Claudia Correggi - L'orizzonte mobile di Daniele Del Giudice, tra fughe nella storia e incursioni nella rete

 

Si propone un percorso di letture rivolto a una classe quinta del triennio, dedicato a Daniele Del Giudice. A partire dagli anni Ottanta l'autore ha assunto la fisionomia sempre più nettamente identificabile di rappresentante letterario della tendenza postmoderna1 – sancita proprio nel 1980 dalla pubblicazione e dal successo internazionale de Il nome della rosa di Umberto Eco – , grazie a una produzione narrativa e saggistica esemplare per coerenza compositiva e concettuale. Il percorso prende in considerazione i racconti Fuga ed Evil Live, pubblicati nel 1997, e il breve saggio Gli oggetti, la letteratura, la memoria del '92, titoli di una campionatura selezionata per consentire agli studenti un approccio non superficiale, seppur circoscritto. La scelta dei testi narrativi converge sui racconti, opzione quest'ultima che sta ricevendo adesioni sempre più favorevoli sul piano didattico, in virtù della riconosciuta efficacia della forma breve nel favorire un avvicinamento meno dispersivo alla poetica degli autori.2 I romanzi di Del Giudice, Lo stadio di Wimbledon (1983) e Atlante occidentale (1985) risultano densi di riflessioni metanarrative e la scrittura rarefatta e al tempo stesso satura di non-detto – a tratti anche autocompiaciuta per la disseminazione dell'implicito ­– da presupporre lettori forti e ben attrezzati.

 

Un autore destinato all'evanescenza

 

L'autore (1949-2021), romano espatriato a Venezia, viene presentato nei manuali scolastici in poche righe. Raramente ne compaiono i testi. Fanno eccezione, fra quelli consultati, il Materiale e l'immaginario di Ceserani, che già nell'88 elabora una scheda di lettura dedicata allo Stadio di Wimbledon e l'antologia per il biennio di Baricco La seconda luna, che ospita il racconto Per l'errore (tratto dalla raccolta Staccando l'ombra da terra, 1994).e ne correda la presentazione con esercizi. Solitamente è accostato al milanese Andrea De Carlo (1952), con il quale condivide all'inizio della carriera l'etichetta commerciale di “giovane narratore'non arrabbiato'” ma dalla cui produzione si distingue per la più spiccata ascendenza calviniana. La frequentazione con Calvino, estensore di una breve introduzione allo Stadio di Wimbledon (1983) che Del Giudice ricambia con una rensione di Palomar nel 1984, rimane sicuramente una proficua occasione di interlocuzione intellettuale rispetto ai temi del visibile, della luce, e degli oggetti, prediletti da entrambi. Se la parabola di De Carlo si può definire una discesa verso il midcult,3 all'insegna della leggibilità e del marketing incentrato sull'appeal di uno scrittore aitante e giramondo, la cifra stilistica di Del Giudice coincide con una marcata componente intellettualistica, presente fin dall'esordio nell'83 con Lo Stadio di Wimbledon, una sorta di non-indagine sulle labili tracce di un non-scrittore – Bobi Bazlen – che coinvolge personaggi i cui nomi sono depositati nelle poesie di Montale. L'opera complessiva si configura come un prodotto esemplare del postmoderno per il gioco metaletterario, il depotenziamento della trama, l'approccio alla scienza e alla tecnologia attraverso una dimensione immaginativa volta alla conquista del paradosso, della risposta destinata a far vacillare ogni verità acquisita. É una scrittura che crea situazioni in bilico, poco concrete, racconta relazioni sempre annunciate più che sviluppate, evanescenti, nelle quali sembra che non accada nulla se non discorsi costruiti su vaghi accenni espressi con il nitore di parole controllate e linde. La vocazione alla letterarietà genera una filiazione postuma nel romanzo di Pier Paolo Vettori Un uomo sottile, 2021, dove Del Giudice compare in veste di personaggio, confuso dall'Alzheimer – nella biografia reale la malattia gli viene diagnosticata nel 2014 – accanto ad altri protagonisti dei suoi testi narrativi.

