Alessandro Ferioli - Le tracce B dell’esame di Stato 2023

 

1. Introduzione

Non si possono commentare le tracce dell’esame di Stato 2023 senza rammentare che, per molti studenti delle regioni colpite dall’alluvione, esse sono state le tracce ‘mancate’, a causa del fatto che per disposizione ministeriale sono stati esentati dallo svolgimento delle prove scritte sia i candidati presso istituti ubicati in Comuni colpiti da inondazioni o frane, sia i singoli studenti residenti in quegli stessi Comuni. Di conseguenza non solo intere scolaresche di scuole pesantemente colpite da inondazioni hanno rinunciato a svolgere le prove scritte (il che, in effetti, era inevitabile, date le condizioni dei plessi scolastici e la non totale sicurezza della viabilità dei territori), ma anche piccole quote di studenti in commissioni presso scuole ubicate in Comuni non ‘alluvionati’, per via della loro residenza anagrafica, e talora non senza rammarico, hanno dovuto rinunciare a cimentarsi nelle prove scritte, senza la possibilità (in analogia a quanto già deciso dal Ministero dell’Istruzione in passato, in occasione di situazioni emergenziali) di scegliere in base alle proprie condizioni soggettive. Non v’è commissario d’esame che non abbia percepito la mortificazione provocata da una disparità (imposta soprattutto dalle circostanze) che lascerà senz’altro l’amaro in bocca a non pochi giovani.

Secondo una consuetudine che non ci sembra inutile, ci proponiamo in questa sede di commentare alcune tracce assegnate all’esame di Stato, soffermandoci esclusivamente sulle tracce della tipologia ‘B’. Secondo i dati statistici forniti dal Ministero, limitatamente alla sessione ordinaria,[i] la traccia C2 (quella che muove da un articolo di Marco Belpoliti) è stata scelta dal 43,4% dei candidati, mentre il 23,3% dei candidati ha optato per la traccia B2, che parte da un testo di Piero Angela, e il 9,8% ha preferito la traccia B3 con un testo di Oriana Fallaci. Solo il 4% (percentuale che sale al 4,7% nei licei, e scende al 3,5% nei tecnici e al 2,4% nei professionali) ha scelto la traccia B1 con un testo di Federico Chabod. Viene spontaneo chiedersi, sul piano didattico, se tutti i candidati (soprattutto nei tecnici e nei professionali, dove le percentuali delle opzioni delle prime due tracce dianzi citate appaiono ancora più alte rispetto alla media nazionale) siano stati davvero del tutto consapevoli delle peculiarità delle diverse tipologie di prova, in particolare della ‘B’ («Analisi e produzione di un testo argomentativo»).

 

2. Le tracce ‘B’ della sessione ordinaria

 

La proposta B1 della sessione ordinaria[ii] è forse, fra le tre, quella meno ‘azzeccata’. Il tema del brano del saggio di Federico Chabod, L’idea di nazione, rientra infatti a pieno titolo nel programma di Storia del quarto anno, mentre le indicazioni programmatiche del quinto anno prendono avvio, normalmente, dalla Belle époque e dall’‘età giolittiana’. Si dirà che il nazionalismo è un tema che attraversa l’intiero XX secolo, sia per l’evoluzione che ha subito sotto l’aspetto ideologico (nelle sue declinazioni di imperialismo, bellicismo ecc.) sia per il fatto che il nazionalismo italiano costituì il ‘modello’ per altri nazionalismi europei, come ad esempio quello serbo. Tuttavia, la forte centralità del nazionalismo risorgimentale, avvalorata nel testo proposto dagli accenni al Conte di Cavour e a Mazzini, impone un corretto inquadramento del nazionalismo ottocentesco, mentre non del tutto evidenti appaiono nella traccia le possibilità di ampliamento del discorso al nazionalismo prevaricatore – che di quello è figlio degenere – del Novecento, oltre che ai nazionalismi che ci mostra la storia ‘in corso’ (la seconda parte delle consegne, relativa alla produzione, si limita a richiedere una riflessione «sul valore da attribuire all’idea di nazione»). Insomma, una traccia siffatta potrebbe forse essere proposta più opportunamente come prova comune d’istituto al termine del quarto anno, anziché come prova dell’esame conclusivo del corso di studi. Se si vuole ‘riportare’ i candidati all’elaborato di argomento storico, bisogna in primo luogo, a nostro sommesso parere, agire sulla pertinenza delle tracce ai programmi effettivamente svolti nelle classi quinte delle scuole italiane.

