di passaggio; sulla ricerca dell’identità; sulle microstorie di singoli emigranti che si innestano sulla grande storia divenendo esemplari; sul rapporto fra scrittura e memoria.[33] Oltre alla relazione fra scrittura e memoria, anche quella tra realtà e finzione risulta di grande attualità nel dibattito critico sulla letteratura contemporanea: l’autrice di Vita ha condotto un’indagine storica rigorosa alla ricerca delle fonti e ne dà conto inserendo anche immagini-documento nella narrazione, non certo con lo scopo di dare credibilità al racconto, che peraltro presenta ampi squarci finzionali, ma al fine di valorizzare storie individuali per la costruzione di un patrimonio collettivo.

A testimonianza della fortuna editoriale dei libri nei quali il motore della narrazione è costituito dalla partenza dall’Italia verso gli USA (e talvolta anche dal ritorno nella madrepatria), segnalo cinque romanzi sulla Grande Migrazione, uno all’anno, usciti tra il 2017 e il 2021, che potrebbero offrire interessanti opportunità didattiche: Il dio di New York di Luigi Fontanella (Passigli editore, Firenze 2017), L’americano di Celenne di Giuseppe Lupo (Marsilio, Venezia 2018), La signora di Ellis Island di Mimmo Gangemi (Pickwick, Milano 2019), Destino di Raffaella Romagnolo (Rizzoli, Milano 2020) e Il popolo di mezzo dello stesso Gangemi (Piemme, Milano 2021). Mi soffermerò sul primo e sull’ultimo della serie, ricavando qualche spunto dalla lettura.

Luigi Fontanella, nato in provincia di Salerno nel 1943, da migrante culturale ha insegnato alla State University Stony Brook di New York coltivando la passione per la scrittura poetica e narrativa. Nel romanzo Il dio di New York[34] un italo americano dei nostri giorni, controfigura dell’autore, durante una vacanza in Italia si impegna nella ricostruzione della storia di Pasquale D’Angelo, un ragazzo originario di Introdacqua, nell’Appennino abruzzese, migrato sedicenne nel 1910 negli Stati Uniti insieme al padre e a un gruppo di compaesani, fra cui suo nonno Giorgio Vanno. Pasquale, presto ribattezzato Pascal nel Nuovo Mondo, dopo esperienze varie peregrinazioni nella vana ricerca di un lavoro dignitoso, si isola in un contesto di miseria, solitudine e abbruttimento; troverà nell’amore per la nuova lingua che è costretto a imparare in terra straniera, nella passione istintiva per la letteratura e la poesia che legge alla NY Public Library e, successivamente, nella scrittura, la via del suo personale riscatto: il giovane, che ha superato l’analfabetismo grazie alla forza di volontà ed è rinato nella nuova lingua, ormai ai limiti della sopravvivenza si rivolge al direttore della prestigiosa rivista newyorkese «The Nation», Carl Van Doren, che raccoglierà il suo grido di dolore e pubblicherà i suoi scritti, recensiti positivamente anche sulla «New York Times Book Review». Nel 1924 arriverà a pubblicare anche un’autobiografia dal titolo Son of Italy, la storia delle sue vicende che riscosse un certo successo,[35] ma, come spesso accade nella realtà poco incline a regalare alle storie un lieto fine, morì in circostanze banali ancor giovane nel 1938, troppo presto per scoprire dove la sua tenacia l’avrebbe portato.

Il romanzo di Fontanella sulla figura di Pascal D’Angelo apre due piste di lavoro: la prima relativa alle durissime condizioni di vita e alle gravi discriminazioni degli immigrati italiani negli Stati Uniti; la seconda sulle testimonianze affidate alle scritture diaristiche e memorialistiche dei migranti.

Il primo percorso può partire dalla lettura dal romanzo di Mimmo Gangemi Il popolo di mezzo,[36] che racconta la storia d’invenzione di tre fratelli che crescono orfani dopo il linciaggio dei genitori avvenuto a New Orleans da parte della folla inferocita accecata dal pregiudizio razzista che accomuna in quei luoghi gli italiani e i neri;[37] le conseguenze di questo trauma condizioneranno la vita del primogenito, Tony Rubbini, il quale, vedendo fallire la sua ricerca di riscatto, sposerà infine la causa dell’anarchia libertaria partecipando anche all’attacco dinamitardo a Wall Street del 16 settembre 1920.[38] Di tale azione il romanzo offre una ricostruzione di fantasia, tuttavia a partire da quella suggestione si potrà facilmente svolgere un’indagine sulle fonti e scoprire che nel volantino di rivendicazione dell’attentato compariva la frase «liberate i prigionieri politici», ossia Ferdinando Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti,[39] i due italiani che erano stati incriminati l’11 settembre 1920, cinque giorni prima dell’attentato, con l’accusa di rapina e di duplice omicidio.