 

Fuga

 

La lettura proposta da Carlo Varotti del racconto Fuga,4 rileva come il tema dell'utopia, nato in ambito rinascimentale come ideale volontà di progettazione e controllo dello spazio e del tempo, collocato in seguito dall'Illuminismo al servizio di una razionalità divinizzata, venga sottoposto dall'autore a una deformazione parodica, destino già adombrato dal titolo della raccolta nella quale è inserito, Mania del '97. Il titolo ha una doppia valenza, indica l'azione al centro della trama, la fuga notturna di un ladruncolo di motociclette, Santino, inseguito dal proprietario di una delle moto rubate, il camorrista Pretannanze. Il punto è che il fuggitivo, nell'ottica dell'inseguitore, deve essere esemplarmente punito, nonostante abbia abbandonato la refurtiva per strada, perché sia ben chiaro che certi sgarri non sono ammessi. Ma Fuga allude anche al grande architetto fiorentino Ferdinando Fuga, autore del “Trecentosessantasei fosse” di Napoli, il Cimitero del Popolo voluto dal re Carlo di Borbone, che aveva apprezzato l'opera dal medesimo precedentemente concepita, l’Albergo dei Poveri. Espressione eloquente di una razionalità illuministica che affronta laicamente, e secondo principi ‘igienici’, il problema della gestione sociale della morte: il cimitero consiste infatti in una spianata su cui si aprono 366 botole (una per ogni giorno dell’anno), collegate con un sistema sotterraneo di smaltimento dei cadaveri. In questo modo, durante le epidemie di colera, si evitava di tenere per più giorni i corpi dei defunti esposti all’aria nelle fosse comuni. All’architetto Fuga si deve anche il mastodontico edificio dei Granili in via dei Portici, adibito in realtà a caserma e ad asilo per senzatetto, come racconta Ortese in Il mare non bagna Napoli pubblicato nel 1953, lo stesso anno della demolizione. Nel cimitero dismesso si conclude la fuga di Santino, accolto dal custode, un'apparizione spettrale – il cimitero vien chiuso nel 1890 – che si rivela in realtà il miglior aiutante possibile, in grado di manovrare un pesante argano per colpire l'antagonista, che li aveva raggiunti fin dentro l'antro oscuro, sollevarlo e farlo cadere in una delle 366 fosse. Anche se non nella 241, ovvero quella coincidente con la data del calendario del giorno in cui si svolge il racconto – come sarebbe dovuto accadere secondo il meccanismo ideato da Fuga –, ma nella 301, più vicina. Dopo aver collaborato alla fine ingloriosa e cruenta di Pretannanze, Santino, un po' Andreuccio e un po' scugnizzo, si defila e fugge da quel luogo fuori dal tempo, una sorta di simulacro settecentesco innestato nei meandri fetidi di una zona poco rassicurante della città. Del Giudice proietta l'utopia di un mondo perfetto, ordinato e ordinatamente produttivo nell'architettura di un cimitero in disuso, testimonianza di un'ossessione raziocinante, perseguita e per secoli mantenuta in vita, ma votata all'irrilevanza e all'errore. Nel racconto infatti il cimitero non custodisce pietosamente i corpi dei defunti, ma è una macchina di morte, seppur di un camorrista. E forse si può cogliere nella precisione lessicale che garantisce la descrizione accurata del funzionamento dell'argano e delle fosse l'evocazione di altri novecenteschi meccanismi di morte, organizzati con maniacale precisione su vasta scala. Nella demistificazione parodica della parabola utopistica che dal Rinascimento, attraverso l'Illuminismo approda alla modernità, è possibile cogliere la traccia di un'attitudine al postmoderno condivisa da diversi autori alle soglie degli anni Ottanta. Il racconto comincia con una seconda persona che si rivolge direttamente al personaggio, Santino, e lo sprona «Corre la notte Santino e tu corri con lei, non voltarti a guardarla, non ne hai il tempo».5 Si insinua la voce dell'inseguitore che in prima persona, in corsivo sulla pagina, urla «tanto t'acchiappo, tanto t'accoppo».6 L'intreccio si interrompe per accogliere una digressione storica sull'attività dell'architetto Fuga a Napoli, una sorta di voce enciclopedica che si alterna, di nuovo in corsivo, fino alla fine con i dialoghi tra il ragazzo e il guardiano, articolati come discorso diretto libero, intervallato da versi di canzoni napoletane, a cui è affidato il controcanto che commenta le varie fasi dell'intreccio. Tra i caratteri peculiari del postmoderno non si può non evidenziare la sovrapposizione di diversi livelli narrativi e linguistici, definiti da diversi caratteri tipografici, come si conviene al pastiche, secondo Jameson «l'imitazione di una particolare maschera, un discorso in una lingua morta [...] un eloquio costituito da tutte le maschere e le voci immagazzinate nel museo immaginario di una cultura divenuta globale».7 La tessitura di questi materiali contribuisce alla compattezza dell'impasto linguistico e alla coesione della struttura narrativa in direzione umoristica, al centro della quale si staglia un oggetto macroscopico, il simulacro del cimitero, un'altra “realizzazione di un'utopia” dovuta alla “saggezza e dedizione dell'uomo”8 che rivela la sua vera natura di “orribile caricatura di un sogno”. In una delle tante varianti della copiosa produzione dedicata al carattere liquido della postmodernità, Bauman,   disquisendo sulla morte delle utopie, individua nella figura del cacciatore la rappresentazione simbolica dell'attitudine comportamentale prevalente nella società attuale, determinata dalle pressioni della globalizzazione. Al cacciatore non rimane altro che mettere in atto una fuga incessante per evitare di essere fatto preda, di perder terreno e divenire vittima di un destino avverso. Nella fuga Bauman riconosce «l'opposto dell'utopia» e «il suo unico sostituto possibile» data l'impossibilità di un progetto di miglioramento collettivo, la polverizzazione della fiducia nella razionalità umana, la pervasiva consapevolezza di una vulnerabilità costante.