Venendo più propriamente al brano, osserviamo che alcune indicazioni intorno al testo sarebbero state utili. Il fatto che le lezioni di Chabod (1901-1960), raccolte da Bianca Maria Cremonesi in un testo da lui in seguito sostanzialmente approvato, furono tenute subito dopo l’8 settembre 1943, restituisce l’emergenza di un dibattito storico sul nazionalismo e sulle diverse concezioni di Europa che dalle istanze nazionalistiche possono derivare.[iii] Perciò la lezione di Chabod, in quel momento storico, mirava a difendere la dignità dell’idea nazionale, recuperandone gli aspetti più nobili e inserendola stabilmente nel processo d’integrazione europea, o – se si vuole – di ‘comunità europea’, in un’ottica di amicizia fra i popoli. Le implicazioni di tale testo in termini di attualità sono state rilevate da più parti: in particolare Antonio Carioti ha scritto che si tratta di «una lezione tutt’altro che inattuale, in tempi di sovranismo risorgente, mentre in Ucraina infuria una guerra scatenata per annientare l’identità di un popolo».[iv]

Si tratta quindi di un testo importante, come detto dianzi, ma non in linea con il programma dell’ultimo anno, e purtroppo decontestualizzato rispetto al momento storico in cui Chabod tenne le lezioni (con la conseguenza di perdere la possibilità di alcuni spunti di riflessione). Per quanto concerne le domande della traccia, oltre all’ormai prevedibile richiesta di redigere il riassunto del brano, tre semplici domande (di fatto due, come vedremo) chiedono di individuare i fini politico-economici di Cavour («Quali sono, secondo Chabod, le esigenze e gli obiettivi di Camillo Benso, conte di Cavour, nei confronti dell’Italia?») e le basi del concetto di nazione secondo Mazzini (e va detto qui che meglio sarebbe stato riunire in un’unica domanda i quesiti 3 («Nella visione di Mazzini, qual è il fine supremo della nazione e cosa egli intende per ‘Umanità’?») e 4 («Spiega il significato della frase “La nazione non è fine a se stessa: anzi! È mezzo altissimo, nobilissimo, necessario, ma mezzo, per il compimento del fine supremo: l’Umanità”»).

Manca del tutto una qualsivoglia riflessione sullo stile, che peraltro si avvale di termini letterari (‘vagheggiare’, ‘anelare’), di una forte espressività tipica dell’eloquenza accademica d’un tempo («è ben certo che il principio di nazionalità era una gran forza, una delle idee motrici della storia del secolo XIX»; «Pensiamo al Mazzini, anzitutto»; «La nazione non è fine a se stessa: anzi! È mezzo altissimo, nobilissimo, necessario», dove non sfugge il climax; «l’Europa giovane che, succedendo alla vecchia Europa morente», dove non sfugge l’antitesi), e di alcuni sintagmi desueti («esso principio si accompagna allora, [...] almeno negli italiani, con due altri princìpi, senza di cui rimarrebbe incomprensibile»; «si deve fin dire che»), a dare al discorso sfumature irripetibili e quasi a ‘restituire’ il timbro della voce dello storico valdostano.