Il secondo percorso potrebbe svilupparsi intorno fonti autonarrative in cui

 

i due termini “testimonianza” e “finzione” rappresentano le estremità di una forbice delle scritture del sé: da un grado zero […] denotativo (quaderni che registrano documenti prodotti in vista dell’emigrazione, giornate di lavoro, paghe, ecc.) alla narrazione di tipo narcisistico o dichiaratamente romanzesco.[40]

 

Se da una parte la scrittura del sé predispone nel lettore un atteggiamento di fiducia e di accettazione di quanto riferito dall’io scrivente, al contempo soggetto e oggetto della scrittura, d’altro canto «il frammento individuale potrà collaborare, con altri frammenti, alla realizzazione di un più vasto mosaico, la “big picture” cui potranno riferirsi studi storici e sociologici»,[41] e che potranno contribuire alla costruzione di una memoria culturale. Un testo che offre moltissimi spunti per il trattamento didattico è La spartenza di Tommaso Bordonaro:[42] contadino di Bolognetta (nel palermitano), emigrato negli «Iunaristeti America» nel 1947 all’età di 38 anni, Bordonaro decide di annotare su un diario (tre quaderni) i fatti salienti della sua vita dall’adolescenza, negli anni Venti, fino all’età matura, alle soglie del XXI secolo, dedicando particolare attenzione all’evento fondamentale che spacca in due la sua vita, la “spartenza” dall’Italia. La lingua di un semicolto, di un illetterato, impastata di vocaboli dialettali e inglesi, è tanto sgrammaticata quanto autentica e dimostra, un po’ come nel caso di Pascal D’Angelo, che l’emigrazione ha costretto molti a maneggiare la lingua, sia quella della terra d’origine che quella acquisita, accelerando il processo di conquista della scrittura da parte di quanti (la maggioranza della popolazione) ne erano stati fino a quel momento esclusi. Il testo ha davvero molti motivi di interesse, sia per gli aspetti linguistici che per quelli propriamente narratologici (ad esempio il rapporto fra il tempo della storia e il tempo del racconto, l’andamento ora narrativo ora riflessivo ora - nella seconda parte- ridotto a scarna annotazione delle nascite dei nipoti), oltre a restituire con straordinaria immediatezza il quadro storico sociale in cui lo scrivente si inserisce.

 

Emigrare in America del Sud

Fra le mete transoceaniche dei migranti italiani, l’Argentina è uno dei Paesi che ha accolto più connazionali: degli oltre quaranta milioni di oriundi italiani in Sud America, circa la metà si trovano in Argentina, dove costituiscono circa la metà dalla popolazione. Così significativo è il contributo dei migranti italiani nella formazione dell’odierna composita identità argentina, che, soprattutto dagli anni Ottanta del secolo scorso, in un contesto di ritrovata democrazia, uno spazio cospicuo nella produzione letteraria del paese sudamericano è stato guadagnato dalle opere di autori d’ascendenza italiana che rielaborano per via narrativa sia l’esperienza del distacco dal paese d'origine sia, più spesso, quella del radicamento nel nuovo continente.[43]

Per quanto riguarda invece gli autori italiani interessati a far memoria della storia dell’emigrazione verso l’Argentina, un posto di grande rilievo va attribuito alla scrittrice Laura Pariani,[44] che al tema ha dedicato grandi energie creative e numerose opere: come Mazzucco, Pariani ha un antenato, il nonno materno, che ha lasciato il Vecchio Mondo ed è sbarcato in quello Nuovo.

L’ampiezza e la varietà della produzione argentina di Pariani rende possibile realizzare in una classe, specialmente dell’ultimo anno, un mosaico di letture significative sulle quali i giovani lettori e le giovani lettrici si potranno confrontare con la mediazione dell’insegnante. Le tessere del mosaico potranno essere costituite dai seguenti libri:

  • Quando Dio ballava il tango (Milano, Rizzoli, 2005 e La nave di Teseo, 2021): è un romanzo dalla struttura composita, atipica, caratterizzato dalla polifonia delle voci di sedici donne, sedici «rabbiose penelopi», che raccontano prevalentemente la loro attesa, la loro solitudine e il loro sacrificio, in prima persona, secondo la tecnica narrativa delle storie di vita, che riscatta la dimensione dell’oralità e il valore della testimonianza. «Cosa poteva saperne mepà della sua donna, di quello che Dalgìsa aveva dovuto sopportare da sola per anni a tirar su tre bambine? Gli uomini son solo loro che gli sembra di patire. […] Loro liberi di andarsene per il mondo, ché son solo le montagne che restano al loro posto»: così pensa Venturina Majna.[45] Encarnada Majna, che con Venturina condivide il padre Togn, ma non la madre perché è figlia dell’indigena Pilar, è convinta che sia «nella natura dei maschi essere come gli uccelli che passano sopra la radura, alti nella luce del pomeriggio, e si possono guardare e ascoltare, ma non trattenere, neppure con le mani alzate. E allora a che serve avere nostalgie nei confronti di chi è capace d’un tratto di staccarsi da noi come un uccello che vola via senza neanche un addio…?».[46] La narrazione è caratterizzata da un andamento rapsodico, capace non di imitare l’altro, ma di trasportarlo in sé, di includere l’altro nel proprio, sommessamente e secondo un nuovo paradigma letterario.[47] Ad avvicendarsi nel racconto tre generazioni di donne, a partire da Venturina Majna, nata nel 1892 alla Cascina Malpensata, fino alla nipote Corazòn Bellati, nata nel 1952 a Buenos Aires, che nel 1978 rientra in Italia, proprio alla Cascina Malpensata, da cui era partito il bisnonno, dopo la scomparsa del marito, desaparecido come tanti dopo il golpe militare del 24 marzo 1976. Le donne tra loro imparentate (sei sono i clan che si intrecciano) si passano la fiaccola della testimonianza, colmando silenzi, rielaborando lutti e condividendo abbandoni, rimarginando attraverso il dialogo intergenerazionale e la confessione le ferite derivanti dalla doppia estraneità:[48]