 

Modernismo e postmoderno: periodizzare innanzitutto

 

Per rendere comprensibili agli studenti le coordinate del postmoderno è indispensabile che sia acquisito il concetto di modernismo, come momento di consapevole cesura con temi, lessico e stili di fine Ottocento, decadentismo e verismo compresi. La definizione non è ancora diffusamente recepita dai docenti di Letteratura italiana, né attestata nei manuali in adozione, bensì facilmente recuperabile in quelli di Letteratura inglese, contesto culturale nel quale ha origine. Se ne trova una chiara ed esaustiva presentazione nel testo di A. Terrile, P. Biglia, C. Terrile, Una grande esperienza di sé.9 La critica italiana presenta alcune divergenze nel definire i confini temporali del modernismo: per alcuni ingloba solo le avanguardie storiche, per altri è applicabile solo ad alcuni autori, altri ne fanno arrivare le propaggini al secondo '900. Per Luperini appartengono al modernismo sia i singoli autori – Pirandello, Svevo, Gadda, Ungaretti, Montale, Saba – sia le avanguardie, sia i crepuscolari e i vociani. L'arco di tempo abbracciato dal modernismo si può far partire dalla pubblicazione de Il fu Mattia Pascal, fino ad arrivare al 1940, soglia d'avvio di un nuovo clima culturale sotto l'egida del neorealismo. Una volta chiarita la fisionomia della letteratura modernista, i cui testi occupano buona parte dello svolgimento del programma dell'ultimo anno, è possibile avventurarsinella definizione delle coordinate del postmoderno, ovvero della tendenza culturale che a partire dalle prime incrinature della società del benessere, nei primi anni Sessanta, diviene sempre più precisamente contornabile, fino al riconoscimento pubblico degli anni Ottanta, nel quale si inserisce l'autore al centro del percorso proposto, come si è detto. Un ausilio, adatto per chiarezza e sintesi – seppur non inerente alla letteratura – è la definizione del postmoderno di Portoghesi, l'autore che ne fu il protagonista in Italia al suo culmine, nell'ambito – l'architettura – allora di maggiore risonanza nell'immaginario pubblico

 

È possibile [...] una definizione univoca se si rinuncia a pensarla come un'etichetta che designa cose omogenee e convergenti e si ammette che la sua utilità sta proprio nell'aver consentito di mettere insieme provvisoriamente e paragonare tra loro cose diverse, nate però da un comune stato d'animo di insoddisfazione nei confronti di quell'insieme, altrettanto omogeneo di cose che va sotto il nome di modernità.10

 