La proposta B2 rende giustamente onore a Piero Angela (1928-2022), presentando un brano dal suo libro Dieci cose che ho imparato (Milano, Mondadori, 2022). Al proposito, non si può tacere l’importanza del volume, contenente una sorta di ‘testamento’ dell’autore, che al termine della sua esistenza ha voluto denunciare la decadenza dell’Italia, rappresentata dalla pregnante metafora delle «luci» perdute, ma al contempo ha individuato dieci campi nei quali le potenzialità nascoste possono essere d’aiuto per far riprendere al nostro Paese un posto di tutto rispetto nel cammino della civiltà. E questo è uno straordinario atto di fiducia nei confronti delle nuove generazioni.

Venendo al commento della traccia, osserviamo che la prima parte delle consegne, ossia quella relativa a «comprensione e analisi», prende avvio con la richiesta, ormai di rito, di produrre un riassunto con l’individuazione della tesi dell’autore e delle relative argomentazioni a supporto. È forse il caso di osservare, una volta per tutte, che – a fronte della tendenza, comune a molti candidati, di limitarsi a una mera sintesi, nel migliore dei casi con l’uso di parole diverse da quelle del testo analizzato – la struttura argomentativa del brano proposto deve essere analizzata attraverso un metodo preciso e con un adeguato lessico ‘tecnico’. Ciò avviene a partire proprio dal riassunto, che perciò deve essere al centro di una specifica attività didattica; anzi, per usare le parole di Luca Serianni, «dovrebbe essere abituale […] dalla seconda classe della scuola media alla quarta della secondaria superiore».[v]  Nel testo argomentativo in esame, ad esempio, va individuata l’asserzione, ossia la frase che identifica sommariamente la questione e la posizione dell’autore: in questo caso, è l’affermazione secondo cui nel panorama odierno assistiamo all’aumento del valore della ‘creatività’ rispetto a quello delle materie prime e della manodopera.

Passando al prosieguo delle consegne, osserviamo che le domande 2, 3 e 4 guidano caritatevolmente il candidato a individuare i passaggi logici fondamentali del brano, richiamandone l’attenzione su alcune parole e locuzioni nodali dell’argomentazione dell’autore (rispettivamente «distruzione creativa» e «ricchezza immateriale»), nonché sul concetto di «sistema molto efficiente». Ci sembra che vadano messi in rilievo, in particolare, due differenti tipi di esempi (le cosiddette evidenze) utilizzati da Piero Angela a supporto dell’argomentazione: il primo, che potremmo definire come uso di fonti d’informazione a disposizione dell’autore, è costituito sia dallo «studio della Banca mondiale» sulla ‘ricchezza’ degli Stati più avanzati, sia dai risultati di una ricerca non meglio precisata («Si è calcolato che» ecc.); invece il secondo tipo, che possiamo chiamare ‘esempio concreto’, è il caso – ormai storico – dell’azienda Kodak, entrata in crisi con la scomparsa della pellicola fotografica (un prodotto che i candidati forse non hanno mai veduto, e oggi reso del tutto superfluo dalle tecnologie digitali). Tali ‘evidenze’ costituiscono il collante fra la tesi dell’autore e la realtà oggettiva; cosicché dai fatti concreti e verificati, attraverso l’esperienza storica o studi scientifici, si forma l’opinione dell’autore, e da essi la sua posizione viene rafforzata e corroborata. Individuarli correttamente significa riconoscere i modi attraverso cui l’autore induce il lettore a riconoscere la ‘verità’ contenuta in ciò che egli sta affermando, e a convincerlo. Quanto appena osservato ci sembra essere uno dei due nodi cruciali della didattica sulla tipologia ‘B’.