 

Doppia terra con cui fare i conti – Argentina e Italia – e doppia lingua; il più delle volte anche doppia famiglia. Come se si vivesse contemporaneamente in due mondi paralleli […] in cui per un po’ si può anche pensare di riuscire a barcamenarsi: bilanciandosi in quella regione intermedia che si chiama equivoco, ambigüedad. Ma guai se le orbite dei due mondi si incrociassero: sarebbe la catastrofe»,[49]

 

 come dice Venturina Majna. Se Mafalda Cerrutti dichiara «io non diventerò mai argentina. Una persona può cambiare vita, casa, amore, però anche se ti spogliano di tutto rimane qualcosa che sta in te da quando impari a ricordare: il midollo di un altro modo di vivere»,[50] Maria Roveda pensa che «quel loro ripetere di continuo “Siamo italiani” in fondo voleva dire che non lo erano più, dato che da quel posto dall’altra parte del mondo se n’erano andati un giorno di nebbia, su un carretto scalcagnato che lento lento li aveva portati dove cominciava il mare».[51] Straniere a sé stesse e agli altri nel Nuovo Mondo, le donne diventano consapevoli della loro identità ibrida grazie alla memoria fra loro condivisa nel dialogo e nel confronto.

  • Dio non ama i bambini (Einaudi, Torino 2007): il romanzo prende spunto da una serie di efferati omicidi di bambini che si consumano a Buenos Aires fra il 1908 e il 1912 (nella realtà storica a partire dal 194). La storia procede secondo le regole del giallo e del noir, teso all’individuazione del serial killer e puntuale nella ricostruzione dello scempio sui corpi delle giovani vittime innocenti, ha il tono del romanzo d’inchiesta[52] non solo perché attinge a documenti e fonti giornalistiche e d’archivio, ma soprattutto perché le tante microstorie, che convergono nello spazio di uno dei tanti conventillos sovrappopolati di italiani, restituiscono un potente spaccato delle condizioni di vita dei connazionali, soprattutto dei più deboli e dimenticati, i bambini abbandonati a loro stessi nell’impossibilità per i genitori di garantire loro una vita dignitosa. Il libro affronta anche la questione scomoda del pregiudizio anti-italiano, unito a una visione darwinista della società ben radicata e incline a travolgere i più deboli impegnati nella loro disperata struggle of life:

 

’sti italiani protestano perché vogliono cambiare la propria condizione, fare come i padroni, ma essere capi non è da tutti, bisogna nascerci col sangue adatto, studiare, educarsi. Certo che ci stanno cose che dovrebbero essere cambiate, chi lo nega, ma con calma, perdio, non si può guidare un cavallo da corsa con mano inesperta, solo chi ha le redini in mano sa la strada, mica la bestia nata per il lavoro, gli immigrati la politica non la capiscono, cosa possono sapere con quel cervello da gallina. Perfidi, capaci di fartela sotto il naso, in quello sono davvero esperti.[53]

 

La scoperta dell’assassino costituirà una dimostrazione di questo teorema, ma anche la prova che una società incapace di offrire opportunità e accoglienza precipita nella violenza cieca e disperata: il responsabile della strage di innocenti è, infatti, un immigrato italiano, Gaetano Santo Godino, un ragazzino a sua volta vittima di maltrattamenti, deforme a seguito delle violenze subite in famiglia, dai comportamenti antisociali, che ha commesso il suo primo delitto all’età di 8 anni.

