Andrea Bruscino - Un confine disastroso

 

Le ragioni di un percorso di lavoro

Credo che la scuola tutta, ma anche i ricercatori e gli studiosi di storia, debbano mettere al centro della loro attenzione le parole confine, guerra e violenza più che foibe ed esodo, perché senza la guerra non ci sarebbero stati né foibe né esodi. È parimenti necessario impossessarsi del tema della violenza sul confine alto Adriatico sottraendolo ai mass media, che riportano da un anno all’altro (e sempre in prossimità del 10 febbraio, in occasione delle cerimonie del ‘’Giorno del Ricordo’) gli stessi titoli e gli stessi articoli, ignorando i tanti volumi di storia e di letteratura che su questi temi dibattono da decenni.

L’analisi del linguaggio, come sempre accade, offre chiavi di lettura, punti di riflessione e, spesso, soluzioni. Facciamo un esempio: cosa intendiamo per limes? Cos’è un confine? Forse è impossibile darne una definizione incontrovertibile. Foucher diceva che «il confine è tempo inscritto nello spazio»: il conflitto israelo-palestinese ne è un chiaro esempio, il concetto di un confine che nello spazio è temporalmente mutevole. Il confine coincide con ciò che è identico a me ed io sono mutevole con il tempo. Nel momento in cui c’è un cambiamento del confine c’è un conflitto.

Dunque, per non affrontare solo i temi canonici di’ foibe’ ed ‘esodo’, ma il tema del confine e dei suoi addentellati catastrofici, è necessario partire da un’introduzione storica che metta a frutto la vasta bibliografia sul tema (ed è questo un primo passo necessario per illustrare le dinamiche che hanno concorso a favorire le tensioni fra le comunità presenti sul territorio e il disastro delle loro disgregazioni); ma non meno importante è anche soffermarsi sui percorsi di vita individuali, sui modi in cui le persone e le diverse comunità vissero e percepirono gli eventi: le emozioni, le motivazioni, gli stati d’animo, le valenze simboliche che spinsero all’agire o al non agire. Attraverso un incontro rigoroso con fonti, documenti, testimonianze, memorie è infatti possibile approfondire un percorso di conoscenza storica aggiornato, che proietti la sua luce sulla comprensione delle relazioni di cittadinanza attiva europea contemporanea. Se è vero che la letteratura permette di ‘vedere più avanti’, allora certe letture, la voce viva dei sopravvissuti, le testimonianze letterarie con linguaggi vari e diversi (si pensi per esempio ai romanzi, ai diari o ai graphic novels) o i contributi visivi (film, cortometraggi, fiction e fotografie) sono tutti preziosi strumenti che stimolano la nostra parte più viscerale e inducono ad approfondire le nostre conoscenze in merito, ma soprattutto, a provare a dare una interpretazione della storia, dei fatti e della/e catastrofe/i filtrata dalla coscienza individuale di lettori/fruitori consapevoli.

 

Lo sfondo storico - Nella fase di avvicinamento al percorso di cui qui di descrivono le fasi e i contenuti sono state fornire agli studenti alcune conoscenze essenziali sul declino dell’impero asburgico; sui due conflitti mondiali; su processi delicati, come l’italianizzazione prima e la fascistizzazione poi (non raramente con il ricorso a vere e proprie forme di persecuzione e umiliazione) di territori di confine con forte presenza di minoranze etnico-linguistiche. Nello svolgimento del percorso ci si è anche occupati dell’occupazione nazifascista della Jugoslavia nel 1941 e della creazione della Zona di operazioni Litorale adriatico (lo sfondo in cui sono maturati i germi delle future uccisioni di massa - di cui le foibe sono l’evento più macroscopico e tragico) e l’esodo di quasi tutta la popolazione italiana durante il convulso secondo dopoguerra. Queste vicende sono state rimosse per molto tempo. Se oggi legittimamente non parliamo di memorie condivise, dobbiamo comunque provare ad ascoltarle, almeno alcune, attraverso la voce di chi quelle vicende le ha vissute e quei luoghi ha abitato. Anche le voci della seconda generazione tornano utili per aiutarci a capire meglio certi fenomeni cui ancora oggi assistiamo in alcune zone di confine d’Italia e in molti dei confini del mondo.

Così, dopo una lunga ma necessaria introduzione, tutti i ragazzi hanno potuto avere un quadro sintetico efficace di tali eventi storici, sullo sfondo dei quali inserire singole vicende narrate dalla letteratura.