L’altro nodo è costituito dall’esame dello stile dell’autore; operazione che, anche laddove non specificatamente richiesta dalle consegne, è comunque doverosa. Difatti, attraverso l’impiego di uno stile efficace, basato su chiarezza dell’espressione e vocaboli di uso comune, con poche, ma indispensabili locuzioni tecniche, Piero Angela ‘centra’ appieno l’obiettivo principale del giornalismo divulgativo, che consiste essenzialmente nel rendere accessibili a un pubblico vasto i risultati di studi specialistici, senza perderne in esattezza. Come ha scritto Marco Buticchi, se il maestro Alberto Manzi portò l’alfabetizzazione nell’Italia dei poveri, «Angela ha portato, nel Paese del benessere, la comprensione di ciò che è difficile con parole facili».[vi] In definitiva – e sia detto qui una volta per tutte – nella didattica della tipologia ‘B’ non possiamo limitarci ad accettare che gli studenti captino la corrispondenza fra le domande delle consegne e le espressioni del testo, poiché la prima parte della prova è a tutti gli effetti di ‘comprensione e analisi’, e quest’ultimo aspetto – quello dell’analisi, appunto – non può essere omesso o trascurato. Per quanto concerne la parte di ‘produzione’, la traccia B2 chiede al candidato se egli condivida o meno «le considerazioni contenute nel brano»: ed è, questa, una richiesta che avrebbe più senso davanti a una questione culturale, sociale o storica controversa, ma non davanti ad affermazioni che, sebbene non banali, appaiono a tutti condivisibili (talché, in sostanza, per il candidato si trattava di proseguire lungo il percorso tracciato da Angela, senza tante possibilità di prendere strade diverse).

La proposta B3 presenta un brano dal libro di Oriana Fallaci, Intervista con la storia (Milano, Rizzoli, 1977), nel quale l’autrice pone un dilemma di sicuro interesse, oltre che carico di suggestioni, ossia se la storia sia fatta «da tutti o da pochi». Non comprendiamo bene se la domanda 2 («“La storia è fatta da tutti o da pochi? Dipende da leggi universali o da alcuni individui e basta?” Esponi le tue considerazioni sulle domande con cui il brano ha inizio») richieda al candidato di esporre riflessioni sul tema trattato dall’autrice o di esaminare stilisticamente l’uso della frase interrogativa di tipo dilemmatico per introdurre due opzioni che si pongono in posizione antitetica. Per esperienza personale, alcuni candidati che hanno scelto questa traccia hanno inteso la domanda nel primo senso, ossia come un invito a esprimere le proprie convinzioni sull’argomento; il che, in verità, sarebbe più proprio della seconda parte delle consegne (‘produzione’). Temiamo inoltre che la domanda 3 («Come si può interpretare la famosa citazione sulla lunghezza del naso di Cleopatra?» ecc.) abbia avuto risposte banali, o meramente riempitive del foglio, poiché l’aforisma di Pascal, del tutto ignoto agli studenti, è riassunto in termini non del tutto chiari in una nota a piè di pagina. La domanda 4 è invece di un certo interesse, poiché richiede al candidato la contestualizzazione della frase di Bertrand Russell nel periodo della Guerra fredda, allorquando il confronto diplomatico e ideologico tra le due superpotenze, con l’affacciarsi della Cina come nuovo soggetto di rilievo in Asia, rendeva ancor più marcata la distanza fra i ‘comuni mortali’ e quei pochi governanti che apparivano arbitri indiscussi dei destini del mondo intiero. A noi rimane solo una considerazione: dacché l’analisi deve essere anche stilistica, si sarebbe forse potuto proficuamente sollecitare i candidati a riflettere sulla natura e sull’efficacia delle metafore contenute nelle ultime righe del brano («noi che diventiamo? Greggi impotenti nelle mani di un pastore ora nobile ora infame? Materiale di contorno, foglie trascinate dal vento?») e sull’aggettivazione usata dall’autrice (es.: «ipotesi atroce»). La seconda parte delle consegne (‘produzione’) invita a riflettere se la situazione odierna si presenti ancora nei termini descritti da Oriana Fallaci: evidente, al proposito, è la possibilità d’impiegare non soltanto conoscenze sulla situazione internazionale odierna, ma anche contenuti di Educazione civica relativi alle organizzazioni internazionali.