  • Questo viaggio chiamavamo amore (Torino, Einaudi, 2015) rievoca il viaggio di Dino Campana in Argentina, che in realtà forse nemmeno avvenne, nonostante gli scenari di sapore argentino presenti nei suoi versi. Non esistono documenti certi, ma anche Sebastiano Vassalli, nel romanzo La notte della cometa, lo ipotizza fra l’ottobre del 1907 e la tarda primavera dell’anno successivo.[54] Il titolo allude alla corrispondenza con Sibilla Aleramo, oggi raccolta nel volume Un viaggio chiamato amore,[55] ma la burrascosa vicenda di Dino e Sibilla non costituisce materia del romanzo di Pariani, che racconta come, nel tempo della reclusione nel Regio Manicomio di Castel Pulci, il più buio dell’esistenza del poeta, Campana sempre più spesso si rifugiasse nel ricordo consolatorio di quel viaggio transoceanico giovanile: immaginarie memorie, corrispondenze, telefonate, persino comunicazioni telepatiche con personaggi, soprattutto femminili, fanno rivivere quel periodo di libertà e di apertura al mondo. Per il poeta di Marradi, il ricordo, luminoso e visionario, di quell’esperienza di migrazione è il contrappunto al presente tetro, alla quotidianità avvilente di Castel Pulci, alla invadenza sgradevole dei dialoghi clinici con lo psichiatra, deciso a penetrare il mistero di una mente tanto complicata. Il gioco meta-letterario è notevole e molto suggestivo, sia perché l’autrice sapientemente inserisce nel testo echi dei Canti orfici, sia perché si realizza un colloquio a distanza con il Campana personaggio immaginato da Vassalli nel citato romanzo.
  • Il piatto dell’angelo (Firenze, Giunti, 2013): il romanzo, che deve il titolo alla consuetudine di apparecchiare un posto a tavola per chi è lontano e ci si augura che faccia ritorno, è un congegno narrativo di impianto raffinato in cui si intersecano i piani narrativi e temporali e si intrecciano le storie: i dodici capitoli dedicati alla vicenda finzionale dei nostri giorni di Marina e Piero, e di Lita, la badante boliviana della madre di Piero, sono intervallati da tredici capitoli tutti intitolati Ieri è oggi, dai quali ricaviamo «due immagini simmetriche: eserciti di emigrati, per lo più uomini, ed eserciti di immigrati, per lo più donne. Il percorso è sempre lo stesso: dall'Italia ai Paesi americani di lingua spagnola, dai Paesi ispanofoni all'Italia. Diversi i tempi, perché l'emigrazione maschile è più antica».[56] In questi capitoli sono giustapposte storie di emigrazione di ieri e di oggi a partire da quella, rielaborata in chiave autofinzionale, dell’autrice, del nonno Cesare, anarchico partito per l’Argentina nel 1926 e non più tornato, di sua moglie Giovanna, una delle tante vedove bianche, e di sua figlia, la madre della stessa Pariani, che ha ricevuto «come lascito solo questa vecchia storia ingarbugliata di dolori e di rancori»[57] e fino a quella di Lita. I capitoli Ieri è oggi sono affollati di storie e di personaggi le cui voci si mescolano e si confondono la realtà storica e la finzione narrativa, il passato e il presente, tenuti efficacemente insieme dalla scelta del plurilinguismo, che rende la forma perfettamente solidale al significato: il testo preserva frammenti delle diverse lingue native dei migranti (frasi in dialetto, proverbi ed espressioni gergali degli italiani del secolo scorso, nenie ed esclamazioni in lingua spagnola delle donne del Sud America dei nostri giorni) a significare che, nell’esperienza comune dello sradicamento, il legame con le origini può essere mantenuto dalla lingua, un marcatore identitario forte, qualla patria, che possiamo ritrovare in noi ovunque ci troviamo.[58]

 

Conclusioni provvisorie

Fra le varie etichette critiche che si possono attribuire all’ultimo romanzo esaminato vi è quella del romanzo a tesi: per via narrativa l’autrice dimostra che Ieri è oggi, che le dinamiche migratorie hanno un andamento ciclico, che le vicende degli emigranti italiani di ieri presentino delle forti analogie con quelle degli immigrati di oggi. Capita spesso che il motivo delle sofferenze degli italiani di un tempo sia strumentalizzato e brandito come giustificazione per un atteggiamento duro e respingente contro chi arriva oggi nel nostro Paese: «il passato di emigranti non garantisce la solidarietà e la comprensione verso i fenomeni migratori presenti, non facilita necessariamente l’accoglienza e l’inclusione; anzi talvolta ne segna i motivi della contrapposizione»[59]

L’unica vendetta possibile per ogni individuo che ha subito sofferenze e umiliazioni all’estero, travolto dal vortice degli eventi storici, l’unico riscatto per un intero popolo di migranti italiani che nelle loro avventure oltre i confini è stato discriminato non è certo la rivalsa nei confronti di oggi lascia la propria terra perché perseguitato o incalzato dal bisogno: l’unico risarcimento possibile è quello di consegnare alla pagina scritta, nelle varie forme che la scrittura e la letteratura rendono possibili, la memoria di un passato scomodo e difficile.[60] Questa faticosa ricostruzione è una testimonianza che saprà per il futuro suggerire altri modi, meno traumatici, per affrontare un processo storico ricorrente, inarrestabile ed irreversibile: quello della migrazione.

 

 

 27 giugno 2022

 


[1] R. Donnarumma, Ipermodernità. Dove va la narrativa contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2014, p.99.

[2] «Con i buoni sentimenti si fanno brutti libri?»: la domanda, mutuata da un aforisma di Gide, ha dato il titolo a un convegno Compalit del dicembre 2021 ( cfr. http://www.compalit.it/convegni/con-i-buoni-sentimenti-si-fanno-brutti-libri/ )

[3] W. Siti, Contro l’impegno, Milano, Rizzoli, 2021, pp. 17-18. E ancora: «Una tipologia di vittima particolarmente adatta al romanzesco pare essere quella del migrante; la drammaticità del viaggio, la forza tragica degli avvenimenti (chi non si sente straziare se una madre perde il proprio figlioletto tra i flutti?), l’esistenza di “cattivi” stereotipati come il trafficante, il torturatore, il politico cinico, tutto congiura a far salire l’impatto emotivo e la tensione retorica dell’avventura – senza dimenticare che, negli squarci di nostalgia per la patria abbandonata, può prender posto una vecchia conoscenza della letteratura di intrattenimento, cioè l’esotismo. Tutto a poco prezzo, una lacrimetta sdraiati sul divano (o magari di più, una momentanea ribellione, un’aurorale presa di coscienza, la donazione a una ONG, ma diluite in un clima generale di impotenza, di siamo-tutti-vittime-di-qualcosa)» (Ivi, p. 101).