Si delinea quindi la fisionomia di una nuova tendenza per negazione dell'esistente. Evidenziare le discontinuità tra i processi culturali si rivela un dispositivo didattico efficace nel creare premesse favorevoli ai fini della periodizzazione: «Il postmoderno è rifiuto, rottura, abbandono […] ciò che molti oggi non vogliono più è il moderno invecchiato, quell'insieme di formule [...] e leggi generali che non possono essere disattese».11 Si avverte la necessità di rimettere in discussione tali leggi, in architettura in particolare si contesta il modernismo razionalista e funzionalista di Le Corbusier: «il processo al moderno si è profilato come una necessità fisiologica, come un traguardo irrimandabile per le nuove generazioni, almeno a partire dal 68».12 Per avvalorare il manifesto programmatico elaborato da Portoghesi, può rivelarsi una scelta particolarmente pertinente seguire di nuovo Jameson, che del postmoderno è uno specialista, nel primo capitolo della versione breve dell'opera monumentale Il postmoderno o la logica culturale del tardo capitalismo (1989), là dove accosta Le scarpe della contadina di Van Gogh a Diamond Dust Shoes13 di Warhol per esemplificare attraverso la comparazione delle due opere, il discrimine tra le due tendenze. Un paio di scarpe è un dipinto a olio su tela risalente al 1886, conservato nel Van Gogh Museum di Amsterdam, ed è una delle opere canoniche del «moderno avanzato nelle arti visive»,14 un soggetto riprodotto in altri dipinti, dove emerge la potenza della pittura di Van Gogh, in grado di riabilitare un paio di scarpe fruste e sformate, trasformando oggetti connotati dalla miseria rurale e logorati dall'uso in materializzazione di puri colori, attraverso «un gesto utopico che assume i tratti della compensazione».15 Il secondo termine del confronto, Diamond Dust Shoes di Warhol, risale al 1980, una data ormai ricorrente nel percorso. L'opera, ultima di tre raccolte iniziate negli anni '50, realizzate per pubblicizzare note marche di calzature femminili, prevede la riproduzione serigrafica da fotografie di modelli esistenti, affastellati su uno fondo scuro costellato da polvere di diamante. Anche qui lo scopo è quello di trasformare oggetti di consumo in un'opera d'arte, ma l'effetto per lo spettatore è ben diverso rispetto a quello creato da Van Gogh. L'opera sembra proporre una «raccolta casuale di oggetti morti, che pendono insieme sulla tela come altrettante rape»,16 ma costituisce in realtà la celebrazione di merci, le scarpe, officiata grazie all'effetto di frivolezza gratuita creato dall'assenza di profondità, mentre la presenza della polvere brillante evoca «un'ilarità decorativa compensatoria»17 assai distante dai temi modernisti dell'angoscia e dell'alienazione al centro della corrente espressionista che viene collocata agli antipodi del postmoderno. Le scarpe di Warhol ci fanno intuire che l'artista postmoderno, inserito nel caotico labirinto della società del neocapitalismo in espansione, non avverte la necessità di una rottura con il passato attraverso la desacralizzazione dei suoi manufatti, non è indotto dal furore dell'avanguardia alla iconoclastia contro la tradizione, ma alla cancellazione della linearità del tempo storico e delle sue fratture. Polverizzatasi la legittimità dei grandi sistemi di pensiero, gli -ismi che hanno costruito la modernità sull'idea di progresso necessariamente connesso con la fiducia condivisa nello storicismo, il tempo è percepito come un eterno presente che contiene tutte le fasi precedenti, un repertorio di contesti e ambientazioni. Si inserisce in questa premessa il rinnovato interesse per il romanzo storico, anticipato dal successo de Il Gattopardo (1957), in cui la scelta di uno stile anacronistico, modellato sulla narrazione ottocentesca, svolge la stessa funzione della perfetta macchina settecentesca costituita dal cimitero napoletano abbandonato, nella Napoli contemporanea, dove corre a rifugiarsi Santino: l'accettazione, niente affatto drammatica, che fosse un'illusione l'idea di un progresso insito nella storia. Il successo del genere del romanzo storico, di cui il trionfo de Il nome della rosa è il sintomo, si può ascrivere a molte ragioni, tutte inerenti ai caratteri del postmoderno: la cospicua disponibilità di situazioni, fondali, personaggi e combinazioni romanzesche che si prestano a popolare rifacimenti, evocazioni, citazioni, pastiches, contrassegnati dalla sapiente commistione di stili e registri diversi; la propensione all'intrattenimento favorita dal dosaggio di vero storico e creazione fantastica, ma anche la seduzione esercitata verso lettori forti dai richiami allusivi a forme del passato attraverso una letterarietà esasperata. Diversi titoli documentano il successo del genere storico: in tempi non sospettabili Artemisia (1947) e Noi credevamo (1967) di Anna Banti, La chimera di Vassalli (1990), Sostiene Pereira di Tabucchi, (1994), Q di Luther Blisset (1999), Stabat Mater di Scarpa (2008), Io venìa pien d'angoscia a rimirarti, (1990), Tutto il ferro della torre Eiffel, (2002), Roderick Duddle, (2014) di Michele Mari.

 

 

Obsolescenza degli oggetti

 

Si è detto prima del ruolo che Calvino ha svolto nell'orientare l'interesse de Del Giudice verso la poetica degli oggetti, come si evince dalla ricorrenza nei racconti di Mania di un modello di trama, usato anche in Fuga, per cui i personaggi, di solito due, si trovano casualmente coinvolti in una relazione determinata dalla presenza di un oggetto. Nel breve saggio Gli oggetti, la letteratura, la memoria, Del Giudice, nel dar conto di questo interesse, rivela una lucida capacità di analisi, in grado di offrire una ricognizione interessante per giovani lettori contemporanei. Dopo un primo paragrafo incentrato sulle 'implicazioni cognitive' – principalmente geografiche e spaziali – connesse all'esperienza del volo, che vede in scena alcuni protagonisti del modernismo, Le Corbusier, D'Annunzio, che, – sia detto per inciso – non hai mai preso il brevetto per volare, Kafka in veste di cronista, incrociatisi a Brescia al raduno aeronautico nel 1909, l'attenzione si sposta sulle conseguenze indotte dalla mutazione degli oggetti, non meno significativa secondo l'autore, di uno dei temi portanti della letteratura novecentesca, la 'crisi del soggetto'