In definitiva, con le tracce B2 e B3 si è voluto celebrare due grandi giornalisti, Piero Angela e Oriana Fallaci, i quali hanno occupato un posto di rilievo nella cultura italiana, imponendosi per validità della produzione saggistica e per qualità della scrittura. Al proposito, ci sembra inopportuna la sottolineatura, da parte di taluni, del fatto che «l’Oriana è anche un’icona della nuova destra, specie di quella leghista»,[vii] poiché, se anche l’affermazione non è falsa, è senz’altro svilente dello spessore professionale della giornalista scomparsa nel 2006, la quale anzi, per le sue riconosciute capacità e la sua straordinaria personalità, ma anche per la sua abitudine a prendere sempre posizione, rifiutando qualsivoglia ‘equilibrismo’, fu – secondo le parole di Federico Rampini, che ha firmato la prefazione del libro – «sempre scomoda, sospetta, incontrollabile, sgradita a tutti i potenti che incontra[va]».[viii]

 

 3. Le tracce ‘B’ della sessione suppletiva

 

La proposta B1 della prima prova scritta della sessione suppletiva,[ix] prova che si è tenuta il 5 luglio, offre un brano tratto dal libro di Mario Isnenghi, Breve storia d’Italia ad uso dei perplessi (e non),[x] incentrato sulle innovazioni legate alla Prima guerra mondiale sotto diversi aspetti, dagli armamenti al coinvolgimento dei civili, dalla ‘massificazione’ dei cittadini allo sforzo produttivo degli Stati coinvolti, sino a nuovi modi di concepire le relazioni interpersonali. Si tratta di un brano molto denso, ricco di spunti che possono svilupparsi in più direzioni, e scritto con ammirevole energia stilistica; pertanto è spontaneo pensare che sarebbe stato il brano più acconcio per la sessione ordinaria, e che, se fosse stato proposto in quella sede, avrebbe senz’altro contribuito a rivitalizzare la traccia di argomento storico.

Venendo alle domande di ‘comprensione e analisi’, correttamente il quesito 1, trattandosi di un testo che presenta una panoramica delle innovazioni e dei cambiamenti legati al conflitto, chiede di riassumere il brano «nei suoi snodi tematici essenziali», omettendo la richiesta di individuare i nuclei argomentativi. Le tre successive domande (rispettivamente «2. Perché, secondo l’autore, trincea e mitragliatrice fanno della Prima guerra mondiale “un’espressione della modernità e dell’ingresso generale nella società di massa e nella civiltà delle macchine”?»; «3. In che modo cambia, [...] rispetto alle guerre precedenti, il rapporto tra ‘esercito’ e ‘paese’?»; «4. Quali fenomeni di ‘adattamento’ e ‘disadattamento’ vengono riferiti dall’autore rispetto alla vita in trincea e con quali argomentazioni?») guidano il candidato a focalizzare alcuni caratteri peculiari del conflitto 1914-1918, sollecitando approfondimenti, confronti e connessioni fra i molti temi cui si fa cenno nel brano. La seconda parte (‘produzione’) richiede d’illustrare «le novità introdotte a livello tecnologico e strategico, evidenziando come tali cambiamenti hanno influito sugli esiti della guerra» e di esprimere le proprie considerazioni sui fenomeni esposti «con eventuali riferimenti ad altri contesti storici», in «un testo in cui tesi e argomenti siano organizzati in un discorso coerente e coeso».