[4] Scuola di demoni. Conversazioni con Michele Mari e Walter Siti, a cura di Carlo Mazza Galanti, Roma, Minimum fax, 2019, pp. 43-45

[5] Con questa precisazione intendo manifestare al contrario un vivo interesse, come lettrice e come educatrice, per le scritture migranti, ovvero per quei testi letterari prodotti in tempi piuttosto recenti in Italia da chi si è trasferito nel nostro Paese e, attraverso la scrittura, racconta e quindi rielabora il proprio vissuto, in varie forme narrative (fiction, non-fiction o autofiction). Ormai sono numerosi anche gli scrittori di nuova generazione, formati scolasticamente nel nostro paese e titolari di un’identità plurima, che hanno immesso nuove energie nel panorama delle «ormai esauste letterature nazionali della vecchia Europa» (così Carmine Abate già nel 2001, in un’intervista ora all’indirizzo http://www.carmineabate.net/lingua.htm, ultima consultazione 8 maggio 2022).

[6] Un’operazione simile è condotta da Teresa Fiore nel recente volume Spazi pre-occupati, Firenze,Le Monnier Università, 2021: secondo l’autrice la storia stratificata di emigrazione, di immigrazione, di colonialismo e di postcolonialismo lungo tre secoli e cinque continenti deve essere illuminata attraverso l’uso congiunto di testi culturali e dati numerici allo scopo di fornire una lettura umanistica che si può tradurre in azione politica per realizzare uno spazio nazionale eterogeno (sulla scia del concetto di “immagi-nazione” proposto da Franco Cassano nel 1998).

[7] Cfr, R. Koselleck, Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici, Bologna, Clueb, 2007, in particolare pp. 123-134 e pp. 299-322. Sul rapporto fra letteratura e storiografia, stante anche l’attualità della questione in relazione all’ampia diffusione del romanzo neostorico nella recente produzione narrativa, rinuncio ad aprire la discussione in questa sede per ragioni di spazio.

[8] M. Nussbaum, Il giudizio del poeta. Immaginazione letteraria e vita civile, Milano, Feltrinelli,1996, p. 8.

[9] Cfr. M. Cometa, Letteratura e darwinismo, Roma, Carocci, 2018; A. Casadei, Biologia della letteratura, Il Saggiatore, Milano 2018; M. Barenghi, Poetici primati, Macerata, Quodlibet, 2020.

[10] R. Bodei, Immaginare altre vite, Milano, Feltrinelli, 2013, p. 15.

[11] M. Vargas Llosa, E’ possibile il mondo moderno senza romanzo?, in Il romanzo. I, Torino, Einaudi, 2001, p. 11

[12] L. Sciascia, La Sicilia come metafora: intervista di Marcelle Padovani , Milano, Mondadori, 1979, p. 82.

[13] Il concetto, espresso da G. Parati, in Comunità, diritti umani e testi multiculturali, relazione per il seminario «Spazi urbani nella letteratura italiana contemporanea», Bologna, 3 febbraio 2011, è ripreso in G. Benvenuti e R. Ceserani, La letteratura nell’età globale, Bologna, Il Mulino, 2012, pp. 112-116.

[14] J.M. Schaeffer, Piccola ecologia degli studi letterari, Torino, Loescher, 2014, p.87.

[15] R. Luperini, Insegnare letteratura oggi, Lecce, Manni editore, 2013, p.42.

[16] E. Zinato, Dai confini della letteratura. Le prospettive di una didattica interdisciplinare, in «Allegoria», XIII, 37, gennaio aprile  2001.

[17] Uso il termine opacità come l’intende Édouard Glissant, come diritto a non comprendere e non essere compresi: non è un caso che sia stato un autore caraibico, di una terra storicamente alienata e dalle radici rizomatiche, ad approfondire quei fenomeni complessi, in primis le relazioni che implicano il confronto costante con l’altro da sè, che dobbiamo accettare come sfuggenti, difficili da afferrare con la ragione, poco trasparenti, appunto.

[18] Su questo argomento consiglio la lettura di R. Bonavita, Spettri dell’altro, Bologna, Il Mulino, 2009.

[19] Y. Citton, Mitocrazia. Storytelling e immaginario di sinistra, Roma, Alegre, 2013. Il libro si pone in contrasto con il precedente studio di Ch Salmon, Storytelling, La fabbrica delle storie, Roma, Fazi 2008, che svelava e condannava l’uso strumentale delle narrazioni, definendo uno scenario apocalittico.

[20] L’opportunità di considerare gli antenati come altri rispetto a noi viene autorevolmente sostenuta da Maurizio Bettini allo scopo di promuovere lo studio delle culture classiche: «sperimentare […] l’alterità dei Romani, permette agli studenti di giungere alla consapevolezza del fatto che, come diceva Montaigne, esistono “mille contrarie maniere di vita”, e non solo quella praticata da noi. Induce insomma alla tolleranza e alla reciproca comprensione fra le culture, un atteggiamento che risulta oggi più che mai auspicabile, visti i mutamenti che la globalizzazione, e i movimenti migratori, stanno producendo nella nostra esperienza quotidiana. Ma non si tratta solo di questo. Sperimentare l’alterità dei Romani può indurre i giovani anche a pensare che modi di vita diversi, anche quando ci vengono da società lontane nel tempo o nello spazio, non sono necessariamente inferiori ai nostri, modelli culturali sorpassati o semplicemente barbari; al contrario, ci si può accorgere che in queste differenti configurazioni culturali esistono elementi di civiltà estremamente interessanti, su cui vale la pena di riflettere soprattutto per comprendere meglio ‘noi,’ oltre che ‘loro’» (M. Bettini, I classici come enciclopedia culturale e come antenati: l’insegnamento del latino nella scuola superiore italiana, in “California Italian studies”, 2/1 (2011), all’indirizzo https://escholarship.org/uc/item/3ps870vk , ultima consultazione 8 maggio 2022).

