Carlo Varotti - Un ragazzo normale di Lorenzo Marone

 

Si sa che il condominio di una grande città è in genere un microcosmo complesso e articolato - e basti un cenno  a un maestro postmoderno come Georges Perec (La vita: istruzioni per l’uso) – tanto da offrirsi come ideale strumento di osservazione in vitro non solo di peculiari individui, ma anche di veri e propri ‘tipi’ sociali, di modelli comportamentali e mode. In questo contesto è ovviamente il portinaio (o la portinaia) a godere di un punto di vista ‘professionalmente’ privilegiato. Non stupisce dunque se è diventato un vero e proprio topos della narrativa degli ultimi decenni il racconto che ha per protagonista un/a portinaio/a o il figlio di un portinaio/a. Gli esempi potrebbero essere moltiplicati ad libitum: da un best seller internazionale quale L’Eleganza del riccio di Muriel Barbery; ad esempi nostrani più o meno recenti (e ricordiamo che figlio di una portinaia è il carismatico Guido, co-protagonista di Due di due di Andrea de Carlo), come Il senso dell’elefante di Marco Missiroli (Guanda, 2012); ma soprattutto Le parole perdute di Amelia Lynd, di Nicola Gardini (Feltrinelli, 2012), che ha per protagonista il giovane figlio della portinaia di un condominio milanese, i cui inquilini esibiscono un coacervo di meschinità, ignoranza e pregiudizio. E che troverà attraverso i libri e la cultura gli strumenti per una nuova consapevolezza.

Che poi sia proprio il figlio del portinaio a trovare, per mezzo della letteratura e il fascino delle parole, la via per un riscatto umano e sociale, che rovescia gerarchie e valori (a vivere nei piani alti sono spesso personaggi mediocri e immeritatamente benestanti), è ciò che conferma quel divorzio tra cultura umanistica (e il suo apparato etico) e classi dirigenti (o anche, più modestamente, ceti medio-alti), che Christopher Larsch denunciava già a metà degli anni Novanta (la ribellione delle élites).

Siamo di fronte a una situazione narrativa utile dunque per mettere a diretto confronto status sociali, modelli culturali e stili di vita, ma che è spesso esposto al rischio di stereotipi o di facili polarizzazioni. Non è il caso, quest’ultimo, del libro di Lorenzo Marone, che racconta il microcontesto sociale del protagonista (il figlio di un portinaio di un palazzo borghese nel quartiere Vomero di Napoli) con misura e partecipazione, senza sconfinare mai nel pittoresco o nell’eccesso del grottesco. Ed è una prima buona ragione (non la più importante, come si dirà) per proporre questo romanzo a scuola. Certamente al biennio. Ma già alle scuole medie; anche per sfruttare (generando interesse) il naturale processo di identificazione del lettore con il protagonista, che è un ragazzino di seconda media alle prese con la quotidiana schiacciante fatica di imparare a gestire se stesso e il proprio corpo: l’essere accettati; l’innamorarsi; il misterioso avvertimento delle prime pulsioni sessuali.

Il romanzo è narrato in prima persona. Come si apprende alla fine del libro, il narratore è uno psicologo, nato a Napoli, che vive a Roma, dove si è trasferito dagli anni dell’Università. E’ nato nel 1973, giacché all’epoca dei fatti narrati (il 1985) è circa dodicenne.

 

La vicenda

 

Il romanzo si apre con un breve esordio ambientato nei giorni nostri, dove compare il narratore/protagonista (Domenico, da bambino chiamato con il canonico vezzeggiativo di ‘Mimì’), che sta visitando con un agente immobiliare un bell’appartamento al Vomero. La visita è in realtà l’occasione per rivedere i luoghi dell’infanzia, che proprio in quello stabile il narratore – figlio del portinaio, come si è detto - aveva trascorso. Lì, nel 1985, aveva conosciuto Giancarlo Siani, il giovanissimo giornalista del «Mattino», che abitava in quello stesso stabile e che proprio sotto casa fu ucciso, il 23 settembre 1985, per i coraggiosi articoli di inchiesta in cui aveva denunciato l’ascesa del clan Nuvoletta e i suoi rapporti con la mafia corleonese, la “Nuova famiglia” di Totò Riina. La morte del coraggioso giornalista (nel penultimo capitolo – prima del ritorno al presente nell’epilogo) costituisce una delle pagine meglio orchestrate del libro, facendo coincidere (ed è una coincidenza ricca di convergenze simboliche) la morte dell’eroe-giornalista con un bacio scambiato tra Mimì e Viola, la ragazza della quale, apparentemente senza alcuna speranza, Mimì era innamorato.