Il testo della proposta B2 è costituito dall’assemblaggio di due brani tratti dal libro di Luca Serianni, L’ora d’italiano. Scuola e materie umanistiche (Roma-Bari, Laterza, 2010). La prima parte riguarda la scarsa considerazione di cui godono le discipline scientifiche rispetto a quelle umanistiche, così da far dire all’autore che «la cultura scientifica media continua a essere scarsa e dotata di minore prestigio sociale». La seconda parte verte sul generale declino della «cultura tradizionalmente umanistica», la cui decadenza in Italia è percepibile, secondo l’autore, anche nelle domande poste ai concorrenti dei quiz televisivi, domande che oggi fanno sempre più spesso appello alla fortuna, anziché – come invece avveniva ai tempi dei programmi condotti da Mike Bongiorno – alla preparazione molto solida su un tema dato (ed è, quest’ultima, una porzione di testo a nostro avviso troppo lunga, poiché occupa ben due terzi dell’estensione complessiva per un confronto di domande tra due diverse modalità di quiz televisivi).

Dopo la prima domanda della parte di ‘comprensione e analisi’, come al solito incentrata sul riassunto del brano, le tre successive richiedono rispettivamente: di riconoscere «la tesi principale di Serianni» con i relativi argomenti a supporto; d’individuare le basi dell’affermazione secondo cui «in Italia “la cultura scientifica media continua a essere scarsa e dotata di minore prestigio sociale”»; e infine di illustrare quale funzione dimostrativa ha il confronto tra i quiz televisivi. La sezione relativa alla ‘produzione’ richiede invece al candidato di confrontarsi con le considerazioni dell’autore «sul trattamento riservato in Italia alla cultura scientifica e alla cultura umanistica» e di sviluppare le proprie riflessioni «sulle due culture e sul loro rapporto», in un testo strutturato secondo tesi e argomenti.

Il tema delle ‘due culture’ è innegabilmente ricco di spunti di meditazione, e può articolarsi secondo percorsi differenti. A uno studente dell’ultimo anno di corso, per citare solo pochi esempi, può facilmente sovvenire l’importanza di uno scienziato come Galileo Galilei nella tradizione letteraria italiana; o la ricerca sperimentale dei naturalisti francesi e dei veristi italiani, che si proponevano di scrivere romanzi basandosi sul metodo scientifico; o, ancora, l’insieme delle implicazioni etiche, dalle radici squisitamente umanistiche, insite nel progresso (si pensi al dibattito degli scienziati intorno all’impiego della bomba atomica). La traccia apre però, soprattutto, un problema che difficilmente i candidati avrebbero potuto affrontare: la questione dell’incomunicabilità tra scienziati e letterati posta alla fine degli anni Cinquanta del Novecento da Charles Percy Snow, il quale auspicava la ricomposizione, negli ambiti sociale e politico, della frattura fra le due culture.[xi] Tale questione, che ci sembra il modo più appropriato per affrontare il tema, è presente in modo marcato nell’opera di Primo Levi, il quale, muovendo dalla sua esperienza di studente liceale, criticava la tendenza a separare nettamente i due campi di studio, che per lui non costituivano due culture distinte, ma una sola. E forse è lecito affermare che Levi, proprio perché in possesso di entrambe le culture, solidamente intessute fra loro, disponeva di ‘occhiali’ per guardare e interpretare nitidamente quella realtà in rapida evoluzione che altri intellettuali giudicavano invece in modo più superficiale. Proprio da Levi ci viene l’invito a usare la cultura umanistica per orientare la scienza al servizio delle cause più degne: ricordiamo solo che egli chiese ai ricercatori un preciso impegno etico, ossia di non nascondersi dietro «l’ipocrisia della scienza neutrale», ma di sapere e valutare il fine delle proprie ricerche; anzi, egli propose persino un giuramento per gli studenti dei corsi scientifici che obbligasse i futuri scienziati a usare le loro competenze per la causa della pace.[xii] In definitiva, però, il brano proposto nella traccia appare troppo appesantito dal confronto fra le due modalità di quiz, che possono persino agire in funzione decettiva.