Ha funzionato. Le ragazze e i ragazzi hanno conosciuto la policromia di alcuni attori sociali e politici, hanno potuto dubitare di certi schemi mentali e rinnovare le loro sensibilità, dando una personale lettura dei temi toccati. Gli studenti sono stati poi indirizzati verso un ventaglio di opere tra le quali scegliere le letture da farsi – con una libertà piena, non condizionata da griglie preconfezionate di obiettivi.  Il segmento di storia preso in considerazione (quello dell’area alto-adriatica, tra Fascismo e guerra) ha potuto così essere ripercorso con la profondità di campo necessaria; rimeditato in un quadro di relazioni fra Europa orientale e Europa occidentale, ma anche fra Nord e Sud del mondo, capace anche di guardare alle risultanze attuali.

 

I testi - Per cercare di indagare le complesse vicende dell’area di confine, senza limitarsi alla sola questione delle foibe ed evitare semplificazioni, si è partiti dall’affermazione del cosiddetto fascismo di confine. Alcuni studenti si sono così cimentati nella lettura del bel libro di Adriano Sofri, Il martire fascista,[1] che Adriano Prosperi ha indicato come uno straordinario modello di ricerca storica fatta su materia incandescente, ma capace tuttavia di guardare alle sofferenze umane coniugando un distacco nel contempo appassionato e sapiente. È un chiaro esempio di come istruire gli studenti ad una bella scrittura, appassionante anche dal punto di visto storico che dal particolare (la storia tragica del protagonista, il maestro di scuola elementare Francesco Sottosanti) si allarga alla storia in generale (la catastrofe del fascismo di confine, dell’italianizzazione forzata, alla resistenza slovena e al concetto di confine per arrivare fino al 1969, la bomba in Piazza Fontana). Il libro tocca le tante violenze perpetrate dal regime fascista nei confronti delle minoranze non italofone.

Testimone diretto di tali violenze e della negazione della propria identità a partire dal tentativo di cancellarne la lingua madre fu Boris Pahor (lo scrittore triestino di lingua slovena che proprio in questi giorni ci ha lasciato), rappresentante di una letteratura capace diare piazza pulita di facili stereotipi relativi all’Oriente e che, nel suo Qui è proibito parlare, sostiene dal punto di vista sloveno alcune delle tematiche affrontate dal libro di Sofri. Dei tanti capolavori di Pahor, oltre al già citato Qui è proibito parlare, è stato antologizzato Necropoli, dove l’autore rende la complessità della storia raccontando la sua esperienza in un lager nazista. Questi due testi sono stati commentati in parallelo perché ci hanno permesso di fare in classe almeno un paio di esercizi critici importanti.

 

Attualizzazioni e aperture problematiche - Non si è discusso della sola slavofobia fascista di cui parlano Sofri e Pahor, ma l’abbiamo attualizzata con un confronto su esempi della nuove forme di discriminazione e delle tante e cicliche campagne d’odio.

Inoltre abbiamo potuto allargare la nostra visuale su un altro attuale e ricorrente campo di riflessione: la tendenza a usare la Shoah come metro di paragone della storia del territorio alto Adriatico e la conseguente errata sovrapposizione della Shoah con il fenomeno delle foibe e dell’esodo.

Nel dibattito pubblico la parola foibe ha assunto una valenza interpretativa sul piano storiografico e su quello pubblico; è un termine ombrello sotto cui stanno non solo le stragi del ’43 e del ’45 ma anche tutta la memorialistica legata alla catastrofe adriatica. E l’equiparazione con la Shoah è ormai un luogo comune, specie nell’uso politico di questa vicenda.

- Un gruppo di studenti che ha letto E allora le foibe? - opera recente (Laterza, 2021) di Eric Gobetti - ha potuto confrontarsi con un libro non propriamente di letteratura, ma di critica storica, per quanto agile e divulgativo, che risulta chiaro e puntuale nel mettere in fila dati e numeri che ci aiutano a fare chiarezza sui temi complessi di cui abbiamo appena sopra detto.