[21] Si tratta in verità di una percezione distorta: dati Istat alla mano, gli iscritti all’AIRE nel 2020 erano 5.486.081, mentre gli stranieri residenti in Italia nello stesso anno erano 5.039.637: il numero degli italiani all’estero, dunque, è di poco superiore a quello degli stranieri che vivono in Italia.

[22] Cfr. E. Pugliese, Quelli che se ne vanno. La nuova emigrazione italiana, Bologna, il Mulino, 2018; F. Rigotti, Migrante per caso. Una vita da expat, Milano, Raffaello Cortina, 2019; Italiani che lasciano l’Italia. Le nuove emigrazioni al tempo della crisi, Milano-Udine, Mimesis edizioni, 2020.

[23] «La migrazione è un fattore evolutivo fondamentale, da sempre. Sulla superficie instabile del nostro pianeta, migrare diventa una strategia essenziale di adattamento e di flessibilità. Gli animali migrano in modo irreversibile oppure in modo ciclico e stagionale. Le specie umane vissute negli ultimi 6 milioni di anni non hanno fatto eccezione. […] La migrazione ha influenzato la lenta evoluzione biologica e accelerato l’evoluzione culturale della specie camminatrice. Siamo migranti, quindi, da sempre pur con modalità diverse: prima adagio e inconsapevolmente, poi più velocemente e avendo l’intenzione di farlo; prima solo sul suolo, poi anche con le idee, ancora poi attraverso strade, mari, cieli; prima soprattutto con spostamenti forzati, dal clima e da altre impellenze della sopravvivenza, poi sempre più per una scelta pianificata.» (T. Pievani e V. Calzolaio, Libertà di migrare: perché ci spostiamo ed è bene così, Einaudi, Torino 2016). Sulla medesima questione di veda anche G. Barbujani e A. Brunelli, Il giro del mondo in sei milioni di anni, Bologna, Il mulino, 2018.

[24] Utile per una panoramica generale è il saggio di F. De Nicola, Gli scrittori italiani e l'emigrazione, Genova, Ghenomena, 2008.

[25] Gian Antonio Stella è anche autore con Emilio Franzina del saggio Brutta gente. Razzismo anti-italiano, in Storia dell’emigrazione italiana. II Arrivi,  Roma, Donzelli, 20092, pp. 283-311.

[26] Stella recupera la frase da un importante studio di S. LaGumina, “Wop!”, San Francisco, Straight Arrow Books, 1973, p. 56. Segnalo che Amara Lakhous, uno dei più brillanti scrittori migranti, pone proprio questa stessa citazione in epigrafe al suo romanzo La zingarata della verginella di Via Ormea, edizioni e/o, Milano 2015.

[27] G.A. Stella, Odissee: italiani sulle rotte del sogno e del dolore, Rizzoli, Milano 2004.

[28] Fra tutti segnalo almeno i due volumi (intitolati rispettivamente Partenze e Arrivi) della Storia dell’emigrazione italiana, Donzelli, Roma 2001-2002 a cura di P. Bevilacqua, A. De Clementi ed E. Franzina, ma negli anni successivi gli studi si sono moltiplicati.

[29] Un repertorio con schede dei libri all'indirizzo http://www.ilgiocodeglispecchi.org/category/temi-trattati-libro/letteratura-dellemigrazione-italiana?page=3 , a cura del Gioco degli Specchi, un'associazione culturale e di promozione sociale di Trento.

[30] Così si legge in un’intervista a Wu Ming 2 e Antar Mohamed ( «Chichibio» n. 68, maggio-giugno 2012).

[31] Il fenomeno è stato oggetto del contributo teorico Wu Ming 1, New Italian epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Torino, Einaudi, 2009 (ora disponibile all’indirizzo https://www.wumingfoundation.com/italiano/NIE3_Euridice.pdf, unitamente al saggio di Wu Ming 2 La salvezza di Euridice) e di Wu Ming 2, Utile per iscopo? La funzione del romanzo storico in una società di retromaniaci, Rimini, Guaraldi, 2014 e di numerosi altri volumi (oltre a G. Benvenuti, Il romanzo neostorico italiano, Roma, Carocci, 2012, si veda almeno E. Piga Bruni, La lotta e il negativo. Sul romanzo storico contemporaneo, Milano, Mimesis, 2018).

[32] M. Mazzucco, Vita, Milano, Rizzoli, 2003 (attualmente il romanzo è disponibile in un’edizione Einaudi 2014). Gian Antonio Stella e Melania Mazzucco sono stati protagonisti di un intervento dal titolo Ieri noi, oggi loro: emigranti allo specchio al Festival delle Letterature di Mantova nel settembre 2003, di cui è possibile trovare parziale trascrizione in rete all’indirizzo http://www.lalungaattesadellangelo.it/vita-appunti.shtml

[33] P. Liberale, Melania Mazzucco e l’identità divisa dall’oceano, in La letteratura degli italiani: rotte, confini, passaggi. Dalla parte della scuola, a cura di C. Sclarandis e N. Tonelli, Lecce, Edizioni Pensa Multimedia, 2010, p. 173.