La proposta B3 presenta un brano dell’intervista rilasciata da Luciano Floridi a Gian Paolo Terravecchia sul tema dell’intelligenza artificiale.[xiii] Pur avvertendo che troviamo inutile spiegare in nota che cosa sia un ‘ossimoro’, poiché i candidati dispongono del vocabolario, va detto, riguardo alla scelta del brano, che è forse quanto di meglio si potesse reperire, nell’ambito scientifico, ai fini della prova di tipologia ‘B’. Difatti sul piano stilistico il brano presenta alcune ‘tattiche’ discorsive d’indubbio interesse: innanzitutto il calembour presente nella frase «Tutto ciò che è veramente intelligente non è mai artificiale e tutto ciò che è artificiale non è mai intelligente»; poi la parafrasi ironica della frase Carl von Clausewitz «l’IA è la continuazione dell’intelligenza umana con mezzi stupidi»; e infine le similitudini (« Il mio cellulare gioca a scacchi come un grande campione, ma ha l’intelligenza del frigorifero di mia nonna»; « E quando si dirà ‘smart’, ‘deep’, ‘learning’ sarà come dire “il sole sorge”»). Inoltre il lessico viene usato con grande accortezza; soprattutto le parole straniere, quelle più proprie del campo di studio di Floridi, sono di provenienza anglosassone, ma il loro impiego segue tre direttrici: a) il termine tecnico in senso proprio (es.: smart, deep, machine learning, agency); b) il neologismo (onlife, coniato dall’autore); c) il termine tecnico usato in senso ironico: «Tanto più il mondo è ‘amichevole’ (friendly) nei confronti della tecnologia digitale, tanto meglio questa funziona, tanto più saremo tentati di renderlo maggiormente friendly, fino al punto in cui potremmo essere noi a doverci adattare alle nostre tecnologie e non viceversa».

Si tratta dunque di un testo interessante anche per le strategie linguistiche impiegate; tuttavia, l’individuazione di questi aspetti non è richiesta dalle consegne, che dopo il consueto invito a redigere un riassunto propongono di riflettere, in tre distinti quesiti, rispettivamente, sul «motivo» della citata similitudine del frigorifero; sulle basi dell’affermazione secondo cui «il rischio è che per far funzionare sempre meglio l’IA si trasformi il mondo a sua dimensione»; e infine sulle conseguenze, secondo Floridi, di vivere «sempre più onlife e nell’infosfera». La seconda parte,  quella di ‘produzione’, richiede le opinioni del candidato, con attenzione alle «differenze tra intelligenza umana e ‘Intelligenza Artificiale’», e una corretta organizzazione di tesi e argomenti.

 

4. Considerazioni finali

 

Fra le tante considerazioni sulle tracce d’esame, ci sembrano molto serie quelle di Stefania Auci, secondo la quale «si tratta di elaborati più adatti a un liceo, che presuppongono una preparazione e un livello di approfondimento che non sempre si può trovare oggi nella scuola italiana», con il rischio, sempre più concreto, di assistere a un vero e proprio «scollamento» fra chi compila le tracce e le realtà più problematiche degli istituti, dispersi in tutta la Penisola, ove gli studenti sono più fragili e maggiormente a rischio di dispersione.[xiv] Forse per questo motivo le tracce della tipologia ‘B’, sia nella sessione ordinaria sia in quella suppletiva, sono state generiche riguardo all’analisi stilistica: per consentire anche ai più fragili di individuare nel testo quanto richiesto dalle domande, e poi di riportarlo (nei casi migliori in forma ‘parafrasata’ e con una certa interpretazione, ma nei casi peggiori con le medesime parole, lasciando ai commissari il dubbio se il testo fosse stato sommariamente compreso).