- Un altro gruppo di studenti invece ha affrontato il tema dell’esodo grazie alle memorie dei testimoni diretti per conoscere un fenomeno caratterizzato da molteplici traumi e violenze e accogliere i diversi punti di vista, tanto degli esodati tanto di chi decise di rimanere. In questo senso illuminante risulta Bora (Frassineli, 1998), un testo scritto a quattro mani dalle polesane Anna Maria Mori e Nelida Milani che ci offrono in dono la loro memoria: una memoria dimidiata di due donne che riflettono sul concetto d’identità e sui diversi destini di chi lascia la terra natale e di chi decide di rimanere. La paura delle foibe o quello che le foibe rappresentano spinge all’esodo. Ma non solo. Le autrici ci parlano dell’esodo come di una grandinata, frutto di una scelta multicausale: per la paura (che ne sarà di noi e del futuro dei nostri figli?), per la quotidianità stravolta (la paura della polizia politica, il dover abbandonare la propria lingua e di conseguenza la propria cultura perché si impongono scuole in cui è vietato l’uso dell’italiano), per la psicosi collettiva legata all’esodo (mio fratello, un amico o un vicino di casa parte e io mi rendo conto che sto rimanendo solo e, come un effetto dominio, si lascia la città o la campagna dove si è nati e sempre vissuti), l’opposizione politica al regime socialista.

Per motivi di tempo sono stati colpevolmente solo citati Lo spiraglio (Besa ed., 2017) una raccolta di racconti di Nelida Milani e Materada, il bel romanzo di Fulvio Tomizza (uscito in prima edizione nel 1960). Si tratta di due libri che rendono molto bene il senso della desolazione di città e campagne abbandonate dalla popolazione italiana. Dopo l’esodo del ’43 e del ’45, a seguito del Trattato di Parigi del 10 febbraio 1947 (la data simbolo del Giorno del Ricordo), si assiste ad un nuovo e definitivo esodo. Gli autori ci raccontano della difficile vita dei pochissimi italiani rimasti in Istria, dello svuotamento demografico, della profuganza e della conseguente perdita identitaria di un intero territorio. Ecco che la questione storica dell’esodo può e deve essere riletta e analizzata in una prospettiva europea ricordando come la guerra lasci in eredità non solo distruzione di abitazioni e infrastrutture ma anche milioni di profughi.

 

Prospettive di lettura e approfondimento - Si potrebbe affiancare, ai testi di Milani e di Tomizza, il recente e attualissimo saggio Passeur, di Raphael Krafft (Keller, 2020), dal momento che l’autore ci offre notevoli spunti di riflessione sull’esodo e sui profughi di ieri che sono i richiedenti asilo di oggi, i migranti che cercano di oltrepassare le frontiere di Ventimiglia o lasciare i centri di raccolti di Lampedusa. Un processo di apertura e di attualizzazione che, facendo riferimento alle notizie che i singoli studenti possono portare e mettere in comune, consenta di parlare, fuor di retorica delle numerose e diverse migrazioni italiane. Possiamo parlare dell’italiano con la valigia di cartone, possiamo citare i racconti di Sciascia, possiamo parlare di cervelli in fuga, possiamo citare dati di immigrati in Italia e di emigrati - italiani e non - dall’Italia. Dobbiamo usare la letteratura come paesaggio della memoria e aiutare i ragazzi ad abbattere luoghi comuni, muri fisici e culturali per oltrepassare i confini e finalmente tornare sui luoghi di origine di questi profughi italiani con diversi linguaggi, teatrali, filmici e ancora letterari con il bel romanzo di Silvia Dai Prà, Senza salutare nessuno (Laterza, 2019) e la graphic novel di Alessandro Tota e Caterina Sansone, Palacinche (Fandango, 2012).

Il libro della Dai Prà è una sorta di reportage e storia familiare in cui l’autrice scopre che la vera origine della nonna, morta ormai da qualche anno, non era veneta ma istriana: così decide di lavorare su una memoria familiare cancellata. Scopre che nessuno in casa sapeva di familiari infoibati o esodati, nessuno aveva ragionato sulle volute omissioni della nonna e di intere parti della sua vita cancellate. La scrittrice, con un registro narrativo volutamente leggero a fronte di una ricerca storica documentata, cerca di trovare delle risposte e scardinare silenzi e rimozioni per ricostruire una storia personale e spingere alla riflessione sulla propria memoria che si allarga alla memoria collettiva, per quanto non condivisa.

Per questo è stata affidata alla lettura di alcuni studenti la graphic novel Palacinche, che pure parla della ricerca delle origini familiari (almeno di quelle di una dei due autori) ma anche dei profughi. Scritto a quattro mani, Palacinche è risultato accattivante perché mette insieme fumetto e fotografia per raccontare ancora un viaggio a ritroso nel tempo, prima in alcuni dei campi profughi che accolsero la madre dell’autrice e poi nei suoi luoghi di origine.