A parte il prologo e l’epilogo (e pochissimi altri brevi ritorni al presente), il romanzo è interamente ambientato nel 1985, tra il gennaio e il settembre di quell’anno. Se la data conclusiva coincide, ovviamente, con la morte di Siani, quella iniziale è invece marcata da un evento atmosferico (La grande nevicata dell’ottantacinque), la cui eccezionalità («Non avevo mai visto la neve, mai dal vivo, perché a Napoli, nei miei primi dodici anni, non era mai nevicato», p. 17) contribuisce nei ricordi del narratore a fare di quello un anno ‘mirabilis’, uno di quelli che marcano in maniera indelebile una vita e segnano un destino.

Il destino, in questo caso, è appunto l’amicizia con Giancarlo Siani, che il piccolo Mimì, imbevuto di romanzi (soprattutto avventurosi: Verne, Stevenson, Salgari) e lettore appassionato dei fumetti dei supereroi della Marvel (in primis L’uomo ragno), vede come un eroe. Quando Mimì sente infatti il nonno (nel minuscolo bilocale vivono tre generazioni: due nonni, i genitori, Mimì e la sorella maggiore Bea), un vecchio smaliziato comunista, parlare degli articoli pericolosi scritti da quel ragazzo che vive nel palazzo, Giancarlo diventerà qualcosa tra Spider man e Batman; e la sua automobile, la Citroen Mehari (un modello caro alla cultura alternativa degli anni Settanta) sulla quale Siani fu crivellato di colpi, non tarderà a diventare, semplicemente, la Batmobile.

Nei ricordi del narratore - in cui i luoghi diventano rievocazione di persone, di incontri e di esperienze - si delinea un vero e proprio ‘romanzo di formazione’. I diversi personaggi che ruotano attorno al protagonista marcano altrettante occasioni di crescita umana e culturale; esperienze raccontate attraverso una duplice ottica: da una parte quella, ingenuamente straniante, dello sguardo del bambino; dall’altra l’ottica del narratore adulto, che rievoca con consapevolezza matura le impressioni e gli stupori sperimentati all’epoca.

Da questo punto di vista il romanzo di Marone può offrire spunti interessanti di riflessione da sviluppare in classe: sulla manifestazione dell’emotività; sulla lingua capace di esprimere i sentimenti; sulla decodifica, attraverso il linguaggio e le abitudini espressive, di modelli culturali e tipologie sociali.

Tutti elementi messi in campo nei rapporti del protagonista con la costellazione di personaggi che ruotano attorno a lui e alla sua famiglia:

- Giancarlo Siani. E’ l’eroe del romanzo; un fratello maggiore che assume per Mimì il ruolo di un secondo padre; e destinato a fissarsi per sempre, con la sua morte, come grande modello morale di coraggio, senso di responsabilità, virtù civile. E’ Giancarlo, poi, che fa sì che il bimbo acquisti consapevolezza della propria peculiarità umana, trasformandola in senso di sé e autostima.

- L’amico Sasà: scaltro e acuto, apparentemente più attrezzato dell’ingenuo Mimì nell’affrontare la vita quotidiana. Destinato in realtà a riprodurre i modelli socio-comportamentali della sua origine (alla fine del romanzo scopriremo che ha rilevato la drogheria del padre, nella stessa via in cui è cresciuto).

- Viola. L’amore per lei (lontana e inarrivabile, fidanzata con un ragazzo più grande e perfettamente in linea con i dettami della moda) costituisce una vera e propria educazione sentimentale, attraverso la quale Mimì prende coscienza dei propri sentimenti e del codice attraverso il quale comunicarli. Alla fine del libro, a sorpresa, si scoprirà che Viola – ritrovata anni dopo dal protagonista, ormai adulto, a Roma – è diventata la moglie di Mimì.

- Matthias. Un senzacasa tedesco, cieco, che da vent’anni vive a Napoli, assieme al cane Beethoven. Matthias rappresenta la seconda, inaspettata, guida di Mimì nel suo percorso di crescita emotiva ed esistenziale.

 

 

La cultura. Le parole per dire

 

I libri sono per Mimì l’oggetto di un amore incondizionato. E’ cresciuto in una famiglia povera ma dignitosa, in cui i libri, se pur guardati con rispetto, sono tuttavia assenti, appartenenti a una realtà irrimediabilmente ‘altra’. Qui, per gli imprevedibili e misteriosi percorsi che costruiscono una personalità, Mimì matura una curiosità vorace e onnivora verso ogni forma di sapere. Colleziona una piccola bibliotechina di romanzi, accumulata attraverso i rari regali dei genitori e i doni di vicini; in televisione segue i documentari; memorizza le informazioni più svariate (dalla chimica alla botanica; dalla letteratura alla storia); cementa una passione per la lingua e per un eloquio forbito, che produce un singolare contrasto con il dialetto che domina in famiglia (in un napoletano facilmente comprensibile sono spesso i brevi inserti di discorso diretto attribuiti ai familiari di Mimì), o con la lingua basica di Sasà (l’amico del cuore, il solo bambino di estrazione non borghese della classe di Mimì), o con la lingua della sorella maggiore Bea (poco diligente studentessa in un istituto professionale, imbevuta della sottocultura pop giovanile).