Ci sembra invece importante cercare sempre di riportare l’attenzione del candidato sullo ‘stile’ dell’autore proposto, poiché esso da un lato è una sorta di viatico che conduce all’universo ideale dell’autore, e ci consente di comprenderne un po’ meglio la personalità e il pensiero, e dall’altro è una componente essenziale del discorso argomentativo. Quest’ultimo è un testo in cui l’autore espone fatti, li giudica e prende posizione davanti a essi, entrando con la propria visione in un dibattito aperto: pertanto, l’uso della lingua serve non solo a ‘convincere’ (che è l’obiettivo della persuasione), ma anche a ‘interrogare’ il lettore per coinvolgerlo in un dialogo in cui le conclusioni siano il frutto di una cooperazione. Il confronto di fatti, l’individuazione di rapporti causa-effetto, il procedimento di deduzione, l’assunzione di punti di vista altrui avvengono attraverso la lingua (specialmente con l’uso degli indicatori tipici dei testi argomentativi, come i connettivi, le frasi dichiarative, l’interpunzione ecc.), e su questo terreno le tracce d’esame devono spingere i candidati a lavorare. Stiamo attenti a non scadere in un’eccessiva semplificazione delle consegne allegate alle tracce d’esame, poiché – non da ultimo – si rischia d’incorrere in un divario fra le richieste, le produzioni dei candidati e gli indicatori ministeriali delle schede di correzione e valutazione.

 

 

10 luglio 2023

 


[i]Cfr. il comunicato del Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM): https://www.miur.gov.it/-/-maturita-2023-sul-sito-del-ministero-pubblicate-le-tracce-della-prima-prova-2 (cons. il 9 luglio 2023).

[ii]Cfr. le tracce nel sito del MIM: https://www.istruzione.it/esame_di_stato/202223/Italiano/Ordinaria/P000_ORD23.pdf (cons. il 9 luglio 2023).

[iii]Vedi Armando Saitta, Ernesto Sestan, Prefazione, in Federico Chabod, L’idea di nazione, Roma-Bari, Laterza, edizione digitale, 2021.

[iv]Antonio Carioti, Chabod e il principio di nazionalità, «Corriere della sera», 22 giugno 2023.

[v]Luca Serianni, L’ora d’italiano. Scuola e materie umanistiche, Roma-Bari, Laterza, 2010, p. 51.

[vi]Marco Buticchi, Riaccendere le luci di quest’Italia, «Quotidiano nazionale», 22 giugno 2023.

[vii]Alberto Mattioli, Tanti temi, tanti maturi: per farsi bocciare qui bisogna impegnarsi, «Il Foglio», 22 giugno 2023.

[viii]Federico Rampini, Prefazione, in Oriana Fallaci, Intervista con la storia, Milano, Rizzoli, edizione digitale, 2014.

[ix]Cfr. le tracce nel sito del MIM: https://www.istruzione.it/esame_di_stato/202223/Italiano/Suppletiva/P000_SUP23.pdf (cons. il 9 luglio 2023).

[x]Mario Isnenghi, Breve storia d’Italia ad uso dei perplessi (e non), Roma-Bari, Laterza, 2012, pp. 77-78.

[xi]Charles Percy Snow, The Two Cultures and the Scientific Revolution, Cambridge, University Press, 1959 (tr. it.: Le due culture, Milano, Feltrinelli, 1964.

[xii]Primo Levi, Covare il cobra, «La Stampa», 21 settembre 1986, in Idem, Opere complete, II, a cura di Marco Belpoliti, Torino, Einaudi, 2016, pp. 1138-1141.

[xiii]Gian Paolo Terravecchia, Uomo e intelligenza artificiale: le prossime sfide dell’onlife. Intervista a Luciano Floridi, in «La ricerca», n.s., a. viii, 18, 2020, pp. 6-11. Vedi: https://laricerca.loescher.it/la-ricerca-18/ (cons. il 9 luglio 2023).

[xiv]Stefania Auci, Oltre le polemiche c’è di più. Tracce di ottimismo alla maturità, «Il Foglio», 22 giugno 2023.