 

Abbiamo cominciato a sopravvivere ai nostri oggetti, i quali adesso muoiono prima di noi, non per deterioramento, dato che oggi potremmo farli veramente immortali; muoiono piuttosto per obsolescenza. Anzi non muoiono: funzionano benissimo, semplicemente vengono superati da oggetti più avanzati […] Restano così, come dei 'vegetali del progresso'. Prima o poi si porrà un problema di eutanasia anche per loro.18

 

L'ascesa e la caduta della plastica sono leggibili come sintomi della situazione paradossale per cui si è passati dalla produzione di oggetti indistruttibili, resistenti come quelli in ferro e legno, ma più economici, alla fabbricazione di oggetti velocemente degradabili. Il criterio della durata si è capovolto e questo sommovimento non è stato privo di conseguenze

 

Oggi gli oggetti non sono più un luogo della memoria. Un tempo la forza di un oggetto era proprio nella sua oggettività, e dunque nel far resistenza, nel permettere investimenti fantastici, delle proiezioni che non riguardavano, banalmente, solo il presente, cioè «la presenza» del suo proprietario e il suo 'status'» […] L'oggetto che ti arrivava, e spesso ti arrivava da generazione precedenti, portava una sua corposità oggettiva, poteva sostenere l'investimento di una fantasia, di una storia, di un mistero [...] Gli oggetti di oggi non custodiscono più alcuna memoria […] hanno perso la loro materialità: sono direttamente immaginazione, comunicazione, fantasia prefabbricata: cose destinate al rapido smercio […] è l'immagine il vero oggetto di oggi, oggetto di lavoro, oggetto di investimento fantastico, oggetto di consumo. Un oggetto che non riuscirà mai a saziarti, perché risponde a un bisogno di immaginario, dunque a un bisogno per definizione insaziabile […] Nel «vivere» la realtà attraverso le immagini c'è un dispendio di emozioni cui non corrisponde un dispendio di esperienza.19

 

La suggestione e la lucidità delle parole sulla condizione nuova generata dalla fruizione passiva delle immagini, la vita vicaria, in cui si è solo spettatori, contrassegnata dalla mancanza di agency, dalla condivisa esperienza della passività, non hanno perso nulla in quanto a densità di significato

 

Nulla di ciò che vedi ti appartiene: se non, appunto, il vederlo, il semplice gesto del vedere. Dunque che si tratti di una guerra o di una conversazione da salotto, quella 'partecipazione'  non ti modifica in nulla, non è esperienza, non sei partito veramente, non hai incontrato altre persone, non hai conosciuto qualcuno che veniva da un'altra città, da un mondo o da modi diversi, non hai passato con lui tre mesi, un anno, cinque anni, o un solo giorno che abbiano modificato il tuo modo di essere e il modo di essere di altri. Resti identico a te stesso, si tratta solo di un enorme dispendio di emozione, poiché ciò che vedi ti emoziona e pavlovianamente hai un riflesso condizionato di salivazione emotiva di fronte a eventi che ti colpiscono. Insomma, un anticipo di realtà virtuale […] ci sono non pochi aspetti positivi; solo che l'impiego di oggetti del genere, l'abitare in questa tecnologia, in questa percezione vi richiederebbero come  sempre, una strepitosa maturità d'animo. Del resto uno dei grandi problemi della democrazia è che questa forma di governo più di ogni altra esige da ciascuno di noi la massima qualità.20

 

 Nelle maglie della rete

 