Testi ‘leggeri’ come quelli appena citati sono utili ad intercettare la curiosità degli studenti su argomenti solitamente scivolosi o su cui non si riflette come e quanto si dovrebbe. Ci raccontano di esuli che spesso erano avvertiti dal resto della popolazione italiana come fascisti e/o stranieri. Queste due diverse tipologie di letture aiutano ad interrogarci su come furono accolti i profughi nell’Italia del dopoguerra, in un paese da ricostruire e povero. Ci mostrano come poterono riparare in oltre un centinaio di centri di raccolta che erano ex scuole, conventi, caserme, pure ex campi di concentramento gestiti dal Ministero degli Interni. Come una cascata che si riversa in mille rivoli, si è analizzato come e in quali condizioni vissero e come furono ben accolti, anche se non sempre e spesso senza tenere conto delle loro esigenze o delle loro richieste. Si è parlato di sradicamento e di come esso diventasse uno stato mentale e d’animo costante per il vivere forzatamente in una realtà estranea e non voluta. Questa condizione ci ha spiegato perché molti profughi poi hanno preferito emigrare oltreoceano (Stati Uniti, Canada, Sud America e Australia) piuttosto che rimanere in Italia che non avvertivano come loro patria.

 

A conclusione del percorso didattico sul confine alto Adriatico, che ha visto l’intervallare dell’uso del manuale di storia, di carte geografiche, della letteratura e della memorialistica, si è fatto ricorso anche a una fonte iconografica, precisamente ad una (delle tante) foto che riassume le forzature e le conseguenze dei processi di definizione di un confine: una foto scattata a Gorizia nel settembre 1947, che raffigura da una parte un ragazzo fuori dalla sua abitazione e dall’altra una mucca che attraversa il cortile. Sotto l’animale passa una linea bianca che taglia a metà l’area. I soldati alleati (francesi in questo caso) avevano tirato un confine fra Italia e Jugoslavia con della vernice bianca. Come si è giunti a quella linea? Chi ne decise il tracciato? Come reagì la popolazione? Quali furono le conseguenze sul territorio? Si tratta di alcune delle domande cui sono stati sottoposti gli studenti e a cui un’ultima volta hanno dovuto cercare di dare risposte. Il compito del docente è quello di spingerli a focalizzarsi sui percorsi di vita individuali (come Sofri a proposito del maestro protagonista del suo libro), sui modi in cui le persone e le diverse comunità vissero e percepirono gli eventi (da Milani e Mori a Tomizza). Ecco perché per approfondire questi aspetti si è cercato di proporre un’analisi in cui immagini e parole procedessero di pari passo, svelandosi e completandosi vicendevolmente nel tentativo di restituire la complessità della vicenda del confine italo-jugoslavo e del suo mutarsi dando vita alla catastrofe dell’esodo.

Dopo la lezione sulla foto di cui sopra sono stati introdotti e lasciati alla visione individuale degli studenti, per contingenti motivi di tempo, dei film Cuori senza frontiere (1950, regia di Luigi Zampa) e La città dolente (1948, regia di Mario Bonnard), dal momento che trattavano ancora i temi della rimozione, della forzatura dei confini e dell’esodo ma attraverso un diverso linguaggio che al momento della restituzione in classe ha dimostrato di essere efficace. Infine merita una citazione – e non a caso è stato discusso in classe – La mano dello straniero (1953) un manufatto cinematografico cui hanno lavorato personaggi importanti della nostra cultura, a partire dalla regia di Mario Soldati alla sceneggiatura di Giorgio Bassani, con il contributo di attori famosi come Arnoldo Foà e Alida Valli (per altro istriana di nascita). Il film, tratto da un romanzo di Graham Greene, in realtà tocca a latere il tema della memoria cancellata ma riesce a fare presa sui ragazzi e lo si è preferito alle più recenti produzioni – film, serie tv e produzioni teatrali – che, pur avendo avuto un notevole seguito di pubblico e non poca diffusione sui canali televisivi nazionali, risultano talora superficiali e non sempre ben fatti.

A chiusura di questo intervento cito Il confine degli altri (2008) di Marta Verginella e Il dolore e l’esilio (2005) di Guido Crainz; due libri di storia, o forse sarebbe meglio dire due libri di storici, per la chiarezza argentina con cui sono scritti e perché restituiscono alcune storie individuali esemplari ed esemplificative di quanto finora affrontato, consentendo agli studenti di sentire le voci al di là del confine.