[34] Per un’ampia recensione del romanzo si veda C. Mauro, Su Il dio di New York di Luigi Fontanella, in «Cenobio», anno LXVII, n.1 (gennaio-marzo 2018), pp. 59-66.

[35] Il libro ha avuto anche una recente traduzione in italiano, con traduzione di Sonia Pentola con la collaborazione dello stesso Fontanella, ma è oggi esaurito: P. D’Angelo, Son of Italy, Mercato San Severino, Il grappolo, 2006.

[36] Il romanzo è stato proposto da Raffaele Nigro al Premio Strega, edizione 2021.

[37] Il più grande linciaggio nella storia degli Stati Uniti avvenne a New Orleans nel 1891 e le vittime furono 11 immigrati italiani, ma fra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale altri 28 immigrati italiani furono vittime di linciaggi. Ricostruisce la loro storia Gianfranco Norelli, regista italoamericano, nel documentario Pane amaro (2009) disponibile all’indirizzo https://www.raiplay.it/video/2011/07/Pane-amaro-Prima-parte---La-Grande-Storia-4672a33f-f045-4011-9d07-113457f40417.html .

[38] La responsabilità dell’attentato alla Banca Morgan è in effetti attribuito a un gruppo di anarchici italiani. Si trattò di un’azione gravissima: il bilancio dell’attentato fu di 33 morti e più di duecento feriti e sul piano materiale i danni furono stimati a 2 milioni di dollari dell’epoca; il 18 settembre il “New York Times” definì l’attentato un «act of war» Per una ricostruzione dei fatti, tornati attuali dopo gli attentati al WTC dell’11 settembre 2001, si veda C. Basso, Un italiano in America: Mario Buda l’uomo che fede saltare Wall Street, in «Italie et Etats Unis-Interférences culturelles», n.5/2021, pp. 193-208, all’indirizzo https://journals.openedition.org/italies/2048.

[39] Sulla vicenda dei due anarchici oggi ampiamente riabiliti dopo la condanna alla sedia elettrica, esiste una vastissima bibliografia; fra le risorse utili, oltre al film di culto del 1971 Sacco e Vanzetti diretto da Giuliano Montaldo, segnalo il racconto di Pino Cacucci Nicola & Bart nella silloge Ribelli! (Milano, Feltrinelli, 2001).

[40] L. Ferro, Scritture della memoria fra testimonianza e finzione, in Abbasso un firmamento sconosciuto,  Bologna, il Mulino, 2018, pp. 237-238.

[41] Ibidem.

[42] La spartenza ha vinto il Premio Pieve Santo Stefano nel 1990; il diario di Bordonaro è stato pubblicato da Einaudi nel 1991 con l’autorevole introduzione di Natalia Ginzburg e ha avuto una seconda edizione nel 2013 presso l’editore Navarra con un’introduzione di Goffredo Fofi. Nell’ambito del progetto «I diari raccontano» dell’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano è stata realizzata una scheda degli scritti di Bordonaro e sono stati pubblicati alcuni estratti del suo diario, ora disponibili all’indirizzo https://www.idiariraccontano.org/autore/bordonaro-tommaso/ . Notevoli gli echi transmediali che hanno interessato La spartenza in tempi recenti: plurimi adattamenti teatrali, un docufilm (La spartenza di Salvo Cuccia del 2018 al link https://www.raiplay.it/video/2019/07/Speciale-Tg1-59888f0d-24f1-4974-8d16-f71c1993e97b.html ), una raccolta di saggi (Tutti dicono spartenza. Scritti su Tommaso Bordonaro a cura di S. Lombino, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, Palermo 2019) e il «Piccolo Festival delle Spartenze», iniziativa culturale che dal 2016 riunisce la società scientifica e gli enti territoriali nel segno della migrazione in chiave positiva, come elemento interpretativo e di conoscenza ( http://festivaldellespartenze.it/). Segnalo infine che il bel percorso didattico di Giorgia Delsoldato sulle partenze che segnano destini prende avvio proprio dalla “spartenza” di Tommaso Bordonaro (cfr. “Griselda”, 15 febbraio 2022, all’indirizzo https://site.unibo.it/griseldaonline/it/didattica/giorgia-delsoldato-spartenze-chemineaux-strada-intervento-destino ).

[43] Sull’argomento riporto alcune indicazioni bibliografiche: C. Cattarulla, Di proprio pugno. Autobiografie di emigranti italiani in Argentina e in Brasile, Reggio Emilia, Diabasis, 2003; L. Magnani, Tra memoria e finzione. L’immagine dell'immigrazione transoceanica argentina contemporanea, Reggio Emilia, 2004; E. Perassi, Scrittrici italiane e emigrazione argentina, in «Oltreoceano. Donne con la valigia. Esperienze migratorie tra Italia, la Spagna e le Americhe», a cura di Silvana Serafi, n.6 (2012), p. 98 e ss.