L'allusione alla realtà virtuale prepara il terreno per introdurre il secondo racconto del percorso, Evil Live, anch'esso pubblicato nella raccolta Mania. Scarpa nell'introduzione ricorda che negli anni in cui il racconto viene scritto, intorno al 1995-6 si collocano gli albori della rete, un'epoca dominata da un'ipertrofia della scrittura per compensare le difficoltà nel download delle immagini. Ed è dunque il testo scritto l'oggetto al centro della 'mania' del racconto, il testo prodotto dal carteggio online tra mittente e destinatario, uno scambio in un primo momento aperto, ma subito dopo limitato a una condivisione a due, di rapresentazioni sempre più febbrili e concitate dei combattimenti ingaggiati da una giovane lottatrice, telecronache di finzione che seguono le onde del desiderio dei due personaggi coinvolti.21 La parola deve sopperire alle manchevolezze di una tecnologia ancora rudimentale. Niente di nuovo, sempre secondo Scarpa, che individua il modello di questa scrittura costretta a riprodurre i gesti tesi ed eccitanti del wrestling femminile nelle descrizioni delle gare di lotta tra pastori dell'Arcadia di Sannazzaro, apprezzate anche da Leopardi. Il tema del racconto è appunto la dipendenza dalle parole generata dalla dipendenza dalla rete, un'ambientazione allora non ancora sfruttata dalla narrativa. La potenza immaginativa scaturita da una corrispondenza virtuale, quella tra Evil Live e Timetolose, è introdotta e commentata da un narratore esterno, e messa sulla pagina in forma paratattica

 

Mediamente a quell’ora ogni sera torna a casa attraversando lo spazio – prima strutturato poi meno strutturato e poi sfibrato – di quel che un secolo fa erano le metropoli e ora sono la caricatura beffarda e disfatta di se stesse come 'città', e una volta a casa, mediamente un’ora dopo, accende il macchinario, entra nella Grande Rete, si affaccia al mondo, mette piede nella piazza di un gruppo di discussione, e deposita lì, come un uovo, la sua novella. In qualche altro luogo della Terra un’altra persona rastrema come ogni giorno il gruppo di discussione della propria ossessione, mediamente a quell'ora spazza il mare come un incrociatore, spazza e sorveglia lo specchio d'acqua delle manie condivise, ritaglia nel mare grande dell'alternativo e dell'abuso, gorgogliante chissà dove nella Rete, ciò che aspetta e desidera. A quell'ora trova la novella, la salva nel computer come file, e dopo essersi disconnesso legge.22

 

Dalla casella di posta di EvilLive@The End.com viene inviato a una chat che comprende anche Timetolose, un racconto in prima persona imperniato su Eva, una lottatrice di ventuno anni che esce di notte in cerca di un combattimento qualunque, mentre alla voce che dice io e che si definisce 'assistente' di Eva, è destinato un ambiguo destino da voyeur. L'impazienza di Timetolose aumenta, vuole sapere di più sulla protagonista di quei combattimenti e sull'anomima voce che attraverso le parole li narra. EvilLive decide di proseguire con gli invi, ma destinandoli solo a Timetolose, la chat diventa quindi uno scambio epistolare a due, nel quale si intensifica la narrazione degli scontri che indugia sulle posizioni delle lottatrici, sulla loro nudità. La tensione sensuale tra i due account si intensifica, il picco di adrenalina è azionato dalle parole con le quali EvilLive accende l'immaginazione di Timetolose, unico legame flebile tra loro. Il racconto si conclude con l'abbandono della chat, le aspettative si afflosciano, fino alla chat successiva. Il racconto è un documento scritto a caldo riguardo alle prime frequentazioni di Internet, una testimonianza di come fin dalle origini risultasse evidente il potere della rete di plasmare desideri, pensieri e comportamenti. L'oggetto sono le parole, il potere conferito loro dalla tecnologia digitale di creare uno stato di irrequietezza dovuto ad attesa, curiosità, desiderio.

 

Ascendenze calviniane

 

Nel racconto Prima che tu dica “pronto”, risalente al 1975, archetipo che ha ispirato Del Giudice, Calvino sembra inizialmente essere interessato a narrare l'influenza della tecnologia – in questo caso le comunicazioni telefoniche – sulle relazioni di coppia. In realtà il finale grottesco prefigura nell'accesso illimitato alla reticolare disponibilità dei contatti una deriva erotica, non dissimile da quella promessa vent'anni dopo da Internet in Evil Live. Il protagonista maschile, la voce che dice io, afferma di apprezzare la «straordinaria libertà»23 concessa da «una rete di connessioni automatiche estesa su interi continenti»24 che consente a ogni utente di chiamare senza l'intermediazione delle centraliniste, «invisibili vestali»25. Ma ammette di dover compensare quella libertà con «dispendio di energia nervosa, ripetizione di gesti, tempi morti, frustrazioni crescenti».26 L'accessibilità del telefono pare trasformare la relazione tra il narratore e la donna amata: vedersi in presenza è poco emozionante, prevedibile, scontato. Grazie al telefono la lontananza si rivela l'unico autentico possibile modo di stare insieme. Ma gradualmente l'entusiasmo della voce narrante con toni sempre più enfatici, assume i caratteri di una confessione che rimane però non detta, e bloccata nella dimensione di un'ossessiva e delirante fantasia sessuale