Nell’intento di marcare il contrasto stilistico tra la lingua di Mimì e quella del mondo che lo circonda, l’autore talora calca la mano, con effetti eccessivi. Per quanto infatti Mimì abbia tutti i crismi del nerd (è la sorella Bea a esplicitare la diversità del fratello, con una battuta ricorrente di adolescenziale concisione: «Mimì, tu non scoperai mai»), frasi come «non vedo nobili propositi nelle tue azioni» (detto all’amico Sasà, a p. 62) o «mi vedo costretto a controbattere il tuo attacco gratuito» (detto alla madre, a p. 126), risultano certamente sopra le righe; anche se forse non risultano didatticamente inutili al docente che voglia evidenziare le differenze di registro e di stile nella lingua dei personaggi.

La parola ‘educata’, quella della cultura e dell’arte, diventa di fatto lo strumento di una crescita umana ed esistenziale attraverso la quale passa la maturazione di Mimì. In questo ambito è tematicamente importante la scoperta della canzoni di Vasco Rossi - di cui Mimì viene a conoscenza attraverso Giancarlo Siani – e che diventano un importante strumento di mediazione comunicativa tra l’imbranato e ingenuo protagonista, e Viola, bella e irraggiungibile (e di ceto superiore: abita in uno dei due attici del palazzo)

 

La riflessione su di sé: costruire se stessi

 

La peculiarità del personaggio ci immette in uno degli aspetti più interessanti per l’insegnante che voglia indurre i ragazzi a riflettere sul concetto di personalità, originalità, omologazione.

Il protagonista rivive nei ricordi una storia di crescita e di progressiva costruzione di sé, attraversando dubbi, incertezze e paure. La sua caratterizzazione di nerd (oggetto spesso delle prese in giro dei coetanei) comporta tuttavia il riconoscimento di una ‘diversità’ che si configura come una risorsa. La non omologazione di Mimì ai comportamenti e alle mode sulle quali si appiattiscono pedissequamente i suoi coetanei, racconta un percorso di costruzione di una personalità sicura e originale. Un percorso non facile, perché non fondata sul banale scimmiottamento dei comportamenti della maggioranza.

Il titolo del romanzo (Un ragazzo normale) si riferisce infatti alla figura di Giancarlo Siani (sul significato etico e civile di questo diremo tra poco), ma anche allude al contrastato rapporto tra normalità (adeguamento alla ‘norma’) e costruzione dell’individualità (che, in quanto tale, è sempre una forma di ‘eccezione’ – il segno caratterizzante del singolo, nella sua unicità), come processo che coinvolge il bambino nel difficile passaggio all’adolescenza.

 

Libri e nuovi orizzonti

 

La scoperta della letteratura e della cultura (quella pop dei fumetti e delle canzoni, non meno che quella dei grandi classici) occupa un posto essenziale nel percorso di formazione del giovane Mimì, toccando a volte tratti scopertamente didascalici (che spetterà al docente usare ‘cum grano salis’), e che possono richiamare il percorso di formazione di Lenù, la narratrice de L’amica geniale, in un analogo contesto familiare, popolare e napoletano.

La lettura erompe come un appassionante ampliamento di orizzonti conoscitivi, che trovano un corrispettivo significativo nella simbologia spaziale. Trenta mattonelle è infatti il titolo del primo capitolo del libro: e indica la superficie corrispondente all’area un tempo occupata dal gabbiotto del portinaio dello stabile in cui il narratore è cresciuto. Lì, in quei pochi metri quadrati, il padre trascorreva gran parte della sua giornata; e lì spesso il bambino faceva i compiti, per avere un po’ del silenzio inattingibile nell’affollato bilocale, con la televisione sempre accesa. Le ‘trenta mattonelle’ segnalano simbolicamente la mancanza di prospettiva della vita del padre, costretto a guardare il mondo da un orizzonte ristretto; una ristrettezza, di possibilità e di sapere. Quello poteva essere il destino del figlio, se ad aprire nuovi orizzonti, e far scattare la possibilità del riscatto umano e personale, non fossero intervenuti, appunto, i libri. E’ quanto viene fuori (con una chiarezza fin troppo didascalica) in uno dei capitoli finali del libro, dove è raccontata una mattina trascorsa a pesca con il padre in un tratto di costa nei pressi di Napoli. Mimì non è per nulla interessato alla pesca, mentre il padre sembra quasi voler esibire al figlio (nei confronti del quale prova spesso soggezione) che anche lui ha, almeno in qualcosa, competenze tecniche non banali. Il padre si stupisce della perdurante indifferenza del figlio per la pesca (e per il paesaggio che circonda quel luogo). Si veda questo stralcio di dialogo (p. 232):

 

“possibile che a te piacciano sole le parole?” domandò allora lui.