[44] Pariani ha trascorso in Argentina alcuni momenti fondamentali della sua formazione. Fra le opere legate all’Argentina, ma di cui in questa sede non tratterò, segnalo il racconto Lo spazio, il vento, la radio (nel volume Il pettine, Palermo,Sellerio, 1995); i romanzi Il paese delle vocali (Bellinzona, Casagrande, 2000) e La straduzione (Milano, Rizzoli, 2004) sulla vita di Gombrowicz a Buenos Aires; i reportages di Patagonia Blues (Milano, Effigie, 2004) e Il paese dei sogni perduti (Milano, Effigie, 2004). Un contributo sull’opera di Pariani e sulla possibilità di lavorare a scuola sui sui libri è stato scritto da Lucia Olini (Moltiplicare la vita. La scrittura inesauribile di Laura Pariani, all’indirizzo https://laricerca.loescher.it/moltiplicare-la-vita-la-scrittura-inesauribile-di-pariani/ ); la scrittrice è stata protagonista di intensi incontri con le scolaresche: ricordo l’iniziativa «La giornata di un lettore» organizzata da ADI-sd in collaborazione con l’Università degli studi di Verona il 23 novembre 2019 e l’incontro del 30 marzo 2022 nell’ambito delle attività rivolte alle classi del corso “L’Estremo contemporaneo in classe” della rete interregionale ADI-sd di Campania, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Empoli.

[45] L. Pariani, Quando Dio ballava il tango, Rizzoli, Milano 2007, p. 17.

[46] Ibidem, p. 37.

[47] Valentina Fulginiti è autrice di un saggio, Aedi, rapsodi, contastorie. Intorno all'oralità del New Epic (2009), che consente di inquadrare la riscoperta dell’oralità della testimonianza nella letteratura italiana contemporanea. Lo si trova in rete all’indirizzo http://www.carmillaonline.com/2009/05/11/aedi-rapsodi-contastorie/ (letto in data 15.5.2022).

[48] Sulla duplice difficoltà, si veda il volume di Abdelmayek Sayad, La doppia assenza. Dalle Illusioni dell'emigrato alle sofferenze dell'immigrato, Milano, Raffaello Cortina, 20022.

[49] L. Pariani, Quando Dio ballava il tango, Milano, Rizzoli, 2007, p.23.

[50] Ibidem, p. 163.

[51] Ibidem p.89.

[52] Lo scrittore Alessandro Perissinotto acutamente stabilisce una relazione, nella letteratura dei nostri giorni, fra inchieste poliziesche e romanzo d’inchiesta: «la fiction poliziesca si incarica di restituire al cittadino quella realtà che l’informazione, condizionata dai poteri e dal potere, gli nega. Realtà e invenzione si scambiano i ruoli: ai giornali e alle televisioni il compito di costruire la bella fiaba […], allo scrittore quella di restituire la realtà. Come cittadino ne sono indignato, come scrittore ne sono felice» (in Grandezza e limiti del poliziesco di denuncia, in Finzione, cronaca, realtà. Scambi, intrecci, prospettive nella narrativa italiana contemporanea, a cura di H. Serkowska, Massa, Transeuropa, 2011, p.256). Lo stesso Perissinotto è autore di un romanzo argentino, Per vendetta (Milano, Rizzoli, 2009), un romanzo di genere poliziesco ambientato nella contemporaneità, che riannoda i fili delle storie individuali che uniscono l’Italia all’Argentina nel segno delle migrazioni (quella del secolo scorso dall’Italia verso l’Argentina nella figura della protagonista femminile oriunda italiana, ma anche quella attuale, dato che il protagonista maschile è un cervello italiano in fuga), ma anche i fili collettivi delle vicende politiche del secondo Novecento: la dittatura dei militari argentini e le sue connivenze internazionali, più o meno ufficiali, nell’ambito delle quali l’Italia assunse un ruolo non secondario.

[53] L. Pariani, Dio non ama i bambini, Torino, Einaudi, 2007, pp. 104-105.

[54] S. Vassalli, La notte della cometa, Torino, Einaudi, 1990 (c 1984), pp. 101-111.

[55] S. Aleramo e D. Campana, Un viaggio chiamato amore, a cura di B. Conti, Milano, Feltrinelli, 2000.

[56] C. Segre, Patrie lontane: a casa della badante,  «Il Corriere della Sera», 6 luglio 2013.

[57] L. Pariani, Il piatto dell’angelo, Firenze, Giunti, 2013, p. 9.

[58] Scrive in proposito Mario Barenghi: «L’identità linguistica è viva, complessa, dinamica: contempla i fenomeni della diglossia […], del bilinguismo, del plurilinguismo (delle lingue acquisite, o anche solo studiate -studium in latino significa, oltre che “impegno”, “desiderio”-, e poi usate con varia intensità, frequenza e padronanza). “Patria” sono le lingue in cui siamo in grado di capirci e di farci capire» (La mia patria è la lingua, «Doppiozero», 16 marzo 2011 all’indirizzo https://www.doppiozero.com/dossier/disunita-italiana/la-mia-patria-e-la-lingua ).

[59] A. Martellini, Abbasso un firmamento sconosciuto, Bologna, il Mulino, Bologna 2018, p. 9.

[60] Ce lo hanno ben spiegato Pier Vincenzo Mengaldo nel saggio La vendetta è il racconto, Milano, Bollati Biringhieri 2007, sulle narrazioni dedicate ai traumi della Shoah e Claudio Magris e Mario Vargas Llosa nel pamphlet a due voci La letteratura è la mia vendetta, Milano, Mondadori 2012, sull’impegno dello scrittore.