 

 Da un'ora provo a turno una serie di numeri tutti imprendibili, quanto il tuo, a Casablanca, Salonicco, a Vaduz: mi dispiace che restiate tutte ad aspettarmi accanto al telefono; il servizio si va facendo sempre peggiore. Appena sentirò una di voi dire «Allò!» dovrò stare attento a non sbagliarmi, ricordarmi a chi di voi corrisponde l'ultimo numero che ho chiamato […] tanto vale dirvelo ormai, dirlo a te e a tutte voi, visto che nessuno dei vostri telefoni risponde: il mio grande progetto è trasformare l'intera rete mondiale in un' estensione di me stesso che propaghi ed attragga vibrazioni amorose, usare questo apparecchio come organo della mia persona per mezzo del quale consumare un amplesso con tutto il pianeta. Sto per riuscirci. Aspettate accanto ai vostri apparecchi. Dico anche a voi a Kyoto, a Sao Paulo, a Riad!27

 

Calvino, come Del Giudice, si concentra sulla questione degli effetti deraglianti della tecnologia           sull'autenticità della comunicazione fra individui. All'altezza del racconto del '75, la posizione      dell'autore appare più problematica di quella esposta circa una decina di anni prima in Priscilla, una      sezione di Ti con zero in cui la voce del protagonista Qfwfq ricostruisce la traiettoria che connette,          «biologia, linguistica e teoria dell’informazione».28 Nella conclusione della terza parte di Priscilla dal titolo Morte viene prospettato un futuro senza cesure né gerarchie tra umano e artificiale, dove riparandosi la vista dalla luce accecante del sole è possibile percepire che sopra di noi si estende un altro tetto, il guscio di parole che noi continuamente secerniamo. Appena fuori dalla continuità della materia primordiale, siamo saldati in un tessuto connettivo che riempie l'iato [sic] tra le nostre       discontinuità, tra le nostre morte e nascite, un insieme di segni, suoni articolati, ideogrammi, morfemi, numeri, perforature di schede, magnetizzazioni di nastri, tatuaggi [...] Il circuito dell’informazione vitale che corre dagli     acidi nucleici alla scrittura si prolunga nei nastri perforati degli automi figli di altri automi: generazioni di macchine forse migliori di noi continueranno a vivere e parlare vite e parole che sono state anche nostre.29

 

La speranza nel successo di quel circuito comunicativo alimentato dall'integrazione uomo/macchina e in grado di unire diverse forme di vita sembra essersi estinta, al punto che anche solo la  disponibilità di una rete telefonica innervata su fili di rame, lungo i quali propagare la propria voce senza intermediari, scatena gli istinti più sconvenienti. Ma il confronto con quel “guscio di parole che noi continuamente secerniamo” avvia il medesimo processo al quale si sottopone ogni lettore che si avventura nei meandri di un testo, l'oggetto al centro della riflessione calviniana, definito da Zinato «un oggetto didattico paradossale»30 per diversi ordini di motivi: la capacità di anticipare il futuro grazie alla luce proiettata sul passato; la qualità realistica delle invenzioni che lo  sostengono; la forza di suscitare emozioni reali attraverso meccanismi finzionali che evocano  esperienze verosimili e infine la proprietà di popolare l'immaginario con elementi persistenti e condivisi, di «animare l'inanimato».31

 


10 luglio 2023

 

 


1«Uno dei più apprezzati e prestigiosi narratori delle nuove leve italiane […] che riassumono il senso dell'essere moderno, ed eventualmente postmoderno» G. Del Brica, Viaggiatori e frati al tempo del trionfo della borghesia, «Belfagor», vol. 45, n. 1 (31 gennaio 1990), pp. 100-109.

2Spiega Baricco nell'introduzione all'antologia per il biennio La seconda luna «sapevamo che si fa sempre una certa fatica a leggere solo alcune pagine di un romanzo – è come vedere tre minuti di un film, o andare a una festa quando è già iniziata e andarsene prima della torta. Meglio una storia dall'inizio alla fine, quello sì è il piacere di leggere. Così abbiamo optato per i racconti.» A., Baricco, Scuola Holden, La seconda luna. Leggere 1. Costellazioni di racconti e poesie, Bologna, Zanichelli, 2018, p. 4.