“Non sono solo parole, sono storie”, replicai

“E a che ti servono le storie quando la realtà è tanto bella?”

“I libri ti permettono di viaggiare, visitare luoghi sconosciuti, incontrare personaggi incredibili. Non sai cosa ti perdi…”

Lui fece una smorfia e tirò su con il naso, quindi mosse un po’ la lenza.

“Ma cosa vuoi fare da grande, Mimì, ci hai pensato?”

“Lo scrittore,” risposi di getto, “o l’astronauta. O il matematico. Vediamo”

Si girò a fissarmi e scoppiò a ridere. “Una cosa normale proprio no, eh?”

“Che significato dai alla parola ‘normale’?  (…) Se non volessi una vita tranquilla? Io voglio che nel mio futuro ci siano spazio e libertà, voglio inseguire i miei sogni e volare alto”

 

Modelli sociali e socio-culturali

 

Il libro può offrire interessanti occasioni di riflessione e interpretazione attraverso l’analisi dei modi con cui l’autore tratteggia tipi sociali e luoghi.

Spunti possono essere offerti anche dall’ambientazione e dalla rappresentazione degli interni. Ad esempio l’attico del palazzo è occupato da due grandi appartamenti. In uno abita la famiglia di Viola, figlia di un benestante pilota. Nell’altro (quasi sempre vuoto, e perciò affidato alla cure del portinaio e del figlio Mimì, che annaffiano regolarmente le piante del terrazzo) vive un colonnello in pensione.

I due appartamenti bene rappresentano diverse tipologie borghesi. Da una parte la solida e colta borghesia del colonnello Scognamiglio, la cui casa ha una fornita biblioteca (che a Mimì appare come un luogo di magia e delizia), un pianoforte, e l’elegante rigore di mobilia d’epoca e di qualità. Dall’altra la nuova ricchezza senza stile e personalità della famiglia di Viola: costoso arredamento minimalista; televisioni in ogni stanza; rigorosa assenza di libri. Viola ha anche un fratello, perfetto condensato della stupidità superficiale e benestante degli anni Ottanta: è un ‘paninaro’ (spetterà all’insegnante spiegare che anche questo si è visto: un’identità di gruppo fondata sull’uso di Timberland Boot, calzini a rombi Burlington e la frequentazione di McDonald e similari), che si anima solo di fronte a una Playstation.

 

La tematica dell’eroe

 

Per concludere, un interessante percorso di riflessione nel lavoro in classe può essere offerto dal motivo, ricorrente in tutto il romanzo, dell’eroe. La contrapposizione eroismo/normalità è una delle articolazioni di senso legate al titolo (un ragazzo ‘normale’), che è coniugabile non solo come richiamo, di cui si è detto sopra, alla fatica di crescere (trovando un equilibrio tra adeguamento ai modelli dominanti e sicurezza di sé e della propria unicità), ma anche sul piano etico. Giancarlo Siani, nelle sue apparizioni nel romanzo – dove intraprende sempre con il protagonista dialoghi apparentemente svagati ed estemporanei, ma in realtà densi di senso – ribadisce più volte la propria ‘normalità’, negando la visione eroicizzante con cui il piccolo amico lo alona. E Siani, che un eroe fu davvero, per coraggio e senso civico, propone al piccolo Mimì l’eroismo della normalità, che è il vivere con dignità e giustizia, senza mai derogare alla consapevolezza dei propri doveri verso la comunità.

E c’è infine, incarnato nel personaggio di Siani, l’eroismo della conoscenza e della curiosità, della cultura che sottrae l’individuo al banale appiattimento del luogo comune e del pregiudizio:

 

“Parli sempre di superpoteri… [dice Siani al piccolo Mimì a p. 146] la lettura e la scrittura sono i poteri più potenti di cui disponiamo, ci ampliano la mente, ci fanno crescere, ci migliorano, a volte ci illuminano e ci fanno prendere nuove strade, ci danno il coraggio di fare ciò che desideriamo.” Parlava gesticolando, e aveva una strana luce negli occhi. “La verità”, riprese dopo una breve pausa, “è il più grande potere a disposizione dell’uomo, caro Mimì, quello che ci rende davvero grandi e liberi, è la cultura.”

 

15 febbraio 2021