Queste pagine sono un tentativo di concretizzare la riflessione teorica su certi temi di attualità (la guerra e la profuganza, la violenza e il rispetto dell’altro, la libertà personale) all’interno di un percorso didattico di storia e letteratura per cercare di interpretare il passato attraverso il filtro del presente, nella convinzione che non si possa diventare cittadini consapevoli senza la capacità di lettura del presente e dei processi storici da cui deriva.

 

Riassumendo - Il modulo didattico è nato dalla rielaborazione dell’esperienza della summer school del 2019 promossa dal progetto biennale della Regione Toscana Per la storia di un confine difficile. L’alto Adriatico nel Novecento e di un corso di formazione misto per studenti e docenti.[2]

La complessità della vicenda del confine italo-jugoslavo, dalla disgregazione dell’impero austroungarico fino alla costituzione di una commissione mista di storici italiani e sloveni e alla creazione del Giorno del Ricordo, non deve, almeno non dovrebbe, riguardare soltanto foibe ed esodo ma rappresentare una più approfondita riflessione sull’italianità dell’alto Adriatico, andando a ritroso nei secoli spaziando nei campi della letteratura, dell’arte e della lingua. La diffusione di questa pagina di storia deve svilupparsi non solo nelle giornate a ridosso del 10 febbraio ma al di là del 10 febbraio. Parlare ogni anno di foibe ed esodo intorno al 10 febbraio o di Shoah a ridosso del 27 gennaio senza contestualizzare questi grandi e complessi fenomeni non solo storici, acuisce solo l’indifferenza degli studenti che si stancano di un insegnamento ex cathedra senza la mediazione e la condivisione dei grandi scrittori. La letteratura ci aiuta ad affrontare meglio non tanto le ricorrenze imposte da circolari ministeriali e leggi dello Stato che purtroppo abbiamo visto creare un effetto quasi opposto alle loro buone intenzioni.

Per altro nel testo della legge sul Giorno del Ricordo[3] si trova scritto in maniera errata «confine orientale» perché questa dizione implica una lettura storica nazionalista dal momento che con confine orientale si dimostra di vedere le cose dal solo punto di vista italiano, non solo geograficamente parlando ma anche dal punto di vista ideologico e storico. Il termine confine, impropriamente definito orientale, è sempre apparso come qualcosa di esotico e di primitivo che, in quanto tale, doveva essere colonizzato e fatto progredire come e sul modello occidentale.

 


[1] Il libro di Sofri ricostruisce la storia di Francesco Sottosanti, uno dei tanti maestri che nel primo dopoguerra andarono a insegnare nei luoghi di confine (nel caso del nostro protagonista a Gorizia), che erano stati recentemente annessi all’Italia e perciò sottoposti di un’italianizzazione forzata. Per un tragico errore, alcuni antifascisti sloveni uccideranno il maestro, perché reo di maltrattare gli studenti che non parlavano bene l’italiano o che si lasciavano scappare parole nella loro lingua madre.

[2] Il corso di formazione misto per docenti e studenti dal titolo “Per la storia di un confine difficile: l’alto Adriatico nel Novecento” è nato dalla collaborazione fra l’Istituto Storico Nazionale “Domus Mazziniana” di Pisa, l’I.I.S. “Ferraris-Brunelleschi” di Empoli e le scuole pisane IIS Santoni (capofila), IIS Da Vinci-Fascetti e Liceo Dini. Inserito nell’ambito del percorso di formazione promosso dalla Regione Toscana e coordinato dall’ISRECG di Grosseto, il corso è stato attivato nell’a.s.2019-2020 nel quadro del protocollo d’Intesa della Domus Mazziniana con l’Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana e si è sviluppato su due provincie (Firenze e Pisa) per gli alunni delle classi del triennio degli Istituti Secondari di II grado e i docenti di ogni ordine e grado. Il corso è stato anche propedeutico alla selezione della coppia di studenti per ogni Istituto coinvolto nel progetto regionale che hanno partecipato al viaggio-studio organizzato e finanziato dalla Regione Toscana sul confine adriatico e svoltosi nei giorni 11-15 febbraio 2020.

[3] La legge del 30 marzo 2004 n. 92 istituisce il Giorno del ricordo quale solennità civile nazionale italiana, celebrata il 10 febbraio di ogni anno, che vuole “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.

 

27 giugno 2022