3«In un’epoca così avanzata, la Cultura Alta non è più minacciata dal Masscult, quanto da quell’ibrido nato dai rapporti contro natura che la Cultura Alta ha intrattenuto con esso. Si tratta di una variegata cultura intermedia che minaccia di assorbire entrambi i genitori. Questa forma – che chiameremo Midcult – ha le stesse caratteristiche fondamentali del Masscult (la formula, le Reazioni Controllate, il rifiuto di qualsiasi standard qualitativo a favore della popolarità) ma le nasconde per pudore sotto una foglia di fico qualitativa. Nel Masscult il trucco è scoperto: piacere al pubblico con ogni mezzo. Il Midcult, invece, attira il pubblico in due modi diversi: da un lato finge di rispettare i canoni della Cultura Alta, dall’altro, a conti fatti, li annacqua e li volgarizza». D. Macdonald, Masscult e Midcult, nuova edizione, traduzione e prefazione a cura di M. Maraschi, con un testo di U. Eco, Prato, Piano B, 2018 .

4C. Varotti, Le distopiche geometrie di Utopia «Fuga» di Daniele Del Giudice, «Griseldaonline» 19, 2 | 2020 ISSN 1721-4777

5   D.Del Giudice, Fuga in I racconti, Torino, Einaudi, 2016, p. 123.

6Ivi, p.124.

7   J. F. Jameson,  Il postmoderno o la logica culturale del tardo capitalismo, trad. it. di S. Velotti, Milano, Garzanti, 1989, [ed. or. Postmodernism, or The Cultural  Logic  of Late Capitalism, New Left Review, 1984], p.38.  

8Z. Bauman, Modus vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido, trad. it. di S. D'Amico, Roma- Bari, 2007 [ed. or. Liquid Times. Living in an Age of Uncertainty, Cambridge, Polite, 2006], pp. 110-126.

9A. Terrile, P. Biglia, C. Terrile, Una premessa: il modernismo in Una grande esperienza dietro di sé, 6, Il Novecento e gli anni Duemila, Milano – Torino, Pearson, 2018, pp. 26-30.

10P. Portoghesi, Postmodern. L'architettura nella società postindustriale, Milano, Mondadori Electa, 1982 citato in R. Carnero, Roberto, G. Iannaccone, Al cuore della letteratura. Dal Novecento a oggi, Firenze, Giunti e Tancredi Vigliardi Paravia, 2016, p. 681.

11Ibidem.

12Ibidem.

13L'opera appartiene a una delle tre raccolte che ha inizio nel 1955 con À la Recherche du Shoe Perdu, di cui nel 2016 Sotheby’s ha messo all’asta 18 litografie colorate a mano del libro, vendute per 420mila dollari. La seconda raccolta è realizzata nel 1956, i disegni elaborati con la tecnica blotted line e poi trattati con la foglia d’oro, vengono esposti in una mostra dal titolo The Golden Slipper Show o Shoes Show in America. Il confronto, proposto da F. Jameson tra Van Gogh e Warhol è recepito in R. Luperini [et al.], La scrittura e l'interpretazione.  Storia e antologia della letteratura italiana nel quadro della civiltà europea, volume 3, Dal Naturalismo al Postmoderno, Palermo, Palumbo, 1998, pp. 588-589.

14J. F., Jameson,  Il postmoderno... , cit., pp. 19-20.

15Ivi, p. 20.

16Ivi, p. 23.

17Ivi, p. 26.

18D. Del Giudice, Gli oggetti, la letteratura, la memoria in A. Borsari (a cura di), L'esperienza delle cose, Genova, Marietti, 1992, pp. 91-102, p. 95.

19Ivi, pp. 96-97.

20Ivi, p. 98.

21T. Scarpa, La profezia delle parole in D. Del Giudice, I racconti, Torino, Einaudi, 2016, p. XIII.

22D. Del Giudice, I racconti, Torino, Einaudi, 2016, p. 103.

23I. Calvino, Prima che tu dica «Pronto», Milano, Mondadori, 1993, pp. 227-237, p. 228. La raccolta esce a cura di Esther Singer Calvino con il fine di mettere a disposizione dei lettori testi ormai introvabili.

24Ibidem.

25Ibidem.

26Ibidem.

27Ivi, pp. 236-237.

28E. Lima, Le tecnologie dell'informazione nella scrittura di Italo Calvino e Paolo Volponi. Tre storie di rimediazione, Firenze, Firenze University Press, 2020, p. 137.

29I. Calvino, Romanzi e racconti, a cura di M. Barenghi e B. Falcetto, vol. secondo, Milano, mondadori, 2008, pp. 302-303.

30E. Zinato (a cura di), Insegnare letteratura. Teorie e pratiche per una didattica indocile, con la collaborazione di S. Giroletti et al., Bari - Roma, Laterza, 2022, edizione digitale, pp. 11-12.

31M. Cometa, Perché le storie ci aiutano a vivere. La letteratura necessaria, Milano, Cortina, 2017, p.19.